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L'ISOLA DI PASQUA

 
 
 

In una manciata di secoli, la gente dell’Isola di Pasqua cancellò le proprie foreste, portò le proprie piante e i propri animali all’estinzione e vide la propria complessa società cadere a spirale nel caos e nel cannibalismo. Stiamo per seguire il loro esempio?

Nel momento in cui cerchiamo di immaginare il declino della civiltà occidentale, ci chiediamo “Perché non si sono guardati intorno, non si sono accorti di ciò che stavano facendo e non si sono fermati prima che fosse troppo tardi? Cosa stavano pensando quando tagliarono l’ultima palma?” 

 

 

 


 
In molti mappamondi e atlanti geografici non compare affatto: è l'Isola di Pasqua, Rapa Nui, appartenente al Cile.
Eppure, questa isoletta insignificante di appena 162 kmq è uno dei luoghi più famosi del mondo in materia di misteri.

Fu scoperta nel 1686, ma solo nel giorno di Pasqua del 1722, l'ammiraglio olandese Jacob Roggeveen, ebbe il coraggio di sfidare i bellicosi indigeni con un'esplorazione vera e propria; sull'isola c'erano enormi teste in pietra, i "MOAI", considerati dagli indigeni con grande disprezzo .

LE SCULTURE

Attualmente ve ne sono circa 600.
Più della metà, al momento della scoperta, erano stati rovesciati, altri giacevano incompiuti nelle cave. Si ritiene che un gran numero di MOAI siano stati gettati in mare o distrutti dagli indigeni e in tempi recenti altri siano stati rubati.

Quel che oggi rimane in piedi della schiera di MOAI, nella loro posizione originaria, si erge con le spalle al mare e guarda verso l'interno dell'isola. Le sculture hanno una dimensione variabile e un'altezza da 90 cm fino ad 11 metri. Le più grandi, alte 20 metri, sono rimaste incompiute e giacciono nelle cave del vulcano Rano Kao, tuttora circondate dagli utensili necessari alla loro realizzazione.

Riproducono quasi ossessivamente lo stesso modello (forse un antenato divinizzato) e originariamente erano dotati di un copricapo rosso. Degli scultori che, a quanto pare, abbandonarono in gran fretta il loro lavoro, non rimane alcuna traccia. L'isola stessa è un mistero impenetrabile: come hanno fatto gli indigeni a raggiungere un luogo così lontano con strumenti di navigazione tanto primitivi?

LA POPOLAZIONE

La popolazione del luogo considerava l'isola "TE PITO TE HENUA" (l'ombelico del mondo) in quanto ritenevano di essere tutto ciò che restava al mondo in termini di sopravvissuti e di terre emerse, dopo il diluvio e la distruzione universale.

Sperduta nell'Oceano Pacifico, a 3700 chilometri dalla costa del Cile, l'Isola di Pasqua nasconde, nei suoi 400 chilometri quadrati di superficie, un grande numero di misteri e forse molti non sarebbero tali se, nel 1862, i trafficanti di schiavi peruviani non avessero deportato gran parte dei suoi già scarsissimi abitanti.

Quando infatti si cominciò a studiare l'isola da un punto di vista antropologico e storico, la sua struttura sociale era completamente distrutta e l'origine della sua scrittura dimenticata insieme a quella degli affascinanti "MOAI", i grandi volti di pietra.

Tutte le informazioni che ora possediamo sull'isola giungono da una tradizione ormai confusa e contraddittoria. Secondo gli isolani superstiti, nell'isola abitavano due differenti razze: le "Orecchie Lunghe", che provenivano dall'est, e le "Orecchie Corte", che venivano dall'ovest.

Le Orecchie Corte erano sottoposte alle Orecchie Lunghe, finché, in una data situabile tra il 1680 e il 1774 (anche dopo la sua scoperta i visitatori dell'Isola di Pasqua furono pochissimi e non esistono notizie certe sulla cronologia degli avvenimenti), le Orecchie Corte si ribellarono, massacrarono le Orecchie Lunghe e abbatterono gran parte dei MOAI.

 L’isola dei misteri

 Chi erano le Orecchie Lunghe e le Orecchie Corte? Con ogni probabilità provenivano da aree diverse del Pacifico e appartenevano a ceppi etnici differenti; ma perché si erano rifugiati proprio in quella piccola isola e come mai erano rimasti così in pochi? Chi aveva edificato i MOAI, a che scopo e con che mezzi?

