L'ESERCITO DEL REGNO DELLE DUE SICILIE NEL 1861


L'esercito del 1861 è sostanzialmente simile a quello del 1830, salvo alcune nuove costituzioni:

 

  • 13° Reggimento di Linea "Lucania" nel 1840

  • Ufficio Telegrafico nel 1843

  • XIII Battaglione Cacciatori Svizzero nel 1850

  • 14° Reggimento di Linea "Sannio" nel 1859

  • 15° Reggimento di Linea "Messapia" nel 1859

  • XIV Battaglione Cacciatori nel 1859

  • XV Battaglione Cacciatori nel 1859

  • 3° Reggimento Dragoni nel 1859


Nel 1810 viene introdotto il reclutamento obbligatorio; rivisto nel 1833 e integrato nel 1837 da nuove disposizioni, prevede che tutti i sudditi di età compresa tra i 18 ed i 25 anni siano soggetti all'obbligo militare, ma solo quelli estratti a sorte prestano effettivamente servizio. Per i sudditi della Sicilia è in vigore un'antica esenzione dall'obbligo di leva, ma circa 12.000 siciliani servono nell'esercito come volontari.

La durata della ferma prevede 5 anni di servizio attivo e 5 nella riserva; 8 anni per Carabinieri, Cavalleria, Artiglieria e Genio. Il contingente di leva arruuolato è di sole 12.000 unità, a fronte di un gettito di 50.000 giovani, in quanto molti militari chiedono il prolungamento della ferma.

La forza media alle armi si aggira sui 30.000 effettivi che in caso di guerra, dopo la mobilitazione generale, superano i 120.000.

Il Real Collegio Militare, situato presso il monastero dell'Annunziatella nel quartiere Pizzofalcone di Napoli, provvede alla formazione degli ufficiali delle armi dotte, l'artiglieria ed il genio; vi sono ammessi allievi di 10-12 anni di età, figli di ufficiali o appartenenti alla borghesia, che dopo 8 anni di istruzione militare diventeranno a loro volta ufficiali.


Nel 1859 a Napoli insorgono gli svizzeri del 3° Reggimento di Linea, presto seguiti da quelli del 1° e del 2°, a causa del divieto emesso dal governo svizzero di prestare servizio in paesi stranieri e la condanna di coloro che avessero continuato a farlo. I mercenari in rivolta sono dispersi dal fuoco di altre unità, compresi il 4° Reggimento di Linea Svizzero ed il XIII Battaglione Cacciatori Svizzero, ordinato dal generale Nunziante.

A seguito di questi fatti tutti e 4 i reggimenti di linea svizzeri, nonchè il XIII Battaglione Cacciatori Svizzero, vengono disciolti ed i mercenari rimasti in servizio formano I, II e III Battaglione Cacciatori Esteri nei quali si arruolano anche mercenari Bavaresi e Tirolesi.


Le ami vengono prodotte all'interno del Regno utilizzando in massima parte il ferro proveniente dalle miniere di Pazzano e Stilo in Calabria e importandone solo una minima parte dall'Isola d'Elba.

Il Real Stabilimento di Mongiana, con 600 dipendenti, provvede a lavorare il ferro; la Fabbrica d'Armi di Torre Annunziata costruisce i singoli pezzi e la Montatura d'Armi di Napoli provvede all'assemblaggio. Circa 11.000 armi da fuoco e 3.000 armi bianche vengono prodotte ogni anno. L'Arsenale di Napoli provvede agli affusti per le artiglierie, ai carriaggi ed al materiale da ponte (che conta 60 barche da ponte). La Reale Fonderia di Castel Nuovo forgia bocche da fuoco in bronzo e dopo il 1841 anche in ghisa, mentre l'Opificio Pirotecnico di Capua provvede al munizionamento. L'Opificio Meccanico di Pietrarsa, con 1.050 addetti, produce materiali per l'artiglieria e per il genio, nonchè binari ferroviari (la prima ferrovia italiana, sulla tratta Napoli-Portici di 7,25 km, è inaugurata nel 1939). Gli esplosivi sono realizzati presso la Real Fabbrica di Polveri di Torre Annunziata, seguita nel 1854 da quella di Scafati; vengono poi immagazzinati nella Polveriera Centrale di Baia ed in quelle sussidiarie di Napoli, Gaeta, Capua, Capri, Messina, Palermo e Siracusa. Arsenali minori sono in funzione anche a Messina e a Palermo.


Il tenente colonnello Landi, direttore dell'Arsenale di Napoli, suddivide le artiglierie in:

 

  • artiglieria da campagna, con batterie da battaglia e batterie da posizione

  • artiglieria da montagna, utilizzata anche nelle operazioni anfibie

  • artiglieria da piazza o da assedio, con cannoni lunghi da 12 libbre (calibro 122 mm)

  • artiglieria da costa, con cannoni da 12 libbre corti e obici da 30 e da 80 libbre

 


Il 5 maggio 1860 ha inizio la Spedizione dei Mille di Garibaldi; lo sbarco garibaldino avviene l'11 maggio a Marsala, poi prosegue in Calabria verso nord.

L'esercito borbonico viene sconfitto il 15 maggio a Calatafimi ed il 20 luglio a Milazzo; il 30 maggio cade anche la città di Palermo; il 30 agosto una colonna borbonica viene disarmata a Soveria Mannelli; il 1° ottobre circa 24.000 garibaldini (i 1.089 originari sono stati rinforzati da migliaia di volontari provenienti dal settentrione e anche dall'estero, in particolar modo dall'Ungheria, dando vita all'Esercito Meridionale), attaccati da 50.000 soldati borbonici presso il fiume Volturno, li respingono.

