Ripartire dalle lotte. Considerazioni su ATM,
Melfi e altro.
Nel corso dell’ultimo anno e mezzo l’Italia è
stata attraversata da una lunga serie di mobilitazioni: dal gruppo Fiat (con la
resistenza di Termini Imerese e quella ormai storica dell’Alfa di Arese) agli
aeroportuali dell’Alitalia, dai lavoratori delle ditte subappaltatrici delle
pulizie ferroviarie ai metalmeccanici contro il nuovo contratto, dalla scuola
contro la riforma Moratti alla difesa dell’art.18… -, senza contare una miriade
di altre iniziative di lotta che dal settore privato al pubblico impiego hanno
visto scendere in sciopero e in piazza milioni di lavoratori.
E’ in questo contesto che nel giro di
6 mesi (dal dicembre 2003 al maggio 2004) sono esplose due tra le più
importanti lotte degli ultimi decenni: la lotta degli autoferrotranvieri (in
particolare all’ATM di Milano) e quella degli operai della Fiat Sata di Melfi,
che riassumono, in un certo senso, tutti quei sintomi di ripresa del conflitto
di classe che ormai da tempo si manifestano sempre più concretamente.
La lotta degli “autoferro” e quella di
Melfi mostrano, ovviamente, elementi di specificità, ma anche interessanti
elementi di similarità. In particolare, condividono un elemento che a noi di
Primomaggio sta particolarmente a cuore e cioè il fatto che la mobilitazione
trasversale dei lavoratori a prescindere dalle tessere sindacali (e anche dal
fatto stesso di avere una qualunque tessera), la disponibilità a mettere in
campo forme di lotta adeguate agli obbiettivi posti e la determinazione nel perseguirli producono immediatamente un
salto di qualità nei risultati ottenibili. Chi usa l’alibi delle difficoltà per
giustificare la propria adesione a sindacati concertativi e rinunciatari è
servito. Le trattative sindacali classiche, le passeggiate di propaganda, le
concertazioni e anche l’utilizzo in forma rituale dello stesso sciopero possono
rivelarsi insufficienti, a volte persino controproducenti (quando, costando
molto ai lavoratori, non realizzano alcun miglioramento concreto della
situazione). Invece, unità di lotta, determinazione e coraggio imprimono (anche
alle trattative) un’immediata accelerazione.
Un secondo elemento di similarità è
costituito dall’atteggiamento dei sindacati confederali (pur con qualche
differenza reale tra autoferrotranvieri e Melfi) i quali, incapaci di impedire
lo scoppio della “rivolta”, cercano prima di ostacolarla e poi di addomesticarla,
finendo per chiudere accordi “semi-bidone” che stanno a metà delle
rivendicazioni, ma che vengono presentati ai lavoratori come grandi successi
della trattativa.
Un terzo elemento di similarità è
quello che, in ogni caso, le due lotte hanno messo a nudo i punti deboli della
moderna organizzazione del lavoro, tanto nella grande metropoli (Milano) quanto
nella grande industria (Fiat), dimostrando a chi parlava di fine del conflitto
di classe che, malgrado le difficoltà poste dalle trasformazioni introdotte dai
capitalisti pubblici e privati, i lavoratori riescono sempre, magari
faticosamente, a ritrovare la strada della lotta.
Oggi, sia i lavoratori di Melfi, sia
quelli dell’ATM (e per riflesso tutti gli altri lavoratori) si trovano
obbiettivamente in una posizione migliore dal punto di vista dei rapporti di
forza rispetto a quella che esisteva ancora un anno fa, indipendentemente dal
fatto che si siano raggiunti solo risultati parziali. Il vero patrimonio delle
lotte a Melfi e all’ATM non sono gli euro conquistati (pure importanti, ovviamente, data la crescita esponenziale del
costo della vita negli ultimi anni) ma la verifica che, indipendentemente dalla
triade confederale e anche contro di essa, i lavoratori possono sviluppare
lotte efficaci mostrando un potenziale di lotta assolutamente decisivo che solo
la mancanza di una piena autonomia politica e sindacale impedisce loro di
sviluppare appieno.
Un quarto elemento di similarità è
costituito dall’atteggiamento del potere politico e di alcune organizzazioni
sindacali confederali che non hanno esitato a denigrare i lavoratori e a
chiedere la loro repressione violenta. L’ingresso dei carabinieri e della
polizia ai depositi degli “autoferro” in lotta “per rimuovere i picchetti” e la
carica premeditata a Melfi segnalano che, a fronte di una mobilitazione decisa
(e quasi unanime dei lavoratori
- è bene sottolinearlo -) le forze repressive sono sempre pronte ad
usare il manganello e la legge sotto il comando del padrone (lo Stato o gli
Agnelli, poco importa).
