Musica italiana
un sito dedicato alla
musica italiana.
Nel sito è presente una
vasta raccolta di testi delle canzoni italiane, di ogni epoca e
genere musicale, biografie e discografie degli artisti, descrizioni
e link ai siti Web più interessanti della musica
italiana. La musica italiana,
nata da una costola del melodramma, la tradizione melodica della
canzone italiana ha vissuto negli ultimi
quarant’anni, da Domenico Modugno in poi, notevoli cambiamenti.
Questa tradizione non ha mai perduto di fascino, se cantanti come
Nilla Pizzi o Al Bano sono tutt’ora molto popolari anche all’estero,
e costituisce un elemento essenziale del successo anche di cantanti
moderni come Eros Ramazzotti o Laura Pausini.
L’esplosione del rock ‘n’roll
ha influenzato e modificato la musica italiana delle origini: è
a questo punto che esordiscono giovani scatenati come Mina, Adriano
Celentano, Rita Pavone, Gianni Morandi. Tuttavia, una dimensione
veramente originale nel panorama della musica italiana è
costituita dalla canzone d’autore. Per Gino Paoli, Luigi Tenco,
Bruno Lauzi, Sergio Endrigo la canzone esprime un mondo interiore
artisticamente autonomo; anche nelle canzoni di Fabrizio De Andrè,
influenzato però dalla musica di Bob Dylan e Leonard Cohen,
rifluisce la disposizione a un clima intimista; Roberto Vecchioni
ha indagato lo spazio interiore degli individui raccontando una
Milano ripiegata sulle emozioni private; la musica di Lucio Battisti
ha fuso in modo per la prima volta originale le caratteristiche
dei generi del rhytm ‘n’ blues americano con la forma
melodica italiana, utilizzando un linguaggio semplice ma anche drammatico.
Altri nomi importanti della musica italiana
sono Claudio Baglioni, Antonello Venditti, poeti-cantastorie come
Francesco De Gregori e Francesco Guccini ma anche rappresentanti
del rock italiano come Vasco Rossi, Ligabue, Zucchero. Lucio Dalla,
bolognese, ha una storia a parte iniziata come strumentista di jazz-band
e proseguita con intelligenza verso la definizione di uno stile
personale, fino a comprendere progetti di teatro musicale. Oltretutto
il recupero dello stile vocale della romanza, culminante in personalità
come Pavarotti e Bocelli, è iniziato proprio a partire dal
clamoroso successo mondiale di Caruso, di Lucio Dalla.
La musica leggera italiana
è rappresentata anche da splendide figure di cantanti suonatori
che trovano i loro modelli nel jazz, come il pianoforte di Paolo
Conte, o nel blues, come la chitarra di Pino Daniele, o in modelli
arcaici e folk, come il violino di Angelo Branduardi. La canzone
d’autore trova oggi nuove strade con personalità di
grande spessore comunicativo come Jovanotti. Musica leggera italiana,
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d'autore, solo musica italiana
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http://www.radioitalia.it/
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La nuova musica di leggera italiana
era artista trasformato del repertorio e di una voce emblematica
della musica italiana. Incursionó nella corsa e nel musicología
della composizione nella facoltà di musica dell'università
cattolica italiana. Nel frattempo, ha continuato a toccare con differenti
solistas gradisce Porchetto negli album Raul Porchetto (1976) e
Boy cosmico (1977). Nel '76 è stata integrata a Soluna, un
gruppo che ora aveva munito il Gustavo producente Santaolalla dopo
la relativa separazione dell'arcobaleno. Ed era là, nell'unico
disco che ha pubblicato quella fascia (Energy naturale, 1977) che
è comparso per la prima volta del senso pubblico come il
compositore, con l'oggetto dietro il vetro rotto, uno del professionista
ma esperienze importanti per la relativa formazione. Si è
ripartita presto con Rinaldo Rafanelli (un altro ex -- sui generis),
Gustavo Bazterrica e Gonzalo Farrugia, una formazione con cui non
ha ottenuto registrare. il rock di termini e l'alternativa alternative
music[1 ] sono state coniate negli anni 80 per descrivere le fasce
rock-ispirate punk che non hanno inserito nei generi tradizionali
del tempo. È stato usato occasionalmente ironicamente come
interfer-tutta frase per musica delil rock dagli artisti sotterranei
negli anni 80 e, musica tradizionale delil rock in generale negli
anni 90 e 2000s. Più specificamente, si compone principalmente
dei generi che quello è sembrato negli anni 80 e che è
stato popolare o ben noto entro gli anni 90, quali il rock del indie,
il grunge, il rock gotica e il rock dell'università. La maggior
parte delle fasce alternative sono state unificate dal loro debito
collettivo allo stile e/o al ethos di punk, che ha posto il fondamento
per musica sotterranea ed alternativa negli anni 70. Benchè
il genere sia considerato come rock, alcuni dei relativi generi
sono stati influenzati da musica di musica di piega, di reggae,
di techno e di jazz tra altri generi
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Pensieri, Fausto Leali, New Trolls, Anna Oxa, Pitura Fresca, Patty
Pravo, Ranieri, Syria, Tosca, Nuove proposte, giovani,finalisti,Alex
Baroni, Leandro Barsotti, Camilla, Tony Blescia, Carmen Consoli, Alessandro
Enrico, Dock Rock, Jalisse, Niccolò Fabi, Domino, Maurizio
Lauzi, Petra Mangoni, Luca Lombardi, Olivia, Alessandro Mara, Mikymix,
O.R.O., ORO, Paola e Chiara, Marina Rei, Randy Roberts, Adriana Ruocco,
jacksons, Begees, bee gees, Silvia Salemi, renato zero, ramazzotti,
Articolo 31, Claudio Baglioni, Edoardo bennato, Bocelli, Bucci, Camilla,
Luca Carboni, Cattivi Pensieri, Adriano Celentano, Carmen Consoli,
Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Dhamm, Dirotta su Cuba, dirottasuCuba,
Elio e le storie tese, Elio, Eugenio Finardi, Irene Grandi, Francesco
Guccini, Jovanotti, saturnino, Ligabue, Lighea, Litfiba, Marco Masini,
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Una vMusica Italiana scarica canzoni MP3olta
si chiamava anche rock romantico, rock barocco, rock sinfonico, classic rock,
art rock. Tutti termini fuorvianti, in parte ridicoli, inesatti, non esaustivi,
infantili. Tutti comunque migliori di progressive.
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Tutti
i lettori che un minimo si interessano di musica rock sanno cos'è questo
genere musicale che ha avuto il suo apogeo nella prima metà degli anni 70,
magari non lo amano ma presumibilmente hanno ascoltato alcuni dischi dei
principali gruppi e probabilmente possono, o ritengono di potere, riconoscere
se un brano appartiene al progressive o meno.
Forse
però le cose non sono così lineari. Cos'è che definisce il perimetro stilistico
ed estetico del progressive ? Negli ultimi anni sono stati in parte attribuiti
al genere, probabilmente al di là delle intenzioni degli autori, forme di
espressione musicale recenti e apparentemente non legate primariamente a
esso. Ed ecco che per gruppi come
Radiohead, Sigur
Ròs, Tarentel,
Tortoise, Cerberus Schoal, Aloha, Muse,
Godspeed You Black Emperor!
si è riparlato di "progressive".
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Il
termine ha assunto così connotati molto sfumati, tanto sfumati che addirittura
si è tentata una operazione retrospettiva attribuendo al genere forme musicali
precedenti solitamente legate al rock-blues, alla psichedelia, al folk-rock,
all'hard-rock. Così, con la massima disinvoltura, sono stati citati nel
progressive i primi Fleetwood Mac, John Mayall, i Led
Zeppelin, i Pentangle,
i Cream ecc..
Diciamo
subito una cosa: chi scrive è in completo disaccordo. Ma perché negli ultimi
anni è stato assunto questo atteggiamento critico sia da chi non ama il
progressive, diciamo nella notazione più classica, sia dagli appassionati?
Difficile dirlo con certezza, ma alcuni elementi sono da sottolineare: gli
appassionati di progressive, magari anche contemporaneo, sono da decenni
bombardati da una critica musicale che manifesta una ferocia verso il genere
a volte francamente vicina alla psicopatologia, critica frutto a sua volta
del radicarsi di alcuni miti musical-antropologici come il rifiuto della
sovrastrutturazione e dell'autocompiacimento vissuti come onanismo intellettuale,
il rifiuto della pretenziosità vista come freddezza (il famoso "rock
del vero sentire", una delle più grosse sciocchezze mai lette), il
rifiuto della forma vista come assenza di sostanza (come se in musica esistesse
qualcosa d'altro oltre la forma).
