DALLE QUANTITÀ ALLE STRUTTURE:

L'IDEA DI GALOIS

Renato Betti (Politecnico di Milano)



1. Lo sviluppo dell'algebra fra fine '700 e inizio '800 è stato caratterizzato da un idea semplice e profonda che, per l'andamento che ha determinato e con linguaggio che si usava un tempo, si può senz'altro definire "paradigmatica".

Che sia un'idea semplice è dovuto al fatto che nel frattempo è stata notevolmente sviluppata e compresa in molti suoi aspetti: non era certo semplice allora. Il "cambio di paradigma" poi consiste in una svolta profonda nella concezione stessa dell'algebra. Di cosa si tratta? Del fatto che una materia, l'algebra, sorta letteralmente attorno al problema della risolubilità di certe equazioni, quelle che per l'appunto oggi diciamo "algebriche", a un certo punto del suo sviluppo e proprio quando era in vista di una soluzione tutt'altro che banale del suo problema costitutivo, si accorge contemporaneamente che il "vero" problema non era quello. Sposta l'attenzione su altri oggetti e altri metodi. Cambia natura.

Lo studio delle soluzioni delle equazioni algebriche è molto antico. Com'è noto, all'inizio tutto era geometria e aritmetica poi, progressivamente ed a fatica, l'algebra comincia ad assumere caratteri di autonomia e precisa il suo status di "scienza delle equazioni". In seguito, soprattutto con l'affermarsi del "calcolo simbolico" diventa, dapprima in modo ancora incerto e problematico poi sempre più sicuro e consapevole, la scienza che tratta le "quantità" in termini molto generali.

Questa è la situazione presente al momento della svolta, quando si fa strada la consapevolezza che, più che i valori numerici delle soluzioni o l'esistenza di formule risolutive, quello che interessa sono le relazioni che sussistono fra le radici, fra di loro e con i coefficienti dell'equazione. L'attenzione va posta all'ambiente numerico in cui si trovano i coefficienti, alle proprietà di quello in cui andare a cercare le soluzioni e così via. Si tratta dei più profondi problemi di "struttura", che prendono il sopravvento sul puro calcolo. E la materia assume lo statuto attuale di "studio delle strutture".

Niente di straordinario. Si tratta di un processo che in fondo è consueto a certe forme dello sviluppo scientifico ed è spesso presente in matematica. Eppure è sempre degno d'attenzione e d'analisi, anche perché la materia che ne è emersa è quella con la quale ci confrontiamo tuttora, è l'algebra moderna, ed ha concorso grandemente a determinare i profondi cambiamenti nella matematica che si sono resi evidenti nel corso del XIX secolo.

L'artefice di questo cambiamento fu Evariste Galois. Questo non significa tuttavia che Galois sia l'unico esponente, geniale ma isolato, di questo sviluppo. Tutt'altro. Galois, che lui volesse o no, è l'erede del lavoro di molti, da cui ha colto e di cui ha sintetizzato le idee profonde: la teoria di Galois rappresenta il punto nel quale gli aspetti strutturali diventano maturi e predominanti. Dalla sua concezione emerge la nozione di "gruppo", che presto si estenderà a numerosi contesti, apparentemente isolati, e se ne rende manifesta l'importanza. Dal suo lavoro lo studio delle equazioni algebriche si trasforma in una teoria delle estensioni dei campi numerici e delle relazioni che le lega ai gruppi di automorfismi, quella che oggi si chiama corrispondenza di Galois: il problema originario di risolvere le equazioni algebriche scompare o, nel migliore dei casi, rimane ormai a titolo di esempio.

Chi era Evariste Galois? La sua è una delle figure più affascinanti di tutta la storia della matematica. Sicuramente è quello che, in quanto personaggio e non per la sua opera matematica, più di tutti ha suscitato la curiosità e l'interesse dei non matematici. A Galois sono state dedicate biografie, film e perfino un romanzo. La sua vicenda storica e la sua morte, tragica e precoce, hanno sollecitato l'immaginazione e sono noti in molti ambienti, anche non scientifici. Perfino la sua riscoperta, postuma e in qualche modo casuale, fa parte del personaggio.