La scultura dell'isola di Pasqua può essere divisa in tre periodi di cui il primo, forse, inizia intorno al 300 d.C. Allora l'architettura assomigliava a quella di TIAHUANACO ed era caratterizzata da statue di media grandezza e osservatori solari.

I "testoni" (secondo periodo) cominciarono ad apparire intorno al 1100; erano, e sono tuttora, appoggiati su piattaforme chiamate "AHUS", spesso costruite con pietre ricavate abbattendo gli osservatori (il terzo periodo è associato con il culto di un dio uccello, rappresentato in diverse piccole sculture di legno e di pietra).

Il MOAI più grande è alto venti metri e pesa circa 82 tonnellate: come poteva un popolo assai poco sviluppato tecnologicamente costruire simili colossi? Per quanto riguarda la scrittura (chiamata Rongo - Rongo, costituita da simboli e mai decifrata), perché presenta sconcertanti analogie con i segni che compaiono su certi antichi sigilli ritrovati a MOHENJO DARO, in Pakistan?

Inutile dire che questi misteri hanno scatenato la fantasia di molti.

Per alcuni l'Isola di Pasqua avrebbe fatto parte del continente MU, e sarebbe stata collegata ad Asia e Americhe da immense GALLERIE. Dopo che MU si inabissò nelle acque del Pacifico, i sopravvissuti (appartenenti, appunto, a vari ceppi etnici) vi sarebbero rimasti isolati. E la loro scrittura sarebbe proprio la stessa usata nella valle dell'Indo, in quanto MU costituiva una specie di ponte sul Pacifico, come ATLANTIDE lo costituiva sull'Atlantico.

In realtà qualche enigma dell'isola di Pasqua è stato svelato: come si è ricordato nel congresso intitolato "Misteri risolti", che si è svolto a Torino nel 1988, nel 1955 l'esploratore Thor Heyerdahl riuscì a mettere in piedi un MOAIin diciotto giorni, con l'aiuto di dodici nativi e, come unici strumenti, tronchi e pietre.

E' dimostrato, dunque (ma non è detto che sia successo realmente), che anche la modesta tecnologia locale avrebbe potuto realizzare quelle opera imponenti.

La scomparsa

 E' recentissima, invece, la scoperta della causa della scarsità della popolazione dell'isola: studiando pollini fossili, alcuni ricercatori hanno rilevato che, secoli addietro, essa offriva tutti i necessari mezzi di sussistenza; successivamente l'eccessivo sfruttamento dei campi, l'uso indiscriminato del legno delle foreste, i numerosi incendi appiccati durante le guerre locali ne hanno distrutto completamente l'equilibro ecologico, riducendo alla fame i suoi abitanti.

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LA FINE DI RAPA NUI

Il XV secolo segnò la fine non solo delle palme dell’Isola di Pasqua, della foresta stessa. La fine di Rapa Nui.

La sua fine si stava avvicinando perché la gente liberava il terreno per farne giardini; perché abbatteva gli alberi per costruire canoe, per trasportare ed erigere statue, e per alimentare il fuoco; perché i topi divoravano i semi; e probabilmente perché gli uccelli del luogo che impollinavano i fiori degli alberi e ne disperdevano i frutti si estinsero. Il quadro complessivo è tra gli esempi di distruzione delle foreste più estremi nel mondo: l’intera foresta scomparve e quasi tutte le specie arboree che la costituivano si estinsero.

La distruzione degli animali dell’isola fu estrema quanto quella della foresta stessa: senza eccezioni, ogni specie di uccello terrestre si estinse. Anche i crostacei furono oggetto di pesca eccessiva, fino al punto che la gente dovette adattarsi a piccole lumache di mare piuttosto che ai molluschi più grandi. Le ossa delle focene scomparvero improvvisamente dai mucchi di rifiuti verso il 1500; nessuno poteva più arpionare le focene, dal momento che gli alberi usati per costruire le grandi canoe per la navigazione in mare non esistevano più. Le colonie di oltre la metà delle specie di uccelli marini che nidificavano sull’Isola di Pasqua o sulle isolette al largo furono spazzate via.

Al posto di queste fonti di carne, gli isolani di Pasqua intensificarono la loro produzione di polli, che erano stati solo un cibo occasionale. Essi si rivolsero anche alla maggior fonte di carne residua ancora disponibile: gli esseri umani, le ossa dei quali divennero comuni nei mucchi di rifiuti più recenti dell’Isola di Pasqua. Le tradizioni orali degli isolani abbondano di riferimenti al cannibalismo; l’insulto più cocente che potesse essere rivolto a un nemico era: “Ho ancora la carne di tua madre tra i denti”. Senza legname disponibile per cucinare questi nuovi beni, gli isolani fecero ricorso a rimasugli di canna da zucchero, erba e carici per alimentare i propri fuochi.