La lotta degli autoferrotranvieri
esplode a Milano il 1 dicembre del 2003 con il primo sciopero “selvaggio” (cioè
senza il rispetto delle “fasce protette” previste in osservanza della legge
146) dei lavoratori ATM che paralizzano la città. L’esplosione avviene dopo
molti scioperi “normali” che hanno ormai sfiduciato i lavoratori i quali
dichiarano, superando tutti, che o si violano le fasce oppure tanto vale
smetterla con scioperi che hanno inciso pochissimo sull’azienda ferma ad una
proposta di aumento salariale di 12 euro (contro i 106 già previsti per effetto
dell’adeguamento semi-automatico dei salari all’inflazione programmata). Alla
fine della lotta saranno stati 7 gli scioperi “selvaggi” a Milano di cui alcuni
consecutivi.
Contro i lavoratori ATM si scatenano
tutti: sindacati confederali, mass-media, partiti di ogni colore, azienda,
forze repressive… meno che la gente normale, gli altri lavoratori che invece,
malgrado i disagi, comprendono la lotta degli autoferrotranvieri e
solidarizzano sin dal primo momento con essa.
Sulla scia di Milano molte altre città
(se ne conteranno alla fine circa 50) scendono in lotta dando vita ad una
mobilitazione come forse mai si era vista nel settore del trasporto pubblico
locale.
A Melfi, dopo 2 giorni di “messa in
libertà” dei lavoratori Sata (a causa di un sciopero proclamato in una azienda
dell’indotto) i lavoratori vengono fatti fermare in azienda per aspettare la
tarda mattinata quando si deciderà una nuova “messa in libertà” o il ritorno
alla produzione.
700 lavoratori si ritrovano nella
mensa e decidono di rompere gli indugi. Scrivono un piccolo documento di
rivendicazione (annullamento dell’enorme numero di provvedimenti disciplinari,
adeguamento salariale al resto del gruppo, revisione dell’organizzazione del
lavoro TMC-2) che fanno firmare ai delegati presenti nel turno, scendono in
sciopero, fanno un corteo interno e dietro proposta di due delegati (uno dello
Slai Cobas e uno di Alternativa Sindacale) vanno a bloccare le portinerie. I
lavoratori del turno successivo, quando arrivano, trovano i blocchi ai cancelli
e si aggiungono alla lotta. Per 21 giorni consecutivi i lavoratori bloccano la
produzione con FIM, UILM e Fismic che organizzano il crumiraggio (fallito) e
chiedono l’intervento della polizia per rimuovere i picchetti.
La FIOM decide di appoggiare la lotta.
Manda a Melfi i suoi massimi esponenti (da Rinaldini a Cremaschi). E’ tutto
bloccato, la Fiat è quasi alle corde, ma all’improvviso la FIOM salta la
barricata e firma l’accordo insieme ai sindacati gialli padronali e crumiri
(FIM, UILM, UGL, Fismic). In assemblea un quarto dei lavoratori lo boccia (ed è
comunque un risultato enorme, se si pensa alla situazione di Melfi e anche al
resto del gruppo Fiat), mentre moltissimi altri firmano “per disciplina” pur
essendo assai poco convinti.
E’ ovvio che né Melfi, né gli
autoferrotranvieri, né nessuna altra categoria o fabbrica sono in grado, da
sole, di invertire stabilmente la tendenza negativa degli ultimi anni.
Si tratta di segnali, molto
importanti, ma segnali. Senza la mobilitazione generale del resto del mondo del
lavoro che unisca precari e “stabili”, settori storici e nuovi settori,
nell’ottica del recupero di una piena indipendenza e autonomia del mondo del
lavoro da sindacati concertativi e partiti “amici” (che amici non sono per
niente) anche queste “fiaccole” possono spegnersi.
Questo ultimo anno e mezzo è stato
molto importante per il mondo del lavoro. Anche noi, come Primomaggio, abbiamo
provato a dare il nostro modesto contributo, sia nei luoghi di lavoro in cui
siamo, sia sul territorio. Il rischio concreto è che un cambiamento della
configurazione politica (uscita di scena del centro-destra e ritorno al governo
del centro-sinistra appoggiato dai sindacati confederali ed anche da qualche
piccolo sindacato extra-confederale) possa determinare in molti lavoratori la
rinascita di passate (e infondate) speranze che ci riporterebbe obbiettivamente
indietro rispetto ai risultati raggiunti. Si tratta perciò di continuare a
lavorare con pazienza e serietà per consolidare quanto sin qui realizzato e per
ottenere nuovi risultati, facendo crescere il sostegno e la partecipazione a
questo progetto di collegamento orizzontale e anti-burocratico di lavoratrici e
lavoratori informati e combattivi.
PRIMOMAGGIO