Galois era un eroe romantico, come si addiceva ai tempi, e politicamente appassionato. Come molti eroi romantici, morì per le conseguenze di un duello a cui era stato provocato. Era il 1832 e non aveva ancora compiuto ventuno anni. Anche il giovane Pùskin morirà allo stesso modo in quegli stessi anni '30. E, poco tempo dopo, anche Lermontov.

Le sue vicende con l'ambiente matematico ufficiale furono tormentate da intolleranza e mancanza di riconoscimento. Galois era insofferente all'ordine, coinvolto nella politica del suo tempo, conscio della propria genialità. Sicuramente conosceva la matematica del suo tempo e, forse, al fatto che sia riuscito dove i suoi contemporanei si erano arrestati non sono estranei proprio la sua mancanza di conformismo ed il suo impegno politico.

Nella sua breve vita ha scritto e pubblicato pochissimo, ma ha influenzato la matematica, non solo del suo tempo, in maniera molto profonda.

2. Che cos'è un equazione algebrica? Una equazione particolare di grado n è l'equazione che si ottiene uguagliando a zero un polinomio di grado n in una indeterminata:

xn+a1xn-1+¼+ an = 0 

dove i coefficienti appartengono a un campo numerico che, solo all'inizio, possiamo pensare, come forse accadeva nei tempi antichi, sia il campo razionale Q.

I coefficienti dell'equazione appartengono a un campo numerico per garantire la chiusura rispetto alle operazioni e le consuete buone proprietà. Ma il campo non deve essere "fissato" una volta per tutte: al contrario, i risultati della teoria dipendono fortemente dalla possibilità di "variare il campo di base".

Questo fatto si capisce già se si suppone che l'equazione non abbia i coefficienti assegnati, ma sia l'equazione generale di grado n: in questo caso i coefficienti sono dei "simboli", e quindi degli elementi algebricamente indipendenti su Q (nel senso che fra loro non sussiste alcuna relazione algebrica a coefficienti razionali) e il problema è quello di trovare una formula risolutiva. Ciò significa che si tratta di un'equazione a coefficienti nel "minimo" campo, rispetto all'inclusione, che contiene sia Q che i simboli ai cioè nel campo Q(a0,¼,an) delle funzioni razionali nelle indeterminate a0,¼,an, a coefficienti in Q.

In questo modo, pur di considerare diversi campi dei coefficienti, si raggiunge una grande unità: l'equazione generale su Q non è che un'equazione particolare a coefficienti in un altro campo, precisamente nel campo delle funzioni razionali.

Ma il senso della "variabilità del campo di base" non si arresta certo qui.

Consideriamo infatti la forma particolare che è richiesta alle soluzioni: devono essere esprimibili per radicali a partire dal campo dei coefficienti. Che un'equazione sia risolubile per radicali significa che le sue radici si possono determinare per mezzo delle operazioni razionali e dell'estrazione di radici di indice qualsiasi, a partire dal campo a cui appartengono i coefficienti. Queste sono le cosiddette soluzioni algebriche e questa era la forma sotto cui storicamente si sono sempre cercate le formule risolutive delle equazioni algebriche.

L'estrazione di radice obbliga ad uscire dal campo dei coefficienti e possibilmente a studiare equazioni intermedie i cui coefficienti si trovano in campi più estesi. La variazione del campo di base è una necessità e, forse, grande parte dei problemi sorti storicamente nello studio delle equazioni algebriche risiede proprio nella difficoltà, concettuale prima che tecnica, di considerare ambienti numerici diversi per le diverse equazioni che si presentano. Questo studio richiede propriamente una concezione matura della nozione di "struttura", come si capisce dalla definizione formale di risolubilità per radicali.

