Difendere e rilanciare il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
Nel suo discorso di investitura il nuovo presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha esposto le richieste del padronato italiano per la prossima fase: i profitti devono continuare a crescere a discapito dei salari,
l’età pensionabile va ulteriormente innalzata, la spesa
sociale va tagliata, il contratto nazionale di lavoro va
“riformato”.
Il governo Berlusconi ha risposto prontamente
varando il DPEF (Documento di Programmazione Economica e Finanziaria)
per i prossimi tre anni: una manovra da 35 miliardi che prevede un
ulteriore sviluppo delle privatizzazioni e tagli a trasporto pubblico locale, scuola, sanità pubblica.
Nella scuola si annuncia il taglio di 100.000 insegnanti e nella sanità
la reintroduzione del ticket sulla specialistica. Da parte loro i
ministri del lavoro europei, tra cui quello italiano Sacconi, hanno
annunciato la volontà di portare l’orario massimo di lavoro fino a 65
ore settimanali.
NEL FRATTEMPO IL 18 GIUGNO È INIZIATO IL CONFRONTO SULLA
“RIFORMA” DEL CCNL TRA CONFINDUSTRIA E LE BUROCRAZIE SINDACALI CGIL,
CISL E UIL
L’obiettivo
fondamentale che il padronato vuole raggiungere con la
“riforma” del CCNL è quello di realizzare il controllo totale sulla forza lavoro, frantumare la solidarietà di classe, dividere e indebolire i lavoratori per costringerli a contrattare individualmente il loro salario.
L'obiettivo è quello di subordinare sempre più strettamente il salario al profitto delle imprese: “salario in cambio di produttività”
dicono i padroni, ma Italia il tasso di produttività è già altissimo
mentre il salario è bassissimo. Infatti i dati pubblicati recentemente
dall’OCSE (i 30 paesi industrialmente più sviluppati) dimostrano
chiaramente che in Italia il numero di ore lavorate è tra i più alti dell’area OCSE, ma i salari sono tra i più bassi
(circa 6000 dollari all’anno in meno della media). Le affermazioni del
padronato sono solo chiacchiere per spillare ancora più sudore e per
riempirsi sempre di più le tasche.
Mettere in discussione il CCNL significa, per cominciare, abbandonare a sé stessi i lavoratori delle imprese piccole e medie
(e anche di tante imprese più grandi) che non hanno la contrattazione
di secondo livello (in Italia solo il 20% dei lavoratori ce l’ha) o non
hanno la forza di realizzare accordi accettabili (e oggi che è sempre
più difficile strappare accordi decenti il CCNL rappresenta un minimo
di tutela per il salario e i diritti).
Significa dare il via libera alle “gabbie salariali”
cioè al fatto che due operai che fanno lo stesso lavoro in due
posti diversi hanno due salari e due “diritti” diversi.
E quando si sarà consumata definitivamente la rottura della
solidarietà tra lavoratori (italiani contro immigrati, vecchi contro
giovani, sud contro nord, privato contro pubblico, garantiti contro
precari…) chi avrà vinto? Ogni lavoratore sarà solo. Solo e debole di fronte al singolo padrone e alle associazioni dei padroni e allora la sua ulteriore costrizione al lavoro coatto
sarà inevitabile. Così come sarà inevitabile la schiavizzazione dei
propri figli. E che razza di uomo è quell’uomo che non lotta e
preferisce fare la “cicala” con i diritti e la dignità dei propri
figli?
Invece di opporsi a questa situazione il 12 maggio scorso i vertici CGIL-CISL-UIL
hanno approvato un documento nel quale si dà il via libera alla
revisione dei già pessimi accordi del luglio 1993 con un accordo per la
“riforma del modello della contrattazione”che ridurrà il contratto nazionale di lavoro a pura formalità spostando tutto il peso della contrattazione sul secondo livello (decentrato), ovviamente per chi ce l’ha.
