I giocatori d'azzardo interpellano i matematici

Da L.Lomabardo Radice/ L. Mancini Proia, Il metodo matematico nel mondo moderno, ed. Principato, Milano 1988, p.189

Abituati come siete alla televisione, alla radio, al cinema, alla illuminazione stradale e alla rapidità dei trasporti, non so se vi siate mai chiesti: " Come passava il tempo la gente, la sera dopo il tramonto, nel Medio Evo e nel Rinascimento, e in fondo anche 100 anni fa, perché anche 100 anni fa tutte quelle cose non c'erano? " Ma lasciamo pure da parte l'ottocento, il secolo che precede il nostro. In fondo, 100-150 anni fa era abbastanza diffuso e popolare almeno il teatro (commedie, drammi in prosa e in musica - " i melodrammi ", o drammi cantati). Inoltre, case e città venivano via via sempre meglio illuminate con diversi tipi di lampioni, molto prima della luce elettrica; ci si muoveva di più, c'era più vita di relazione (lesto, visito, balli, serate con amici).

Tuttavia, anche 100 o 150 anni fa, e a maggior ragione nel Rinascimento o addirittura nel Medioevo, il grande passatempo di tutti, dal monarca al popolano, era il gioco d'azzardo. Giocare: a carte, ai dadi, alla morra, alla "zara"1 ecco il grande svago dei tempi antichi. Giocare, e scommettere.

Scommettere su tutto Una donna aspetta un figlio, in un quartiere della Firenze de! `400, quella di Lorenzo il Magnifico? Ed ecco tutto il quartiere che scommette se nascerà maschio o femmina. Una specie di " totocalcio ", molto elementare Naturalmente qualcuno ci guadagnava sopra, raccogliendo le puntate, registrandole, e trattenendo poi per sé una percentuale sulle vincite. Nella commedia Il campiello di Carlo Goldoni (sono passati circa tre secoli, siamo verso la metà del `700) è la scena della lotteria tra te comari, organizzata da un affarista ambulante: l'estrazione a sorte dei premi viene fatta se ben ricordo, colle carte dei " tarocchi ".

Torniamo indietro nel tempo. A Genova, nel 1576, viene emanata una nuova Costituzione della Repubblica (allora indipendente, e fiorente);. Si stabiliva, tra l'altro, che ogni sei mesi cinque " ministri " lasciassero la loro carica, e venissero sostituiti da altrettanti " deputati" per estrazione a sorte. Dapprima si dovevano sorteggiare cinque nomi su centoventi, poi "cinque su novanta"; prima si mettevano nel bussolotto i nomi, poi numeri (un numero per ciascun candidato). I genovesi cominciano a scommettere: quale sarà la cinquina di nomi, o numeri, che salterà fuori dai novanta cartellini imbussolati? Questo gioco d'azzardo si chiamò all'inizio lotto genovese: poi, diffondendosi, si chiamò lotto senz'altro: esiste ancora oggi, e nessuno (o quasi nessuno) sa la curiosa storia delle sue lontane origini. Dunque: gioco e scommesse. Anche nel popolo.

Ma, naturalmente, nelle Corti e nei palazzi dell'aristocrazia, tra la gente potente, ricca e oziosa, il gioco d'azzardo diventa una mania, una fissazione, quasi lo scopo della vita almeno per certuni. Tra i giocatori d'azzardo vi sono anche gentiluomini colti e dotati di spirito ai osservazione: si chiedono su quale risultato convenga puntare; nel gioco dei dadi2, di grande moda nel Cinquecento e nel Seicento, hanno cura di registrare tutte le uscite o risultati di una e più serate di gioco (le scoperte dei dadi si diceva al1ora (in modo espressivo) calcolando così la frequenza delle varie " uscite " Qualcuno dei più intelligenti si chiede "perché" non riesce a trovare una risposta soddisfacente e interpella allora qualche matematico famoso: Blaise Pascal se si tratta di un cavaliere francese, Galileo Galilei nel caso di gentiluomini fiorentini. Alcuni gentiluomini fiorentini, appassionati del gioco con tre dadi, chiedono a Galileo (attorno a 1630): "La lunga osservazione ha fatto da i giocatori stimarsi più vantaggioso 'l 10 e 'l 11 che 'l 9 e 'l 12 [ … ] ancor che 'l 9 e 'l 12 in altrettante maniere si componghino in quante 'l 10 e 'l 11; perche? " Daremo tra un momento, la risposta esauriente data per iscritto da Galilei3.

La risposta e chiarissima; la potreste leggere tranquillamente da soli, incontrando solo difficoltà... linguistiche ma non difficoltà matematiche. Prima però, vogliamo dare qualche breve notizia sulle Domande poste dal Cavaliere De Meré a Blaise Pascal e a Pierre Fermat, (i massimi luminari in quel momento, dopo la morte dì Descartes, della matematica francese), nel 1654 Alcune domande del Cavaliere sono molto arzigogolate, da vero fanatico dei dadi. C'è, o no, egli chiede, la stessa probabilità di vincere scommettendo che esca almeno un 6 su 4 tiri consecutivi, lanciando un dado alla volta, oppure scommettendo che escano almeno due 6 su 24 tiri, lanciando due dadi alla volta ? Secondo il contorto modo di ragionare del Cavaliere De Meré, la risposta avrebbe dovuto essere si". La risposta giusta e invece no , e Pascal la diede calcolando quanti sono i casi favorevoli allo scommettitore rispetto a tutti i casi possibili.

