Home Su Collegamenti

 

                                                                                                           

                                         Storia
                                                                                        Estetica Avanguardia

                                                                                                                                                                                                                             

 

________________________________________________________________________________--____

I

 

LA FINE DEL GOVERNO SEPARATO

A partire dal secondo dopoguerra il Sudafrica iniziò a detenere un peso sempre maggiore all’interno dei disegni egemonici delle plutocrazie, venendo ad assumere un ruolo geo-strategico cruciale per la vittoria definitiva della sovversione.

Le ragioni di tale importanza furono sostanzialmente due. Innanzitutto, l’impatto simbolico sull'opinione pubblica  della fine dell’apartheid sarebbe stato immenso, visto che agli occhi del mondo il governo nazionalista di Pretoria rappresentava l’ultimo baluardo contro l’avanzata del nuovo ordine globalizzato. In caso contrario il permanere di uno stato caratterizzato da una rigida applicazione dei principi dello sviluppo separato (detto apartheid o differenziazione verticale) proprio a livello iconico/simbolico costituiva nell’immaginario collettivo una devastante negazione dell’irriversibilità del processo di mondializzazione.

In secondo luogo il governo nazionalista amministrava un paese ricchissimo di materie prime se si pensa che il Sudafrica disponeva di grandissimi giacimenti d’oro e di diamante, essendo inoltre il maggior produttore mondiale di andalusite, cromo, vanedio e platino, il secondo nella produzione di manganese e il terzo in quella di diamanti, nonché uno dei maggiori produttori mondiali di carbone, ferro, uranio.

Ecco perché la conquista del mondo e l’affermazione del nuovo ordine globalizzato non poteva prescindere dalla rimozione del governo nazionalista e secondariamente doveva passare  attraverso la riconduzione dell’economia sudafricana entro le logiche perverse del turbocapistalismo. Ecco perchè la piovra mondialista volendo fare del Sudafrica un paradiso del capitale multinazionale, nonché un formidabile vettore culturale della triade globalizzazione, mescolazionismo, omologazione culturale, non poteva rinunciare allo scontro frontale con il governo di Pretoria.

A tal fine convergevano non solo gli interessi dei grandi imprenditori americani ed europei che avevano investito in numerosi settori dell’economia sudafricana ma anche il grande capitale sudafricano, il quale fin a partire dal 1950  aveva iniziato a percepire la diminuita funzionalità del sistema politico dell’apartheid rispetto alle logiche dell’accumulo capitalista, finendo col percepirlo come una sorta di ostacolo verso un’ulteriore espansione dei profitti. In particolare, per i grandi  imprenditori locali legati a filo doppio al capitalismo internazionale (tra cui spiccava la figura di Harry Oppenheimer, presidente della De Beer e della Anglo American) lo scardinamento del regime nazionalista,  avrebbe permesso di ottenere la totale mobilità della forza lavoro nera, eliminando contestualmente ogni minaccia di embargo internazionale,  con la conseguente espulsione dai mercati africani e mondiali. Le dichiarazioni del magnate Herry Oppenheimer, strenuo difensore e sostenitore dell’opposizione antinazionalista, sono assai emblematiche: “l’attuale condanna del sistema sudafricano da parte del governo degli Stati Uniti è del tutto giustificata….. chi voglia dedicarsi con successo agli affari deve poter lavorare in un’atmosfera pacifica e il solo modo per averla è di rimettere ai neri di svolgere funzioni migliori e di sentirsi parte del sistema economico”.

Fu così che intorno alla metà degli anni settanta l’offensiva mondialista si manifestò in tutta la propria potenza disgregatrice. Inizialmente i governi corrotti delle grandi potenze adottarono una politica d’isolamento politico/diplomatico ai danni del Sudafrica, aumentando di pari passo le pressioni per indurre il crollo dell'intero sistema. A tal fine il governo venne ripetutamente minacciato di sanzioni economiche proprio nei momenti più critici per l’economia, proprio in virtù della natura fortemente esportativa dell'intero sistema sudafricano, soprattutto per i settori delle banche, delle industrie elettroniche e del comparto automobilistico. Successivamente, i governi delle grandi potenze decretarono l’embargo circa la totale vendita d’armi da e per il Sudafrica.

Ma questo era solo l’inizio, perchè a livello di opinione pubblica venne scatenata una delle più spregevoli campagne di colpevolizzazione collettiva mai ricordate nella storia. Non a caso, vent’anni dopo, un’esperta di problemi sudafricani come l’israeliana Tania Reinhart docente all’università olandese di Utrecht  avrebbe affermato: “ nel 1993 il mondo ha festeggiato la fine dell’Aparteheid in Sudafrica. Questo risultato è stato raggiunto grazie a un fortissimo boicottaggio culturale e a un isolamentio sociale senza precedenti”.