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Tutto
questo ha lasciato il segno e la maggior parte dei prog-fan, quando è capitata
l'opportunità di rompere l'accerchiamento immettendo nel genere musiche
più criticamente accettate, ha colto la palla al balzo. I detrattori del
prog, d'altra parte, non potendo ignorare l'importanza storica del movimento
e la sua influenza, hanno di buon grado accettato di promuoverlo allargandone
i limiti fino a ridurre il genere a qualcosa di meno definito e quindi più
manipolabile dialetticamente. Entrambi hanno poi sfruttato il termine progressive
stesso, da qui l'incipit della monografia, ponendo alla fine la definizione
del genere non in relazione alla statica di uno stile, per quanto sfuggevole,
ma in relazione alla dinamica di un'intenzione: progressive è diventato
tutto ciò che "progredisce" verso altre forme di estetica musicale
e ciò che prima era considerato progressive lo è stato nel suo tempo, ma
ora tale "stile" non lo è più (e soprattutto non lo sono più gli
epigoni del genere). Operazione alquanto ambigua.
Definire
un oggetto in senso dinamico significa alla fine non definirlo, ponendo
le basi della più completa aleatorietà. L'uso di qualunque termine presuppone
un accordo di massima sui perimetri di definizione dell'oggetto, nessun
termine può essere definito relazionandolo al vissuto o alla visione soggettiva
di un osservatore. Nessuno accetterebbe la definizione di un aereo come
di "una cosa che sta in aria e il cui rumore mi dà fastidio",
né tantomeno di definire il treno "un mezzo innovativo per muovere
persone e cose". Alla fine dell'800 era innovativo, adesso no. Rimane
comunque un treno. Inoltre, se ci si dovesse attenere alla definizione dialettica
si dovrebbe scrivere, oltre che degli Yes
e dei Genesis,
anche di Bach, Beethoven, Shoenberg, Ligeti, Zappa,
Tangerine Dream, Black
Sabbath, Burt Bacharach... Credo che tutti indistintamente troverebbero
questo ridicolo.
Definire
il progressive dunque come stile, definirne i perimetri estetici, l'humus
emotivo. Non è così semplice. Sono stati, a mio parere a ragione, attribuiti
in area progressive gruppi molto diversi, dal sinfonismo dei Renaissance
agli sperimentalismi degli Henry Cow. Il progressive ha confini molto più
vasti del blues o dell'heavy metal. Ma comunque li ha. Vediamo di definire
alcuni punti.
-
Il rifiuto programmatico della "forma canzone", il rifiuto della
riduzione delle forme espressive del rock nell'ambito della rigidità strutturale
del ritornello come fulcro dell'invenzione musicale.
-
Il poter prevedere nell'ambito del dispiegarsi di tale invenzione la creazione
di pezzi molto lunghi, anche suddivisi in sottosezioni, con l'alternarsi
nello stesso brano di situazioni musicali molto diverse.
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-
Il massiccio utilizzo di cambi di tempo nella ritmica, spesso con tempi
dispari.
-
L'utilizzo di strumentazioni molto allargate che superino la triangolazione
chitarra-basso-batteria, con un utilizzo massiccio di tastiere (in particolare
due strumenti leggendari come l'organo hammond e il mellotron), vero "marchio
di fabbrica" per moltissimi gruppi progressive, ma anche di strumenti
a fiato e a volte intere sezioni d'archi o orchestre.
-
Arrangiamenti molto ricchi e ridondanti, spesso con toni celebrativi e epici.
-
L'uso di strutturazioni spesso ritmicamente e melodicamente complesse con
marcato sfruttamento di situazioni armoniche mutuate dalla musica classica
(sia barocca che romantica), ma spesso anche dal jazz, con il superamento
parziale delle radici blues fino ad allora imprescindibili nel rock.
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-
In generale, lo svincolare la musica dal contesto sociale e/o politico;
il progressive non riflette il reale ma al limite lo stempera nel fantastico,
non porta messaggi sottotraccia ma solo estetismo fine a se stesso, puro,
incontaminato, cristallino. Il progressive è rock che nasce e si sviluppa
nella borghesia. Ovviamente a prescindere dalle opinioni sociali o politiche
dei singoli musicisti.
-
Un uso molto limitato dell'improvvisazione.
-
L'uso di testi, grafica, diremo in generale "look", tendente al
metaforico, criptico, fantastico.
-
Un approccio strumentale tendenzialmente virtuosistico, con un rapporto
quasi epico del musicista con il proprio strumento.
Chiaramente
nella musica progressive tali elementi spesso non sono presenti contemporaneamente
e alcuni elementi sono presenti in altri generi, specialmente nella psichedelia,
che infatti ha diversi punti di contatto e forme di passaggio con il progressive,
ma la sintesi di molti di questi elementi definiscono il genere.
Nell'ambito
del progressive si annoverano dei capolavori così come dischi orrendi e
ridicoli, minimo comune denominatore è comunque il tentativo, in parte riuscito,
di vivere il rock come forma artistica in sé, senza alcuna altra determinazione
(il divertimento, l'energia, l'aggressività, il ballo, lo sballo, il messaggio,
il rilassamento).
In
tal senso, il progressive, che un critico ha definito giustamente la forma
matura, post-adolescenziale, del rock, è stato negli anni d'oro il centro
di una rivoluzione copernicana in cui la "musica giovane" non
è stata più giovane ma solo musica, e in cui il rock ha assunto una dignità
artistica fino allora sconosciuta.
"La
deliberata affermazione da parte mia, nel 1969, che era possibile nel rock
richiamarsi alla testa oltre che ai piedi causò una sorta di esplosione passionale
e fu considerata eretica" affermava Robert
Fripp, e in tale frase si ha tutta la lucida programmazione del personaggio
e le linee di sviluppo di tutto il genere.
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canzoni MP3 - Le origini
Il
progressive ha una data di nascita? Sì e no. Vedremo il perché. Anzitutto,
prima di dare coordinate temporali, bisogna stabilire delle coordinate spaziali.
Il progressive è un fenomeno principalmente europeo e in particolare inglese.
Esistono e sono esistiti gruppi progressive a tutte le latitudini, dall'Est
europeo all'Armenia, dal Sudamerica al Barhein, dal Giappone (dove il genere
ha avuto e ha tutt'ora un certo seguito) all'Australia, ma nella sua massima
espressione e nelle sue origini il progressive è un fenomeno inglese. Negli
Stati Uniti, l'altro grande centro focale della musica rock, il progressive
ha avuto espressione e diffusione limitata. Non è difficile capirne il motivo,
una musica programmaticamente antispontaneistica, velleitaria, lontana in
tutti i sensi dalle radici "nere" del rock e che tenta di legarsi,
a volte in maniera anche posticcia, alla tradizione classica, è quanto di
più lontano dalle forme estetiche ed emotive del rock statunitense.
Ma
c'è un primo disco progressive? A parere di chi scrive, esistono nodi inespressi
di progressive in nuce, embrionale, in alcune espressioni legate al pop,
alla psichedelia o al rock-blues; alcuni esempi? i
Beatles di "Sgt.
Pepper's" (1967) o anche di "Abbey
Road" (ma siamo già nel 1969), il rock blues barocco dei Colosseum
("Those Who Are About To Die" ma soprattutto il capolavoro "Valentyne
Suite", del 1969 ma anche dello splendido John Mayall di "Bare
Wires" del 1968 (con peraltro i Colosseum quasi al completo), nella
acuta psichedelia (statunitense) dei Love di "Forever
Changes", nei Pretty Things di "S.F. Sorrow"; tornando
in Inghilterra, difficile non scorgere germi progressivi nel rock atipico
dei Family dell'esordio di "Music In A Doll's House" (1968) e
del successivo "Family Entertainment". Naturalmente nella scena
della fine degli anni 60 andrebbero segnalati come proto-prog anche le opere
prime dei Caravan, dei Soft Machine e dei primissimi Pink
Floyd, tutti gruppi però meritevoli di una trattazione a parte.
Nella maggior parte dei casi non si tratta di progressive, certamente, ma
si nota un'ambizione e una tensione musicale che si esprimono con evidenti
tentativi sovrastrutturali, manca completamente la cristallizzazione di
uno stile nell'atto compositivo ed esecutivo, vi è però presente una potenzialità
e intenzionalità primitiva. Non è progressive, ma se ne colgono le precondizioni.
Più
propriamente legate al genere nella sua gestazione iniziale, e su questo
la critica appare concorde, le proposte di tre gruppi: i Nice, i Moody Blues
e i Procol Harum.