Tutti questi frammenti di prove possono essere fatti confluire in una narrazione coerente del declino e della caduta di una società. I primi colonizzatori Polinesiani si ritrovarono su un’isola fornita di suolo fertile, cibo abbondante, materiali da costruzione a piene mani e tutti i prerequisiti per una vita confortevole. Essi prosperarono e si moltiplicarono.

Dopo alcuni secoli, essi cominciarono a erigere statue di pietra su piattaforme, come quelle che i loro antenati polinesiani avevano scolpito. Col passare degli anni, le statue e le piattaforme divennero sempre più grandi, e le statue cominciarono a ostentare una corona rossa da dieci tonnellate — probabilmente in una spirale ascendente di rincorsa al primato, quando i clan rivali cercavano di superarsi a vicenda mettendo in mostra ricchezza e potere. (Allo stesso modo, Faraoni successivi costruirono piramidi sempre più grandi. Gli attuali magnati del cinema Hollywoodiano vicino alla mia casa a Los Angeles stanno mettendo in mostra la propria ricchezza e il proprio potere costruendo dimore sempre più sfarzose. Tycoon Marvin Davis superò il precedente magnate con progetti per una casa di 5.500 m2, per cui Aaron Spelling ha superato Davis con una casa di 6.200 m2. Tutto ciò che manca a quegli edifici per rendere esplicito il messaggio sono corone rosse da dieci tonnellate.) Sull’Isola di Pasqua, come nella moderna America, la società era tenuta insieme da un complesso sistema politico per redistribuire le risorse disponibili localmente e per integrare le economie di differenti zone [per l’Italia possono valere le stesse considerazioni - N.d.T.].

Alla fine la popolazione in crescita dell’Isola di Pasqua stava tagliando la foresta più rapidamente di quanto la foresta stessa fosse in grado di rigenerarsi. La gente usava i terreni per i giardini e il legname come combustibile, per la costruzione di canoe e edifici — e, ovviamente, per trascinare statue. Non appena la foresta scomparve, gli isolani rimasero senza legname e senza corde per trasportare ed erigere le proprie statue. La vita divenne più disagevole — le sorgenti e i torrenti si prosciugarono, e la legna non era più disponibile per accendere fuochi.

La gente trovò anche più difficile riempirsi lo stomaco, dal momento che gli uccelli terrestri, le grandi conchiglie di mare e molti uccelli marini scomparvero. Poiché il legname per costruire canoe per la navigazione in mare non era più disponibile, la pesca declinò e le focene sparirono dalla tavola. Anche i raccolti declinarono, dal momento che la deforestazione permise che il suolo venisse eroso dalla pioggia e dal vento, seccato dal sole e le sue sostanze nutritive dilavate. L’intensificata produzione di polli e il cannibalismo rimpiazzarono solo parte di quelle perdite di generi alimentari. Alcune statuette con guance incavate e costole visibili che si sono conservate suggeriscono che la gente aveva fame.

Con la scomparsa della sovrabbondanza di cibo, l’Isola di Pasqua non poté più nutrire i capi, i burocrati e i preti che avevano mantenuto in funzione una società complessa. Gli isolani ancora in vita descrissero ai primi visitatori europei come il caos locale rimpiazzò il governo centrale e una classe di guerrieri prese il sopravvento sui capi ereditari. Le punte di pietra di lance e pugnali, fabbricate dai guerrieri durante l’epoca della loro maggiore prosperità nel ‘600 e nel ‘700, sono ancora sparse sul terreno dell’Isola di Pasqua oggi. Verso il 1700, la popolazione cominciò a crollare verso una quantità compresa tra un quarto e un decimo del suo numero precedente. La gente cominciò a vivere in caverne per proteggersi contro i nemici. Verso il 1770 i clan rivali cominciarono a rovesciarsi le statue a vicenda, demolendo le teste. Entro il 1864 l’ultima statua era stata abbattuta e profanata.

Nel momento in cui cerchiamo di immaginare il declino della civiltà occidentale, ci chiediamo “Perché non si sono guardati intorno, non si sono accorti di ciò che stavano facendo e non si sono fermati prima che fosse troppo tardi? Cosa stavano pensando quando tagliarono l’ultima palma?”

