MALATTIE
CEREBROVASCOLARI
SINDROMI ISCHEMICHE
ICTUS ISCHEMICO
Ictus in evoluzione
(evolving stroke): un infarto cerebrale in accrescimento che
si manifesta con deficit neurologici che peggiorano in 24-48 h.
Ictus completo: infarto cerebrale
che si manifesta con deficit neurologici che indicano una lesione stabile.
Sommario:
Segni e sintomi
Diagnosi
Prognosi
Terapia
Riabilitazione
Solitamente, l’ictus è dovuto a stenosi
arteriosclerotica o a stenosi ipertensiva, trombosi o embolia.
Segni e sintomi
L’insorgenza è improvvisa. Nell’ictus in evoluzione
l’alterazione neurologica unilaterale (che spesso inizia in un braccio e
quindi si estende in modo progressivo ipsilateralmente) peggiora senza
sintomatologia dolorosa, cefalea o febbre, nell’arco di diverse ore e nei
primi uno o due giorni successivi. La progressione di solito è a scalini,
interrotta da periodi di stabilità, ma può anche essere continua.
L’ictus acuto completo è il più frequente. I sintomi si
sviluppano rapidamente e raggiungono il massimo entro alcuni minuti. Un
ictus in evoluzione può diventare un ictus completo.
Durante le prime 48-72 h di un ictus in evoluzione
o di un esteso ictus completo, i deficit possono aggravarsi e la coscienza
può obnubilarsi per l’edema cerebrale o, meno frequentemente, per
l’estendersi dell’infarto. Un edema cerebrale grave può causare uno
spostamento fatale delle strutture intracraniche (ernia transtentoriale). Tuttavia,
a meno che l’infarto non sia esteso, le funzioni colpite di solito
migliorano precocemente, con ulteriori miglioramenti graduali durante i
giorni e i mesi successivi.
L’arteria cerebrale media o uno dei suoi rami
profondi penetranti rappresentano i vasi più frequentemente soggetti a
occlusione. L’occlusione della parte prossimale dell’arteria, che
vascolarizza grandi regioni dei lobi frontale, temporale e parietale
comporta emiplegia controlaterale (di solito grave), emianestesia ed
emianopsia omonima. In seguito al coinvolgimento dell’emisfero dominante si
avrà afasia; quando l’alterazione interessa l’emisfero non dominante,
insorgono aprassia e/o agnosia spaziale unilaterale. L’occlusione di uno
dei rami profondi che riforniscono di sangue i gangli della base, la
capsula interna ed esterna e il talamo può causare anch’essa un’emiplegia
controlaterale del volto, del braccio e della gamba, talvolta con
emianestesia. Se sono occlusi i rami terminali il danno motorio e sensitivo
è di solito meno grave.
L’occlusione dell’arteria carotide interna
comporta l’infarto della porzione centro-laterale dell’emisfero cerebrale,
con sintomi identici a quelli dell’occlusione dell’arteria cerebrale media,
eccetto per occasionali sintomi oculari ipsilaterali alla carotide interna
colpita.
L’occlusione dell’arteria cerebrale anteriore è
infrequente. Essa interessa i lobi frontale e parietale, il corpo calloso e
talvolta il nucleo caudato e la capsula interna. Si può avere emiplegia
controlaterale (particolarmente dell’arto inferiore), presenza del riflesso
di prensione e talvolta incontinenza urinaria. Un’occlusione bilaterale può
causare paraparesi spastica e disturbi psichici come apatia, confusione e
talora mutismo.
L’occlusione dell’arteria cerebrale posteriore
può coinvolgere regioni dei lobi temporale e occipitale, la capsula
interna, l’ippocampo, il talamo, i corpi mammillare e genicolato, il plesso
coroideo e le porzioni superiori del tronco. Potranno insorgere
emianestesia, emianopsia omonima controlaterale, dolore talamico spontaneo
e improvviso emiballismo; un infarto nell’emisfero dominante può causare alessia.
