Riflessioni brevi sull'esito del referendum del 15-16 giugno

Il 15 e 16 giugno scorso, al referendum per l’estensione dell’art.18 ai lavoratori di aziende con meno di 15 dipendenti, hanno votato circa il 26% degli aventi diritto (tra i quali circa l’87% a favore). 
Il risultato esteriormente più evidente della consultazione (il mancato raggiungimento del quorum) ha consentito a molti di parlare di “sconfitta” e di liquidare il problema dell’estensione dei diritti a quella parte di lavoratori che ne sono sprovvisti.

A livello locale i lavoratori che animano l’esprienza di Primomaggio hanno promosso la realizzazione e la diffusione di un appello sottoscritto da molti lavoratori e la indizione di una assemblea (svoltasi il 31 maggio a Massa) che ha avuto oltre 80 partecipanti. Nelle settimane precedenti il voto abbiamo diffuso migliaia di copie dell’appello in decine di posti di lavoro, abbiamo esposto centinaia di locandine, fatto presidi... Quindi, un modesto contributo al raggiungimento di un positivo risultato (la provincia di Massa-Carrara è stata la terza provincia a livello nazionale per affluenza al voto) lo abbiamo dato anche noi.
Il nostro intervento si è concentrato nella zona-apuo-versiliese (da Viareggio a Carrara) cha sarà anche l’area entro la quale Primomaggio avrà la sua maggiore diffusione.

Eravamo (e siamo) pienamente consapevoli che in una fase caratterizzata dal progressivo smantellamento delle conquiste e dal quotidiano attacco ai diritti e alle condizioni di vita, di lavoro e di salute... una inversione di tendenza “da un giorno all’altro” sarebbe stata in ogni caso molto difficile.
Però, su un certo risultato ha senso parlare di “vittoria” o di “sconfitta” solo ragionando in un quadro di analisi della situazione complessiva e degli obbiettivi posti.
Non è superfluo ricordare che la sproporzione di consenso e di mezzi tra le forze che si sono opposte al sì e quelle che lo hanno sostenuto era troppo grande per lasciare molte speranze.
Malgrado questo il referendum è stato ugualmente votato da circa 11 milioni di persone ed ha rappresentato un passaggio importante in cui moltissimi lavoratori hanno compreso ancora più chiaramente la vera natura di partiti e personaggi che si presentano loro come “amici” ma che poi, al momento opportuno, li colpiscono alla schiena. Simbolo di questa falsa “amicizia” è l’ex-segretario generale della CGIL, il “compagno” Sergio Cofferati.
Sarebbe ovviamente una esagerazione se assegnassimo a Cofferati tutta la responsabilità del risultato (malgrado ne abbia buona parte). Da tutto il centro-destra a quasi tutto il centro-“sinistra”, da Confindustria a Confartigianato e Confcommercio, da CISL e UIL all’UGL... si è realizzata la più ampia e “trasversale” alleanza anti-operaia e anti-popolare che si potesse immaginare. 
Evidentemente il 90% dello schieramento politico istituzionale non vuole che i lavoratori delle aziende con meno di 15 dipendenti abbiano gli stessi diritti di quelli delle aziende con più di 15 dipendenti, malgrado ne abbiano gli stessi (e spesso ancor di più) doveri. Questo 90% vuole i lavoratori deboli e ricattabili, divisi gli uni contro gli altri, giovani contro vecchi, italiani contro immigrati, “garantiti” contro precari, nord contro sud, uomini contro donne... in modo che i padroni possano continuare ad ingrassare alle loro spalle secondo la ben nota “regola” che la ricchezza la producono le imprese e non i lavoratori che ci sgobbano dentro.
Ma il 90% della rappresentanza istituzionale rappresenta effettivamente il 90% del paese e soprattutto dei lavoratori ? 
Il referendum dice di no, come dicono di no le grandi mobilitazioni a difesa dell’art.18 e contro la guerra. 
Si pone quindi un problema di rappresentatività reale degli interessi dei lavoratori a livello politico.
Del resto, la pesante contro-riforma del mercato del lavoro del 1997, il pacchetto Treu, non è stata forse varata da un governo di centro-“sinistra” con il plauso della Confindustria e della stessa opposizione di centro-destra ?
Anche in virtù di questo, negare che il referendum abbia via via assunto, oggettivamente, una funzione di schieramento sarebbe vera e propria cecità, così come sarebbe vera e propria cecità negare che, malgrado tutto, 11 milioni di persone, per la grandissima parte lavoratori, abbiano dato una dimostrazione di autonomia e di buon senso che, da un lato, cancella molte delle interessate considerazioni sulla fine della “classe operaia” e, dall’altro, pone le basi per lo sviluppo ulteriore di questa autonomia.
La divaricazione tra gli interessi della classe e le posizioni che di volta in volta assumono le sue varie rappresentanze politiche e sindacali si fa sempre più marcata. Questo pone in modo sempre più insistente il problema della creazione di istanze orizzontali e “dal basso” dei lavoratori che affianchino le istanze esistenti (sindacali o associative): noi vogliamo essere una di queste istanze e siamo convinti che molti altri lavoratori sentono come noi il bisogno e l’importanza di confrontarsi con altri lavoratori a prescindere dalla collocazione sindacale, contrattuale, generazionale, categoriale...