La società compulsiva  

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La società occidentale, è bene ricordarlo, non rappresenta tutto il mondo; nel 2006 il nostro pianeta ha raggiunto i 6,6 miliardi di abitanti.

Se 1/5 della popolazione mondiale vive nei paesi considerati ricchi e in grandi agglomerati urbani è anche vero che questa società “occidentale” ha un segno distintivo che la contraddistingue: la forza del suo potere economico ed il consumismo che ne è l’ingrediente costitutivo. 

La globalizzazione, figlia del liberismo, ha realizzato un processo di conformismo sociale che dilaga oltre l’occidente.

La Cina, ad esempio, società millenaria, sta acquisendo  le parti più dubbie del nostro stile di vita. 

Queste considerazioni mi inducono a ipotizzare e descrivere una entità che definirò “società compulsiva”. 

L’etimologia del termine “compulsivo” trae origine dal latino “cum” e “pulsus”, cioè “con pulsazione” e a sua volta da “polso” da dove è possibile sentire il cuore, il suo battito, il suo ritmo e frequenza. 

Il concetto di “frequenza” è legato al consumismo in maniera stretta.

Dai piatti di carta usa e getta, ai computer, che ogni anno diventano obsoleti e da sostituire; dagli oggetti costruiti per durare, siamo passati alla realizzazione di apparati sempre più sofisticati ma spesso con tempi di vita brevissimi e da cambiare con “frequenza”.

 La “società compulsiva” crea così montagne di rifiuti perché non riesce ad ”integrare”, corre verso il non ritorno e stà compromettendo la sostenibilità del pianeta.

 La filosofia del consumismo guarda più alla produzione che all’utilizzo. Un oggetto è vincente se può essere cambiato spesso.

Questo aspetto ci trasforma da “distratti fruitori” a “sofferenti compulsivi”, produttori di scarti e inquinanti.

 Questa filosofia del consumo, ci obbliga a comprare sempre di più e con frequenza sempre maggiore; anni fa, i carrelli dei supermercati erano molto più piccoli di quelli odierni e più riempiamo e più abbiamo voglia di farlo, il parossismo dell’abbuffata. 

Vuoi il freddo d’estate ed il caldo d’inverno? Poco importa se il livello dei fiumi sta scendendo sempre più e l’energia è sempre meno; ritorneremo ai cari vecchi reattori nucleari con le loro preziose scorie… e per freddarli serve sempre acqua!

 

Questa società compulsiva premia il fare senza pensare, la velocità invece del ritmo dell’uomo.

Se corriamo siamo schiavi del pensiero vigile ma se un ricordo ci cattura, rallentiamo fino a fermarci per focalizzare meglio.

Il nostro ritmo non è quello della produzione e della catena di montaggio, ma quello dello sviluppo di una emozione;

l’emozione richiede tempo, pazienza, calma, amore.

La velocità attiva l’adrenalina ma ci rende schiavi della mente vigile, quella che non può distrarsi.

Più la società è tecnologica e più diventa compulsiva perché più distante dall’individuo.

 

Consideriamo comunque che rispetto ai vari periodi storici che si sono alternati, quello che viviamo, ci offre un grosso bagaglio tecnologico che ci rende la vita più comoda e la salute migliore; ma quale è il giusto compromesso, come porsi tra tecnologia e rispetto ambientale?

 Se per eco-compatibilità si intende riappropriarci di parti di noi stessi e contemporaneamente rispetto per l’ambiente, forse stiamo seguendo la via giusta.

La strada intrapresa da qualche tempo è però costellata da miriadi di schegge impazzite, dove ognuna di esse rappresenta l’egoismo dell’attimo ed una insana considerazione del futuro per i nostri discendenti.

La “società compulsiva” va trasformata; riducendo la sua propensione alla tossicità, va curata e disintossicata con una medicina che è quella di riavvicinarci al senso del sociale e al bene comune.

 La “società compulsiva” ci divide, ci lascia senza nessuno vicino, in un delirio di autonomia e voglia di dimostrare quanto siamo bravi.

 

Le leve di questa macchina rompono la solidarietà e la possibilità di ascolto dell’altro, incentivano la solitudine e la competizione.

Queste leve sono nascoste nei programmi televisivi, nelle mode, nell’utilizzo e nel consumo ossessivo delle tecnologie; politiche al servizio di multinazionali che hanno solo uno scopo: creare utile per gli azionisti.

