Artista: Roberto Vecchioni
Album: Il Lanciatore Di Coltelli
Anno: 2002

 

 

 
Titolo: Figlio, Figlio, Figlio
 

Figlio chi t'insegnerà le stelle
se da questa nave non potrai vederle?
Chi t'indicherà le luci dalla riva?
Figlio, quante volte non si arriva!
Chi t'insegnerà a guardare il cielo fino a rimanere senza respiro?
A guardare un quadro per ore e ore fino a avere i brividi dentro il cuore?
Che al di là del torto e la ragione contano soltanto le persone?
Che non basta premere un bottone per un'emozione?
Figlio, figlio, figlio, disperato giglio, giglio, giglio
luce di purissimo smeriglio, corro nel tuo cuore e non ti piglio
dimmi dove ti assomiglio figlio, figlio, figlio
soffocato giglio, giglio, giglio, figlio della rabbia e dell'imbroglio,
figlio della noia e lo sbadiglio,
disperato figlio, figlio, figlio.

Figlio chi si è preso il tuo domani?
Quelli che hanno il mondo nelle mani.
Figlio, chi ha cambiato il tuo sorriso?
Quelli che oggi vanno in paradiso.
Chi ti ha messo questo freddo nel cuore?
Una madre col suo poco amore.
Chi l'ha mantenuto questo freddo in cuore?
Una madre col suo troppo amore.
Figlio, chi ti ha tolto il sentimento?
Non so di che parli, non lo sento.
Cosa sta passando per la tua mente?
Che non credo a niente.

Figlio, figlio, figlio, disperato giglio, giglio, giglio
luce di purissimo smeriglio, corro nel tuo cuore e non ti piglio
dimmi dove ti assomiglio figlio, figlio, figlio
spaventato giglio, giglio, giglio, figlio della rabbia e dell'imbroglio,
figlio della noia e lo sbadiglio,
disperato figlio, figlio, figlio.

Figlio, qui la notte è molto scura,
non sei mica il primo ad aver paura;
non sei mica il solo a nuotare sotto
tutte due ci abbiamo il culo rotto:
non ci sono regole molto chiare,
tiro quasi sempre ad indovinare;
figlio, questo nodo ci lega al mondo:
devo dirti no e tu andarmi contro, tu che hai l'infinito nella mano
io che rendo nobile il primo piano;
figlio so che devi colpirmi a morte e colpire forte.

Figlio, figlio, figlio, disperato giglio, giglio, giglio
luce di purissimo smeriglio, corro nel tuo cuore e non ti piglio
dimmi dove ti assomiglio figlio, figlio, figlio
calpestato giglio, giglio, giglio, figlio della rabbia e dell'imbroglio,
figlio della noia e lo sbadiglio,
adorato figlio, figlio, figlio.

Dimmi, dimmi, dimmi cosa ne sarà di te?
Dimmi, dimmi, dimmi cosa ne sarà di te?
Dimmi cosa, dimmi cosa ne sarà di me?

 


 

Titolo: Shalom
 

C'è un tempo per combattere e un un tempo per sognare,
un tempo per raccogliere, uno per seminare;
e un tempo per andarsene:
ora quel tempo è mio, arrivederci padre, illuminato da Dio.
Un dio che sollevava il mare come una punizione,
per distinguere gli altri uomini dalla sua vera nazione:
ma padre, qui, c'era un popolo, piantato nella terra,
e la terra non può darla Dio, ma la fame, l'amore di averla.
Come mi pesa questo canto, padre, tu non sai quanto!
Ma non lo senti che è più forte la vita della morte?
Shalom, padre, shalom, io vado via.
Ma dov'è casa mia?

A furia di tenerci insieme per salvare quel che siamo,
ci mancan, padre, gli altri, gli altri,
quello che noi non siamo;
ci manca, anche se avessimo soltanto noi ragione,
l'umiltà di non vincere che fa eguali le persone.
E invece li strappiamo via in nome del signore,
come sterpaglia e funghi d'acqua,
nati qui per errore,
dovesse mai succederci,
ad esser troppo buoni di fare,
chissà poi per chi, la figura dei coglioni.
Arrivederci padre o forse addio: mio nonno, era mio nonno il padre mio!