Definizione. Sia K un campo numerico. Si dice che K è un'estensione radicale del campo razionale Q se è generato su Q da un numero finito di elementi radicali: K = Q(r1,r2,¼,rh).

Questo significa:

1. esiste una sequenza di elementi radicali r1, r2, ¼, rh, cioè di elementi per ciascuno dei quali esiste un intero ki tale che

riki ÎQ(r1,¼,ri-1)

(i = 1,2,¼,h, avendo posto r0 = 1).

2. K è il minimo campo, rispetto all'inclusione, che contiene sia Q che gli elementi radicali ri.

Così, r1k1 ÎQ, r2k2 ÎQ(r1), ¼, rhkhÎ Q(r1,r2,¼,rh-1) e una equazione a coefficienti razionali è risolubile per radicali se le sue radici appartengono a un'estensione radicale del campo Q:

Q ÌQ(r1) Ì ¼Ì Q(r1,¼,rh) = K 

Naturalmente, questa definizione si adatta a qualunque campo di base dei coefficienti.

3. Esempi di equazioni di secondo grado con soluzioni che, seppure espresse in forma retorica, prefigurano la formula risolutiva attuale sono note fin dai tempi dei babilonesi. Anche i matematici greci del periodo classico risolvevano queste e alcune equazioni di grado superiore con metodi geometrici: tutto l'argomento verrà per questo conosciuto con il termine "algebra geometrica". Un punto di svolta si ha sicuramente con la nascita di una notazione simbolica adeguata ai problemi algebrici e la comparsa esplicita dell'idea di "algoritmo", cioè di metodo formale, libero da ogni interpretazione.

Forse, il primo riconoscimento dell'algebra in quanto materia "per sé", dotata di autonomi problemi e metodi formali, spetta alla scuola araba che fiorì dal IX al XIV secolo: come è noto, a questa scuola si deve anche il nome stesso "algebra". La lunga storia delle equazioni algebriche continua con alterne speranze e fortune, legata talvolta ad esponenti di assoluto rilievo quali ad esempio Leonardo Fibonacci, fino al successivo punto di svolta, che si manifestò in pieno Rinascimento italiano, all'interno della scuola matematica bolognese.

Alla fine del '400 viene pubblicato il primo libro a stampa che, a dispetto del titolo, aveva per soggetto l'algebra, la Summa de Arithmetica di Luca Pacioli, il quale riassume le concezioni generali e la situazione dell'epoca paragonando per difficoltà la ricerca delle soluzioni dell'equazione generale di terzo grado a quello della quadratura del cerchio. Ma si sbagliava. Ormai i tempi erano maturi. Dapprima Scipione del Ferro e poi, in maniera indipendente, Nicolò Fontana (il "Tartaglia") trovarono la formula risolutiva per radicali dell'equazione del terzo grado. Pochi anni dopo, sulla scia del successo, anche l'equazione di quarto grado venne risolta per radicali, ad opera di Ludovico Ferrari.

Queste formule furono pubblicate inizialmente nella Ars Magna di Gerolamo Cardano (1545) e quindi tutta la materia venne completata e sistemata da un altro matematico bolognese, Rafael Bombelli nella Algebra (1572). Così, verso la fine del '500, i matematici si concentrarono fiduciosi sulle equazioni di grado superiore al quarto.

Qui cambia la storia. I continui insuccessi nella ricerca di una formula risolutiva per le equazione di quinto grado fecero di questo il problema centrale del '700. La prima risposta conclusiva al problema venne alla fine del secolo:

Teorema (Ruffini, 1799). L'equazione generale di grado superiore al quarto non è risolubile per radicali.

Il lavoro di Ruffini fu in qualche modo ignorato dall'ambiente matematico dell'epoca e perfino accusato di imprecisione, ma il risultato fu confermato nel 1824 da Abel, che superò le presunte insufficienze di Ruffini. Nel frattempo una classe importante di equazioni algebriche era stata affrontata con successo nelle Disquisitiones Arithmeticae di Gauss:

Teorema (Gauss, 1801). Le equazioni binomie xn-1 = 0 sono risolubili per radicali.