Sospetto, tuttavia, che il disastro non si sia verificato con uno scoppio, ma con un gemito. Dopo tutto, ci sono quelle centinaia di statue abbandonate da tenere in considerazione. La foresta dalla quale gli isolani dipendevano per i rulli e le corde non è semplicemente scomparsa in un giorno — è svanita poco a poco, nel corso di decenni. Forse la guerra interruppe le squadre al lavoro; forse nel momento in cui gli scultori ebbero finito la loro parte, l’ultima corda si strappò. Nel frattempo, ogni isolano che tentasse di avvertire dei pericoli della progressiva deforestazione sarebbe stato scavalcato dagli interessi acquisiti degli scultori, dei burocrati e dei capi, il lavoro dei quali dipendeva dal proseguimento della deforestazione. I nostri taglialegna del Nord-Ovest sul Pacifico sono solo gli ultimi di una lunga dinastia di taglialegna a gridare: “Il lavoro prima degli alberi!”. [analoghe situazioni sono riscontrabili anche in Italia: si pensi all’edilizia turistica costiera… - N.d.T.] I cambiamenti nella copertura forestale da un anno all’altro sarebbero stati difficili da vedere: sì, quest’anno abbiamo tagliato quei boschi laggiù, ma gli alberi stanno cominciando a ricrescere in questo giardino abbandonato, qui. Solo i più anziani, ricordando i decenni della loro fanciullezza, potrebbero aver visto la differenza. I loro bambini non avrebbero potuto comprendere i racconti dei loro genitori più di quanto i miei figli di otto anni oggi possano comprendere quelli di mia moglie e miei su come era Los Angeles 30 anni fa [o come fosse l’Italia solo 40 anni fa - N.d.T.].

Gradualmente gli alberi divennero meno numerosi, più piccoli e meno importanti. Nel momento in cui l’ultima palma fruttifera adulta venne tagliata, le palme avevano da tempo cessato di avere un qualche significato economico. Questo fatto lasciò solo palme sempre più piccole da tagliare ogni anno, insieme ad altri arbusti e alberelli residui. Nessuno avrebbe notato la caduta dell’ultima piccola palma.

 

LA FINE DELLA TERRA COME RAPA NUI?

A questo punto il significato della storia dell’Isola di Pasqua per noi dovrebbe essere freddamente ovvio. L’Isola di Pasqua è la Terra in piccolo. Oggi, di nuovo, una popolazione crescente si confronta con la riduzione delle risorse. Anche noi non abbiamo una valvola migratoria, poiché tutte le società umane sono interconnesse per mezzo di trasporti internazionali, e noi non possiamo fuggire nello spazio più di quanto gli isolani di Pasqua potessero fuggire nell’oceano. Se continuiamo a seguire il percorso attuale, ci ritroveremo ad avere esaurito le più grandi riserve di pesca del mondo, le foreste tropicali, i combustibili fossili e gran parte del nostro suolo entro il momento in cui i miei figli raggiungeranno l’età che ho oggi [in effetti, sarebbe saggio non avere affatto figli - N.d.T.].

Quotidianamente i giornali riportano i dettagli di paesi alla fame — Afghanistan, Liberia, Ruanda, Sierra Leone, Somalia, ex-Yugoslavia, Zaire — nei quali i soldati si sono appropriati delle ricchezze o nei quali il governo centrale si piega a bande locali di assassini. Con il rischio della guerra nucleare che diviene più remoto, la minaccia di vedere la fine in un’esplosione non può più indurci a fermare la nostra corsa. Il rischio è ora nel declinare, lentamente, in un lamento. L’azione correttiva è bloccata da interessi acquisiti, da dirigenti politici ed economici bene intenzionati e dai loro elettorati, tutti perfettamente nel giusto nel non notare grandi cambiamenti da un anno all’altro. Invece, ogni anno ci sono giusto un po’ più persone e un po’ meno risorse, sulla Terra.

Sarebbe facile chiudere gli occhi o arrendersi per la disperazione. Se migliaia di semplici isolani dell’Isola di Pasqua con i loro soli attrezzi in pietra e la sola forza dei propri muscoli riuscirono a distruggere la propria società, come possono miliardi di persone con attrezzi in metallo e potenti macchine fallire nel fare di peggio? Ma c’è una sostanziale differenza. Gli isolani dell’Isola di Pasqua non avevano libri, né storie di altre società condannate. A differenza di quegli isolani, noi abbiamo storie del passato — informazioni che possono salvarci. La mia principale speranza per la generazione dei miei figli è che potremmo ora scegliere di imparare dal destino di società quale quella dell’Isola di Pasqua.

 

Pubblicato in Discover Magazine del 08/01/1995

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