Tuttavia, l’offensiva raggiunse il culmine quando le forze della sovversione intervennero direttamente negli affari interni del Sudafrica, al fine di erodere il consenso del governo nazionalista, dividendo il granitico blocco sociale che ne costituiva la base elettorale.

A tal fine venne sostenuta e finanziata la stampa antinazionalista, nonché venne supportata la nascita di numerosi centri culturali e associazioni antisegregazioniste come il Sair, che ben presto divenne un influentissimo centro di studi di natura storica e politica.  Il capitale multinazionale si mosse anche per sostenere le fortune delle forze politiche tradizionali d’opposizione prevalentemente di natura anglofona, come il multiculturale “Congress of democrats”, o il Progressive Federal Parthy, ed altre associazioni politiche analoghe.

In secondo luogo la mano del grande capitale s’intravide dietro le prime rivolte popolari e dietro la nascita dell’opposizone nera. In primo luogo la crescita dell’ANC  fu sostenuta sottobanco con generosi aiuti  secondariamente la compiacente stampa internazionale ne garantì l’appoggio mediatico. Il tutto al fine  di trasformare degli sporadici conati di rivolta  ( iniziati con i fatti di Sharpville (1960) e Soweto (1967)) in una vera e propria rivolta generalizzata dei ghetti, come di fatto avvenne a partire dagli anni 80, fino a sfociare nella rivolta operaia del 1984.

Tuttavia, il colpo di grazia fu portato direttamente al partito nazionalista. In tal senso  industriali ed emissari americani si mossero nell’ombra per dividerne  il granitico blocco  sociale che aveva sostenuto il partito nazionalista fino ad allora. In particolare la divisione o polarizzazione dell’elettorato nazionalista fu realizzata favorendo lo spostamento ideologico dell’ala “liberal” del partito su estreme posizioni riformiste, fino ad abbandonare i presupposti ideologici del nazionalismo etnico.. Capostipite di questo spostamento del baricentro del potere interno e quindi dell’ascesa dell’ala verlighte (moderata) fu Botha, ex ministro della difesa, nonché ex generale e capo dell’esercito Sudafricano.

E’ bene notare che Botha era espressione della minoranza afrikaner di città del Capo che da sempre era stata su posizioni liberal, inoltre aveva avuto una serie strettissima di contatti con gli ambienti del grande capitale sudafricano e internazionale, nonché con gli ambienti dell’esercito, il quale  gravitando nell’orbita anglofona fin da inizio novecento era arrivato ad abbracciare posizioni sempre più filoamericane. In particolare, la convergenza dell’esercito verso svolte riformistiche del grande capitale, divenne l’ultimo atto di una vera e propria alleanza operativa tra l’ambiente degli affari internazionale, il grande capitale minerario e industriale inglese e la grande borghesia afrikaneer di città del capo di cui Botha era uno dei massimi esponenti.

Lo strappo con cui avvenne lo spostamento del baricentro del potere interno, e quindi l’ascesa al potere di Botha è ancora oscuro e rimane avvolto nel mistero. Nel 1978 infatti, Connie Mulder delfino dell’allora capo dei nazionalisti Vorster, nonché capofila dell’ala degli irriducibili, nonchè ministro dell’informazione, venne trascinato in uno scandalo montato ad arte dai giornali di opposizione; una campagna di stampa che obbligò il governo intero alle dimissioni, portando così a un cambio al vertice, e alla conseguente spaccatura dell’organizzazione con la fuoriscita di Mulder e dell’ala nazionalista. 

E’ bene notare che molti elettori nazionalisti inizialmente accolsero con favore questa evoluzione nel gruppo di potere bianco, ritenendo, in buona fede, che nel quadro di boicottaggio internazionale cui era sottoposto il Sudafrica, altra via non sarebbe esistita per continuare a garantire all’elemento bianco il ruolo di guida nella repubblica sudafricana. In altri termini, la mole di risorse e di coraggio per mantenere in piedi uno stato fondato sullo dato etnico non era più sostenibile, mentre lo smantellamento del regime dello sviluppo separato avrebbe permesso di allentare la morsa internazionale, pur mantenendo di fatto ai bianchi la leadership all’interno del paese. Tuttavia il miraggio durò ben poco e molto presto la classe operaia bianca, la burocrazia statale, i piccoli imprenditori, i nuovi immigrati europei provenienti da Angola e Rhodesia, i piccoli e medi agricoltori boeri capirono che dietro le sirene riformiste di Botha  non vi era altro che la piovra mondialista. Il piano fu completamente smascherato nel 1988 quando Botha si dichiarò pronto a organizzare una coalizione con la sinistra liberale inglese per avviare lo smantellamento dello stato etnico.  

___________________________________________________________________

Home ] Su ]

Inviare a Ventonelvento@hotmail.com un messaggio di posta elettronica contenente domande o commenti su questo sito Web.