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Nuovo Anti-cinema Italia
Come ogni anno la mostra del cinema di Venezia riempirà le pagine di pseudo-cultura dei
quotidiani nazionali, replicando in riva al lido una parvenza di “star
system” all’italiana.
Un evento, quello veneziano, ormai puramente simbolico, dove le piccole
produzioni hanno finto di essere grandi studios hollywoodiani e attori mediocri
si sono atteggiati a divi al pari di veline e calciatori.
E’ come l’anno precedente nessuno ha osato criticare quella che ormai è
diventata una parodia dell’anti-cinema, spogliata di ogni valenza artistica,
privata di ogni pur minima funzione culturale, eppure “sponsorizzata”
felicemente da una nota casa automobilistica nazionale.
Una mostra divenuta simbolo dello stato di degrado della nostra cinematografia e
più in generale del declino culturale italiano (solo due film italiani in
concorso e dati già ampiamente perdenti). E non a caso, visto che una
filmografia forte è sempre figlia della vivacità intellettuale che la
circonda, laddove ovviamente esista. L’Italia di questi ultimi anni ha dato
alla luce solamente una schiera di registi succubi del mezzo tecnologico,
incapaci di elaborare un’ estetica nuova, di contrastare lo strapotere delle
“majors” d’oltreoceano.
Inutile dire che la crisi produttiva del giovane cinema italiano ha reso sempre
più periferica la nostra cultura sullo scenario globale, in particolare
riducendone il grado di esportabilità, e quindi indebolendo la nostra influenza
estetica sul resto del mondo, proprio a scapito dell’industria culturale
americana.
Non è un caso allora che all’estero non riusciamo più a imporci. Troppo
grande è percepita la differenza tra il cinema contemporaneo e quello del
nostro passato: su tutti il neorealismo e il western spaghetti. Troppo grande è
l’abisso tra gli autori di oggi e i registi del calibro di Leone, Rosselini,
Bertolucci, Fellini. Incolmabile la distanza tra gli attori moderni e icone del
calibro di Mastroianni e la Loren.
Ecco perché i pochi film italiani che hanno avuto successo recentemente, ( vedi
Marco Tullio Giordana negli States con “la meglio gioventù”)…sono il
peggio del peggio dei polpettoni all’italiana, filmacci di serie B che
alimentano l’eterno stereotipo del “more italico”, ovvero paese di
vitelloni scopatori, di eterni intrighi alla Capuleti vs Montecchi, nonché
pizza-spaghetti, mandolino-mafia, ecc..…
A prima vista si potrebbe dire che le ragioni di questo declino stanno nelle
mancanze strutturali del nostro paese. Innanzitutto nell’ambito produttivo
ristretto e soffocato (sono rimasti solo un paio di referenti privati e un paio
di poli produttivi), nella cronica mancanza di fondi statali, nel notevole
ritardo accademico circa la formazione degli sceneggiatori, e degli operatori.
Più in generale, si potrebbe dire che è venuta a mancare quella “scuola
italiana” attivissima invece negli anni 50’, quando tra sceneggiatori
artisti e registi regnava una grande coesione, fatta di scambio, dialogo,
partecipazione.
Ma ad una analisi più profonda si scopre come a monte sia presente una voragine
culturale ormai profonda. Il nostro cinema non si distingue più dalla fiction;
anzi, cortometraggi di livello bassissimo si avvicinano sempre più alla
pornografia.
Il cinema italiano si limita a fare concorrenza alla tv, costringendosi a
inseguire in picchiata la qualità del pubblico verso il baratro della mediocrità.
Un pubblico-massa che ha perso il senso della profondità, abituato a un
bombardamento televisivo di immagini appiattite e monotone, cibandosi di
televisione spazzatura, costringendo la cinematografia a fare film per
tredicenni.
Chiunque può constatarlo mettendo piede in un cinema nostrano, dove un’orda
di “consumatori di immagini” settimanalmente ripete il proprio rito di
alienazione, recandosi nella multisala asettica che puzza di popcorn, sorbendosi
ogni sorta di spot assurdo, lottando fino alla morte per un posto prenotato,
magari conquistato con la raccolta punti del supermercato.
Ed ecco allora il perché del successo del nuovo cinema per “teenager”, di
questa nuova estetica provinciale, fatta di esaltazione del quotidiano, di
ossessione sulle micro-storie locali. Cortometraggi che replicano nelle loro
trame e sceneggiature la linearità e la semplicità tipiche delle fictions
televisive.
Profeti-Registi di questa nuova era del noir metropolitano, dei “reality
film” edulcorati per ragazzini dove le profondità narrative, psicologiche,
letterarie sono azzerate, sono i vari Garrone, Marra, Sorrentino, Guadagnino,
Salemme. Autori ideologicamente impegnati che scandagliano la provincia e la
periferia metropolitana non in quanto mossi da curiosità intellettuale, ma per
puro spirito di conformismo, per ragioni di puro mercato, per ricevere la
legittimazione della critica perennemente orientata a sinistra. Non sia mai che
il futuro vincitore della Palma d’Oro non vanti nel proprio repertorio un bel
noir metropolitano, magari incentrato sul tema del disagio degli extracomunitari
e della loro permanenza in Italia.
Eppure il continuo girare in tondo e a vuoto sulle microstorie lascia
intravedere quanto questo genere di film all’italiana sia lontanissimo da
quello dell'estremo oriente, dove si assiste ancora a una vera manipolazione
dell'immagine, dove gli autori non possono prescindere da una dimensione
estetica molto originale, soprattutto sul piano narrativo.
In queste cinematografie provenienti dal sud e dall’est del mondo, ancora
immuni dal devastante appiattimento americano, ancora si osa fare arte,
ricercando l’ eleganza compositiva, immagini graffianti, emotivamente
d’impatto.
Ecco allora che la rinascita del cinema italiano può partire solo dalla rottura
con il mondo delle grandi produzioni, dei grandi eventi come la mostra del
cinema di Venezia. Mondo falso e ipocrita dove regna il più totale senso di
abbandono, la decadenza, il vuoto.
Ripartendo invece dal cinema indipendente, dal cinema sperimentale, dal cinema
non convenzionale e perché no, anche dal semplice documentario. Ci sono molto
risorse artistiche inutilizzate, una schiera di giovanissimi attori che non
vogliono prostrarsi alle regole del mercato.
Sono loro il futuro del cinema italiano: pellicole amatoriali, quand’anche
girate in digitale, dove sarà possibile cogliere uno scambio d'idee fatto in
totale libertà creativa, e recitativa, dove sarà possibile rintracciare nuove
forme di narrazione.
Grazie alla maggiore flessibilità del digitale, sarà possibile aggirare le
forche della critica di sinistra e l’imbuto della distribuzione, riscoprendo
una nuova identità, una rinnovata voglia di fare cinema, pensando a un pubblico
più vasto, magari tornando a varcare i confini nazionali.
E perché no, ritrovando uno scopo, o meglio “lo scopo” del cinema, quello
di sollecitare l'immaginazione, amplificando gli orizzonti conoscitivi, formando
l’essere umano, ed elevandolo infine alla comprensione del bello.
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