LE GROTTE

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L'influenza bizantina, oltre che nello stile dei disegni, è evidente anche nei costumi che indossano i vari santi, come l'abito da principessa bizantina di S. Barbara, ornato di grandi cerchi intorno ai quali in larghe strisce di bianco sono infisse grandi gemme.

Generalmente il costume dei santi consta della dalmatica e del mantello. La prima è una tunica con maniche a forma di croce, originaria della Dalmazia; ha un'apertura orizzonatle per il collo e due strisce verticali. E' una veste ampia che si porta senza cintura.

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Il matello è il "pallium" romano, a sua volta derivato dall'"himation" greco, drappeggiato in maniera libera senza regola fissa.

Le sante sono rappresentate con l'abito delle matrone romane e tutte portano il velo in testa.

Anche qui, come già nell'antico Oriente, l'espediente pittorico principale è la frontalità.

Figure: due degli affreschi della Grotta delle Fornelle.

Ci mette in moto un duplice meccanismo psichico: da un lato, il rigido atteggiamento della figura rappresentata frontalmente, induce in chi guarda una posizione spirituale corrispondente; dall'altro l'artista esprime, in questo atteggiamento, la propria venerazione per lo spettatore, che egli immagina sempre nella persona del suo committente o protettore.

L'arte rappresenta Cristo come un re e Maria come una regina: l'uno e l'altra indossano vesti preziose e regali; siedono freddi ed inespressivi, distanti sul loro trono.

Il lungo corteo dei martiri e dei santi si avvicina a loro con lenti ritmi solenni, come il seguito dell'imperatore e dell'imperatrice nelle cerimonie di corte. Tutto è semplice, chiaro, distinto, tutto è contenuto in forti contorni ininterrotti, in colori puri, senza gradazioni.

Da quei pochi resti di pittura che oggi possiamo ammirare nella zona possiamo dedurre che i più antichi affreschi del secolo X° delle grotte di Calvi differiscono da quelli delle altre grotte presenti ed in special modo da quelli del piccolo oratorio dell'abate Epifanio (826-843) presso la distrutta abadia di S. Vincenzo al Volturno, non soltanto per il valore estetico inferiore. Danno a vedere che gli autori locali di quelle pitture, perduto ogni contatto con l'arte classica, mostrano i loro fermenti naturalistici occidentali ed acquistano importanza storica perchè sono gli anelli di congiunzione dell'arte tradizionale con quella del tempo nuovo.

Al confronto di tali esempi di pittura campana, quale si svolse nei secoli XI e XII, possiamo dedurne che tale pittura ebbe i suoi precedenti storici a Calvi e non a S. Vincenzo (da "Enciclopedia dell'arte Italiana").

 

Di seguito trascriviamo il testo dell'articolo scritto da Vittorio Sgarbi e pubblicato da "L'EUROPEO" dell'8 settembre 1984.


A CACCIA DI AFFRESCHI di Vittorio Sgarbi

Nell'estate del 1981 fui chiamato da un colto collezionista per accertare l'autenticità di un antico affresco posto in vendita da un antiquario che stava arroccato tra i monti in una località che preferisco non precisare del Nord Italia. Partiti di buon'ora, giungemmo sui monti nella tarda mattinata, e io fui portato davanti a una serie di vivaci affreschi, staccati a lastre, di buona qualità, di bellissima invenzione, e sicuramente autentici.

Espressi il parere che si trattasse di cose di cultura di provincia bizantina, dipinti verso il X-XI secolo con forti umori locali, di carattere indubbiamente meridionale. Ma non per questo consigliai la persona che mi aveva chiamato all'acquisto. Infatti, gli dissi, come si spiega che questi affreschi così genuini, non apparsi prima sul mercato, si trovino improvvisamente tanto lontani dal loro luogo d'origine?

In brevissimo tempo ebbi, con grandissima fortuna, tutte le risposte. Gli affreschi, infatti, non solo erano meridionali, ma provenivano da una località lontana e sperduta, diametralmente opposta a quella dove erano giunti, precisamente dalla Grotta delle Fornelle, a mezz'ora a piedi dal centro abitato di Calvi Vecchia, vicino a Caserta, dove erano ancora fino al 1974, quando, niente meno, diedero origine a una grande e ricca monografia di Anna Carotti (Gli affreschi della Grotta delle Fornelle a Calvi Vecchia, Roma, De Luca editore, a cura del Cnr).

I miei sospetti erano tutti confermati; si trattava di materiale di ricettazione, staccato, in tempi recentissimi da mano esperta e complice, legittimamente (questo sì) riconosciuto molto importante dall'antiquario che, ignaro, ne era venuto in possesso. Naturalmente chiamai subito il collezionista, lo sconsigliai all'acquisto e gli chiesi riserbo e collaborazione per impostare la spinosa questione nei modi più propizi con l'antiquario, e avvisai immediatamente il ministero e il Comando dei carabinieri per la Tutela del patrimonio artistico di Roma che, con un'azione tempestiva, riuscì a recuperare gli affreschi staccati. Ora, a qualche anno di distanza, io stesso non so più nulla di questi affreschi. Saranno nei depositi di qualche ufficio della Soprintendenza. Certo non potranno tornare nel loro luogo d'origine.

La rubrica di questa settimana è un invito al lettore volenteroso sia a ricercare gli affreschi di Calvi Vecchia, sia a perlustrare le grotte e le chiese del meridione, dalla Cappella dell'Angelo a Olevano sul Tusciano, alla chiesa della Madonna della Stella a Riardo (CE), alla cripta di Ausonia, alla CHiesa di Santa Maria in Grotta vicina a Rongolise, e altre fino al ciclo straordinario di Sant'Angelo in Formis. Per questo viaggio, guida essenziale sarà il volume di Otto Demus e Max Hirmer, Pittura Murale romanica, Milano, Rusconi, 1969.

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