Legge Biagi (parte prima)

Con il mese di settembre entra definitivamente in vigore la “riforma” del mercato del lavoro che concretizza le indicazioni contenute nel “libro bianco” di Biagi e Maroni. Le aziende potranno così avere accesso a tutte le forme di flessibilità del lavoro contenute nella legge 30.
Il governo parla di “momento di svolta storico” e di “tempo straordinariamente breve” per il passaggio dall'approvazione della legge (febbraio 2003) alla sua entrata in vigore e aggiunge che ora scatta la fase due: quella della deroga sperimentale dell'articolo 18 e dei nuovi ammortizzatori (Cfr. Il sole 24 ore, venerdì 1 Agosto 2003 - N. 209, pag.11, ).
Vale la pena ricordare che - attraverso il Patto per l'Italia - la legge ha avuto il via libera di CISL e UIL, vere e proprie “cinghie di trasmissione” del governo attuale (ma anche di quello passato) e della Confindustria tra i lavoratori.
Ma quali sono le misure principali che vengono introdotte con la legge ?

1) Collocamento 

Si conclude il processo di privatizzazione del collocamento avviato dal governo Prodi con l'abolizione delle liste di collocamento ordinarie, nella previsione dell’uso sistematico dell’assunzione “a chiamata diretta”. Imprese private potranno gestire l'inserimento al lavoro verso altre imprese private guadagnandoci sopra. Le agenzie private di collocamento creeranno archivi organizzati gerarchicamente sulla base delle caratteristiche di maggiore interesse per le imprese. I lavoratori saranno “piazzati” in modo corrispondente alla loro completa disponibilità rispetto alle richieste dell'azienda, al loro rendimento o produttività individuale, alla loro totale rinuncia ad attività sindacali e politiche sul posto di lavoro, alla presenza/assenza per malattie o infortuni…, ad eventuali problemi personali o familiari. Non ci sarà nessun “criterio oggettivo” (come ad esempio il tempo di permanenza nella lista di collocamento o il reddito) ma solo i criteri stabiliti dal padrone. Con il tempo si formeranno “liste nere” di lavoratori che non saranno mai selezionati dalle agenzie di collocamento: ad esempio quelli iscritti a sindacati scomodi. Entrare a lavorare sarà sempre più difficile. Saranno privilegiati i lavoratori iscritti alle organizzazioni sindacali filo-padronali. Per avere lavoro dovremo iscriverci tutti a tali organizzazioni “sindacali”. Una specie di tesseramento sindacale corporativo come quello che vigeva al tempo del fascismo. Sempre di più, per trovare lavoro - anche un pessimo lavoro -, bisognerà farsi raccomandare da un prete o da un politico.

2) Intermediazione di manodopera

Per quanto riguarda l'intermediazione la principale “semplificazione” ottenuta dai padroni è l'abolizione del divieto di intermediazione di manodopera (cioè l'abolizione della legge 1369/60) e la “liceità della somministrazione di manodopera a tempo indeterminato (cd. ‘staff leasing’)” (Giovanni Cannella, Delega al governo in materia di mercato del lavoro, DL Ondine, Rivista telematica di diritto del lavoro e Autoproduzioni-Primomaggio, ottobre 2003), quindi non più solo “a termine” come avveniva fino ad oggi con il lavoro interinale.
Per l'individuazione dei casi ammissibili di somministrazione “si rinvia alla contrattazione territoriale”, ciò che apre la strada ad una diversificazione della disciplina su base geografica con tutto quello che questo comporta a causa delle molte, e spesso profonde, differenze che sussistono tra una zona e l'altra del paese.
Le rivendicazioni dei lavoratori in prestito verranno indirizzate verso il “commerciante di lavoratori” e non verso le aziende in cui effettivamente il lavoratore presta la sua opera.
E' previsto che i lavoratori in prestito abbiano lo stesso trattamento - economico e normativo - dei lavoratori dell'azienda in cui operano; ma agendo sull'uso di lavoratori in prestito le aziende potranno agevolmente tenersi sotto il limite dei 16 dipendenti e quindi lavoratori “interni” e “in prestito” avranno effettivamente lo stesso trattamento e cioè l’inapplicabilità dell'art.18 con tutto quello che comporta in termini di ricatto da parte dei padroni.
Si prevede che sulla liceità della somministrazione di manodopera si applichi il meccanismo della “certificazione”.

