Legge Biagi

(parte seconda)

 

(Continua dal n.1 di Primomaggio)

 

5) La certificazione

 

Uno degli elementi di maggiore preoccupazione della legge 30 è quello dell’introduzione della certificazione, voluta per ridurre al minimo i ricorsi alla magistratura (il “libro bianco” di Biagi lo dice esplicitamente parlando sia di“tempi con cui vengono celebrati i processi” sia di “qualità professionale con cui sono rese le pronunce”). In realtà i padroni digeriscono male interferenze esterne del giudice del lavoro che possano, anche solo potenzialmente, riequilibrare rapporti di forza che nella contrattazione interna sono evidentemente a loro vantaggio (almeno in questa fase).

Per fare un esempio recente, mentre la FIAT procede alla messa in mobilità di 500 lavoratori dell’Alfa di Arese e alla dismissione degli impianti, il giudice del lavoro annulla il provvedimento ingiungendo alla Fiat di ripristinare le produzioni e di pagare il salario pieno (con gli arretrati) ai lavoratori. Se la Fiat potesse impedire al giudice del lavoro di annullare le proprie decisioni sarebbe certamente più felice.

Nel suo Delega al governo in materia di mercato del lavoro (ed. Autoproduzioni-Primomaggio, 2003) Giovanni Cannella scrive: “L’art. 5 prevede la procedura di “certificazione”, a cura di enti bilaterali tra organizzazioni sindacali contrapposte o strutture pubbliche o università, in materia ’di qualificazione del contratto di lavoro’, ma anche in tema di rinunce e transazioni e di regolamento interno delle cooperative sociali in ordine alla tipologia dei rapporti di lavoro. Inoltre la procedura è richiamata, come si è visto, per l’accertamento della liceità della somministrazione di mano d’opera, in tema di collaboratori continuativi e di lavoro occasionale ed accessorio. Tuttavia, data la onnicomprensività del concetto di ’qualificazione del contratto’ deve ritenersi che la procedura potrà essere utilizzata con riguardo ad ogni tipologia di contratto di lavoro, compresi i nuovi tipi introdotti nella legge, anche se non richiamano espressamente la procedura (come il job sharing o il lavoro a titolo di aiuto).”

In sostanza, la certificazione serve per dire se un rapporto di lavoro è “legale” oppure no.

Una volta che il lavoratore accetta le regole che gli vengono proposte (attraverso i noti ricatti vari), sindacato e padroni “certificano” il rapporto di lavoro e solo chi accetta la certificazione viene assunto.

La certificazione è inappellabile (“se non in caso di erronea qualificazione del programma negoziale da parte dell’organo preposto alla certificazione e di difformità tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione”) e comunque avrà valore di riferimento anche in caso di impugnazione dinanzi al giudice del lavoro. Naturalmente in tutte le situazioni in cui il sindacato è debole oppure sta da parte dell’azienda (e non sono certo poche) il lavoratore si troverà nella impossibilità di far valere i propri diritti. Preso per il collo all’atto dell’assunzione (per avere lavoro si tende ad accettare anche molti ricatti) il lavoratore accetta la certificazione e dopo non può più rivalersi contro di essa (o comunque ha molte meno possibilità di spuntarla).

La delega si presenta ai limiti dell’incostituzionalità per la vaghezza dei “contenuti” e delle “procedure” cui la disposizione fa riferimento. Ma per i padroni è meglio così. Più la disposizione è vaga e più è plasmabile agli interessi di chi (loro) può godere di rapporti di forza più vantaggiosi.

 

6) Nuove tipologie lavorative: job sharing (lavoro ripartito), job on call (lavoro a chiamata), staff leasing (interinale a tempo indeterminato)

 

Con la legge non ci si limita a peggiorare la situazione normativa per le figure lavorative note, ma si passa a formalizzare nuove tipologie lavorative.

“L’articolo 4 del provvedimento delega infatti il Governo a emanare entro un anno, decreti legislativi che disciplinino e regolino nuove tipologie di lavoro flessibile, tra i quali, appunto, il lavoro a chiamata e poi quello occasionale e accessorio nonché il lavoro a prestazioni ripartite.” (“il sole 24 ore” online, 12.06.2003)

 

Lavoro a chiamata (job on call)

La formalizzazione definitiva del lavoro a chiamata consente ai padroni di evitare spiacevoli situazioni come quella determinatasi nel gruppo Zanussi qualche anno fa, quando venne proposto un accordo che prevedeva l’utilizzo del lavoro a chiamata e che però fu rifiutato dai lavoratori in un referendum.

Con la legge 30 i lavoratori non potranno più impedire l’adozione di organizzazioni del lavoro “legali” (quindi che superano accordi sindacali) e magari “certificate” da sindacati compiacenti.

Un inciso sull’accordo alla Zanussi del 2000: dopo mesi di trattativa la RSU del gruppo firmò un accordo che fu clamorosamente (e fortunatamente) bocciato dai lavoratori al referendum (30% favorevoli - 70% contrari, con una partecipazione al voto del 90%).

Guarda caso: chi era favorevole all’introduzione del lavoro a chiamata (dalle 300 alle 500 ore annuali da gestire “quando necessario” “a chiamata”) ? FIM, UILM e padroni.

E chi da, oggi, il via libera al lavoro a chiamata (firmando il “patto per l’Italia” emanazione del “libro bianco” di Biagi e Maroni) ? FIM, UILM e padroni.

Come a dire: ciò che non passa nelle assemblee delle fabbriche lo facciamo passare attraverso leggi dello stato.

Con il lavoro a chiamata i lavoratori saranno sempre a disposizione dell’azienda. Il preavviso è di un giorno. Per i periodi “di attesa” ci sarà un’indennità non paragonabile, evidentemente, con un vero altro lavoro, e comunque l’indennità non sarà corrisposta in caso di malattia. Chi rifiuta la chiamata senza “giustificato motivo” perde il lavoro e deve pagare i danni all’impresa.

I lavoratori saranno discontinuo e intermittenti: praticamente, “squillo”.

 

Lavoro ripartito (job sharing)

Anche questo istituto proviene dal “libro bianco” di Biagi e riprende una indicazione già emessa dal Ministero del Lavoro già nel 1998 (e successivamente raccolta in alcuni contratti).

In sostanza due lavoratori potranno essere assunti per svolgere un’unica prestazione lavorativa.

I lavoratori potranno sostituirsi tra loro, scambiarsi l’orario, anche in caso di malattia dell’uno. Anzi, se uno dei due è in malattia o in maternità o è in generale impedito a svolgere la sua parte del lavoro, ci deve pensare l’altro.

La sostituzione di un lavoratore con un terzo è subordinata all’approvazione del padrone.

Se uno dei lavoratori si dimetterà o sarà licenziato, anche l’altro perderà il lavoro (e così si cerca di trasformare un lavoratore nel “cane da guardia” dell’altro; questo “il sole 24” ore lo chiama “gli effetti della solidarietà tra i due lavoratori” che “si manifesteranno anche alla cessazione del rapporto di lavoro”, “il sole 24 ore” 23 agosto 2003).

Quello che viene definito (!) “vincolo di solidarietà” a cosa serve ?

Risponde sempre “il sole 24 ore”: con il vincolo di solidarietà “il legislatore ha voluto tutelare il datore di lavoro fornendogli una “sorta di garanzia” che assicuri l’esatto adempimento della complessiva obbligazione contrattuale”. Più chiaro di così... E’ il datore di lavoro che riceve “garanzie” e “tutele”. Parola del quotidiano di Confindustria.

 

(la terza parte nel prossimo numero)