Non c'è difficoltà nel calcolare tutti i casi possibili soprattutto quando si fanno più tiri con un solo dado. Infatti, facendo un tiro, i casi possibili sono sei; facendo due tiri consecutivi a ognuna delle sei possibilità del primo tiro si accoppia ad arbitrio (a caso) ciascuna delle sei possibilità del secondo tiro, e 6´ 6 = 62 = 36.

In una sere di 3 tiri consecutivi, i casi possibili si moltiplicano ancora per sei, e diventano 63 = 216 …; se si fanno n tiri consecutivi diventano 6n. Un poco più faticoso invece calcolare i casi favorevoli e noi lasciamo il compito a Blaise Pascal, che lo ha del resto portato a term1ne già più di tre secoli fa.

Pascal però, non rispose in modo del tutto soddisfacente ad un altro quesito del Cavaliere, che gli chiedeva quale doveva essere la " cifra equa " da pagare a un giocatore per subentrare a lui in una data puntata. Lo fece tre anni dopo, nel 1657, un grandissimo fisico matematico olandese, Christian Huyghens, introducendo il concetto di speranza matemaica. Come vedi, ci sono molti ritratti illustri nella galleria degli antenati seicenteschi del moderno calcolo delle probabilità!

Anche Galileo si occupò dei problema, e spiegò ai curiosi gentiluomini fiorentini come mai sia più "vantaggioso" il 10 del 9 nel lancio di tre dadi. La matematica conferma l'esperienza; c'è una corrispondenza tra probabilità e frequenza. Galileo, come del resto anche Pascal, fa il calcolo dei casi favorevoli a un avvenimento, o "evento" (l'evento, nel caso concreto, è un tiro di 3 dadi che dà come risultato 10, oppure...), rispetto a tutti gli eventi possibili (che, nel caso esaminato or ora, sono 216 = 63 numero totale del diversi tiri con 3 dadi). Galilei e Pascal fanno quindi un calcolo puramente matematico. Calcolano il rapporto v/t tra i casi "vantaggiosi" e "tutti i casi", calcolano cioè quella che si chiama la probabilità classica, o anche probabilità a priori4 dell'evento. Sono convintissimi che il numero da loro trovato è, almeno approssimativamente, anche la frequenza dell'evento, cioè il rapporto, calcolato sperimentalmente dai giocatori, tra il numero dei casi vantaggiosi presentatisi e quello dl tutti i casi effettivamente accaduti in una serie molto lunga di giocate (su pochi tiri, è intuitivo che, "per caso", potrà presentarsi più spesso come risultato 9 anziché 10; più spesso di un caso, un altro caso meno probabile di quello). Questa convinzione, così radicata in ciascuno di noi, così naturale che un Galilei e un Pascal la adoperavano senza sentire il bisogno di giustificarla, è invece, a pensarci bene, uno dei principi più profondi e misteriosi che reggono lo svolgersi degli avvenimenti nell'universo grande e terribile.

Parliamo della legge empirica5 del caso, che ognuno di noi - lo ripetiamo - ha ben radicata in testa in forma intuitiva: quando mai accetteresti di scommettere che su 100 lanci di una monetina verrà 97 volte " testa " e solo tre volte "croce"? La probabilità classica (matematica, a priori) che venga "testa" è uguale a quella che venga "croce"; la frequenza "a posteriori" tende a coincidere, al limite, colla probabilità "a priori": l'esperienza finisce col confermare le previsioni della ragione.

La legge empirica del caso è facile da intuire, difficile da formulare. Tu non accetteresti neppure di scommettere che su 100 tiri uscirà esattamente 50 volte " testa " e 50 volte " croce", mentre tutti siamo disposti a scommettere (e forte anche) che su 100 tiri verrà fuori " testa" tra le 40 e le 60 volte. Cosa vogliono però dire esattamente le espressioni: "alla lunga","più o meno", "al limite", "tende a..." che abbiamo sopra adoperato nell'enunciare la legge?

Dovranno passare decenni, anzi assai più di un secolo, perché dalla fiducia ingenua di Galilei e di Pascal nella coincidenza (al limite) tra frequenza e probabilità, si giunga a formulazioni non approssimative, non intuitive della legge empirica del caso. Ne riparleremo nel corso dei nostri studi.

Ci limitiamo qui ad anticipare qualche notizia. Il calcolo delle probabilità diventa un vero e proprio ramo nuovo della ricerca matematica con un opera dello svizzero Giacomo Bernoulli (1654-1705), pubblicata a Basilea dopo la morte del suo autore, nel 1713, e intitolata Ars conjectandi (l'arte del congetturare). La prima sistemazione matura, rigorosa, moderna della nuova scienza sarà compiuta un secolo dopo, nel 1812, con un monumentale trattato sulla Théorie anaytique des probabilités, dal francese Pierre Simon de Laplace (1749-1827).

 

 

NOTE:

1.

  Già Dante ne parla, dice precisamente:
    Quando si parte il gioco della zara
    colui che perde se ne va dolente
    ripetendo le volle, e tristo impara.
 " Divina Commedia, Purgatorio, Canto VI ". 

2. " Dado " in latino si dice " alea ". L'origine storica del calcolo delle probabilità da problemi posti da giocatori ci dadi ha lasciato la sua traccia nell'aggettivo " aleatorio " molto usato in matematica come sinonimo di casuale.

3. Vedi sotto il titolo "Sopra le scoperte dei dadi", VIII volume della Edizione Nazionale da pag. 591 a pag. 595.

4. " A priori " è un'espressione latina che significa " in precedenza ", " prima di fare ". Opposto significato ha l'espressione " a posteriori " = " a cose fatte".

5. " Empiria " in greco vuoi dire " esperienza", perciò " empirico " è sinonimo di " sperimentale ".