Cooperative. Tre interviste a tre lavoratrici di Massa e della Versilia

 

Con questo numero  PM inizia un percorso di riflessione sulle condizione di lavoro all’interno delle cooperative che sul nostro territorio (e più in generale in Toscana) rappresentano uno dei principali strumenti di precarizzazione e di sfruttamento. La legge Biagi tentando di far regredire i soci-lavoratori delle cooperative dal rango di lavoratori a quello di soci rappresenta un ulteriore elemento di grande preoccupazione.

In questo numero riportiamo le interviste a tre lavoratrici di 3 cooperative sociali, una di Massa e 2 della Versilia.

 

PRIMA INTERVISTA

 

La cooperativa dove lavoro è una cooperativa che fornisce servizi sociali sanitari ed educativi (tipo A) e si occupa anche dell’inserimento di persone svantaggiate (tipo B).

I servizi che ricopre sono molteplici e di varia natura: residenze per anziani, per disabili, centri diurni per disabili, adolescenti, sportelli per extra-comunitari, prestazioni a domicilio per soggetti disagiati...

 

Come sei stata assunta e con quale qualifica?

La mia è un’assunzione a tempo determinato. Ho l’attestato come assistente di base e anche quello di animatrice di comunità grazie a due corsi. Durante il periodo di tirocinio del corso, ho lavorato in una delle strutture della cooperativa e lì è iniziato il mio inserimento lavorativo.

Ho iniziato a sostituire vari operatori in diverse strutture e attualmente ricopro l’incarico di un’operatrice in maternità (in malattia) e nel frattempo continuo a fare il “jolly”.

Fino a qualche anno fa le assunzioni avvenivano a tempo indeterminato anche se spesso, a part-time (30-19 ore settimanali), poi le assunzioni sono diventate a termine, ci sono stati i co.co.co., adesso non so...

 

Qual è il tuo lavoro ?

Sono un’assistente di base in una struttura per anziani e i turni per chi ha mansione regolare sono “buoni”.

C’è chiaramente il lavoro notturno.

Il problema nasce per chi è chiamato a fare sostituzioni e si trova sballottato da una struttura all’altra e arriva, un po’ per garantirsi il lavoro, un po’ per mettersi in buona luce nella cooperativa a fare tre notti di seguito, pomeriggi fino a 250 ore mensili e senza che nessuno controlli.

E’ successo che una lavoratrice esca da una notte in una struttura, vada sul territorio al mattino a prestare servizi domiciliari e la notte dopo sia di nuovo in turno in un’altra struttura.

 

Ma è possibile rifiutare ?

Non puoi dire di no perché poi non vieni più chiamata e siccome non hai un lavoro sicuro, non te lo puoi permettere.  Se non vai tu, con il bisogno di lavoro che c’è,, chiamano un’altra e allora accetti il meccanismo.  

Anzi accetti tutto !

C’è anche un altro problema ed è quello degli utenti, dei soggetti più deboli che, ricoverati in strutture o assistiti sul territorio, hanno bisogno di cure, di rapporti duraturi, di una disponibilità umana. 

Ma come si può con ritmi di lavoro del tipo di cui si diceva prima garantire tutto questo ?

Un anziano che spesso è già disorientato, che ha problemi di inserimento nella struttura, che si sente abbandonato, si trova ad essere lavato, cambiato (spesso non sono persone autosufficienti) da operatori sconosciuti.

Dove va a finire la dignità della persona ?

La verità è che spesso, anche se non sempre, le cooperative sono diventate delle imprese come tutte le altre; le paghe inoltre, aldilà delle qualifiche sono molto basse e le prestazioni richieste sono totalizzanti. 

Le lavoratrici quali che siano le loro qualifiche, si devono prendere cura degli assistiti e così “al bisogno” anche l’educatrice deve cambiare pannoloni e imboccare chi non è in grado di mangiare da solo.

D’altra parte lavoriamo nel sociale ! Dobbiamo essere sensibili, aiutare se il personale non è sufficiente, aiutare la cooperativa che ci da il lavoro.

Ma non è un ricatto ?

