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I |
Voglio ora ad approfondire un punto che ho volutamente
tralsciato in questa lunga discussione, ovvero il discorso sulle origini
intellettuali della rivoluzione francese.
Smascherate le fandonie controrivoluzionarie di origine
clericale, la conclusione di tutto questo discorso è che le origini ideali
dell'89 non risalgono ai philosophes, così come la rivoluzione sia ben lungi
dall'essere l'anteprima della moderna liberaldemocrazia occidentale.
Basterebbe passare dalla macrostoria alla microstoria per capirlo, ovvero cogliere lo spirito di quel tempo ricercandolo nella vita, nella biografia dei protagonisti dell'epoca, come vuole il moderno metodo storiografico. Nel rivoluzionario dell'89, nell'uomo della barricata, nell'uomo che incita alla rivolta contro l'arroganza della monarchia non troviamo il precursore del politico liberale, il padrino dell'odierno sistema materialista occidentale; troviamo invece l' antitesi del piccolo borghese, troviamo l' "uomo contro", colui che ieri come oggi sta ai margini, al di fuori, in piena opposizione: nel 89 ai confini del terzo stato, oggi ai margini della democrazia televisiva. Il rivoluzionario dell'89 è in fondo il tipo umano che Albert Camus ha splendidamente cantato nell "'uomo in rivolta", che è in fondo anche l'archetipo del combattente, del camerata, inteso nel suo senso più alto. Il rivoluzionario è colui che sa dire no a ciò che sente incompatibile con il suo io, colui che sa imparare a disobbedire per evitare la perdita di sè, che sa ribellarsi, ridefinendo la sua stessa libertà; colui che sa trovare la forza per opporsi ai falsi dogmi, quand'anche condivisi dalle masse, quand'anche cristallizzati nelle istituzioni. Non è forse Maximlien Robespierre l'archetipo del vero rivoluzionario? Nato e cresciuto ad Arras ad appena due giorni di strada dalla Manica, ragazzo intelligente e povero, in grado di rinunciare, laureatosi agli agi della sua posizione per passare notti bianche al comitato di salute pubblica, e morire senza aver mai visto il mare? Non è forse la nostra stessa volontà quella di Robespierre di portare avanti sino in fondo le proprie idee anche con una nazione contro, anche contro i più fedeli amici che ti lasciano, ti tradiscono fino a venderti? Non è forse la nostra stessa caparbietà, quella di Maximilien di credere che le vite degli uomini possono davvero elevarsi oltre lo squallore e assomigliare alle vite di Plutarco? Non è forse la nostra stessa granitica convinzione, quel suo credere che le combinazioni dell'alta politica non siano più delicate da risolvere che un litigio tra vicini di casa? Non è forse il nostro stesso furore ideale quel suo riconoscere il male ovunque esista il compromesso, il mefitico stagno della prudenza e della moderazione? Non è forse il nostro stesso modo di essere quel suo agire ad ogni costo, voler fare ovunque tabula rasa, creare dalle macerie dell'ancien regime un ordine nuovo? Ecco allora il perchè della citazione in apertura del camerata Bruno Spamapanato, intelletuale fascista della cerchia di Bottai: "questo Robespierre puro, onesto, semplice, freneticamente fedele alla rivoluzione piace immensamente a noi fascisti".
Ecco che allora capiamo il
senso
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