Al
posto di queste dune di sabbia, una volta c'era una savana
rigogliosa abitata da animali e uomini.
La storia della cultura
egiziana potrebbe essere cominciata molti millenni prima di quando
pensiamo in quello che oggi è uno sperduto angolo del deserto del
Sahara al confine tra Libia e Algeria.
Attorno alle due zone
montuose chiamate Tadrat Acacus e Tassili N'Ajjer, 10.000 anni fa
pascolavano elefanti e grandi bovidi e la terra era fertile.
Qui all'ombra delle
grotte e dei molti ripari naturali, vissero genti che furono prima
cacciatori, poi allevatori, e infine vennero scacciati dalla loro
terra da quel mutamento epocale del clima che avrebbe trasformato
quest'area abitabile in una distesa di sabbia e rocce aride.
Fu 5.000 anni fa,con
l’inizio della desertificazione, che queste genti si spinsero verso
il Nilo. Furono loro gli antenati dei Faraoni?
Qualche indizio c’è ma le ricerche che potrebbero provare queste ipotesi
saranno lunghe.
Non dobbiamo immaginare che il Sahara sia sempre stato arido. Nel
corso dei millenni, a periodi di siccità anche peggiori di quello
attuale si sono alternate fasi di pioggia frequenti.
Durante questi periodi umidi l’ambiente si trasformava in una savana
alberata con fiumi e laghi dove oggi ci sono le dune.
Per esempio, sotto le dune dell’erg (letteralmente ”grande sabbia”)
di Uan Kasa , che separa la falesia dell’Acacus dall’area montuosa
del Messak al confine tra Libia e Algeria , sono stati trovati i
resti di antichissimi laghi e le testimonianze di un’intensissima
frequentazione umana con piccoli strumenti di selce forse usati per
la pesca.
Infatti è con il ritorno delle piogge, tra i 14.000 e i 5.000 anni
fa, che la fauna torna a ripopolare quest’area e con esse anche le
comunità di cacciatori che finalmente possono disporre di cibo
abbondante e di un habitat favorevole.
Proprio di questo periodo vi sono numerose tracce di graffiti incise
nelle rocce del Sahara.
Tadrart
Acacus
Posto all'estremità sud occidentale del Sahara libico, il Tadrart Akakus è un altopiano di circa 900 m d’altezza, con cime che
superano i 1300 m che si estende in direzione nord sud per circa 150
km di lunghezza e 30 km di larghezza. Ad est è contornato dagli erg
sabbiosi di Uan Kaza e Murzuk mentre a ovest confina con il Tassili
algerino.
Una lunga storia geologica, le trasformazioni millenarie del clima e
l’azione erosiva del vento hanno fortemente tormentato la morfologia
del territorio, costituito da massicci di arenaria, intersecati da
fiumi fossili risalenti alla preistoria che hanno scavato profondi
canyon e scolpito le rocce in forme caratteristiche, a volte molto
spettacolari. Ne è un esempio il cosiddetto “Arco di Trionfo” che si
erge per oltre 50 metri nella zona di Fozzigiaren.
Questo ambiente naturale, in epoche remote, era in grado di ospitare
popolazioni e animali. Il Sahara, infatti, e tutta l'Africa del nord
erano un'immensa savana percorsa da fiumi impetuosi e popolata da
una ricca fauna selvaggia. Le tracce di questa presenza sono
visibilmente giunte ai nostri giorni in forma di graffiti e immagini
pittoriche di grande pregio, preservati nei millenni grazie al clima
secco e asciutto, nonostante l’esposizione all’erosione della sabbia
e del vento.
L’Uadi
Teshuinat
Il ramo fluviale principale dell'Acacus,
è l’area dove si riscontra la maggior concentrazione di siti
rupestri. Questo uadi, si sviluppa per circa 60 chilometri nella
parte centrale del massiccio. Il suo stretto canyon via via si
allarga lasciando il posto a un’ampia vallata delimitata da
vertiginose falesie verticali.
Un luogo di spettacolare bellezza quale l’uadi Teshuinat, dal cui
letto sabbioso appaiono scorci panoramici sempre diversi, non poteva
non alimentare la fantasia dei padroni del deserto, i tuareg. Al
centro del Teshuinat emergono, completamente isolati, due enormi
roccioni dai fianchi ripidissimi, uno dei quali è detto “dei mille
cammelli”.