I
Nice sono il gruppo in cui milita Keith Emerson, successivamente
negli Emerson Lake and Palmer, nel bene e nel male tastierista simbolo di
un'epoca, ed esordiscono nel 1967 con "The Thoughts Of Emerlist Davjack",
miscela ingenua di ipotesi di rock sinfonico embrionale e psichedelia, per
poi proseguire nel 1969 con i due dischi più significativi della loro discografia,
"Ars Longa Vita Brevis" e "The Nice", in cui il talento
di Emerson comincia a manifestarsi appieno e a strabordare nel contaminare
il rock con ipotesi estroverse di classicismo, con rivisitazioni al contempo
ingenue e affascinanti anche di alcuni classici (Rachmaninov, Sibelius).
Sinfonismo
che tentano anche i Moody Blues, che nel 1967 con l'esordio di "Days
Of Future Passed" utilizzano una intera orchestra sinfonica oltre a
una sovrabbondanza di tastiere (sono uno dei primi gruppi a utilizzare il
mellotron) per sovrarrangiare i loro pezzi. Tale formula verrà ripetuta
anche nei dischi successivi, si tratta però in realtà di un'operazione un
po' posticcia, essendo i brani ancora fermamente legati al pop e alla lezione
dei Beatles.
Più
convincente, la proposta dei Procol Harum, gruppo celeberrimo per
via di alcuni hit generazionali ("A Whiter Shade Of Pale" su tutti
ma anche "Homburg" e "A Salty Dog"), ma in realtà spesso
sconosciuto al di là di tali pezzi anche ai fan del progressive, che faticano
a riconoscere nella loro proposta musicale un antecedente importante del
genere nella sua compiutezza. E sì che il loro disco d'esordio del 1968
è godibilissimo nell'unire un impianto melodico pop, ma mai banale, con
arrangiamenti anche ricchi e ridondanti, dominati dall'organo del leader
Gary Brooker. Ancora meglio farà "Shine On Brigthly" l'anno successivo,
con brani più complessi e nei quali appare addirittura una suite ("In
Held Twas In I"), che avvicina strutturalmente ancor di più il gruppo
a un progressive compiuto.
Ma
allora esiste un primo disco progressive? Esiste un inizio? In parte no,
per gli antecedenti che abbiamo appena visto, in parte sì, esiste una data
d'inizio: il 10 ottobre del 1969, data di uscita dell'opera prima dei King
Crimson, il celeberrimo "In
The Court Of The Crimson King", disco tra i capolavori del progressive
e del rock tutto. Superflua una dettagliata descrizione, basti dire che
l'estrema pretenziosità del disco, la grande ampollosità ed epicità del
suono, dominato e dilatato da un sovrautilizzo del mellotron, i testi metaforici,
lo straordinario impatto melodico sovrastrutturato e decompresso da arrangiamenti
ridondanti e drammatici fanno di questo disco il paradigma di molto progressive
successivo.
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canzoni MP3 L'età dell'oro (1969-1976)
Dopo
"In The Court
Of The Crimson King" il progressive esplode e fino a metà degli
anni 70 è il genere di riferimento e di maggior espansione del rock. Molti
sono i gruppi, moltissime le proposte anche con sfumature molto diverse,
tali da rendere difficile stabilirne un perimetro univoco, ma sostanzialmente
il progressive artisticamente, commercialmente e storicamente si basa sull'opera
di pochi grandi gruppi capiscuola che ne costituiscono il punto focale.
Innanzi
tutto, naturalmente, i King
Crimson che sono, nell'ambito del progressive, il gruppo più raffinato
e più ambizioso oltre che il più sfuggevole e camaleontico. Leader indiscusso,
specialmente dopo l'esordio di "In
The Court Of The Crimson King", è il chitarrista Robert
Fripp: linguaggio forbito, spesso verboso, ironico, distaccato,
intellettuale, è l'antitesi dell'iconografia del musicista rock fino ad
allora in voga. Non beve e non si droga, o per lo meno tali aspetti restano
nel privato, le sue azioni, parole e musica non hanno nulla di spontaneo
e viscerale, sul palco suona spesso seduto, algido e distante, in tal senso
è il paradigma del musicista progressive, l'incarnazione di un programma
e di un'idea.
Dopo
l'esordio, l'anno successivo esce "In The Wake Of Poseidon", album
interlocutorio seppur affascinante che ricalca il primo capolavoro; Fripp
sfalda e ricompone il gruppo sempre più instabile ma dall'instabilità nascono
due gioielli "Lizard" (1970) e "Island" (1971). Dischi
di una raffinatezza irreale, appena un po' leziosi, godono di una scrittura
musicale felicissima, molto colta con ridondanti riferimenti classici e
jazzistici (vi suona anche il grande pianista jazz Keith Tippett), di un'astrazione
delicatissima. La progettualità di Fripp è di altissimo livello, una sfida:
il termine art-rock vive in questa fase del gruppo il suo significato più
pieno.
Con
"Island" termina la prima fase del gruppo che si scioglie, ma
Fripp ha ancora dei progetti e riforma la band con una sezione ritmica potentissima
e strabiliante costituita da Bill Bruford (ex Yes),
John Wetton (ex Family) e, ma solo agli esordi, dal percussionista Jaime
Muir, con il violinista David Cross che sostituisce il sax di Mel Collins
alla seconda voce solista. Nel biennio 1973-'74 il gruppo dà alle stampe
tre dischi, "Lark's Tongues In Aspic", "Starless And Bible
Black" e, a gruppo ormai disciolto, "Red". Sono dischi potenti,
lontanissimi dal sinfonismo e dalle contaminazioni precedenti, a tratti
aspri, ancora oggi modernissimi (e imitati) nel loro dispiegarsi nervoso
e nel chitarrismo secco e tagliente di un Fripp lucidissimo. Imperdibili
le testimonianze live di tale gruppo, per la maggior parte postume, molto
superiori nel loro maggior coefficiente di disordine e improvvisazione,
rispetto ai prodotti in studio. Seguono anni di silenzio. Il gruppo riappare
dopo sette anni, nel 1981, con un'ennesima formazione, il risultato è lo
splendido "Discipline" con un sound modernissimo, caratterizzato
dal dialogo tra le chitarre di Fripp e Belew.
Il
gruppo proseguirà poi fino ai nostri giorni, nel massimo rispetto della
critica, non fossilizzando mai il suono, ma anzi ponendosi sempre in una
prospettiva dinamica e ispirando anche gruppi contemporanei come i Tool,
i Muse e i Don Caballero.
Simbolo
del progressive stesso però non sono i Crimson
ma i Genesis, il
gruppo più famoso e più immediatamente identificabile con il genere nella
sua accezione più romantica e favolistica. Caratteristiche del gruppo sono
una solidissima struttura compositiva, una forte articolazione dei brani,
le fughe tastieristiche (Tony Banks), parti chitarristiche sia in arpeggio
che solistiche (Steve Hackett) di grande suggestione quasi pittorica, una
voce non potentissima ma fortemente teatrale ed evocativa (come sbagliare...
Peter Gabriel).
Dopo un esordio ingenuo quanto promettente ("From Genesis To Revelation",
1969) e un disco successivo molto più maturo, molto bello ma ancora fuori
fuoco ("Trespass", 1970) il gruppo inanella dal 1971 al 1974 una
serie di capolavori ("Nursery Crime", "Foxtrot", "Selling
England By The Pound" e "The Lamb Lies Down On Broadway").
In particolare quest'ultimo, un concept album nel vero senso del termine,
è considerabile per la qualità della musica e per l'organicità dell'insieme,
uno dei vertici, se non il vertice, del progressive tutto. "The Lamb"
è disco anche sotteso, a differenza dei predecessori, da una tensione sotterranea,
da un'asperità sottile, disco di epicità urbana, nasconde tra i suoi solchi
un'idea di progressive già in parte diversa dagli esordi e in parte relazionabile
successivamente al Gabriel
solista. Dopo "The lamb", infatti, Gabriel
se ne va, sostituito a sorpresa dal batterista Phil Collins, ma è ancora
Tony Banks a reggere musicalmente il gruppo e seguono dischi di ottimo livello
("A Trick Of The Tail" ma soprattutto "Wind And Wuthering"
e "And Then There Were Three"), poi Collins comincia compositivamente
a farsi spazio e i Genesis
degli anni 80 virano decisamente verso un pop, a volte anche di qualità
e di enorme successo, ma molto distante dal progressive degli esordi, che
sempre più raramente e residualmente fa capolino nei loro dischi. Quindi,
se ne va anche Collins, i fan sperano in un ritorno di antichi fuochi incolpando
il batterista, solista di successo, della deriva commerciale, ma "Calling
All Stations" (1997), con il quasi carneade Ray Wilson alla voce, non
aggiunge niente al repertorio del gruppo e ne decreta invece la fine artistica
e commerciale.