In seguito, seguendo un suggerimento contenuto nel lavoro di Gauss, Abel trovò una vasta classe di equazioni risolubili per radicali, contenente come caso particolare le equazioni binomie:

Teorema (Abel, 1829). Se le radici di un'equazione sono funzioni razionali di una di esse: xi = fi(x1) e sono soddisfatte le proprietà fifj = fjfi per ogni i ed ogni j, allora l'equazione è risolubile per radicali.

Oggi le equazioni che soddisfano le proprietà del teorema di Abel si dicono equazioni abeliane e la relazione fra le funzioni razionali delle radici è passata a denotare, col nome di Abel, tutte le situazioni di commutatività.

Il problema che rimane dopo questa serie di risultati è chiaro: si può trovare un criterio per decidere quali equazioni sono risolubili per radicali e quali no, ed anche che permetta di capire meglio dove si fondi la differenza fra questi due tipi di equazione?

Questo sarà il risultato di Galois. Ma, con un passo indietro, è bene tornare prima al suo precursore Lagrange e, prima ancora, all'idea di simmetria delle radici che stava maturando.

4. L'attenzione verso le proprietà di tipo "strutturale" delle radici di un'equazione algebrica, anziché verso i valori numerici, sembra presentarsi originariamente per il fatto che le radici dell'equazione generale sono, a priori, indistinguibili l'una dall'altra, nel senso di intervenire in maniera simmetrica nell'equazione.

Questa simmetria si esprime per mezzo dei legami fra le radici dell'equazione ed i suoi coefficienti, i quali forniscono una parte delle informazioni sulle radici. Le relazioni fra coefficienti e radici oggi sono conosciute attraverso le cosiddette formule di Viète, indagate da Viète alla fine del '500, poi da Girard nella prima metà del '600 e, indipendentemente, da Newton.

Se xn+a1xn-1+¼+an = (x-X1)(x-X2)¼(x-Xn), vale a dire se X1, X2, ¼, Xn sono le radici di un polinomio ed ak sono, ordinatamente, i coefficienti, allora:

ì
ï
ï
í
ï
ï
î
-a1
= X1+X2+¼+Xn
a2
= X1X2+X1X3+¼+Xn-1Xn
¼
(-1)nan
= X1X2¼Xn

A parole: i coefficienti sono, a meno del segno, le funzioni simmetriche elementari delle radici.

Per studiare un'equazione, la prima idea di tipo "strutturale" è quella di raggruppare le radici secondo criteri di "simmetria".

Allo scopo di utilizzare l'analogia con la simmetria geometrica, dove la nozione risulta più evidente, si pensi a una espressione razionale fra le radici di un'equazione algebrica come a una "figura" determinata dall'equazione: i coefficienti dell'espressione apparterranno al campo dei coefficienti dell'equazione originaria e le trasformazioni rispetto alle quali si considera la simmetria sono le permutazioni delle radici. Da questo punto di vista, il "gruppo di simmetria" di un'equazione è formato da quelle permutazioni che lasciano inalterate tutte le "figure": in questo senso, rispetto alle funzioni simmetriche, le radici sono "indistinguibili" l'una dall'altra. Ad esempio, per l'equazione generale di grado n, le uniche "figure", sono le funzioni simmetriche e il "gruppo di simmetria" dell'equazione generale è formato dal gruppo Sn, che per l'appunto è detto gruppo simmetrico su n elementi.

Per distinguere le radici, le "figure" simmetriche non sono utili. Quelle che occorrono, sono delle espressioni razionali, a coefficienti nel campo dei coefficienti dell'equazione, che assumono valori diversi quando si permutano le radici.