 

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SECONDA INTERVISTA

 

Ho 21 anni e fino a un anno fa ho lavorato in una cooperativa che ricopre varie attività che vanno dai servizi sociali a servizi veri e propri quali le pulizie..., in strutture pubbliche e private. Sono stata assunta come generica e sempre con contratti a tempo determinato.

Sono rimasta alle dipendenze della cooperativa per tre anni con contratti dapprima di un anno poi come co.co.co.  Ho cambiato continuamente strutture: scuole, asili e quando d’estate questi erano chiusi, sono stata mandata in alberghi dove il trattamento era veramente schifoso.

Il lavoro molto pesante veniva retribuito alla stessa paga oraria, ma le prestazioni che i proprietari dell’albergo pretendevano da noi erano quelle che qualsiasi stagionale (pagati di più) avrebbe garantito.

Pur di lavorare ho accettato di tutto, credo di aver pulito metà delle scuole e asili della città e anche di zone limitrofe e naturalmente senza alcun rimborso della benzina.

Senza alcun preavviso spesso nel giorno libero, mi venivano fatte richieste di sostituzione... e non sempre ho accettato... così i tempi di assunzione si sono ristretti e dopo due co.co.co. mensili, non mi hanno rinnovato più nessun contratto. 

Sono stata licenziata, mi sembra..., ma ora si dice diversamente... che non c’è stato il rinnovo del contratto…

 

Hai qualche prospettiva ?

Ho fatto diversi colloqui. Un’amica mi aveva detto che un’importante opera di assistenza e volontariato della città, cercava personale per la propria cooperativa.

Mi hanno fatto lasciare il mio nominativo… in caso di bisogno mi avrebbero chiamato… con un’assunzione di quindici giorni, massimo un mese, per garantire prestazioni a chiamata dei loro utenti; mi hanno chiesto se ero in grado di accudire anziani, disabili o se preferivo bambini.

Mi hanno fatto lasciare la disponibilità dell’orario (meglio se totale), se ero disponibile anche a fare pulizie e a spostarmi da una zona all’altra.

Tutto questo per circa sei euro lordi all’ora con nessuna garanzia di continuità, ma con i contributi pagati… Insomma, secondo loro, una buona proposta perché non era “lavoro a nero”.

Ho lasciato il mio nome. Meglio che nulla.

E’ il famigerato “lavoro a chiamata” ?

 

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TERZA INTERVISTA

 

Presentati

Sono una lavoratrice madre disoccupata. Ho lavorato in una cooperativa sociale presso una struttura di ricovero della zona apuo-versiliese per anziani lungo degenti. Sono stata, diciamo così “assunta” in base alle qualifiche conseguite dopo i corsi  OSA e OSS.

 

Ci puoi spiegare cosa sono i corsi OSA e OSS ?

Il primo corso è propedeutico al secondo. Il primo ti attribuisce la qualifica di operatore socio assistenziale e il secondo di operatore socio sanitario con il quale puoi essere impiegata anche in ospedale.

 

Ci puoi raccontare come funzionano questi corsi ?

Qualche anno fa erano  organizzati dalla Provincia ora sono organizzati dalle stesse cooperative. Hai un numero di ore da fare obbligatoriamente in attività pratiche e uno in formazione teorica. Durante il corso OSA sono stata “formata” in case di riposo  a lavare e pulire anziani e in strutture psichiatriche in lavori di cura e intrattenimento dei degenti. Durante il corso di  OSS sono stata impiegata in ospedale a  lavare pazienti e in tutta una serie di attività che andavano dal trasportare gli stessi pazienti alle visite specialistiche fino a consegnare referti e richieste di analisi ai vari reparti.

 

E per la formazione ?

Abbiamo avuto corsi tenuti da medici, con riferimento in particolare  alla descrizione di malattie quali Alzaimer, Parkinson, nonché corsi orientati a fornirti elementi base di farmacologia, psicologia e geriatria.

 

Il corso è retibruito, è gratuito o cosa ?

Tutto il corso non è retribuito. Anzi, per dirla tutta, svolgiamo centinaia e centinaia di ore di lavoro non retribuito. Anche le spese di trasferimento sono a carico tuo. Quando la Provincia organizzava i corsi questi almeno erano gratuiti ora invece  ogni corso costa qualcosa come 1000 euro, centesimo più centesimo meno.

