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CHARLIE E LA FABBRICA DI CIOCCOLATO





VOTO





QUANTITA' DI MOSTARDA

ZERO




Trama:
Charlie è un bambino povero ma dal cuore d’oro che come tutti i bambini adora i dolci. Quando il mago dell’industria cioccolatiera Willy Wonka decide di aprire la propria fabbrica segreta ai cinque fortunati che troveranno i biglietti d'oro nascosti nelle sue tavolette di cioccolata, a Charlie si presenta la possibilità di realizzare il suo più grande sogno.


Recensione:
Tim Burton e la fabbrica del digitale
Il film di Burton è insieme un remake cinematografico e una trasposizione dalla letteratura. Da una parte è la versione digitale di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato diretto da Mel Stuart e interpretato da Gene Wilder nel 1971, e, come già quest’ultimo, è la trasposizione su celluloide dell’omonimo libro di Roald Dahl, uno dei più apprezzati autori di libri per ragazzi. Che dire di fronte ad una produzione di 150 milioni di dollari, ricca di effetti speciali (soprattutto, ma non solo, digitali) e diretta dall’ex-grande Tim Burton? Che ovviamente sarà uno dei blockbuster della stagione anche da noi (dopo che negli States ha incassato oltre 170 milioni) ma che non è certo un capolavoro. Ormai Tim Burton è l’ombra di se stesso. Intendiamoci è ancora uno dei migliori registi dell’industria cinematografica hollywoodiana, ma è ormai dai tempi di Mars Attack che il suo stile ha subito un’involuzione in senso manierista e la cura per la forma ha finito per prevalere sull’originalità dei contenuti.

Il povero Charlie vive con la sua famiglia in una casetta semidiroccata ai bordi della città dominata dall’enorme e misteriosa fabbrica del cioccolatiere Willy Wonka. Suo nonno Joe che da giovane vi aveva lavorato come operaio racconta a Charlie di come il geniale Wonka decise di chiudere la fabbrica dopo che le sue invenzioni gli furono sottratte in modo sleale dalla concorrenza. Sono passati ormai vent’anni da quando nessuno è più entrato o uscito dalla misteriosa fabbrica, e a sorpresa Wonka annuncia che riaprirà la fabbrica e i suoi segreti a cinque fortunati bambini che riusciranno a trovare i “Golden ticket” nascosti nelle confezioni della sua cioccolata. L’evento è seguito dai media di tutto il mondo e si scatena una vera e propria caccia al biglietto d’oro. I primi quattro se li aggiudicano un grassoccio bambino tedesco (August Bloom), una ricca bambina viziata (Violet Beauregard), una un po’ troppo sicura di sé (Veruka Salt) e un saputello patito di televisione e videogames (Jordan Fry). Il quinto biglietto contro ogni previsione viene trovato da Charlie che sceglie come accompagnatore suo nonno Joe. I cinque bambini iniziano il loro viaggio alla scoperta dello schivo e stralunato Mr. Wonka e della sua magica fabbrica di dolciumi.

Il film di Burton (il tredicesimo) ricalca molto da vicino, come il precedente adattamento, la trama del libro. Non mancano però le novità a partire dal restyling degli effetti speciali, e dalle canzoni (stupende) di Denny Elfman che mettono in musica le liriche originali del libro. Tuttavia il cambiamento maggiore riguarda la rilettura del personaggio del cioccolatiere. Burton rilegge la favola di Dahl filtrandola attraverso la poetica che lo ha reso famoso, e trasforma il personaggio enigmatico e misterioso di Willy Wonka in un outsider stralunato e solitario. L’evoluzione del personaggio è completata dall’interpretazione di Johnny Deep che dà vita ad una figura a metà tra Edward mani di forbice e il pirata Jack Sparrow, ma senza la malinconia del primo e la simpatia del secondo. Il risultato, nonostante la prova di Deep, non è dei più riusciti (qualcuno ha paragonato il personaggio a Michael Jackson). La sceneggiatura di John August (Big Fish) aggiunge alcuni gustosi inserti (come quello della costruzione del palazzo di cioccolato per il pricipe indiano), ma non si discosta molto nella scansione degli episodi rispetto al film del 1971 e non aggiunge nulla di nuovo rispetto al libro.

La vera ragione d’essere del film di Burton rimane dunque la visualizzazione del mondo fantastico di Wonka attraverso le nuove potenzialità offerte dagli odierni effetti speciali. Da questo punto di vista Burton nonostante si sforzi di non abusare con il digitale finisce inevitabilmente per cedere alle lusinghe della computer grafica. Questa volta però il digitale non è funzionale al racconto, come accadeva invece in Big fish, e il risultato suona un po’ fasullo e freddo (è sufficiente paragonare l’incipit del film di Burton con quello di Stuart). In realtà La fabbrica di cioccolato presenta un ricco mix di effetti speciali, ognuno dei quali sostenuto dal profluvio di mezzi della superproduzione targata Warner, Village Roadshow, Plan B e Zanuck. Dalle animazioni in motion capture degli omini Umpa-Lumpa realizzati da Deep Roy (The planet of the apes, Big fish), ai sette set in grandezza naturale per la riproduzione dei fantasiosi interni della fabbrica, agli scoiattoli addestrati da Mike Alexander della Byrds & Animals Unlimited (in parte realizzati anche in computer grafica), fino al digitale supervisionato da Nick Davis. Checché se ne dica, la scelta di Burton di optare per il digitale invece che per il make-up artigianale toglie alla favola buona parte del suo fascino. Gli effetti di computer grafica non raggiungono i livelli delle produzioni contemporanee (The war of the worlds), e in una storia dove si predica il ritorno agli affetti del piccolo universo quotidiano, il dispiegamento megalomane del digitale rende il film più simile ad un freddo prodotto industriale in confezione di lusso, che a un’opera personale e sincera. Il ricorso agli effetti digitali può anche starci a patto che sia funzionale al racconto o che si traduca fattivamente in una ricchezza espressiva del film. Ma è sufficiente paragonare Tim Burton a Robert Rodriguez per rendersi conto della differenza che corre tra stile e linguaggio. La fabbrica di cioccolato conferma purtroppo uno dei peggiori trend del cinema hollywoodiano dell’era del digitale (un andamento emerso anche dall'ultima prova di Michael Bay. Si veda L'ALTRO CINEMA N.1): la perdita d’ispirazione a fronte di un’ossessione formale che riduce il racconto ad una rappresentazione spettacolare. Sensazionale quanto si vuole ma priva di significato.
(23/09/2005, Massimiliano Troni)


2005
TIM BURTON

nazione:
USA-GB
genere:
FANTASTICO-MUSICALE
IMMAGINI
CAST TECNICO



































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