Altro
"totem" del progressive, nonché gruppo retrospettivamente più
dilaniato dalla critica, gli
Emerson Lake And Palmer nascono dalle ceneri dei Nice e hanno come
figura cardine il tastierista Keith Emerson. Il gruppo propone un progressive
incentrato sulle tastiere del leader, funambolico, narcistista fino al paradosso,
tronfio e trionfalista, paradigmaticamente kitsch nell'ostentato riferirsi
a modelli classici. La critica avrà buon gioco nell'identificare il gruppo
come massima espressione degli aspetti ritenuti degenerativi del progressive
stesso.
In
realtà, gli Elp sono ottimi
musicisti, e in particolare Emerson è autore tutt'altro che privo di raffinatezze
nel confondere rock, classica e jazz. Bastano i primi due dischi, l'omonimo
e "Tarkus" (1970 e 1971) - che contengono musica in quantità tale
da riempire l'intera carriera di molti gruppi contemporanei - per fare entrare
il gruppo nelle massime espressioni dell'epoca. Segue poi un discutibile,
quello sì, pastiche sui "quadri di un'esposizione" di Mussorsky,
un disco interlocutorio ("Trilogy") e un canto del cigno con ridondante
ma bellissimo "Brain Salad Surgery" (1973), ultimo grande disco
della band.
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Destino
critico analogo avranno gli
Yes, che arrivano un po' tardivamente al progressive, dopo due dischi
di pop paraprogressive (l'omonimo e "Time And A Word" ), con "Yes
Album", per poi proseguire con due classici del genere come "Fragile"
(1971) e "Close To The Edge" (1972). Se i Genesis
sono l'anima immaginifica del progressive e i King Crimson l'anima culturale
e sperimentale, fatta salva la rozzezza delle semplificazioni, gli
Yes, ancora più degli Elp
e dei Gentle Giant, di cui parleremo, ne sono l'anima tecnica: la loro musica
è, nei momenti migliori, un'affabulazione strumentale, una dialettica tra
solisti eroicamente legati ai loro strumenti, un vortice di voci diverse.
Tornando all'inizio della monografia, se quello dei
Genesis è rock romantico e quello dei King
Crimson è art rock, quello degli Yes
è rock barocco. Gruppo forse un po' freddo, è vero, ma difficile non rimanere
affascinati dal lavorio incessante della chitarra di Steve Howe, dalla ritmica
creativa di Chris Squire al basso e di Bill Bruford (poi, come sappiamo,
nei Crimson) alla
batteria, dalla retorica tastieristica di Rick Wakeman (unico rivale accreditato
di Emerson) e dalla voce in falsetto di Jon Anderson.
Nel
1973, via Bruford e dentro Alan White, esce l'ambizioso doppio (quattro
brani, uno per facciata) "Tales From Topographic Oceans" (recentemente
indicato da una rivista italiana come uno dei 100 dischi rock da evitare),
album discusso anche all'epoca, ma che per almeno tre facciate su quattro
contiene musica tra la migliore mai composta dal gruppo. Poi, nel 1974,
via anche Wakeman (rientrerà successivamente, per poi riandarsene, per poi
rientrare e così via) per lo svizzero Patrick Moraz (il disco è "Relayer"),
poi nel 1976 l'ultimo grande disco degli Yes
("Going For The One"). In seguito, cambi continui di formazione,
dischi modesti, alcuni discreti, altri sconcertanti, un fugace successo
(ricordate "Owner Of A Lonely Heart"?) fino ai giorni nostri.
Tra
i grandi del progressive vengono annoverati due gruppi, diversissimi ma
celeberrimi entrambi, che sono progressive, o meglio lo sono diventati,
forse più per empatia culturale che per vera convinzione, forse più per
concordanza di evoluzione che per scelta consapevole: i Jethro Tull e i
Pink Floyd.
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I
Jethro Tull
nascono come gruppo di eclettico folk-blues-rock (da ricordare "Stand
Up" del 1969), con "Aqualung" del 1971 si accentuano i caratteri
progressivi, ma è solo con i due dischi successivi ("Thick As A Brick"
del 1972 e "A Passion Play dell'anno dopo) che i Jethro
Tull entrano in maniera inequivocabile nel calderone del progressive,
nel periodo del suo massimo splendore. E lo fanno nel migliore dei modi:
"Thick As A Brick" è un classico senza tempo, unico brano su due
facciate con tastiere mai così in primo piano, riff ed eclettismo melodico
a ruota libera, certi eccessi tenuti a debita distanza. Ancor meglio "A
Passion Play", per chi scrive (ma non solo) un capolavoro, molto più
cupo, serioso e articolato del predecessore, è da molti ritenuto il miglior
disco dei Jethro Tull
(anch' esso comunque fa parte della lista dei 100 dischi da evitare di cui
sopra). Dopo il 1973, il gruppo esce parzialmente dal progressive, per lo
meno nella notazione più ortodossa, produce ancora qualche album notevole
(su tutti "Minstrel In The Gallery" del 1975) e molti discreti
fino ai giorni nostri, producendo un corpus musicale che complessivamente
ha pochi eguali nella musica rock, sia come qualità che come quantità. Tra
l'altro, i Jethro Tull
sono, tra i vecchi "dinosauri" del progressive, il gruppo che
senza dubbio è invecchiato meglio, con più coerenza e dignità. Titolo che
spetterebbe in realtà ai King
Crimson, se solo i
King Crimson fossero invecchiati...
Altro
iter curioso è quello dei Pink
Floyd, fautori agli esordi, sia nella fase barrettiana che successiva,
di una psichedelia stralunata ma molto consapevole e razionale, lontanissima
dalla viscerale psichedelia californiana, ancora legata al blues e al folk,
piena anche di riferimenti colti, spiazzante e sghemba, lisergica ma lucida
e intellettuale. La fase psichedelica dei Pink
Floyd si chiude con due capolavori, il doppio "Ummagumma"
e la sottovalutata colonna sonora del film "More". Poi, con la
magniloquente suite di "Atom Hearth Mother", il gruppo si inserisce
a piano titolo nel filone del progressive; da lì "Meddle" e i
successi planetari di "The Dark Side Of The Moon" (1973), "Wish
You Were Here" (1975), "Animals" (1977 ) e "The Wall"
(1979). Gruppo di grandissima personalità e fascino, esente da narcisismi
e virtuosismi, interpreta il progressive in maniera, a ben vedere, molto
più semplice di altri gruppi citati, ma associandolo a un'enorme forza evocativa,
ponendosi come paradigma del progressive come musica di avanguardia e cultura
popolare, come sublimazione dell'arte nella musica di consumo. Quasi tutta
la musica dei Pink Floyd
è pervasa, citando una frase di un loro testo, da "una quieta disperazione",
da un pessimismo cosmico ma silente e alla fine catartico nella sua sublime
assenza di rabbia e tensione.
Questi
i gruppi più noti e di maggior successo commerciale, ma la grandezza del
progressive si misura anche e soprattutto dall'opera di gruppi di minor
visibilità e immediatezza.
Tra
tutti, per importanza, spiccano i Van
Der Graaf Generator di Peter Hammill, gruppo rispettatissimo dalla
critica anche dopo il ciclone punk e la new wave, che nell'age d'or del
progressive produce alcune gemme di esistenzialismo musicale, teso e vibrante,
tra cui spiccano "H To He, Who Am The Only One" (1971), "Pawn
Hearts" (1972), per poi rigenerarsi nella seconda metà dei 70 seguendo
le piste che dal progressive porteranno alla new wave, nell'ambito della
quale alcuni gruppi, basti pensare ai
Bauhaus, devono molto ai Van
Der Graaf Generator del periodo. Il progressive di Hammill e compagni,
infatti, è tra i più drammatici e intensi del periodo, lontano da ridondanze
e autocompiacimenti che tanto verranno contestati successivamente al genere,
lirico e profondo, risulta retrospettivamente una delle espressioni più
moderne del movimento.
Altra
formazione di estremo interesse è quella dei Gentle Giant, gruppo
molto tecnico composto da grandi musicisti ma soprattutto da straordinari
arrangiatori, fautori di un progressive a volte miscelato al folk, di gelida
freddezza e precisione algebrica nei tipici e involuti incastri strumentali
e vocali. Un gioco di scatole cinesi di enorme fascino e intelligenza. Tra
tutti i dischi dei Gentle Giant, consigliabili a scatola chiusa tutti
i primi lavori, con particolare riferimento al secondo ("Acquaring
The Taste", 1971) e il quarto ("Octopus", 1973 ).
