Mussolini durante un comizio

IL PERIODO FASCISTA

Il passaggio dal regime liberale al regime fascista si realizzò tra il 1922 e il 1925. Nel 1922 il capo del partito fascista, Mussolini, ricevette dal re, Vittorio Emanuele III, l'incarico di formare il nuovo governo: la scelta del re, avvenuta in seguito alla "marcia su Roma" organizzata dai fascisti, fu determinata dalla volontà di mettere alla guida dello stato un "uomo forte" che fosse in grado di sbarrare la strada alle conquiste del movimento operaio e al processo di democratizzazione.

Nei due anni precedenti il movimento fascista si era caratterizzato per le sanguinose aggressioni squadriste contro i sindacalisti e i socialisti, ottennero l'appoggio dei grandi proprietari terrieri, di gruppi industriali e di una buona parte della piccola borghesia che si sentiva minacciata dai "disordini" provocati dai conflitti sociali.

In quel momento i fascisti avevano una posizione minoritaria in parlamento (solo 35 deputati su 535) e Mussolini formò un governo di coalizione che era sostenuto da esponenti liberali, conservatori e cattolici. Nel 1923 il parlamento introdusse un nuovo sistema elettorale, antidemocratico, che consentiva di assegnare i due terzi dei seggio alla lista che avesse ottenuto almeno il 25% dei voti.

Grazie a questo meccanismo, nelle elezioni del 1924, il "listone" formato dal partito fascista e da esponenti liberali riuscì a ottenere il controllo della camera dei deputati, relegando i partiti di opposizione (popolare, socialista e comunista) in una posizione minoritaria.

Alla fine del 1924, Mussolini riuscì a superare la crisi che era seguita all'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti e potè così sbarazzarsi dei sui precedenti alleati e avviare l'instaurazione del regime fascista.

Vittorio Emanuele III re d'Italia

L'ORGANIZZAZIONE DEL REGIME FASCISTA

L'instaurazione del regime fascista venne attuata attraverso una serie di leggi, emanata a partire dal 1925, che mutarono radicalmente il sistema costituzionale dello stato.

Lo Statuto Albertino non venne formalmente abrogato ma perse ogni efficacia: l'unico aspetto che rimase in vita fu l'istituto della monarchia. Al centro dello stato venne posta la figura del capo del governo, responsabile unicamente di fronte al re e non di fronte al parlamento e dotato di una netta posizione di supremazia rispetto ai ministri che egli stesso provvedeva nominare e revocare. Al governo e, in pratica, al suo capo, venne attribuito di fatto il potere legislativo, mentre al parlamento rimase una funzione di pura ratifica.

La marcia su Roma

Per assicurare la fedeltà della camera dei deputati al regime, nel 1928 venne introdotta l'elezione dei deputati su un'unica lista bloccata predisposta dal partito fascista.

Nel 1939 la camera dei deputati venne, anche formalmente, soppressa e sostituita con la camera dei fascisti e delle corporazioni, in cui i membri venivano - direttamente o indirettament e- nominati dal governo o dal partito fascista. Anche gli organi dei comuni e delle province cessarono di essere elettivi e vennero designati direttamente dal governo. Nei comuni i sindaci eletti dal basso furono sostituiti con i podestà nominati dall'alto. I partiti diversi da quello fascista vennero vietati e quest'ultimo assunse anche formalmente la funzione di struttura portante dello stato: il suo massimo organo, il Gran consiglio del fascismo, divenne un organo costituzionale con importanti compiti consultivi.

Mussolini ed Hitler

Particolarmente drastiche furono le misure contro il movimento operaio: fu vietato lo sciopero e abolita la libertà sindacale. I lavoratori furono organizzati in un unico sindacato fascista obbligatorio. Le libertà civili vennero progressivamente eliminate.

Furono introdotti controlli stradali sulla stampa, sulla radio, sul cinema e sugli spettacoli. Il dissenso politico venne perseguito penalmente. Fu introdotta la pena di morte per i reati contro lo stato.

Nel 1926 fu istituito il tribunale speciale per la difesa dello stato composto da giudici legati al regime, con il compito di giudicare i reati politici, allo scopo di sottrarre questa delicata materia ai giudici ordinari che non davano sufficienti garanzie di fedeltà al regime.