Dio come brucia questo canto brucia più del mio pianto,
padre perdonami, ma è più forte la vita della morte;
shalom, padre, shalom, io vado via.
Ma dov'è casa mia?

Arrivederci padre o forse addio:
era mio nonno il vero padre mio,
cancellato come un numero dalla lista delle spese,
ma così tanto più grande delle offese.

Dio, se mi brucia questo canto brucia più del mio pianto,
ma tu non senti che è più forte la vita della morte;
shalom, padre, shalom, io vado via.
Ma dov'è casa mia?

 

 

 

Titolo: La Bellezza (Gustav e Tadzlo)
 

Passa la bellezza nei tuoi occhi neri,
scende sui tuoi fianchi e sono sogni i tuoi pensieri...
Venezia "inverosimile più di ogni altra città
è un canto di sirene, l'ultima opportunità
ho la morte e la vita tra le mani coi miei trucchi da vecchio senza dignità:
se avessi vent'anni ti verrei a cercare, se ne avessi quaranta, ragazzo, ti potrei comprare,
a cinquanta, come invece ne ho ti sto solo a guardare ...
Passa la bellezza nei tuoi occhi neri
e stravolge il canto della vita mia di ieri;
tutta la bellezza, l'allegria del pianto che mi fa tremare
quando tu mi passi accanto...
Venezia in questa luce del lido prima del tramonto
ha la forma del tuo corpo che mi ruba lo sfondo,
la tua leggerezza danzante come al centro del tempo e dell'eternità:
ho paura della fine non ho più voglia di un inizio;
ho paura che gli altri pensino a questo amore come a un vizio;
ho paura di non vederti più, di averla persa...
tutta la bellezza che mi fugge via e mi lascia in cambio i segni di una malattia.
Tutta la bellezza che non ho mai colto,
tutta la bellezza immaginata che c'era sul tuo volto,
tutta la bellezza se ne va in un canto,
questa tua bellezza che è la mia muore de
nt

ro un canto.
 

 

Titolo: Malinconia Leggera
 

Malinconia leggera, com'è bella questa notte nei tuoi occhi,
che bello questo rivedermi uguale in mille differenti specchi;
malinconia, puttana che mi fotti con il tempo e la distanza,
e butti là che le persone amate non le ho amate mai abbastanza:
ho come l'impressione che ho vissuto qualche cosa d'importante,
ma senza te mi sembra che in passato non mi sia successo niente:
sto tra un addio che viene e un altro addio che va
con compiaciuta viltà.
Malinconia, ragazza nella nebbia di stazioni di frontiera,
donna di mare in piedi sulla spiaggia ad aspettare la mia vela!
Io non so dirti quando tornerò
perché ho giornate molto belle,
e i segni della notte mi confondono la luce delle stelle
e tra un addio che viene e un addio va vivo diviso a metà,
e tra un addio che viene e un altro addio va passa di qui la realtà.

Averlo qui, non perderlo, sentirlo tutto quello che ho vissuto,
riviverlo continuamente come se non fosse mai finito:
ma chi lo dice ai figli che ho paura di cantare e di volare
e che volare è facile
ci vuol più fantasia per camminare:
e tra un addio che viene e un altro addio che va
ridersi senza pietà
e tra un addio che viene e un altro addio che va
frignare con dignità

 


 

Titolo: Storia E Leggenda Del Lanciatore
 

Mio nonno li lanciava sempre spalle al bersaglio,
senza voltarsi mai, senza il minimo sbaglio:
e io stavo a guardarlo innamorato perso sulla riva del fiume,
seguendo i suoi coltelli volare leggeri come piume...
E mio padre m'insegnò a lanciarli ad occhi chiusi,
perché si mira con il cuore,
perché un vero lanciatore di coltelli ricama la vita,
non tira mica per colpire;
e mio padre m'insegnò che i venti cambiano sempre
e ti imbrogliano le dita e non c'è memoria dei tiri precedenti
perché ogni volta è una scommessa infinita.
E volavano su nel cielo lungo invisibili fili d'oro
i coltelli di mio padre e di mio nonno,
ogni tiro era un capolavoro,
ogni lama prendeva una stella,
ogni stella si sparpagliava nel cielo,
e potevi finalmente vederla la vita vederla, vederla davvero...