Ad esempio, le radici X1 = Ö2, X2 = -Ö2 e X3 = 1 dell'equazione (x2-2)(x-1) = 0, a coefficienti razionali, ammettono la "figura" X1+X2 = 0, per mezzo della quale le radici X1 e X2 si distinguono da X3. A loro volta, X1 e X2 non sono distinguibili nel campo razionale, nel senso che ogni loro espressione razionale a coefficienti razionali è necessariamente simmetrica.

Vale la pena di dimostrare quest'ultimo fatto: sia F(X1,X2) = 0 una relazione a coefficienti razionali fra queste radici, allora si verifica che vale anche la relazione F(X2,X1) = 0. Infatti, si consideri il polinomio G(x) = F(x,-x) e si divida per x2-2. Si ha:

G(x) = F(x,-x) = (x2-2)Q(x)+ R(x) 

dove Q(x) è il quoziente e R(x) = ax+b è il resto (necessariamente di grado £ 1).

Si ha: G(X1) = F(X1,X2) = R(X1) = 0 e quindi aX1+b = 0, cioè a = b = 0 perché a e b sono razionali (questa non è che la dimostrazione dell'irrazionalità di Ö2).

Dunque G(x) = F(x,-x) = (x2-2)Q(x) e F(X2,X1) = G(X2) = 0 e le radici X1 e X2 non sono distinguibili dal punto di vista del campo razionale perché ogni "figura" su Q è simmetrica rispetto a X1 e X2. Ma non lo è rispetto all'estensione QÌ Q(Ö2): basta considerare la "figura" X1-Ö2 = 0 a coefficienti in questa estensione e le radici X1 e X2 diventano distinguibili da questo nuovo punto di vista.

5. Nel 1770 compare la prima parte di un'opera di Lagrange dedicata a uno studio unitario delle soluzioni delle equazioni generali di secondo, terzo e quarto grado, alla ricerca di un principio che permetta di affrontare le equazioni di grado superiore. Si tratta delle Refléxions sur la résolution algébrique des equations, un lavoro che pose le basi del successivo lavoro di Gauss sulle equazioni binomie e di quello di Galois.

I risultati espliciti di Lagrange sono i seguenti:

Teorema (Lagrange, 1770-71). Se j è un'espressione razionale in n indeterminate ed m è il numero dei valori distinti che assume sotto l'azione delle n! permutazioni delle indeterminate, allora

m =  n!
|I(j)|

dove I(j) è il "gruppo di isotropia" di j, vale a dire il gruppo delle permutazioni che non alterano j.

Questo è l'enunciato originario di quello che oggi è noto come teorema di Lagrange, il primo teorema che si studia in teoria dei gruppi: in un gruppo finito, l'ordine di un sottogruppo è un divisore dell'ordine del gruppo.

Inoltre, come si ottiene dal successivo risultato, che è più generale in quanto considera i valori assunti dall'espressione j sotto l'azione delle permutazioni di un sottogruppo di Sn, la j si può ottenere come radice di un'equazione di grado m i cui coefficienti si esprimono razionalmente mediante le funzioni simmetriche elementari delle indeterminate.

Ad esempio, l'espressione j = X1X2+X3X4 assume tre valori sotto l'azione delle 24 permutazioni su 4 elementi (in maniera equivalente, I(j) ha 8 elementi). Precisamente, i valori distinti sono:

j1
= X1X2+X3X4
j2
= X1X3+X2X4
j3
= X1X4+X2X3

e j = j1 è radice dell'equazione di terzo grado:

(x-j1)(x-j2)(x-j3) = 0

i cui coefficienti sono funzioni simmetriche elementari delle indeterminate (e dunque sono razionali se al posto delle indeterminate si mettono le radici dell'equazione generale di quarto grado).

Consideriamo ora il risultato generale di cui si è detto prima:

Teorema (Lagrange, 1770-71). Se j e y sono espressioni razionali in n indeterminate, e j assume m valori distinti sotto l'azione delle permutazioni di I(y), allora j è radice di un'equazione di grado m, i cui coefficienti si esprimono razionalmente mediante y e le funzioni simmetriche elementari.