Nel 1938 vennero introdotte le leggi razziali contro gli ebrei e nel 1940 l'Italia entrò infine in guerra a fianco della Germania nazista.

LA CADUTA DEL FASCISMO E LA LIBERAZIONE

Con lo sbarco delle truppe anglo-americane in Sicilia, avvenuto ai primi di luglio del 1943, fu evidente che le sorti della guerra volgevano in sfavore di italiani e tedeschi. In Italia l'opposizione alla guerra diventò più forte anche all'interno dello stesso partito fascista.

Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 il gran consiglio del fascismo votò a maggioranza un ordine del giorno contro Mussolini e l'indomani il re Vittorio Emanuele III, richiamandosi ai poteri che lo statuto Albertino gli attribuiva (ma che non aveva più esercitato per 20 anni), destituì Mussolini e nominò il generale Badoglio a capo del governo.

Con decreto del 2 agosto, Badoglio mise fuori legge il partito fascista e si impegnò a convocare le elezioni della camera dei deputati entro 4 mesi dalla fine della guerra. Il disegno del re e di Badoglio era quello di far tornare in vita lo statuto Albertino e di ripristinare quindi il regime liberal-monarchico che esisteva prima del fascismo; ma tale intenzione si scontrò rapidamente con l'inclinazione degli eventi.

Partigiane a Milano

L'8 settembre 1943 il governo concluse l'armistizio con gli anglo-americani, senza peraltro riuscire a organizzare la minima difesa contro la prevedibile reazione dei tedeschi (che da alleati erano diventati improvvisamente nemici). In pochi giorni l'Italia fu occupata dalle truppe tedesche, l'esercito si sfasciò, il re e Badoglio abbandonarono Roma per rifugiarsi, sotto la protezione degli anglo-americani, prima a Brindisi e poi a Salerno.
L'arrivo delle truppe americane

Dal momento dell'armistizio alla liberazione (25 aprile 1945), l'Italia restò divisa in due parti: il nord occupato dai tedeschi e il sud dagli anglo-americani. Nell'Italia settentrionale i tedeschi restaurarono uno stato fascista, sotto la guida di Mussolini, che assunse la denominazione di Repubblica sociale italiana (chiamata anche, dalla città in cui aveva sede il governo, repubblica di Salò).

Contro i tedeschi e i fascisti si organizzò così la resistenza armata condotta dalle formazioni partigiane, coordinate clandestinamente dai partiti antifascisti.

Nell'Italia meridionale il potere politico rimase invece formalmente nelle mani del re e del governo Badoglio, ma un ruolo determinante venne svolto dai sei partiti antifascisti (partito d'azione, comunista, socialista, liberale, democratico cristiana, democrazia del lavoro) che avevano costituito i comitati di liberazione nazionale (cln) in tutto il territorio nazionale.

Benchè tra i partiti antifascisti, prevalesse una posizione ostile alla monarchia, inquanto aveva favorito e appoggiato per oltre vent'anni il regime fascista, essi decisero di giungere a un accordo con il re per unire le forze contro il comune nemico.

Con il patto di Salerno stipulato tra il cln e la monarchia si diede vita ad un regime politico transitorio in attesa della fine della guerra. In base a tale accordo, che fu reso esecutivo dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944), si decise di rinviare la scelta tra la monarchia e la repubblica alla fine della guerra (tregua istituzionale) e di affidare tale scelta a un'Assemblea costituente eletta a suffragio universale che avesse anche il compito di elaborare la costituzione del nuovo stato.

Il re Vittorio Emanuele III si ritirò a vita privata e la funzione di capo dello stato venne assunta dal figlio Umberto con il titolo di luogotenente del regno (in omaggio al principio della tregua istituzionale) Umberto non assunse quindi il titolo di re. Venne quindi formato un nuovo governo di cui facevano parte di sei partiti antifascisti del cln. La presidenza del consiglio fu affidata allo stesso presidente del cln, Ivanoe Bonomi.

Dopo la liberazione (25 aprile 1945) il governo decise, con decreto del 16 marzo 1946, di affidare la scelta tra la monarchia e la repubblica direttamente al popolo attraverso un referendum, invece che all'Assemblea costituente. Il 9 maggio 1946, un mese prima della data fissata per il referendum, il re abdicò a favore del figlio che assunse perciò il titolo di re d'Italia con il nome di Umberto II .

 

Torna alla pagina iniziale