Per occlusioni del sistema vertebrobasilare si
avrà quindi una combinazione di segni cerebellari, corticospinali,
sensitivi e di danno dei nervi cranici. In caso di affezione unilaterale,
le anomalie del nervo cranico sono spesso controlaterali al lato del corpo
in cui si realizzano debolezza o alterazioni sensitive. L’occlusione
completa dell’arteria basilare causa di solito oftalmoplegia, anomalie
pupillari, segni corticospinali bilaterali (tetraparesi o tetraplegia) e
modificazioni dello stato di coscienza; spesso si hanno segni pseudobulbari
(disartria, disfagia e instabilità emozionale). Spesso ne consegue la
morte.
Diagnosi
L’ictus ischemico può essere generalmente diagnosticato
clinicamente, specialmente in soggetti con più di 50 anni d’età,
affetti da ipertensione, diabete mellito o segni di aterosclerosi, oppure
in persone affette da condizioni predisponenti agli embolismi. La presenza
di soffi e di fremiti vascolari carotidei a livello del collo è indicativa
di stenosi e formazione di placche; i sintomi neurologici suggeriranno
quale arteria è coinvolta, anche se la correlazione è inesatta.
Più difficile può essere determinare la causa della
lesione; l’insorgenza durante il sonno o al momento del risveglio
suggerisce un infarto; l’insorgenza durante l’attività, un’emorragia. La
cefalea, il coma, lo stupor, l’ipertensione marcata e le crisi convulsive
sono più frequenti nell’emorragia. Segni concomitanti di infarto
miocardico, fibrillazione atriale o endocarditi vegetanti depongono per
l’embolia. Il dolore al collo associato a un nuovo deficit neurologico
indica la dissezione; le dissezioni possono insorgere senza dolore. Un
embolo esteso tende a provocare un ictus acuto completo, con insorgenza
improvvisa e alterazioni focali che raggiungono il grado più elevato nel
giro di minuti; la cefalea può precedere l’ictus. La trombosi, che è una
causa meno frequente, è suggerita da un esordio più lento e da una graduale
progressione dei sintomi (come nell’ictus in evoluzione), ma tale
distinzione non è affidabile.
Si dovranno eseguire indagini di laboratorio che
permettano di evidenziare un’ipertensione o escludere un’anemia, una
policitemia, ipercoagulabilità ematica o infezioni. Bisogna inoltre
determinare i livelli plasmatici dei lipidi e la velocità di
eritrosedimentazione per aiutare a escludere una vasculite. Un test del
VDRL è indicato per le persone con aumentato rischio di lue. Un esame rx
del torace sarà utile per la ricerca di un tumore polmonare primitivo o di
patologie cardiovascolari, così come deve essere fatto un ECG.
In tutti i tipi di ictus ischemico, il liquor è in
genere normale, ma i globuli bianchi possono aumentare transitoriamente
fino a 500/ml, il glucoso può lievemente
diminuire e le proteine possono aumentare a 80 mg/dl. Il liquor è
limpido dopo un infarto, ma è ematico e con pressione aumentata dopo
un’emorragia intracranica. Il liquor può contenere globuli rossi dopo un
infarto, ma questi sono di gran lunga meno numerosi rispetto all’emorragia.
Generalmente una TAC o una RMN permettono di
differenziare un accidente ischemico da un’emorragia intracerebrale, da un
ematoma oda un tumore in rapida crescita o improvvisamente sintomatico. Una
RMN generalmente individua le aree di infarto in evoluzione nel giro di
alcune ore; la TAC è talvolta negativa per diversi giorni successivi a un
infarto acuto. L’arteriografia viene effettuata solo quando la diagnosi è
dubbia o un’ostruzione vascolare iatrogena (p. es., da chirurgia) è
sospettata. Tuttavia, sono utili indagini non invasive, come l’eco-Doppler
carotideo, il doppler transcranico o l’angiografia in RMN.
