SENTIMENTO E IRONIA
La vita e le cose della vita, dopo averle vissute e conosciute:
come guardarle, come parlarne?
La poesia e la musica scivolano, nella tradizione
italiana (e molto dall’Ottocento fino a oggi), sulla malinconia per il
momento finito e sulla nostalgia per il momento senza ritorno: aderendo,
in questo modo, alle coordinate del tempo e dello spazio che non concedono
ripetizioni e aderendo a un profondo sentire di noi esseri umani nel
nostro vivere e amare. Si rinnovano le stagioni, si mettono al mondo i
figli, si vive il nostro presente: ma “ieri” si sottrae sempre
all’appuntamento…
E meno male, sembra dire Romolo
Scodavolpe nella tenue ironia con cui guarda presente e passato, qui, nel
loro vivo, dove tutto agisce con il sentimento della vita, cioè con una
sorta di corsa e di lotta a capire, a diventare grandi, a ricominciare, a
dover stare in guardia da quel <ragno> che ci agguanta senza
remissione e scampo.
Il “ragno” dell’amore, del
disamore, del gusto e del disgusto, della fregatura sempre sottesa o della
possibilità di rendersi conto che non di fregatura si tratta, quanto di
illusione mancata, facente parte anch’essa di un lungo cammino: “E
madido / del pianto ancora / avrai speso il viso / dolce / e già
consumato / nel vago / (e nuovo) sorriso”.
E dopo? Dopo riparte la giostra della
“morbida luce” che “livide / stanze consola”, dei canti materni
della propria infanzia, della trasgressione che asciuga l’acidità del
“non più”, delle occhiate alle donne al sole affascinate da lillà e
da altri fiori, la giostra del pensiero delle Magde e delle Rossane, la
giostra della calda cova del proprio essere uomo (o donna). E inizia la
ricerca – magari con uno schizzo di sbeffeggio ironico gettato su una
giornata i cui conti non sono tornati – dentro un lascito
interiorizzato, dentro un “tanto” che in tutti i casi ci è concesso
di assaporare.
Come accade nelle note e nei versi di
Romolo Scodavolpe.
Maria
Lenti
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