È chiaro che basta prendere per y una qualunque funzione simmetrica per avere che I(y) = Sn, quindi |I(y)| = n! e il secondo teorema si riduce al primo.

Per illustrare questo risultato consideriamo ora come y l'espressione y = X1X2+X3X4, della quale sappiamo che |I(y)| = 8, e prendiamo j = (X1+X2)-(X3+X4). Si vede facilmente che, sotto l'azione delle 8 permutazioni di I(y), l'espressione j assume solo i due valori:

j1
= (X1+X2)-(X3+X4)
j2
= (X3+X4)-(X1+X2

Dunque j = j1 è radice di un'equazione di secondo grado a coefficienti in Q(y).

Con questi risultati si ha una maniera unitaria per esprimere le soluzioni dell'equazione generale di grado n per progressive estensioni del campo razionale. Si trova qui, in germe, quella che sarà in seguito nota come corrispondenza di Galois: la corrispondenza fra estensioni del campo dei coefficienti e i sottogruppi del gruppo di simmetria dell'equazione.

Per trovare la soluzione dell'equazione generale col metodo di Lagrange, occorre determinare una successione V0 ,V1 ,¼,Vh di espressioni razionali nelle radici dell'equazione e nelle radici n-me dell'unità per la quale valgano le seguenti proprietà:

1. V0 sia simmetrica nelle indeterminate (che sono le radici) e quindi razionale,

2. Vh sia una radice dell'equazione,

3. per ogni i = 1,2,¼,h si verifichi una delle seguenti condizioni:

a) Vim = Vi-1 (quindi Vi si calcola con un'estrazione di radice m-ma), oppure

b) i valori assunti da Vi sotto l'azione delle permutazioni che lasciano inalterata Vi-1 sono in numero minore di n (e quindi si possono calcolare risolvendo un'equazione ausiliaria di grado < n a coefficienti nell'estensione del campo razionale mediante i precedenti V1,¼,Vi-1).

Il metodo di Lagrange funziona bene per le equazioni di grado inferiore al quinto. Nel caso delle equazioni di secondo grado, si hanno 2! = 2 permutazioni delle radici e l'equazione ausiliaria comporta l'estrazione di una radice quadrata. Per le equazioni di terzo grado, l'equazione ausiliaria si presenta di grado 3! = 6 ma è un'equazione di secondo grado in un cubo: dunque si risolve con una radice cubica effettuata su queste soluzioni intermedie. Nel caso dell'equazione generale di quarto grado, l'equazione ausiliaria ha grado 4! = 24, ma si riconduce prima a una di terzo, poi a una di secondo nella potenza quarta dell'incognita. Inoltre, fino al quarto grado, il metodo formalizza bene i modelli forniti dalle formule risolutive di secondo grado, di Tartaglia e di Ferrari.

Cosa accade con l'equazione generale di quinto grado? È possibile determinare le sue radici in funzione delle soluzioni di certe equazioni ausiliarie di grado inferiore? Questo è legato alla possibilità di trovare un'espressione razionale in cinque indeterminate che ammetta meno di cinque valori sotto l'azione delle permutazioni del gruppo simmetrico S5.

Ma per l'equazione di quinto grado la più semplice espressione razionale delle radici che porta alle soluzioni è data da:

j = X1+aX2+a2X3+a3x4 +a4X5

dove a è una radice primitiva quinta dell'unità (espressioni di questo tipo furono in seguito dette brevemente risolventi di Lagrange). Si hanno 5! = 120 permutazioni delle radici e quindi un'equazione ausiliaria di grado 120 a coefficienti razionali, la quale si può vedere come di grado 24 nella quinta potenza dell'incognita in quanto j assume solo 24 valori. Rimane così un'equazione di grado 24, ulteriormente riconducibile al sesto grado: per quanto fosse di un tipo molto particolare, non si riusciva a ridurla ulteriormente di grado e Lagrange espresse la convinzione che non fosse risolubile per radicali. Qui si arrestano le Réflexions e da qui si può considerare il contributo di Galois.