Prognosi
Durante i primi giorni che seguono la lesione ischemica
non sarà possibile fare previsioni sull’andamento clinico e neanche sulle
possibilità di sopravvivenza; circa il 20% dei pazienti muore in
ospedale; la mortalità aumenta con l’età.
L’entità del recupero finale dipende dall’età del
paziente e dalle sue condizioni generali di salute e dalla sede ed
estensione dell’infarto. Una cattiva prognosi è suggerita da un’alterazione
dello stato di coscienza, dal deterioramento mentale, da un’afasia o da
segni gravi di interessamento del tronco encefalico. Una guarigione
completa è piuttosto rara, ma tanto prima inizia la remissione tanto
migliore sarà la prognosi. Circa il 50% dei pazienti con emiplegia
grave o moderata, e la maggior parte di quelli con deficit minori, migliora
prima della dimissione e riacquista la capacità di essere autosufficiente,
con sensorio integro, riuscendo a camminare, sebbene vi possa essere una
limitazione dell’arto coinvolto. Qualsiasi deficit che persista per più di
6 mesi deve essere considerato permanente, anche se alcuni pazienti
tenderanno a migliorare lentamente. L’infarto cerebrale recidiva con una
certa frequenza e ogni ricaduta di solito aumenta l’inabilità neurologica.
Terapia
La terapia immediata di un paziente in stato comatoso
comprende il mantenimento della pervietà delle vie aeree, un’adeguata
ossigenazione, perfusioni EV per mantenere l’apporto nutritivo e di
liquidi, la verifica delle funzioni vescicale e intestinale e i
provvedimenti atti a evitare il formarsi di ulcere da decubito. I
corticosteroidi non sono indicati nel trattamento dell’ictus ischemico.
Dovranno essere trattate l’insufficienza cardiaca o
eventuali aritmie, l’ipertensione grave, le infezioni respiratorie
intercorrenti e l’ipertermia > 37,8°C. Nell’ipertensione maligna
sono da preferire i farmaci spasmolitici EV (p. es., il nitroprussiato
di sodio). I barbiturici e altri sedativi sono controindicati perché
aumentano la possibilità di una depressione respiratoria e conseguentemente
di broncopolmoniti. Ove possibile sarà utile iniziare al più presto la
ginnastica passiva degli arti paralizzati e gli esercizi respiratori.
L’attivatore ricombinante del plasminogeno tissutale
(tPA), somministrato entro 3 h dall’insorgenza della
sintomatologia, può migliorare la prognosi di pazienti selezionati affetti
da ictus acuto. La dose del tPA ricombinante è di 0,9 mg/kg EV (dose
massima, 90 mg); il 10% è somministrato rapidamente mediante
infusione EV e il rimanente mediante un’infusione costante in 60 min.
L’emorragia sintomatica e fatale è più frequente per i pazienti a cui è
stato somministrato tPA rispetto a quelli che hanno ricevuto placebo, ma la
mortalità complessiva tra i due gruppi non è diversa. Solo medici esperti
nel trattamento dell’ictus devono somministrare il tPA nei pazienti affetti
da ictus acuto. I parametri vitali devono essere strettamente controllati
per 24 h dal trattamento e ogni complicanza emorragica dovrà essere
trattata aggressivamente. Gli anticoagulanti e i farmaci antiaggreganti non
devono essere assunti nelle 24 h successive al trattamento con tPA.
L’anticoagulazione mediante eparina può stabilizzare i
sintomi nei pazienti affetti da ictus in evoluzione non candidati al
trattamento con tPA. Tuttavia, se gli anticoagulanti debbano essere
somministrati prima che la causa dell’ictus sia stata determinata è oggetto
di studio.