 Il 26 ottobre il Corpo di Spedizione dell'Armata Sarda, che ha battuto le truppe pontificie a Castelfidardo nelle Marche, si riunisce ai garibaldini presso Teano in Campania.


Il re Francesco II°, la sera del 6 settembre 1860, accompagnato dalla regina Maria Sofia di Baviera e dal loro seguito, si imbarca sull'avviso a vapore Messaggero" dell'Armata di Mare a Napoli e giunge a Gaeta la mattina successiva di buon'ora.

Il suo esercito è attestato sulla linea del fiume Volturno, ma i garibaldini lo costringono a ritirarsi verso Gaeta; sono 17.700 uomini che formano 3 battaglioni cacciatori agli ordini del generale Sanchez de Luna, i quali prendono posizione parte a Gaeta e parte sul Colle dei Cappuccini, 4 compagnie svizzere comandante dal capitano Hess sul promontorio di Torre Viola, 1 reggimento granatieri che si posiziona sul colle Atratina, 1 reggimento granatieri presso il cimitero di Gaeta e infine 5 reggimenti di linea e di cavalleria che restano fuori dalle mura posizionandosi sull'istmo di Montesecco.

L'artiglieria della piazzaforte comprende 296 cannoni ad anima liscia e 4 a canna rigata; le scorte di cibo sono scarse come lo è il foraggio per i circa 1.000 cavalli e muli.

Le navi da guerra della Marina Borbonica rimaste sono 5: la fregata a vela "Partenope", gli avvisi a vela "Messaggero", "Saetta" e "Delfino" ed il rimorchiatore a elica "Etna"; inoltre in porto ci sono 4 navi da guerra spagnole, 1 prussiana e 7 francesi.

All'Assedio di Gaeta il corpo dell'Armata Sarda è formato da 18.000 uomini, 1.600 cavalli, 180 cannoni a lunga gittata e 66 cannoni a canna rigata, agli ordini del generale Cialdini, il quale metterà in risalto tutta la sua ferocia (cosa che però non farà nella prima fase della campagna del 1866 contro gli austriaci evitando di ordinare l'attacco!) e ordinerà di sparare ben 160.000 granate d'artiglieria sulla Cittadella Militare (in seguito riceverà il titolo di Duca di Gaeta); inoltre alcuni ufficiali ex borbonici, passati opportunisticamente ai "piemontesi", li aiuteranno a correggere il tiro.

Il 13 novembre inizia l'assedio vero e proprio; il 28 novembre 400 granatieri e cacciatori borbonici agli ordini del generale Bosco tentano una sortita e mettono in fuga i bersaglieri che presidiavano il Colle dei Cappuccini.

Il 14 dicembre, dopo che si è diffusa un'epidemia di tifo, Francesco II° congeda 4.500 uomini ritenendoli in esubero; gliene rimangono ancora 13.000 contro gli oltre 16.000 assedianti.

Nel frattempo il capo del governo piemontese Cavour cede ai francesi i comuni di Mentone e Roccabruna, presso Nizza, in cambio della partenza delle navi da guerra francesi dal porto di Gaeta che, fino a quel momento, avevano impedito l'assedio anche dal mare. Il governo francese discute circa l'opportunità di aiutare i borbonici, ma gli inglesi osteggiano tale intervento (da notare l'ormai antica consuetudine delle varie nazioni europee di intromettersi nelle questioni nazionali italiane).

L'11 febbraio 1861 il re delle Due Sicilie, per evitare ulteriori spargimenti di sangue, invia il generale Antonelli a trattare la resa; alle 18.15 del 13 febbraio inizia il cessate il fuoco ed i difensori di Gaeta, dopo 102 giorni di assedio, dei quali 75 di intensi cannoneggiamenti, escono dalla piazza ricevendo l'onore delle armi; i Borboni andranno poi in esilio a Roma, accolti da papa Pio IX, e nei territori delll'ex Regno delle Due Sicilie avrà inizio la guerriglia passata alla storia col termine di comodo di "brigantaggio".

 

  • La regina Maria Sofia è stata vista spesso, anche dalle truppe piemontesi, muoversi sui bastioni di Gaeta soccorrendo i feriti (lo stesso generale Cialdini aveva ordinato di cessare il fuoco quando la si avvistava); i giornali francesi riportano la notizia facendola diventare l' "eroina di Gaeta" agli occhi del mondo.

La cittadella militare di Messina con 4.300 difensori agli ordini del maresciallo Gennaro Fergola, si arrenderà il 12 marzo. Il fortino di Civitella del Tronto in Abruzzo, comandato dal brigadiere generale Luigi Ascione, cesserà la resistenza il 20 marzo.


I militari borbonici che non si uniscono ai "piemontesi", che non si danno alla macchia o che non riparano all'estero, vengono imprigionati nelle Fortezze Sabaude e tenuti in condizioni di vita disumane. Si tratta di circa 32.000 soldati e graduati di truppa, la maggior parte dei quali non farà ritorno a casa.

Nel nuovo Esercito Italiano gli ufficiali ex borbonici inquadrati sono 2.311 su circa 3.000 domande d'ammissione; subito dopo l'Unità d'Italia quattro classi delle province meridionali sono richiamate alle armi per un totale di 60.000 giovani, ma circa un terzo di loro non si presenta preferendo darsi alla macchia e andare a ingrossare le file dei guerriglieri, che la storiografia ufficiale definisce "briganti".