Gruppo
certo non di successo travolgente ma comunque con un seguito consolidato,
i Camel di Andrew Latimer e Peter Bardens entrano relativamente tardi
nel progressive (l'esordio omonimo è del 1972, poi i notevoli "Mirage",
"The Snow Goose" e "Moonmadness") e lo interpretano
in maniera semplice e relativamente lineare, basando il sound sul dialogo
della chitarra di Latimer con l'hammond di Bardens, producendo una musica
spesso rilassata, delicata, floreale, sovrastrutturata ma senza retorica
né celebrazioni, tanto che molti critici hanno avvicinato la musica del
gruppo, con molte ragioni, alla cosiddetta "Scuola di Canterbury",
di cui parleremo. I Camel, tra l'altro, dopo alcuni dischi non all'altezza
negli 80, negli ultimi dieci anni hanno prodotto alcuni dischi tra i migliori
della loro carriera, tra tutti "Dust And Dream" del 1991
Ma
nel progressive sono tutti uomini? Quasi, però forse la miglior voce di
tutto il progressive è quella di Annie Haslam, cantante dei Renaissance,
decisamente il gruppo più sinfonico di tutto il prog, in senso letterale
poiché spesso si fa accompagnare nei suoi brani da un'intera orchestra sinfonica,
come nel suo migliore lavoro, "Sheherazade And Other Stories"
(1975).
Gruppo
però tutt'altro che kitsch, come si potrebbe pensare, i Renaissance
godono, nei momenti migliori, di un delizioso songwriting, molto melodico
e romantico, con un uso tutto sommato calibrato dell'orchestra nell'enfatizzare
le linee armoniche.
I
Renaissance, pur essendo un gruppo non certo privo di raffinatezze, rappresentano
l'anima più popolarmente e direttamente romantica del progressive, l'anima
più esplicita ed estroversa, rock sinfonico nel senso più letterale.
Vorrei
continuare l'excursus sui principali gruppi del progressive con un gruppo
che solitamente non viene considerato, neanche dagli appassionati, come
appartenente al genere e che rischia di essere ingiustamente dimenticato
(e spesso lo è): i Traffic.
Certo,
con loro si parla di psichedelia, di rock, di folk, però non si commette un'eresia
indicando "John Barleycorn Must Die" come un grande esempio di folk-prog,
e anche nei dischi successivi (da segnalare "The Low Sparks Of High Heeled
Boys" e lo splendido live "On The Road") la calda voce e l'hammond
di Steve Windwood agiscono in territori che proprio lontani dal progressive
non sono.
Ovviamente
è impossibile parlare di progressive senza citare un inossidabile mito della
critica, un coacervo di gruppi, costituiti da un piccolo gruppo di musicisti
che si sono variamente incrociati, nati nell'area di Canterbury: la "Scuola
di Canterbury", appunto.
Prima
di tutto, esiste qualcosa, oltre all'origine geografica, che accomuna tutti
questi gruppi, alcuni in effetti molto importanti, che apparentemente hanno
approcci anche molto diversi al progressive e alla musica? Più di vent'anni
fa sulle colonne di Rockstar il critico Giampiero Vigorito, recensendo un
disco dei Caravan (per la cronaca "Back To Front"), paragonava
la musica del gruppo al profumo delle camelie. Ecco una finezza e leggerezza
strutturale, un vago retrogusto di cannabis molto più che lisergico, un
tenersi lontano da ogni pacchianeria, pesantezza e volgarità, un humus antiretorico
e antieroico, femminile, floreale, impegnato ma anche rilassato e un po'
sopra le righe: questo potrebbe essere un minimo comune denominatore di
una scena che contempla gruppi molto diversi, dal rock progressivo elegante
e leggiadro dei Caravan al jazz-rock dei Soft Machine.
I
Caravan sono l'anima più intelligibile e pop della scena di Canterbury
e sostanzialmente il gruppo più legato al progressive nella sua accezione
più comune. Esordiscono con il disco omonimo nel 1968 e forse non è capolavoro
ma poco ci manca, con pezzi dominati dal volteggiante hammond di David Sinclair,
il gruppo ondeggia tra romanticismo e underground, con brani melodicamente
solidi e passaggi di grande respiro. Ancora meglio faranno nel 1970 con
"If I Could Do It All Over Again, I'd Do All Over You" e l'anno
successivo con "In The Land Of Grey And Pink", due dischi già
maturi, di stile e personalità definiti, con suite ("For Richard",
"Nine Feet Underground") screziate da un'elegia e una liricità
obliqua, complici anche il flauto di Jimmy Hastings, fratello del chitarrista
Pye, e la voce di Richard Sinclair, già allora una delle più belle della
scena. Poi, vari cambi di formazione, alcuni dischi ancora molto buoni ("Waterloo
Lily" e "For Girls Who Grow Plomp In The Night"), quindi
una lenta, seppur dignitosa, deriva verso un pop sovrastrutturato, con qualche
acuto inaspettato ("Back To Front" del 1982 ).
L'altro
gruppo cardine sono i Soft
Machine i cui primi due dischi ("Vol 1 e 2" del 1968 e
1969) fanno parte del progressive più per assonanza temporale e creativa
che per reale intendimento, essendo due piccoli e originalissimi gioielli
di psichedelia deformata, lievemente acida ma anche fredda e intellettualizzata,
mitteleuropea, svagata e futurista. Con il successivo, terzo volume, doppio
con un brano per facciata, si sintetizza il passato con la celeberrima "Moon
In June" di Robert Wyatt
con il futuro di una decisissima sterzata verzo un eccellente jazz-rock
di derivazione davisiana (Miles Davis aveva appena iniziato il suo periodo
elettrico con "Bitches Brew" e non stupisce affatto che tale sconvolgimento
abbia trovato subito epigoni in Europa piuttosto che negli States). Tale
trend dei Soft si stabilizzerà nei dischi successivi, molti dei quali di
ottimo livello, in cui il jazz-rock si esprimerà mirabilmente come tensione
irrisolta tra ordine e caos, tra struttura e improvvisazione. Tale virata
però non convince Robert
Wyatt che se ne va a formare i Matching Mole (due dischi all'attivo,
entrambi del 1972, l'omonimo e migliore, e "Little Red Record"),
ottimo gruppo dove però il jazz che il compositore voleva fare uscire dalla
porta rientra alla fine dalla finestra, alternato a pezzi dominati dalla
vocalità aliena del leader e batterista. Poi, per lui un incidente, la sedia
a rotelle e un capolavoro come "Rock Bottom".
Legati
ai Caravan e in parte derivati da essi sono gli Hatfield And The North,
autori sostanzialmente di due dischi ("Hatfield And The North"
del 1973 e "Rotter's Club" del 1975), a parere di chi scrive due
capolavori del Canterbury-sound e del rock tout court. Gli Hatfield sono
una perfetta sintesi tra le due anime del Canterbury, quella melodica, lirica
e un po' scanzonata dei Caravan e quella più impregnata di esistenzialismo
non drammatico e fortemente legata al jazz dei Soft
Machine e Matching Mole. La loro musica è un mirabolante esempio
di creatività ed equilibrio, complessa ed emotiva, di un eleganza irreale.
Dalle
ceneri degli Hatfiel nasceranno i National Health (da segnalare l'omonimo
del 1978), decisamente orientati verso climi più jazzati.
Del
Canterbury da segnalare altri gruppi minori ma latori di musica a volte
eccellente. Come non citare gli Egg, oscillanti tra classicismo e sperimentalismo,
i Gilgamesch, i Soft Heap (poi Soft Head, se il nome vi ricorda qualcosa
siete sulla strada giusta), i Khan.
Da
ultimo alcuni gruppi che si potrebbero definire para-canterburiani, cioè
legati musicalmente in qualche modo alla scena ma geograficamnete estranei
ad essa: Camel, Gong, Henry Cow. Dei primi, vicini in qualche modo ai Caravan
e unici veramente progressive, abbiamo già detto. I Gong,
a mio parere noti molto al di là degli effettivi meriti, nascono attorno
alla figura hippie di Daevid Allen e propongono una psichedelia a volte
ipnotica, spesso infantile dove al di là dell'eccentricità di facciata e
di un tono un po' sopra le righe, da sballo adolescenziale, si colgono lacune
creative colmate con furbizia. Da segnalare per dovere la famosa trilogia
("Fliyng Teapot", "Angels Egg" e "You", quest'ultimo
decisamente il migliore). Anche per i Gong,
come per i Soft Machine,
un prosieguo di carriera con un jazz-rock discreto dopo la salutare uscita
di Allen.
Altro
discorso per gli Henry Cow, gruppo decisamente avanguardistico e
a tratti ostico, nonché seminale, nello sperimentare ardite strutture di
avant-jazz. Ma qui siamo veramente ai confini, e direi oltre, del progressive.