6. In mano a Galois l'interesse per le equazioni algebriche abbraccia sia l'equazione generale che le equazioni particolari e il problema viene radicalmente trasformato: da una ricerca di formule risolutive diventa lo studio delle proprietà di un gruppo associato in maniera invariante all'equazione, quello che oggi chiamiamo gruppo di Galois dell'equazione e che ne è il "gruppo di simmetria".

Il lavoro di Galois è essenzialmente contenuto nella sua Memoire sur les conditions de résolubilité des équations par radicaux del 1831, che verrà pubblicato molti anni dopo la sua morte.

La relativizzazione del gruppo di simmetria alle equazioni particolari porta a definire il gruppo di Galois GalP(F) del polinomio P sul campo F come il gruppo di quelle permutazioni delle radici di P che lasciano inalterata ogni relazione a coefficienti in F che sussista fra le radici (quella che prima si è detta una "figura" su F).

Questa definizione è poco "operativa", nel senso che non fornisce un criterio pratico per trovare il gruppo di Galois. In seguito verranno dati dei metodi dotati di un maggiore carattere di efficienza ma, già esplicitamente in Galois, non è questo il problema. Ciò che interessa è stabilire una corrispondenza fra le estensioni dei campi nei quali si considerano le radici delle equazioni e i loro gruppi di simmetria. Una corrispondenza già stabilita in Lagrange, sicuramente presente nel lavoro di Gauss, ma da questi non utilizzata per fornire esplicitamente un criterio di risolubilità per radicali.

Il successivo passo di Galois coinvolge il cambiamento del campo di base per i coefficienti: come cambia il gruppo di Galois quando si estende F? È questo, propriamente, il tema della "variazione del campo di base".

La risposta è semplice: se F Ì K, si hanno più "figure" a coefficienti in K e quindi meno simmetria. In definitiva:

F Ì K   Þ GalP(F) É GalP(K) 

Si noti che il polinomio P, per così dire, tende a scomparire: l'argomento principale per il gruppo di Galois è il campo F.

La "prima" estensione di F è quella che oggi chiamiamo estensione algebrica semplice F(u): si ottiene aggiungendo a F la radice u di un polinomio. Il risultato di Galois in questo caso rimanda al corrispondente risultato di Lagrange, anche se ne differisce per generalità:

Teorema (Galois, 1831). Se u è radice di un'equazione irriducibile T(x) = 0 a coefficienti in F, allora

|GalP(F)|
|
GalPF(u)|

è un divisore del grado di T.

In questo modo, le catene di estensioni di campi si possono "tradurre" in catene di sottogruppi del gruppo di Galois. Ma la "corrispondenza di Galois" non è biunivoca e non permette di trovare un criterio di risolubilità solo in termini del gruppo di Galois. A questo provvede il seguente risultato, dovuto a Galois, anche se da questi espresso in forma diversa.

Infatti, la corrispondenza si fa biunivoca se invece di considerare catene di sottogruppi si considerano catene di sottogruppi normali o invarianti. In questo caso, se il sottogruppo è normale, i laterali destri e sinistri coincidono e permettono di suddividere il gruppo in classi di equivalenza. Questa intuizione di Galois, da lui formulata col termine scomposizione propria, viene "trasferita" alle estensioni.

