Dal Nuovo Pignone. Alcune riflessioni su precarietà, ritmi, prospettive

 

Prendo spunto, per scrivere questa mia riflessione, dall’intervista rilasciata a Primomaggio dal lavoratore dei cantieri di Viareggio che è stata pubblicata nel numero scorso.

Sono un operaio che da oltre dieci anni lavora, tramite una ditta appaltatrice, all’interno del Nuovo Pignone di Massa, fabbrica metalmeccanica che produce turbine estrattive.

Sento parlare delle difficoltà dei lavoratori dei cantieri navali già da diverso tempo. Il fatto che anche qua si discuta di quella situazione è quanto meno auspicabile anche se talvolta i cantieri (anche quelli di Marina di Carrara) vengono citati come monito di quello che sarà.

In verità non credo che attualmente queste due realtà siano così diverse, anzi, in molti dei passaggi dell’intervista a cui faccio riferimento, le situazioni descritte sono le stesse che viviamo quotidianamente anche al Nuovo Pignone perché è un fatto innegabile che le condizioni generali dei lavoratori di questo stabilimento negli ultimi anni siano drammaticamente peggiorate.

In particolare sotto l’aspetto della sicurezza, troppo spesso subordinata ai tempi di consegna, all’orario di lavoro, ormai talmente flessibile da sfuggire a qualsiasi controllo, alla qualità stessa del lavoro (materiali o attrezzature irreperibili).

Credo sia evidente che questa è la conseguenza di una frammentazione del lavoro che vede oggi impegnate dentro il Nuovo Pignone decine di piccole e medie imprese, che prendono in appalto larghe fette di produzione ed hanno come unico vincolo quello di consegnare nei tempi stabiliti il lavoro appaltatogli.

In che modo e con quali mezzi ci riescano è un “problema di nessuno”, visto che nessuno se ne occupa.

è certo che non occuparsi del problema non significa risolverlo e quindi dietro tempi strettissimi e budget strozzati rimangono i lavoratori che, assunti con forme contrattuali tra le più eclettiche che la fantasia suggerisce, sono costretti al silenzio dallo stato di perenne  incertezza causato da un  posto precario.

Credo sia opportuno precisare che a fronte di un organico di circa 250 tra operai ed impiegati  che sono per così dire “effettivi” ce ne sono oltre un migliaio “esterni” e anche se il numero di questi ultimi è soggetto a paurose oscillazioni che inseguono i picchi o i cali di lavoro, rimangono costantemente la stragrande maggioranza della forza lavoro impiegata qua dentro.

In queste condizioni non è difficile immaginare le difficoltà che si incontrano nell’organizzarsi anche per rivendicare diritti che sembravano acquisiti ma che oggi, nei fatti, sono di nuovo messi in discussione, come quello di rimanere a casa se ammalati o di riposare almeno un giorno la settimana.

In queste condizioni la cosa più difficile è immaginare il futuro.

Concludo questo mio breve intervento su Primomaggio dicendo che quando ho scritto “organizzarsi per rivendicare diritti” intendevo citare l’unica maniera a me nota per recuperare un po’ del terreno perso durante questo processo di regressione che qua al Nuovo Pignone è cominciato qualche anno fa e non ha mai trovato ostacoli sul suo cammino.

                                   

Walter Manfredi, ditta Nuovo Pignone (Massa)