Le linee guida per l’anticoagulazione nel
prevenire ictus successivi, specialmente quelli conseguenti a embolia
cardiaca o a uno stato ipercoagulativo, sono ben definite. I pazienti con
piccoli infarti non emorragici di origine cardioembolica devono essere
inizialmente trattati con eparina e quindi con warfarina, la quale dovrà
essere protratta per almeno 6 mesi e, se persistono anomalie di ritmo
o patologie valvolari, probabilmente in modo indefinito. L’infusione
costante di eparina dovrà essere effettuata per aumentare il tempo parziale
di tromboplastina a 1,5-2,0 i valori di controllo, fino a che il tempo
di protrombina non raggiunge un INR di 2,0-3,0. L’anticoagulazione dovrà
essere protratta per 5-7 giorni nei pazienti affetti da ampi infarti
non ischemici di origine cardioembolica e per 2-4 settimane nei
pazienti con infarti emorragici di origine cardioembolica. L’eparina (20000 U
in 500 ml di soluzione di destroso al 5%) deve essere
somministrata EV mediante una pompa di infusione continua; l’iniezione
rapida per iniziare o mantenere la terapia eparinica non è raccomandata
nell’ictus. I pazienti con condizione di ipercoagulabilità devono essere
prontamente sottoposti a trattamento eparinico e warfarinico. L’eparina
deve essere somministrata fino a che la warfarina abbia elevato l’INR a 3,0
nei pazienti con elevato titolo di anticorpo anticardiolipina o un test
positivo per l’anticoagulante circolante da lupus. Se un farmaco
antiaggregante piastrinico rappresenti la migliore profilassi per l’ictus
da aterotrombosi è tuttora oggetto d’indagine.
La chirurgia vascolare non riconosce indicazioni
d’urgenza e va praticata dopo un ictus con emiplegia totale solo se esiste
tessuto emisferico vitale a rischio di lesioni future e persiste deficit
funzionale. Le indicazioni per la tromboendoarteriectomia profilattica sono
le stesse di quelle per l’endoarteriectomia nei TIA (v. sopra).
Riabilitazione
La riabilitazione è condotta mediante la valutazione
rapida e ripetuta dello stato clinico del paziente da parte del medico, del
fisioterapista e del personale infermieristico. Di solito non sono
necessari programmi molto elaborati; anche la logoterapia dà risultati non
prevedibili, specialmente nei primi tempi del recupero. La riabilitazione è
influenzata positivamente da fattori come l’età giovane del paziente, un
deficit sensitivo e motorio limitati, una funzione mentale intatta e un
ambiente familiare favorevole. Il trattamento precoce, l’incoraggiamento
continuo, l’allenamento all’autosufficienza sono importanti. I parenti, gli
amici del paziente e il paziente stesso devono comprendere la natura
dell’invalidità e sapere che potranno esserci dei miglioramenti, ma solo
con il tempo, la pazienza e la perseveranza. Alterazioni dell’umore possono
essere dovute all’infarto e alla frustrazione del paziente per la propria
condizione e devono essere previste; coloro i quali si prendono cura del
paziente dovranno essere rassicuranti e comprensivi. Dopo che le condizioni
del paziente si saranno stabilizzate, saranno utili tranquillanti o
antidepressivi. La terapia fisica e occupazionale dovrà dare importanza
all’uso degli arti lesi in modo da raggiungere l’autonomia nel mangiare,
nel vestirsi, nel fare le pulizie personali e altre attività di base.
Spesso saranno necessari strumenti (p. es., apparecchi acustici o
stampelle). Nei luoghi dove vive il paziente saranno di aiuto reggimano
(p. es., alla vasca da bagno o alla toilette) e piani inclinati.
Alcuni pazienti sono talmente compromessi che la
riabilitazione non sembra essere d’aiuto; l’assistenza a lungo termine
sembra essere per loro più appropriata. Il paziente moribondo deve ricevere
l’assistenza adeguata per evitare sofferenze.
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