E così imparai a lanciarli senza essere bravo,
forse per imitarli, o forse perché amavo...
E volavano su nel cielo lungo invisibili fili d'oro:
ma questi erano i "miei" coltelli e lo vedevo che assomigliavo a loro;
e ogni volta ero senza fiato, e ogni volta mi guardavo la mano,
"ma come ho fatto? Ma com'è che è stato?
Com'è che vanno così lontano?"

E volavano su nel cielo come ricordi, come paure,
queste piccole cose di uomo che sono ritorni, che sono avventure
e anch'io ogni tanto prendevo una stella,
e illuminavo uno sputo di cielo e potevo finalmente
vederla la vita vederla, vederla davvero!

All'alba raccoglievo i coltelli di mio padre e di mio nonno;
e loro non mi dissero mai che viaggiavano dentro un sogno;
che finito il momento magico del suo coltello in volo,
il lanciatore è solo.

 

 

 

Titolo: Ma Che Razza Di Dio C'è Nel Cielo
 

L'infinito silenzio sopra un campo di battaglia quando il vento ha la pietà di accarezzare;
l'inspiegabile curva della moto di un figlio che a vent'anni te lo devi scordare...
Sentire d'essere noi le sole stelle sbagliate in questa immensa perfezione serale;
e non capirci più niente nel viavai di messia discesi in terra per semplificare.
Ma che razza di Dio c'è nel cielo?
Ma che razza di Dio c'è nel cielo?
Ma che razza di guitto mascherato da Signore sta giocando col nostro dolore?
Ma che razza di disperato, disperato amore,
lo potrà mai consolare?

Aprire gli occhi e morire in un fruscio di farfalla
neanche il tempo di una ninna nanna;
l'idiozia della luna, la follia di sognare,
la sterminata noia che prova il mare;
e a questa assurda preghiera di parole, musica, colori,
che Gli continuiamo a mandare,
non c'è nessuna risposta,
salvo che è colpa nostra e che ci dovevamo pensare.

Ma che razza di Dio c'è nel cielo?
Ma che razza di Dio c'è nel cielo?
Ma che razza di disperato, disperato amore,
può tagliare la notte e il dolore?
Ma che razza di disperato, disperato amore più di questo
respirare, più di tutto lo strisciare?
più di questo insensato dolore?

Ma che razza di Dio c'è nel cielo?
Ma che razza di buio c'è nel cielo?
Ma che razza di disperato, disperato amore
più di questo insensato dolore?
Ma che razza di Dio c'è nel cielo?
Ma che razza di buio c'è nel cielo?
Ma che razza di disperato, disperato amore più
di questo non capire, non sapere sbagliare e lasciarsi perdonare?
Ma chi è l'altro Dio che ho nel cuore?
Ma che razza d'altro Dio c'è nel mio cuore,
che lo sento quando viene,
che lo aspetto non so come
che non mi lascia mai,
non mi perde mai e non lo perdo mai.


 

 