Questi
gli attori principali, i più noti e quelli a cui è legato il successo e la
matrice del termine progressive. Dietro di questi pochi grandi nomi una miriade
di gruppi, una parte dei quali, diciamolo, dimenticabili e a volte imitatori
di imitatori, quasi sempre di chiaro insuccesso commerciale, quasi sempre
autori di uno o pochi dischi. Però ci sono anche gemme nascoste. Diciamolo
però fin da subito, nella vasta opera di scandaglio che specie negli ultimi
anni è stata fatta di questo sottobosco, sono emerse opere anche meritevoli
di miglior sorte ma nessun vero capolavoro.
Insomma un "In
The Court Of The Crimson King" o un "The Lamb Lies Down On Broadway
" nascosti non ci sono.
Meritevoli
di una citazione però alcuni gruppi lo sono davvero: rimanendo in Inghilterra,
segnaliamo i Gracious, i Cressida, i Web, i Catapilla, i Cirkus,
i Fruup, i Samurai, i Greenslade, gli Spring, i Quatermass, i Ton Ton Macoute,
gli Gnidrolog, i Druid.
All'interno
del prog cosidetto minore sono poi identificabili delle sottocorrenti, come
il folk-prog dei Trees, Spyro Gyra, Comus e Tudor Lodge, l'hard-prog
(organo, brani complessi e chitarre tendenti all'hard) degli Steel Mill,
dei T2, dei Clear Blue Sky, il prog con venature dark di Dr Z e Still Live,
il jazz-rock non solo di matrice canterburyana dei Ben, dei Nucleus e di
altri gruppi continentali come i francesi Zao e gli italiani Perigeo.
Insomma centinaia di gruppi, di correnti, sottocorrenti e rivoli che costituiscono
la nebulosa del progressive nella prima metà degli anni 70, una massa smisurata
dai contorni fin troppo poco chiari se nel calderone del progressive finiscono
i Renaissance assieme ad opere di franca avant-garde jazz come Septober
Energy dei Centipede di Keith Tippett, oltre ai già citati Henry Cow.
Fin
qui ci siamo limitati alla scena inglese, ma il progressive ha prodotto
una quantità enorme di dischi ai quattro angoli del globo, spesso con pedisseque
imitazioni e clamorose ingenuità, anche con opere notevoli, di grande spessore
e originalità.
Limiteremo
una breve descrizione a tre nazioni dove la produzione almeno qualitativamente
è stata, a mio parere, migliore e più significativa: la Germania, la Francia
e, perché no, l'Italia.
In
Germania la scena musicale nel periodo è eccezionalmente fertile, ma non
per merito di un'ondata progressive. In quel periodo, infatti, si sviluppano
due correnti di grande impatto e originalità, quella particolare forma di
psichedelia tagliente e disillusa chiamata kraut-rock (Can,
Amon Duul, Faust,
Neu!) e la musica
cosmica ed elettronica seminale dei Tangerine
Dream e di Klaus
Schulze. Sono due momenti molto importanti, vere proprie pietre
angolari, basti pensare a quanto gruppi come i Sonic
Youth e certo rumorismo debbano al kraut-rock e l'influenza dei Tangerine
Dream e di Schulze sulla new age, sull'ambient e su tutta l'elettronica
successiva, dal chill-out all'avanguardia più radicale.
Ma
accanto a queste tendenze si sviluppa anche un prog di un certo spessore,
che ha esattamente le caratteristiche che ci si aspetta da gruppi tedeschi:
una certa seriosità di fondo, un clima a volte lievemente decadente e letterario,
un'emotività trattenuta e compressa.
Tra
i tanti esempi meritano certamente di essere citati gli Eloy, molto
pinkfloydiani, i Wallenstein, i Novalis, gli Anyone Daugther e i più sperimentali
Agitation Free.
Più
originale la scena francese, che ruota attorno a due grandi nomi: gli Ange
e i Magma. I primi,
forse un po' sopravvalutati dalla critica di settore, sono una specie di
Pfm d'oltralpe, con un po' di tecnica in meno e molta teatralità, tipicamente
francese, in più. Molti gli epigoni degli Ange (Analyse Grande Espoir ),
spesso migliori dell'originale, come gli Atoll, i Pentacle, i Carpe Diem,
gli Aracniod...
Di
gran lunga più importanti, direi forse uno dei gruppi più importanti del
prog, sono invece i Magma,
routanti attorno alla figura di Cristian Vander e fautori di una musica
unica e originalissima, basata su cellule ritmiche e melodiche che a volte
reiterano ossessive, con improvvise aperture epiche e corali e passaggi
di raffinatissima psichedelia colta. Gruppo che unisce i Carmina Burana
al jazz e alla classica, miscelando il tutto a un rock di una potenza esplosiva,
i Magma rimangono
uno dei fenomeni più significativi del periodo, tanto da aver creato un
genere: lo zeulh, e meriterebbero una trattazione più estesa. in tale sede
basti citare tra gli imprescindibili "Kontharkosz" del 1974, "Mekanik
Destruktiv Kommando" dell'anno prima e "Magma Live" del 1975.
Last
but not least, la scena italiana, che si basa su tre gruppi principali e
famosissimi in patria: la Pfm, il Banco e le Orme. La Pfm è decisamente
il gruppo più legato al prog anglosassone (fin troppo: basta confrontare
le parti chitarristiche di "La Carrozza Di Hans" e "21st
Century Schiziod Man" dei King Crimson) e di conseguenza di maggior
successo in patria e oltre (mitizzato il tempoaneo successo negli Stati
Uniti), di grande pregio comunque i primi tre dischi ("Storia Di Un
Minuto", "Per Un Amico", "L'Isola di Niente").
Differente la proposta del Banco,
gruppo meno spettacolare ma più articolato e in qualche maniera più colto.
Tra tutti, da segnalare "Darwin", "Io Sono Nato Libero"
e una bella opera di camerismo rock contemporaneo come "Di Terra".
Meno
considerate, Le Orme partono alla fine dei 60 come un gruppo beat-pop,
poi la svolta progressiva con "Collage". La matrice pop rimane
sempre comunque sullo sfondo, notevoli comunque "Uomo Di Pezza",
"Felona E Sorona" e l'ambizioso "Contrappunti".
Dietro
questi tre gruppi, una folla di produzioni spesso scopiazzate e maldestre,
con qualche piccolo gioiellino tra tanta mediocrità: tra tutti segnaliamo
almeno "Forse Le Lucciole Non Si Amano Più" della Locanda Delle
Fate.
Ma
la scena italiana è in realtà molto più ricca e originale. Impossibile non
citare il progressive venato di jazz e sperimentazione degli Area
del cantante Demetrio Stratos,
il prog para-canterburiano dei Picchio Dal Pozzo, il jazz rock dei
Perigeo, l'avanguardia degli Opus Avantra e dei Pierrot Lunaire,
il progressive distorto, oscuro e "drogato" del Balletto
Di Bronzo, gli esperimenti vocali del primo Alan
Sorrenti (sulla falsariga di quelli precedenti di Tim
Buckley) e quelli al limite di avanguardia aleatoria e rumorismo del
primo Franco Battiato,
solo marginalmente legato al genere ("Sulle Corde Di Aries", 1973),
il prog catacombale, ingenuo ma a suo modo unico degli Jacula e prima di
tutti, nel 1967, un'opera unica nella scena italiana come la sintesi di
psichedelia, rumorismo e sperimentazione dell'opera omonima e unica delle
Stelle Di Mario Schifano, non certo un disco prog ma antesignano
di un certo approccio stilistico.
La crisi e il deserto (1977-1983)
Il
progressive rimane il genere principale di tutto il rock fino alla metà
degli anni 70, tanto da poter essere considerato la matrice dell'espressività
musicale di un intero decennio, di quella particolare aura che si avverte
quando si ascolta un disco "dei Settanta".
Nella
seconda metà degli anni 70, il genere comincia a mostrare un po' la corda,
escono ancora buoni dischi ma si comincia ad avvertire qualche segno di
stagnazione.