Ma la cosa paradossale oggi è che sono le stesse cooperative che fanno i corsi che poi dispongono della tua necessità di lavorare. Sono le stesse cooperative che organizzano i corsi che poi decidono se assumerti o meno. Insomma alla fine ci guadagnano due volte. Prima sul corso e poi sul tuo lavoro.

 

Come è andata per l’ “assunzione” ?

Ho inviato il mio curriculum ad una serie di cooperative socio-sanitarie della  zona. Dopo una lunga attesa mi  è stato fissato un colloquio. In questo colloquio mi hanno offerto un contratto “di sostituzione” della durata di un mese. Il contratto, che ho firmato, ma di cui non mi è stata consegnata nessuna copia  era un contratto a tempo determinato  della durata di 30 giorni subordinato ad un periodo di prova di 30 giorni !

Pazzesco il periodo di prova coincideva con quello del contratto ! 

Questo contratto poteva essere rinnovato una sola ed unica volta. Mi è stato rinnovato il contratto, ho finito il periodo e ora sto aspettando che arrivi un altra chiamata. Se arriverà...

 

Come era organizzato  il lavoro?

Si lavorava per turni divisi tra mattino e pomeriggio, mai di notte.

La notte era ed è competenza delle operatrici interne. L’orario di lavoro era spalmato su 6 giorni con il settimo di riposo. L’orario di lavoro ti veniva comunicato settimanalmente così come il giorno di riposo.

La paga oraria netta superava di poco i 5 euro.

Ho fatto quello che per cui i corsi mi avevano “formato”: ho svolto mansioni di pulizia sulle persone, le ho alzate, lavate, vestite, imboccate, portate “a passeggio”, cambiate e rimesse a letto. Dovevamo anche, assieme alle operatrici interne, rifare i letti. Per le pulizie degli ambienti (bagni...) entravano i gioco altre cooperative.

 

Ti hanno mai chiesto di coprire improvvisamente un turno che non era previsto dal tuo piano di lavoro ?

Alcune volte si.

Addirittura ad alcune operatrici della mia cooperativa è stata chiesta la disponibilità la mattina per coprire turni della stessa notte al posto di personale indisponibile. Ma non era una regola. A differenza di altre cooperative del territorio in cui il lavoro a chiamata sembra essere addirittura la regola. Sappiamo di ragazze, donne e madri a cui viene  chiesto di montare in servizio alle 10 di sera avvisandole per telefono alle 7 del pomeriggio. Se mi fosse stato richiesto io non avrei accettato, ma sono consapevole quale formidabile strumento di ricatto sia un contratto di lavoro precario.

 

Hai voglia di  trarre un bilancio da questa esperienza ?

Mi ha  impressionato la disumanità di queste strutture. Per le condizioni di lavoro e per le condizioni degli anziani. Che sono due aspetti della stessa situazione. Anziani trattati ne più ne meno come merci, come oggetti meccanici bisognosi di “manutenzione”.

Le cure primarie come il bagno o il cambio del pannolone son rigidamente svolte in orari prestabiliti. Pensate al fatto che anche il tempo per mangiare è rigidamente determinato. O l’anziano mangia nel giro del tempo concessogli o la roba gli viene comunque tolta. E rimangia al giro successivo. Se l’anziano ha la “sbadataggine” di sporcarsi il pannolone appena fatto il cambio (che avviene con la stessa seriosa puntualità del pranzo: allo stesso minuto della stessa ora di ogni giorno) aspetta il cambio successivo (che può significar anche dodici ore dopo) !

E non ti puoi permettere di non fare così, pena il richiamo di qualche capo turno. Devi solo pensare a correre. Senza obiettare. Mai. Penso che sia stato come lavorare ad una catena di montaggio ma con la differenza che qui erano persone e non lamiera.

 

I tuoi progetti, ora ?

Ora sono disoccupata, faccio lavori saltuari di pulizie rigorosamente in nero. Aspetto un prossimo colloquio e penso a quanti vivano la mia stessa situazione di precarietà sociale. A quelle famiglie in cui entra forse un solo stipendio fisso ed in cui ci sono figli da crescere ed anziani da accudire.