Titolo: Viola D'inverno
 

Arriverà che fumo o che do l'acqua ai fiori,
o che ti ho appena detto:
"scendo, porto il cane fuori",
che avrò una mezza fetta di torta in bocca,
o la saliva di un bacio appena dato,
arriverà, lo farà così in fretta
che non sarò neanche emozionato...
Arriverà che dormo o sogno,
o piscio o mentre sto guidando,
la sentirò benissimo suonare mentre sbando,
e non potrò confonderla con niente,
perché ha un suono maledettamente eterno:
e poi si sente quella volta sola
la viola d'inverno.
Bello è che non sei mai preparato,
che tanto capita sempre agli altri,
vivere in fondo è scontato
che non t'immagini mai che basti
e resta indietro sempre un discorso
e resta indietro sempre un rimorso...
E non potrò parlarti, strizzarti l'occhio,
non potrò farti segni,
tutto questo è vietato da inscrutabili disegni,
e tu ti chiederai che cosa vuole dire tutto quell'improvviso starti intorno
perché tu non potrai,
non la potrai sentire la mia viola d'inverno.
E allora penserò che niente ha avuto senso
a parte questo averti amata,
amata in così poco tempo;
e che il mondo non vale un tuo sorriso,
e nessuna canzone è più grande di un tuo giorno
e che si tenga il resto,
me compreso, la viola d'inverno.
E dopo aver diviso tutto:
la rabbia, i figli, lo schifo e il volo,
questa è davvero l'unica cosa
che devo proprio fare da solo
e dopo aver diviso tutto
neanche ti avverto che vado via,
ma non mi dire pure stavolta
che faccio di testa mia:
tienila stretta la testa mia.

 

 

Titolo: La Mia Stanza
 

La chitarra riempie la tua stanza
come te la riempivano gli amori,
forse a diciott'anni non c'è distanza
tra le cose dentro e quelle fuori,
forse a diciott'anni si canta e basta:
essere sentita o non sentita non ti cambia la vita.
Io non ho l'età
e ho le palle piene di vedermi questa gente intorno:
managers cazzuti, falchi e iene,
ti farò sapere quando torno
ma ti lascio un sacco di parole
e quel po' di roba che mi avanza
qui nella mia stanza...

Passerà tutto questo vivere,
questo andare e venire di treni,
questa lettera da leggere e da scrivere;
passerà questo vivere nei tuoi occhi
da non poterlo più tenere dentro,
da farti credere che il cuore ti scoppi,
e allora canta, canta, canta, canta,
canta, canta, canta, canta,
canta, canta, canta, amore mio
finché ti batte il cuore.
canta, canta, canta, canta
canta, canta, canta, canta
canta, canta, canta, finché ti basta il cuore.

Tutto questo c'è nella mia stanza,
giuro, non lo so se è poco o molto,
so che non sapevo mai starci senza
e mi vien da ridere se mi volto:
se ti va puoi entrarci,
se no pace!
vedi di giocartela a testa o croce,
ma con la tua voce.

Passerà tutto questo vivere,
questo fottutissimo tempo stupendo,
questo dolore che ci fa ridere;
passerà questo vivere nei tuoi occhi
da non poterlo più tenere dentro,
da farti credere che il cuore ti scoppi,
e allora canta, canta, canta, canta,
canta canta, canta, canta, canta
canta canta, amore mio,
finché ti batte il cuore;
canta, canta, canta, canta,
canta, canta, canta, canta,
canta, canta, canta, amore mio,
finché ti basta il cuore.
canta, canta, canta, canta,
canta, canta, canta, canta,
canta, canta, canta, amore mio,
finché ti basta il cuore
e se non basta il cuore,
canta con il mio cuore.


 

 

Titolo: Il Lanciatore Di Coltelli
 

A puttane il tempo...
a puttane i nostri sogni...
oggi il lanciatore di coltelli
si è disteso lungo il fiume
e guarda il cielo:
guarda il cielo come se dovesse
da un momento all'altro venir fuori Dio,
e si scatta qualche polaroid
che forse gli pubblicherà un tablid.
E a puttane pure il cielo...
che non c'è,
non è neanche vero...
oggi il lanciatore di coltelli
conta tutte le parole
e scrive "zero":
ho tentato tutto quello che ho potuto,
come l'ho potuto,
fino a non poterci niente,
ma tu mi conosci molto bene,
tu che mi sei stata sempre insieme
non confondermi mai,
non confondermi mai col vento e le stagioni
e non confonderti mai,
non confonderti mai con gli altri suoni;
e non mi mettere mai,
non mi mettere mai tra i cattivi o tra i buoni:
io sono solamente quel che sono
un vero lanciatore di coltelli...
Ma di tanto amore, di così tanto amore
io mi sento addosso quel profumo
che dà un petalo di rosa secco al sole,
vivo ancora l'illusione eterna di potere sbattere le braccia
e alzarmi in volo,
e tu che mi conosci molto bene
tu che mi sei stata sempre insieme
non confondermi mai,
non confondermi mai con i geni o coi coglioni
e non confonderti mai, mai, mai,
mai coi ciarlatani:
se ti verrano a dire, e ti verrano a dire,
che non so più chi sono,
rispondigli che sono ancora e sempre
un grande lanciatore di coltelli e il tuo uomo.