Dalle più grandi aziende mondiali sono stati realizzati dei “Codici di condotta” per confondere ed esasperare l’opinione pubblica in un delirio di parole che ci convincono nella moralità e liceità della loro missione in un contesto di compatibilità ambientale e sociale ma poi i fatti evidenziano tutto il contrario.

 Entriamo in discoteca: brani con 120 battute al minuto; che significa? Ritmo insostenibile che a lungo andare determina uno stato ipnotico che sembra benessere e aliena il nostro pensiero.

Gli impianti di discoteca, sofisticatissime macchine tecnologiche, con i loro 110 db di potenza sonora e luci che nella loro intermittenza creano scariche neuronali di improbabili virtù terapeutiche, creano un effetto di irrealtà e potenza.

A fianco a questo, c’è il consumo di droghe sempre più fruibili in qualsiasi situazione sociale ed individuale.

I nostri cari fiumi sempre di più pieni di residui che dimostrano l’elevato consumo di cocaina.

L’80% delle nostre banconote sono contaminate da polvere di coca.

I movimenti economici delle imprese della coca sono 60 volte superiori al bilancio della nostra più grande società, la Fiat.

 

Buttare nei sabato sera la propria giovane vita e quella di altri amici, in un carosello di lamiere ed asfalto è forse per gridare alla società : “IO ESISTO”…?

La “società compulsiva” è “SORDA”.

 

Ma si parte da lontano, perché i ragazzi di oggi sono i bambini che sono cresciuti con i cartoni animati dagli effetti stroboscopici e dilatazioni temporali non gestibili da menti ancora in crescita con relativa perdita del senso della realtà, frenesia di fare e bassa capacità attentiva.

Non sapersi più annoiare in quei lunghi pomeriggi d’estate di una volta anzi essere connessi alla rete e al web in relazioni sempre più virtuali e sempre meno vere.

  

E’ forse troppo azzardare l’idea che, in questo mondo pazzo, dove l’avere “troppo” o il “troppo poco” sono le misure dei nostri problemi, si possa rintracciare il senso di una “infelicità comune”?

Questa infelicità condivisa si contrappone ad un mondo edulcorato e facile che ci viene proposto giornalmente in una anestesia mediatica che censura le vere tragedie del mondo e l’irrazionalità del nostro sistema socio economico.

 

Come entra in psicoterapia, questa “società compulsiva”?

Entra con tutta la forza della sua incoerenza e del suo dolore.

Società compulsiva” significa,

disturbi dell' alimentazione,

depressione,

disturbi d'ansia e fobia sociale,

lavoro senza orari,

shopping senza motivo,

voglia e pratica di sport estremi,

gioco d'azzardo.

 

OGNI SINTOMO E’ UN PRETESTO

 

E’, per un terapeuta, come “svuotare il mare con un cucchiaino”.

 

Noi lavoriamo comunque, a dispetto dei più scettici, a dispetto delle istituzioni più volte latitanti, a dispetto dei “gratta e vinci” e degli “scavicchi ma non apra” (verbo coniato per l’appunto), perché in terapia il vero valore è restituire la dignità all’individuo e alla sua famiglia, restituire la possibilità di scelta.

Come è possibile lavorare in terapia?

Con le emozioni e con il tempo che non gioca dalla nostra parte; le terapie, infatti sono lunghe e più c’è costanza e più ci si riappropria della vita.

Proprio il “non avere tempo” allontanerà e non farà iniziare un percorso terapeutico a colui che, forse, ci sta per contattare.

Il “non avere tempo” rappresenta la metafora, come dicevo, di una “società compulsiva” che genera scollamento da se stessi e dagli affetti più cari.

Non aver tempo” perché il tempo va sprecato in mille modi ma non in quello più umano e che ora è più difficile; nel raccontarsi le paure, le sconfitte, le gioie ed i propri sogni nel soffio di parole che sono sempre più deboli nel frastuono dell’incoerenza di questa società.

 

Il nostro impegno è proprio lì, nel cercare di restituire forza a queste parole, che attimo dopo attimo, possono cambiare non solo la nostra esistenza, ma possono restituire coerenza, dignità e voglia di condividere, nell’accettazione e nella speranza.

 

Dario Angelini maggio 2007

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