Cosa riceverebbe il sindacato, in cambio della propria disponibilità ad andare incontro alle richieste del padronato?
Una riforma della rappresentanza nei luoghi di lavoro che legherebbe
ancora di più i delegati alle segreterie e impedirebbe loro di assumere
posizioni diverse da quelle dei vertici, anche se approvate dai
lavoratori. Un’ulteriore riduzione della già pochissima democrazia che c’è nei luoghi di lavoro.
20 ANNI DI ATTACCO AL SALARIO E AI DIRITTI DEI LAVORATORI
Sono oltre 20 anni che i lavoratori sono sotto attacco: prima la
riduzione di 4 punti l'indennità di contingenza, la Scala Mobile, per
mano dell'attuale ministro Renato Brunetta, allora socialista (1984), poi l’abolizione della “scala mobile” (governo Amato 1992), poi gli accordi sulla flessibilità (Ciampi 1993), poi la controriforma delle pensioni (Dini) nel 1995, poi il pacchetto Treu (Prodi 1997), poi l’attacco al diritto di sciopero (D’Alema 1999), poi la legge 30 (Berlusconi 2002), poi lo scippo del TFR verso i fallimentari fondi pensione integrativi attraverso la truffa del silenzio-assenso (Berlusconi 2006 - Prodi 2007), poi i protocolli sul welfare
per aumentare l’età pensionabile e allungare la
precarietà (Prodi 2007). Ora l’attacco frontale al CCNL.
Tutti questi passaggi sono stati “concertati”
dai padroni, dai vari governi e dalle burocrazie CGIL-CISL-UIL spesso
con l’appoggio di tutti i partiti, di destra come di “sinistra” (compresi quelli della sedicente “sinistra radicale”). E’ sempre più chiaro che nei parlamenti e nelle segreterie sindacali i lavoratori non hanno amici.
Con l'indebolimento del Contratto Nazionale ogni anno una
percentuale sempre più alta della ricchezza prodotta è stata tolta ai
salari dei lavoratori e regalata ai profitti dei padroni. Nel 1983 il 77% della ricchezza prodotta (il PIL) andava ai salari e il 23% ai profitti, nel 2005 ai salari va meno del 69% mentre ai profitti oltre il 31%. L'8% del PIL in più ai profitti rispetto a vent'anni fa. Una cifra pari a 120 miliardi di euro. Che significa 5 mila 200 euro del salario di ogni lavoratore. E questo ogni anno, tutti gli anni.
Ma questo furto continuo non sazia la fame degli industriali e dei
pescecani della finanza, che dopo aver derubato i lavoratori del TFR e
delle pensioni, ora vogliono ridurre ulteriormente i salari, e con
questo obiettivo tentano ogni giorno di aizzare i lavoratori contro i
loro fratelli di classe immigrati per distoglierli dai loro veri
nemici: padroni, sindacati di regime, partiti-casta. Ai
padroni che vogliono dividere per meglio comandare va risposto con
forza che tra i lavoratori non ci sono stranieri e che l'unico
straniero è il capitalismo.
DIFENDERE E RILANCIARE IL CONTRATTO NAZIONALE DI LAVORO
Sulla difesa del CCNL sono in gioco il salario e i diritti per i prossimi venti anni.
Tutto è nelle mani dei lavoratori. Dissentire non
basta, è necessario mobilitarsi, informare tutti e tutte, prendere la
parola nelle assemblee, contestare i sindacati venduti (come hanno
fatto i lavoratori di Mirafiori, di Melfi, di Arese, di Pomigliano), costruire
assieme la campagna per la difesa e il rilancio del Contratto Nazionale
di Lavoro, costruire comitati di lotta unitari e indipendenti dei
lavoratori nei posti di lavoro e nel territorio, per fare
della difesa del CCNL una questione sociale, per una nuova stagione di
lotte salariali e sociali.