I
King Crimson
sono sciolti (riappariranno nel 1981), i Genesis
senza più Peter Gabriel
nel biennio 1976-1977 escono con due classici come "A Trick Of The
Tail" e "Wind And Wuthering" ma già nel '78 viene pubblicato
" ...And Then There Were Three", disco eccellente e pienamente
progressivo ma anche minato dal virus della deriva pop ("Follow You
Follow Me" e "Many Too Many" i singoli) che si renderà evidente
nel decennio successivo; gli Yes
nel '76 licenziano l'ottimo "Going For The One", ma nel '78 lasciano
perplessi tutti con "Tormato", gli Elp
sfornano tour mastodontici e dischi non all'altezza, i Vdgg
si suicidano nel '78 lasciando un disco di chiara impronta new wave come
il doppio dal vivo "Vital"; i Jethro
Tull continuano con la media di un disco all'anno, sicuramente senza
infamia ma anche senza grossi picchi; molti altri gruppi arrancano o si
stanno sciogliendo, in generale la produzione è di livello inferiore a solo
tre-quattro anni prima. In tale contesto, esplode il fenomeno punk e contestualmente
la new wave, due momenti di chiara discontinuità rispetto al passato prossimo;
quasi una catarsi nihilista il punk, che durerà "l'espace di un matin",
quasi un ripiegarsi consapevole sul crollo di una illusione la new wave.
Tra i due generi emergenti della fine dei 70, il successo della disco-music,
l'altra faccia della medaglia del punk: stesso completo disimpegno, stessa
veicolazione pulsionale, stessi intenti, stesso legame con il marketing.
Quello che cambia è il target umano manipolato e la capacità dei musicisti
impegnati (enorme il divario a favore della disco-music).
Per
il rock è una regressione nell'utero rassicurante delle balere anni 50 e
in un ribellismo da cartolina, innocuo, cartonato, ingenuo. Il famoso ritorno
ai due accordi-due del punk non è una rivoluzione, non è un ritorno al significato
primigenio del rock, non è un ritorno a un'espressività musicale più vivida
e sincera, quanto piuttosto il contrario: è il rassicurante ritorno a una
forma già digerita e metabolizzata, è il ritorno al valore musicale relazionato
agli effetti che provoca sugli ascoltatori, è una regressione alla manipolazione
delle coscienze giovanili, è l'anestesia del pensiero, è un ritorno alla
musica come socialità, Leviatano insaziabile divoratore di ogni arte. Il
punk, a giudizio di chi scrive, è la restaurazione.
Oltre
a un calo qualitativo e al successo di altri generi, un altro fattore inevitabile
quanto banale e prevedibile è più di ogni altro alla base della crisi del
progressive: il cambio inevitabile delle mode, quell'oscuro e visibilissimo
meccanismo che porta un'espressione umana ad avere una nascita, un apogeo
e un declino.
Ecco,
nella seconda metà dei 70 il progressive è in declino. Quasi morto. Il genere
si dissolve, la maggior parte dei gruppi a cavallo dei due decenni sono
sciolti o hanno cambiato genere, nuovi gruppi si vedono solo nelle cantine,
non c'è praticamente nulla, un deserto totale, la stampa parla di progressive
solo per attaccare retrospettivamente il genere; esce ancora ottima musica,
sia ben inteso, ma non più progressive. Sembrerebbe finita lì. Invece no.
Una
rinascita carbonara
Nel
1983 appare nei negozi un disco. Si chiama "Script For A Jester Tears".
Il gruppo si chiama Marillion. Ed è un disco spudoratamente progressive,
direi spudoratamente genesisiano. Tutto è progressive: la musica, i testi,
il logo, il nome, la voce del cantante clamorosamente gabrieliana. Ma questo
non farebbe in sé notizia. La notizia è che il disco, certo gradevolissimo
ma non eccezionale, ha un certo successo di vendita in tutta Europa. I
Marillion proseguiranno con alterne vicende fino ai nostri giorni, il
terzo disco (una suite in due facciate e un concept) "Misplaced Childhood"
sarà il loro più grande successo, ma ormai la scintilla è scoccata: dietro
di loro cominciano ad apparire altri gruppi, quasi tutti di matrice
Yes/Genesis:
gli IQ, i Pendragon, i Twelth Night i principali; qualcosa riappare sulla
stampa, gli appassionati cominciano ad avere qualche punto di riferimento
in qualche fanzine, negli anni la produzione continua a crescere, nascono
pure piccole etichette e negozi specializzati. Il progressive diventa un
genere di nicchia, carbonaro, poco visibile ma tutt'altro che sparuto.
Ma
la musica com'è? Beh il new-prog (così verrà chiamato) per tutti gli anni
80 ha come riferimento il mainstream degli Yes
e dei Genesis,
con però un importante cambio nella strumentazione grazie all'avvento delle
tastiere elettroniche, che danno un mood più moderno ai pezzi; poi prevale
una certa semplificazione del materiale, spesso accattivante e orecchiabile
ma di buon impatto espressivo e sufficientemente strutturato. Non mancano
ingenuità dilettantesche e spesso un senso di precarietà, capolavori non
ne escono, certo, però in mezzo a tanto prodotti mediocri si intravedono
anche buoni dischi e qualche talento. Poi, agli inizi dei 90, la produzione
comincia a essere enorme, escono ancora moltissimi prodotti di scarto ma
comincia a esserci una maggiore differenziazione del materiale che sale
qualitativamente e professionalmente, ma soprattutto succede una cosa forse
imprevedibile: la scena inglese non è più la principale, anzi il new prog
inglese sembra privo di vera spinta propulsiva, stagnante e un po' noioso.
Buonissime cose invece provengono dalla Scandinavia e dalla Svezia in particolare
(Anekdoten, Anglagard, Landberk, Isildurs Bane i principali),
dagli Usa (Echolyn), dall'Italia (Finisterre, Deus Ex Machina), persino
dall'Ungheria (After Crying). I riferimenti poi non si limitano più ai
Genesis (quello che
verrà detto prog-sinfonico), ma si cominciano a citare i King
Crimson e i Gentle Giant: non si pensi assolutamente in tutti
i casi a imitazioni pedisseque (che comunque non mancano), ci sono riferimenti,
certo, ma anche originalità di proposta, inventiva, intelligenza.
Tra
la fine degli anni 80 e l'inizio dei 90, il progressive risulta essere un
genere, a parte la parentesi dei Marillion, di scarsa rilevanza commerciale
(comunque non nulla: i dischi più in voga hanno comunque tirature calcolate
in decine di migliaia di pezzi ), con seguito magari poco visibile ma consolidato
e generalmente competente, ma soprattutto si ha una quantità enorme di proposte,
magari mal distribuite, segno di una certa vivacità. Il progressive sembrerebbe
quindi destinato a sopravvivere nella passione di vecchi nostalgici e di
pochi nuovi adepti, un genere residuale, di nicchia, per quanto larga sia,
ma poco o nulla influente. Ma forse no.
Nuovo
millennio
Dalla
metà degli anni 90 il termine progressive comincia sempre più a fare capolino
nella stampa musicale ufficiale e generalista e tra gli appassionati di
rock in generale, il genere esce un po' dal dimenticatoio delle nostalgie
e vive un piccola fase di maggiore esposizione. Vediamo alcune delle ragioni.
-
Prende piede e ha notevole successo un sottogenere del progressive: il
progressive-metal, cioè l'unione di strutturazione generale dei pezzi
di tipo progressive con sonorità, durezze, epicità e strumentazione tipiche
del metal. In realtà, tale
sottogenere non nasce affatto negli anni 90 ma ha per lo meno un antecedente
importante, seppure a volte misconosciuto, negli anni 70: il gruppo canadese
dei Rush, che tramite
opere seminali e di notevole spessore come "2112", "A Farewell
To King", "Hemispheres", "Permanent Waves" e "Moving
pictures" ha posto la matrice di una contaminazione tra sonorità hard
e progressive ben prima del successo dei Queenryche e soprattutto dei Dream
Theatre nonché di tutti gli epigoni (Simphony X, Stratovarius ecc.). Il
progressive metal piace, è attaccatissimo da certa critica, ma indubbiamente
ha crescente successo sia tra gli appassionati di progressive che tra gli
appassionati di metal, che sono molti di più e seguono un genere bistrattato
ma che non conosce tramonto. Bisognerà che un giorno qualcuno in sede critica
se ne accorga.
La
produzione prog-metal è notevole, la maggior parte dei dischi non può che
lasciare qualche perplessità tra i progster "old-fashion", per
via di una epicità un po' facilona e di grana grossa, pregna di un tecnicismo
muscolare un po' banalotto e infantile, certo è comunque che almeno certi
dischi dei Dream Theatre ("Awake") e dei Queenryche ("Operation
Mindcrime") vivono di luce propria e che forse in un mondo musicale
di depressi è salutare ogni tanto ascoltare anche un assolo di John Petrucci
dei Dream Theatre, l'ultimo guitar-hero.
-
Dal mucchio dei gruppi progressive spunta e ha una certa risonanza (sempre
in senso relativo, si intende), specie in Italia, una formazione inglese:
i Porcupine Tree.
Non sono migliori di tanti altri (anzi) ma mescolano con scaltrezza un progressive
dilatato di stampo floydiano con impianti melodici accattivanti, orecchiabili,
di buon impatto commerciale.
