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                                         Rivoluzione '89
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I

Voglio ora ad approfondire un punto che ho volutamente tralsciato in questa lunga discussione, ovvero il discorso sulle origini intellettuali della rivoluzione francese.

Ora, limitare quest'ultime alla filosofia illuminista sarebbe storicamente insostenbile e volutamente fazioso.
Tra le barricate parigine soffiava alto, il vento del pensiero irrazionale romantico. L'idealismo di Fichte, Hegel, di Schelling pesa più di quello dei "philosophes" alla Rousseau nello spiegare il fenomeno rivoluzionario.

Quanto c'era allora nel barricadero, nel girondino, nel pasionario giacobino dell'ideale romantico e quanto c'era invece della filosofia dei lumi?

La rivoluzione francese più che dalle teorie astratte dei lumi, non è forse la prima grande, concretizzazione storica di quel cambiamento di sensibilità romantica avvenuto nella mente degli uomini a partire dalla metà del 700?
Non vi è forse nello slancio visionario della rivoluzione la constante tensione verso l'assoluto teorizzata dal pensiero romantico?
La distruzione della iconografia monarchica non nasce forse più dalla spinta irrazionale, dal sogno,dal desiderio di fuga più che dalla reale volontà di costruire uno stato liberale?
E l'irruzione delle masse popolari nella politica non è forse l'affermarsi del romantico soggettivismo, ovvero dell'importanza del proprio io, della propria dimensione di soggeto di fronte alla storia più che dalla razionale ricerca della propria utilità individuale?

Al di là delle parole penso che un'immagine sia in grado di rappresentare meglio questo di disordinato fluire di pensieri.
Si tratta del quadro tra i più famosi della scuola romantica, che sintetizza alla perferzione il concetto hegeliano dello "spirito del tempo", in questo caso lo spirito romantico della rivoluzione, 

 

Smascherate le fandonie controrivoluzionarie di origine clericale, la conclusione di tutto questo discorso è che le origini ideali dell'89 non risalgono ai philosophes, così come la rivoluzione sia ben lungi dall'essere l'anteprima della moderna liberaldemocrazia occidentale.
Basterebbe passare dalla macrostoria alla microstoria per capirlo, ovvero cogliere lo spirito di quel tempo ricercandolo nella vita, nella biografia dei protagonisti dell'epoca, come vuole il moderno metodo storiografico.
Nel rivoluzionario dell'89, nell'uomo della barricata, nell'uomo che incita alla rivolta contro l'arroganza della monarchia non troviamo il precursore del politico liberale, il padrino dell'odierno sistema materialista occidentale; troviamo invece l' antitesi del piccolo borghese, troviamo l' "uomo contro", colui che ieri come oggi sta ai margini, al di fuori, in piena opposizione: nel 89 ai confini del terzo stato, oggi ai margini della democrazia televisiva.
Il rivoluzionario dell'89 è in fondo il tipo umano che Albert Camus ha splendidamente cantato nell "'uomo in rivolta", che è in fondo anche l'archetipo del combattente, del camerata, inteso nel suo senso più alto. Il rivoluzionario è colui che sa dire no a ciò che sente incompatibile con il suo io, colui che sa imparare a disobbedire per evitare la perdita di sè, che sa ribellarsi, ridefinendo la sua stessa libertà; colui che sa trovare la forza per opporsi ai falsi dogmi, quand'anche condivisi dalle masse, quand'anche cristallizzati nelle istituzioni.
Non è forse Maximlien Robespierre l'archetipo del vero rivoluzionario? Nato e cresciuto ad Arras ad appena due giorni di strada dalla Manica, ragazzo intelligente e povero, in grado di rinunciare, laureatosi agli agi della sua posizione per passare notti bianche al comitato di salute pubblica, e morire senza aver mai visto il mare?
Non è forse la nostra stessa volontà quella di Robespierre di portare avanti sino in fondo le proprie idee anche con una nazione contro, anche contro i più fedeli amici che ti lasciano, ti tradiscono fino a venderti?
Non è forse la nostra stessa caparbietà, quella di Maximilien di credere che le vite degli uomini possono davvero elevarsi oltre lo squallore e assomigliare alle vite di Plutarco?
Non è forse la nostra stessa granitica convinzione, quel suo credere che le combinazioni dell'alta politica non siano più delicate da risolvere che un litigio tra vicini di casa?
Non è forse il nostro stesso furore ideale quel suo riconoscere il male ovunque esista il compromesso, il mefitico stagno della prudenza e della moderazione?
Non è forse il nostro stesso modo di essere quel suo agire ad ogni costo, voler fare ovunque tabula rasa, creare dalle macerie dell'ancien regime un ordine nuovo?

Ecco allora il perchè della citazione in apertura del camerata Bruno Spamapanato, intelletuale fascista della cerchia di Bottai:
"questo Robespierre puro, onesto, semplice, freneticamente fedele alla rivoluzione piace immensamente a noi fascisti".

 

 

 

Ecco che allora capiamo il senso 
Eugène Delacroix, "la libertà guida il popolo"

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