3) Outsourcing (esternalizzazione) e cessione di ramo d’azienda

Viene “allentato” il vincolo previsto dall'articolo 2112 c.c. che garantiva maggiormente i lavoratori in caso di cessione di ramo d'azienda. In pratica, prima esisteva un requisito necessario di “autonomia funzionale” effettiva del ramo da cedere da parte dell'azienda madre. Oggi, invece, questo requisito viene richiesto limitatamente al momento della cessione. I padroni potranno così creare condizioni temporanee di “autonomia funzionale” per esternalizzare il ramo aziendale anche se poi successivamente questo ramo resta totalmente dipendente dal punto di vista produttivo dall'azienda madre originaria. Con le cessioni di ramo d'azienda si sono esternalizzate, negli ultimi anni, moltissime produzioni favorendo la creazione di cooperative, ditte e vere e proprie aziende “legalmente esterne” ma di fatto completamente dipendenti. Si sono così portato fuori dall'azienda madre tutti i problemi di gestione del personale (ad esempio) rendendo il volume di aziende esterne un polmone capace espandersi o contrarsi in base alle oscillazioni del mercato o alle esigenze del profitto. Per fare un esempio, le aziende esterne possono avere un numero di lavoratori limitato e quindi rendere molto più agevole il loro licenziamento in “caso di necessità”. In genere, l'autonomizzazione di rami d'azienda e il ricorso massiccio ad aziende esterne (outsourcing) ha favorito un processo di espulsione di ampi settori di lavoratori dalla media e grande impresa e quindi un processo di precarizzazione generale del mondo del lavoro.

4) Lavoratori a progetto e abolizione dei co.co.co.

Una azienda per ottenere una collaborazione (come quella fino ad oggi prestata dai Collaboratori Coordinati e Continuativi, c.d. “co.co.co”) dovrà presentare un “progetto”. In realtà anche le passate collaborazioni avrebbero dovuto essere basate su progetti in quanto prevedevano l'indipendenza dalla gerarchia aziendale e il non vincolo in termini di orario. Nella pratica i co.co.co. sono stati sempre usati come forma di flessibilità. Tra di loro una esigua minoranza economicamente favorita fa da contraltare ad una stragrande maggioranza super-flessibile.
Già si prevede che molti ex-co.co.co. non riusciranno a passare a “lavori a progetto” in quanto nella realtà mascheramenti di lavoro subordinato a tutti gli effetti. Pensiamo ai lavoratori dei “call center” o degli “help desk” o ai “pony express”. Questi, quasi tutti inquadrati come co.co.co. (o come interinali) come riusciranno a passare ad un “lavoro a progetto” ? In alcuni casi ci sarà una emersione dai co.co.co. al lavoro subordinato (e sarà un bene). Nella maggior parte dei casi non cambierà nulla e si inventeranno di sana pianta “progetti” (tipo: progetto “trasporto-pacco”, progetto “risposta-telefono”, progetto “consegna-pizza”, progetto “fornitura-informazioni”…, basta un po' di “fantasia italiana”), “certificati” poi da enti bilaterali compiacenti con il risultato che rimarrà la vergognosa situazione attuale (oltre 2 milioni di co.co.co. senza praticamente tutela). In molti casi ci sarà addirittura una re-immersione nel lavoro nero o il passaggio ad altre forme di precarizzazione (lavoro interinale, “staff leasing”, cooperative…).
Da ricordare che non esiste un contratto di lavoro per i co.co.co. (che formalmente sono consulenti esterni) né quindi forme di tutela sindacale, ma solo una posizione previdenziale presso l'INPS aperta nel 1995 dall'allora governo Dini appoggiato dal centro-sinistra. 

[Continua nel prossimo numero]