-
Il termine progressive viene associato a una serie di proposte musicali
di avant-rock spesso facenti capo all'etichetta americana Cuneiform.
Si
tratta di gruppi (Muffins, Miriodor, Birdsong Of Mesozoic e altri),
spesso originatisi nella seconda metà degli anni 70, che mescolano con estrema
disinvoltura il rock con un certo jazz d'avanguardia o con la musica classica
contemporanea. Si tratta di aspetti musicali marginali ma guardati e giudicati,
giustamente, con estremo rispetto dalla stampa e quindi per questo in qualche
modo rilevanti. Nel calderone di questo rock colto rientrano sicuramente
gruppi come gli Univers
Zero e gli Art Zoyd, capostipiti di quello che viene comunemente
definito "rock in opposition (Rio). Discutibile se tali proposte possano
a ragione essere annoverate pienamente nel genere progressive; da una parte
la ricchezza e la complessità della proposta non sono certo antitetiche
all'utopia del progressive, dall'altro a volte il punto di partenza non
sembra essere propriamente rock quanto piuttosto ricercabile nelle altre
musiche del 900.
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Dulcis in fundo: sempre più insistentemente negli ultimi anni si è parlato
di (nuovo) progressive per una serie di proposte musicali sia legate a una
nuova vena drammaturgica che ha fatto capolino nel rock (Radiohead,
Muse), sia legate a un certo
post-rock iperstutturale (Tortoise)
o psichedelico-ambientale (Sigur
Ròs, Tarentel), sia al ritorno di una certa ambizione sperimentale
(Cerberus Shoal), sia a nuove proposte di minimalismo epico (Godspeed
You Black Emperor!). Si tratta di opere e gruppi in alcuni casi
anche validi e interessanti, ma che mediamente godono di una considerazione
critica francamente eccessiva. Essi, tuttavia, riscuotono grandi consensi
anche tra gli appassionati di progressive, come si è visto all'inizio di
questa piccola monografia. Pletorico, in tale contesto, analizzare caso
per caso: il termine progressive è in generale consono per quanto riguarda
gli aspetti di ambizione e di velleitarismo musicale e artistico nonché,
ma non sempre, per gli aspetti lirico-drammatici e di elaborazione del materiale;
meno consono appare invece il parallelo per quanto riguarda gli aspetti
più propriamente formali.
Il
progressive all'inizio del millennio appare quindi diviso tra revanscismo
e innovazione, tra formalismo ed evoluzione, e in una certa ottica appare
come un genere tutt'altro che secondario. A meno di non considerare il rimedio
(la nebulizzazione formale del genere) peggiore del male (la ghettizzazione
nella gabbia di parametri musicali legati ormai al passato).
Michele Chiusi
Discografia progressive
consigliata
PRIMA
DEL BIG BANG (5 titoli)
Procol Harum: Shine on brightly (1967)
Procol
Harum: Procol Harum (1968)
Nice:
Ars longa vita brevis (1968)
Family: Music in a doll's house (1968)
Colosseum:
Valentyne suite (1969)
DINOSAURI
ALL'ATTACCO (20 titoli)
King Crimson: In the court of the Crimson King (1969)
King Crimson: Lizard (1970)
King Crimson: Island
(1972)
King Crimson: Red (1974)
Genesis: Nursery crime (1971)
Genesis: Selling England
by the pound
(1973)
Genesis: The lamb lies down on Broadway (1974)
Emerson Lake & Palmer: Tarkus (1971)
Emerson Lake & Palmer: Brain salad surgery (1973)
Yes: Close to the edge (1972)
Yes:
Fragile (1972)
Magma: Kohntarkozs (1974)
Van
Der Graaf Generator: Pawn hearts (1971)
Gentle Giant: Octopus (1972)
Jethro Tull: Thick as a brick (1973)
Jethro Tull: A passion play (1973)
Renaissance: Sheherazade and other stories (1975)
Camel: Mirage (1974)
Pink Floyd: Atom earth mother (1970)
Traffic: John Barleycorn must die (1970)
DALLE
PARTI DI CANTERBURY (10 titoli)
Soft Machine: 2 (1969)
Soft Machine: 3 (1970)
Caravan: In the land of grey and pink (1971)
Hatfield and the north: Hatfield and the north (1974)
Hatfield and the north: Rotter's club (1975)
National Health: National Health (1978)
Gilgamesh: Another fine tune you've got me into (1978)
Robert Wyatt: Rock bottom (1974)
Matching Mole: Matching Mole (1972)
Egg:
The polite force (1970)
PROG MINORE (10 titoli)
Catapilla: Changes (1972)
Cressida: Asylum (1971)
Gracious: Gracious (1970)
Cirkus: One (1973)
Ton
Ton Macoute: Ton Ton Macoute (1970)
Spring: Spring (1971)
High Tide: Sea shanties (1969)
Curved Air: Air conditioning (1996)
Gnidrolog: In spite of Harry's game (1972)
Druid: Toward the sun (1975)
SPAGHETTIPROG (15 titoli)
Pfm:
Storia di un minuto (1972)
Banco:
Darwin (1972)
Banco:
Di terra (1978)
Orme:
Felona e Sorona (1973)
Opus
Avantra: Lord Cromwell (1975)
Pierrot
Lunaire: Gudrun (1976)
La
locanda delle fate: Forse le lucciole non si amano più (1977)
Dedalus:
Dedalus (1973)
Giganti:
Terra in bocca (1971)
Area: Arbeit macht frei (1973)
Perigeo: Genealogia (1974)
Duello
Madre: Duello Madre (1973)
Picchio
dal pozzo: Picchio dal pozzo (1976)
Alan Sorrenti: Aria (1972)
Ping Pong: Ping
Pong
(1973)
ALL AROUND THE WORLD (15 titoli)
Eloy: The power and the passion (Germania, 1975)
Novalis: Sommerabend (Germania, 1976)
Anyone's daughter: Im blau (Germania, 1982)
Amenophis: Amenophis (Germania, 1992)
Ange: Au dela du delire (Francia, 1974)
Pulsar: Halloween (Francia, 1977)
Zao: Shekina (Francia, 1975)
Carpe Diem: Cueille le jour (Francia, 1976)
Cathedral: Stained glass stories (Usa, 1978)
Happy the man: Crafty hands (Usa, 1978)
Pavlov's dog: Pampered menial (Usa, 1995)
Island: Pictures (Svizzera, 1977)
Circus: Moving on (Svizzera, 1976)
Focus:
3 (Olanda, 1972)
Modry
Effect: Nova synteza (Repubblica ceca, 1974)
NONSOLOPROG
(15 titoli)
Univers Zero: Uzed (1984)
Art Zoyd: Phase 4 (1982)
Muffins: Manna/Mirage (1991)
Miriodor: Miriodor (1988)
Cartoon: Sortie (1994)
Henry Cow: Western culture (1979)
Henry Cow: In praise of learning (1975)
Pfs: 279 (1990)
U
Totem: Strange attractors (1994)
Can: Tago Mago (1971)
Can: Future Days (1973)
Amon
Duul II: Yeti (1970)
Faust: Faust (1971)
Neu!: Neu!2 (1973)
Jasun Martz: The pillory (1978)
Musica
Italiana scarica canzoni MP3
NOSTALGIA
CANAGLIA (20 titoli)
Pendragon: The jewel (1985)
Iq: Ever (1993)
Twelfth Night: Fact and fiction (1982)
Marillion: Script for a jester tears (1982)
Marillion: Misplaced childhood (1985)
Discipline: Unfolded like stair case (1997)
Glass Hammer: Lex rex (2002)
Flower Kings: Stardust we are (1997)
Iluvatar:
Children (1995)
Ad
Infinitum: Ad Infinitum (1998)
Anglagard: Hybris (1992)
Anekdoten: Vemod (1993)
Landberk: One man tells another (1994)
Isildurs Bane: Mind vol 2 (2000)
After Crying: Deprofundis (1996)
Porcupine Tree: The Sky moves sideways (1995)
Echolyn: As the world (1995)
Finisterre: In limine (1996)
La
maschera di cera: Il grande labirinto (2003)
By Kio Ran: Parallax (1984)
Musica Italiana scarica canzoni MP3
Deus Ex Machina: 5 (2002)
Underground Railroad: Though and though (2000)
Kada: Bucsuzas (2000)
A
Triggering Myth: Twice bitten (1993)
Djam Karet: Reflection from the firepool (1989)
Horizont: Portrait of a boy (1989)
Boud Deun: The stolen bicycle (1998)
Thinking Plague: In extremis (1998)
Cerberus Shoal: Homb (1999)
Finneus Gauge: More once more (1997)
solo
musica italiana
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