Negli anni che seguirono la morte di Silla (78 a. C.) si assistette al
riemergere di quei problemi che già avevano messo a dura prova la vita della
repubblica romana, e ai quali egli aveva tentato di porre rimedio attraverso
la riaffermazione del ruolo centrale del Senato. Si aprì così un periodo di
gravi disordini interni ed esterni allo stato, nel corso dei quali ripresero
vigore i partiti ostili all’aristocrazia senatoria, e soprattutto emersero
individui decisi ad affermare un potere personale, al di fuori delle regole
fissate dalla riforma sillana. Il culmine si ebbe nel 70 a.C., quando il
governatore della Sicilia Verre fu condannato all’esilio per l’avidità con
cui si era comportato nei confronti della popolazione, mentre i populares
e i cavalieri insorsero contro la corruzione della nobiltà senatoria.
Approfittando della debolezza del Senato, Pompeo riuscì a imporre la propria
elezione a console insieme a Crasso, ed ottenne nel 67 un’imperium
infinitum sul Mediterraneo, con il compito di sgominare le flotte dei
pirati che danneggiavano i commerci, e di combattere Mitridate. Durante
l’assenza di Pompeo, a Roma si delinearono gli schieramenti pronti a
misurarsi per contendersi il potere: da un lato la nobilitas
senatoria, guidata da Catone
Uticense,
che non intendeva scendere a compromessi né con un generale come Pompeo né
con il ceto equestre; dall’altra il partito dei populares, legato da
comuni interessi al ceto equestre e pronto a legarsi a condottieri come
Pompeo o Cesare.
Una posizione intermedia era quella di Cicerone,
che sosteneva la concordia ordinum, ovvero l’alleanza tra
aristocratici e cavalieri al fine di garantire la stabilità della
repubblica. Non mancarono infine le iniziative di singoli personaggi, come
quella di
Catilina, che nel 63 tentò di
impadronirsi del potere con una congiura.
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