Teorema fondamentale della teoria di Galois. Se K = F(u1,¼,um) si ottiene da F aggiungendo tutte le radici u1, u2, ¼ ,um dell'equazione irriducibile T(x) = 0, allora GalP(K) è un sottogruppo normale di GalP(F), vale a dire:

s Î GalP(F) e t Î GalP(K) Þ  sts-1Î GalP(K) 

Le estensioni di F per mezzo di tutte le radici di un polinomio irriducibile sono oggi dette estensioni normali e la biunivocità della "traduzione" avviene fra catene di estensioni normali di F e catene di sottogruppi normali del gruppo di Galois. Questo permette di dare un criterio di risolubilità per radicali, sotto l'ipotesi (di comodo, ma non necessaria) che P sia un polinomio privo di radici multiple:

Criterio di risolubilità per radicali. Se P è un polinomio a coefficienti in F privo di radici multiple, l'equazione P(x) = 0 è risolubile per radicali se e solo se esiste una catena di sottogruppi, detta catena di risolubilità:

GalP(F) = G0 É G1 É ¼É Gh = (id) 

tale che per ogni i = 1,2,¼h il sottogruppo Gi sia normale in Gi-1 e il rapporto

pi |Gi|
|
Gi-1|

sia un numero primo.

In presenza di una catena di risolubilità per l'equazione P(x) = 0 il problema è ricondotto a una catena di equazioni binomie di grado pi, che sono risolubili per radicali, come aveva dimostrato Gauss nel 1801. Quando il gruppo di simmetria è ridotto alla sola identità, non c'è più alcuna simmetria e tutte le radici sono distinguibili.

Anche l'equazione generale di quinto grado si può trattare agevolmente:

Teorema (Ruffini, Abel). Il gruppo simmetrico Sn non è risolubile per radicali se e solo se n ³ 5.

Il metodo si applica a qualunque equazione e fornisce un criterio che coinvolge il reticolo dei sottogruppi di un gruppo finito. Dunque in linea di principio si può sempre dare una risposta al problema della risolubilità per radicali, pur di essere in grado di calcolare il gruppo di Galois del polinomio e di analizzare tutti i suoi sottogruppi. Ma non solo. Il metodo fa cambiare di prospettiva a tutta l'algebra, apre una nuova concezione e nuovi campi di indagine. Comincia una nuova storia.

Bibliografia

La prima esposizione della teoria di Galois risale al 1856-57 ed è dovuta a Dedekind. Si trova anche in edizione italiana:

J.W.R Dedekind, Lezioni sulla teoria di Galois, ed. it. a cura di L. Toti Rigatelli, Sansoni 1990

Le numerose esposizioni moderne della teoria, in generale, si basano sulla sistemazione concettuale operata da E. Artin negli anni '30 del '900. Ne segnalo alcune che si preoccupano di mettere in evidenza il carattere di grande unità che la teoria raggiunge, e di approfondire gli aspetti algebrici:

E. Artin, Galois theory, Notre Dame University Press 1948

I. Stewart, Galois theory, Chapman and Hall 1973

C. Procesi, Elementi di teoria di Galois, Decibel 1977

J.R. Bastida, Field extensions and Galois theory, Addison and Wesley 1984

D.J.H. Garling, A course in Galois theory, Cambridge University Press 1986

A partire dal problema originario della risolubilità per radicali delle equazioni algebriche e anche dal punto di vista storico:

B.M. Kiernan, The development of Galois theory from Lagrange to Artin, Archiv. Hist. Exact Sc. 8 (1971), 40-154

C. Mutafian, Équations algébriques et théorie de Galois, Vuiber 1980

H.M. Edwards, Galois theory, Springer 1984 (contiene la traduzione inglese degli scritti di Galois sulla teoria delle equazioni)

J.-P. Tignol, Galois' theory of algebraic equations, Longman 1988 (originalmente pubblicato in francese come Leçons sur la théorie des équations, Monographies de Mathématique N. 1, UCL, Louvain-la-Neuve, Belgium)

L. Toti Rigatelli, La mente algebrica, Bramante 1989

Infine alcune biografie di Galois:

F. Hoyle, Ten faces of the Universe, Freeman 1977

T. Rothman, Science à la mode, Princeton University Press 1989

L. Toti Rigatelli, Matematica sulle barricate, Sansoni 1993