 


 

Titolo: Il Mago Di Oz
 

E quando venne il ciclone
Dorothy perse la sua casa;
perse la bambola,
chissà come anche i soldi della spesa:
povera Dorothy,
venne giorno, perse la strada del ritorno,
le restarono al fondo del vento solo due...
scarpette d'argento.
Lungo il sentiero del non ricordo
incontrò uno spaventapasseri,
un uomo di latta, un leone codardo
che ancora prima di conoscerli
"dove vai?" le chiesero in coro,
"dove vai?" le chiesero in coro,
unisciti a noi che andiamo da un mago che fa miracoli...
col suo "zigozago"
Lui è il mago di Oz!
Magnifico mago di Oz!
Lui è il mago di Oz!
"e se non fosse il mago di Oz?"
Lui è il mago di Oz!
l'unico mago di Oz!
e se non fosse il mago di Oz,
sarebbe un altro,
più o meno simile al mago di Oz.

"E chi è, dove abita?"
Dorothy chiese,
"E chi è? Può ridarmi la casa?":
"una casa? Per lui è uno scherzo"
rispose il leone,
"Può dare ogni cosa!
A me lui darà un coraggio migliore
che per un leone ci vuole anche quello,
un cuore allo spaventapasseri,
all'uomo di latta un nuovo cervello!

Lui è il mago di Oz!
Magnifico mago di Oz!
Lui è il mago di Oz!
"e se non fosse il mago di Oz?"
Lui è il mago di Oz!
l'unico mago di Oz!
e se non fosse il mago di Oz,
sarebbe un altro,
più o meno simile al mago di Oz.

E cammina cammina
gli apparvero alberi azzurri e campi dorati
e giardini magnifici, tutti ben bene cintati.
"Ma che bello, che bello,
che ricco, che ricco
che favola è il regno di Oz!"
"Ma che bello, che bello,
che ricco, che ricco
che sballo che è il regno di Oz!"
"Come sembravano tutti felici,
felici nel regno, nel regno di Oz!"
Disse Dorothy.
Cosa aspettiamo,
corriamo, corriamo, corriamo
corriamo dal mago di Oz!
È lui il mago di Oz!
Il mago di Oz!
Il mago di Oz!
L'unico, l'inimitabile,
l'incontrastabile mago di Oz,
lunga vita, lunga vita, tre urrah per il mago di Oz.
lunga vita, lunga vita, tre urrah per il mago di Oz.
Ma quando poi furono a un passo da questo presunto gigante,
fu Dorothy sola ad accorgersi quant'era piccolo e insignificante;
che parlava, parlava, e rideva,
rideva rideva da fare spavento:
lui diede all'uomo di latta un pallone firmato
e lo fece contento...
c'o piffere e'o triccaballacche
lo spaventapasseri andò via cantando...
ed ebbe il leone tre o quattro girelle
da non starci più nella pelle...
"E tu cosa vuoi? E tu cosa vuoi?"
le chiese il mago di Oz.
"Bambina che vuoi? Su, dimmi che vuoi?"
Le chiese il mago di Oz!"
"Voglio un mondo dove" disse Dorothy,
"un mondo dove, voglio un mondo dove
non ci sia nessun mago di Oz!"
E mentre scappava, guardava, guardava le sue scarpette d'argento;
e mentre scappava diceva
"portatemi a casa scarpette d'argento!
Correte più forte, portatemi a casa voi siete la vera magia;
correte più forte, scappate lontano,
correte, portatemi via!"
Bambini, bambini, bambini state attenti al mago di Oz!:
Bambini, bambini, bambini non vi fidate del mago di Oz!
Bambini, bambini, bambini non giocate col mago di Oz!
E soprattutto non prendete caramelle dal mago di Oz!