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Poco prima di un’esibizione a Potenza, abbiamo avuto modo di incontrare il leader dei Banco, Francesco Di Giacomo, un po’ incanutito e con qualche chilo in meno, ma disponibile ed appassionato come sempre. Francesco,
con Il Banco del Mutuo Soccorso avete contribuito alla nascita, negli anni
Settanta, della nostra scena rock progressiva. E’ rimasta qualche traccia di
quel movimento nella nostra musica attuale? Non molto, in realtà. Il discorso non è semplice. Il nostro è un paese che, musicalmente parlando, è governato dalle mode. La nostra è una scena colonizzata dall’America: è come se non avessimo una nostra tradizione. Per dirla tutta, anche un locale come questo (un pub n.d.r.) non è nelle mie corde. Io sono per l’osteria. E quindi posso dirti che di quel periodo sono rimasti i Banco e la PFM. …come
dire, nulla di nuovo… Esatto. Qui in Italia noi dei Banco abbiamo ormai
un nostro circuito, che si basa sulle Università, per esempio. Però, come sai,
abbiamo ottenuto riconoscimenti all’estero, persino in Giappone. In quei
posti, se hai avuto successo, non sei dimenticato, e sei sempre considerato un
grande artista. Perciò posso dirti che il movimento di cui parlavi, qui da noi
è sostanzialmente finito. Oddio, bisogna riconoscere che negli ultimi quattro o
cinque anni molte band emergenti che fanno rock progressivo si sono affacciate
sulla scena. Ma il loro è un rock archeologico, troppo legato a quello che
facevano gruppi come il nostro trent’anni fa. Io glielo dico spesso. Non basta
fare una base strumentale particolare ed aggiungerci dei testi onirici. Bisogna
creare qualcosa di proprio. Tutto può essere fonte d’ispirazione, anche la
musica classica, che a volte sa essere anche più dura del rock. E quali sono
i suoi ascolti attuali? Devo dirti che non ho moltissimo tempo per
ascoltare musica. Mi dedico di più alla lettura. Però mi piacciono i vari
Capossela e Bersani. Io ascolto di tutto, da Fred Bongusto a Fred Buscaglione,
senza distinzione di generi. Non sono un tipo molto retrò, però. Mi piacciono
le cose nuove. Anche i gruppi giovani come i Velvet. I suoi testi
sono universalmente riconosciuti come esempi di poesia trasferita in musica. Ha
mai pensato di scrivere un libro vero e proprio? Veramente no. Però posso dirti che presto quelli
della Dante Alighieri pubblicheranno un volume, indirizzato alle scuole, che
raccoglie dei testi dei Banco, come esempio di letteratura italiana. E i progetti
musicali del gruppo? Mah, il Banco suona sempre. Adesso abbiamo questa
data a Roma. Non sono da escludere anche altri lavori in studio. Un’ultima
domanda: con poche parole mi descriva quello storico periodo del rock italiano. Era un momento di grande fermento e di grande
creatività. Ma con trent’anni in meno, però (risate).
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