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Falsi, falsari e dintorni


Il "falso" degli oggetti antichi segue passo passo l'interesse suscitato, nelle varie epoche dai reperti e dalle espressioni artistiche del passato. Interesse nel quale la riscoperta di culture da tempo dimenticate si mescola alle mode antiquarie ed al mercato delle anticaglie.

Naturalmente le tecniche di falsificazione sono, in generale, proporzionate alla competenza ed ai mezzi d'indagine degli acquirenti. C'è chi si accontenta di poco come il celebre Trimalcione della ancor più celebre "cena" che impavido afferma: "Io sono il solo ad avere autentici bronzi di Corinto. Ti chiedi forse perché io sia il solo a possedere autentici corinzi; ma perché il bronzista dal quale mi servo si chiama Corinto!".

L'antichità classica ebbe le sue mode e i suoi falsari e Fedro ci parla di firme apocrife di grandi maestri poste sui quadri e sulle statue.

Quando le collezioni private languono, come nel Medioevo, ci si dedica soprattutto alla falsificazione di documenti, interpolando dati inventati od inesatti, o fabbricandoli ex novo, spesso sulla base di avvenimenti realmente accaduti.

In seguito, grazie ai ricchi mecenati del Rinascimento l'arte classica si arricchisce di copie e di autentici falsi. È tuttavia interessante notare come spesso il falsario realizzi la propria opera secondo gli stilemi che la cultura a lui contemporanea attribuisce all'arte del passato senza tuttavia staccarsi dall'arte del suo tempo. Così le magnifiche medaglie dello scultore ed incisore Vittore Camelio, che i contemporanei ritennero d'epoca imperiale, sono riconosciute oggi come ottime incisioni rinascimentali poiché, anche quando esistono modelli a cui ispirarsi, è impossibile esprimersi rimuovendo qualsiasi traccia della cultura nella quale si opera.

In generale si può dire che ogni epoca ed ogni moda artistica ebbe i suoi falsi capolavori e le sue patacche: le pitture "pompeiane" ed i cammei "greci" (ci cascò lo stesso Winckelmann che di arte se ne intendeva), gli "idoli sardo-fenici", le "antichità moabite", le "selci preistoriche", le "terracotte dell'Asia minore" ed i "vetri delle catacombe".

Tuttavia furono le nuove tecnologie, con i loro sofisticati metodi d'indagine, che ponendo serie difficoltà agli artigiani del falso (taluni persino scomparvero) fecero compiere agli stessi un balzo di qualità. Oggi si falsifica come in passato ma le tecniche di lavorazione sono incomparabilmente migliorate.

Anche il livello sociale dal quale provengono i falsari si è notevolmente elevato. In molti casi si tratta di uomini di cultura, spesso scienziati, anche se i loro capolavori li qualifichino soprattutto come abili tecnologi. Al principio del nostro secolo, ad esempio, il demone falsificatorio si abbatté su numerosi scienziati indaffarati a ricostruire dalle origini il nostro albero genealogico. Haeckel (Ernst Heinrich), zoologo di gran fama, per confermare la "legge biogenetica fondamentale" che da lui prendeva nome (ritenuta a quei tempi la prova massima della teoria dell'evoluzione della specie) apporta gli "opportuni" ritocchi alle fotografie sperimentali sugli embrioni. Paul Kammerer, biologo viennese, falsifica le prove a sostegno della teoria relativa alla trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti. Quanto ai crani dei nostri onorevoli antenati, dopo l'euforia dei primi anni, ci si accorse che "l'anello mancante", ritrovato dai paleontologi e ribattezzato Sinantropo perché ai suoi tempi abitava nei dintorni di Pechino, con ogni probabilità era davvero un autentico babbuino, mentre l'Eoanthropus dawsoni, alias Uomo di Piltdown (Sussex), "uno degli uomini fossili meglio identificati" secondo il giovane Teilhard de Chardin, passerà certamente alla storia come uno dei più clamorosi autogol scientifici del British Museum e della rivista Nature.

Nel 1988 però, mentre, grazie alle più recenti tecnologie insperati orizzonti si aprivano ai geni del falso, è sopraggiunta una ferale notizia.

L'ha espressa con forza il prof. Michael Tite che, dopo aver coordinato le esperienze di radio-datazione della Sindone di Torino, ha voluto fugare ogni dubbio sulla assolutezza delle analisi eseguite: "Il radiocarbonio è la sola certezza" ha detto al giornalista de "L'homme nouveau", che si è affrettato a riportare la storica frase.

Bei tempi quando un conterraneo del dottor Tite poteva dire "Ci sono più cose in cielo e in terra, di quante non se ne sogni la nostra filosofia!"

Se la frase riferita al prof. Tite non è stata stravolta (non bisogna mai credere ciecamente ai gazzettieri) mala tempora currunt per i falsari. Siamo di fronte, per la prima volta, ad un metodo che è anche un postulato di valore universale. Ogni risultato antecedente all'analisi radiocarbonica, se di segno contrario, viene destituito di ogni significato scientifico e gli stessi metodi utilizzati vengono posti in dubbio. La Sindone era uscita indenne da anni di indagini, dalle analisi con ogni tipo di radiazione, con la microsonda elettronica, il microscopio a scansione e l'elaboratore di immagini, ma non è sfuggita al radiocarbonio.

D'altra parte sui numeri non si discute. Solo i poeti come il Piccolo principe possono credere che non sia la stessa cosa censire il numero delle stelle e conoscerne il significato.

Come si diceva, se hanno preso in castagna quello della Sindone, ormai per i falsari non c'è speranza. Il geniale artigiano che ha fabbricato il Telo di Torino ha cercato le tecniche più peregrine per riprodurre l'immagine, ha aggiunto, contro ogni apparente buon senso, particolari a non finire che hanno ingannato i posteri sino ai giorni nostri, ha studiato botanica, anatomia, fisiologia, archeologia romana e siro-palestinese a livelli tali da superare di secoli le conoscenze del suo tempo, si è lambiccato il cervello perché sull'immagine evanescente le ombre fossero luci e le luci ombre, ha distrutto ogni lavoro preparatorio e lui stesso si è votato all'oblio e tutto per incappare alla fine nel carbonio 14.

Tanto valeva che il buon Dio se la fosse costruita Lui la sua preziosa reliquia!