Si narra, infatti, che un giorno, all’epoca in cui il
letto dell’uadi offriva pascolo per le mandrie, un tuareg si vantò
che avrebbe potuto arrampicarsi sino alla vetta della roccia più
elevata e inaccessibile. I tuareg lo misero alla prova
promettendogli, come premio per questa impresa, mille cammelli. Il
temerario accettò la sfida e, indenne, arrivò in cima. Purtroppo per
lui non seppe più scendere dalla vetta conquistata e vi morì di fame
e di sete, contemplando dall’alto la sua enorme e vana ricchezza.
Alla base delle pareti di roccia
dell’uadi numerosi ricoveri naturali hanno offerto riparo agli
uomini primitivi che, in molti casi, li hanno decorati con stupendi
affreschi, studiati da appassionati ricercatori di tutto il mondo. I
più interessanti dipinti si trovano nei siti di Uan Amil, Tin
Tarharit e In Farden.
Uan Amil
è probabilmente il sito più interessante
dell’intero uadi. Il ciclo di affreschi, databile in epoca pastorale
antica, è di assoluta bellezza e affascina attraverso scene tratte
dalla vita quotidiana, di battaglia e di caccia. La Preparazione
dell’acconciatura e la Scena della vestizione trasportano
immediatamente in una quotidianità lontana migliaia di anni e
raccontano le fasi preparatorie per la realizzazione della
cosiddetta “chioma a cimiero”, pettinatura in auge anche nell’antica
Roma.
Un altro episodio di estremo interesse è la cosiddetta
Coercizione in cui una figura femminile è trascinata all’interno di
un recinto circolare da un personaggio (probabilmente un’altra
donna), aiutato da una terza figura maschile che sospinge la donna
riluttante.
Di chiaro significato epico è invece la Scena della Battaglia, in
cui si fronteggiano due schiere di guerrieri. A sinistra, venti
uomini si caratterizzano per acconciature con un ciuffo giallo, lo
schieramento avversario è invece composto da guerrieri che
presentano l’acconciatura con il ciuffo rosso. Sulla destra spiccano
due figure regali dai tratti raffinati, che si scambiano dei doni
tra i quali, decisamente riconoscibile, un boomerang. Probabilmente
l’intera scena è il primo esempio nella storia dell’umanità di
descrizione di un fatto realmente accaduto: la contesa di pascolo e
lo scontro tra le etnie dei ciuffi gialli e dei ciuffi rossi,
terminata con un’alleanza suggellata dallo scambio di doni tra i
capi e un matrimonio di stato.
Alla base di un’imponente parete di
roccia, la grotta di Tin Tarharit si apre al cospetto di un’alta
duna che, riportando la mente al più tipico paesaggio sahariano,
contrasta vivamente con le scene rappresentate dall’abile mano degli
antichi cacciatori africani. Alla destra della vistosa spaccatura
che caratterizza questo riparo, si incontra una vivace Caccia al
muflone, seguita da due Figure femminili. Sulla parte destra si
sviluppa il cosiddetto Galoppo volante, una scena composta da due
carri equestri di colore rosso intenso. Il medesimo riparo ospita
anche una splendida giraffa gialla punteggiata in ocra, alcuni
capridi e un grande bovino che allatta un vitello
Messak Settafet
"il massiccio nero", è un ambiente
naturale molto diverso dall'Acacus: si tratta di un vasto altopiano,
intagliato da spaccature rocciose, ricoperto da detriti di arenaria
lucidati dalla sabbia e anneriti dal caldo rovente del Sahara.
Un territorio desolato, praticamente senza vegetazione, tranne che
negli uadi. Eppure, in una vicina epoca geologica, quest’area che si
perde verso sud, nella piana che annuncia le dune dell'Erg di Murzuq,
era una foresta rigogliosa, contornata da praterie, solcata dalle
acque di un grande fiume, l’attuale uadi Bergiug.
Come, ancora oggi, avviene centinaia di chilometri più a sud,
foresta e savana riecheggiavano dei richiami della fauna selvaggia,
ricchezza per gli uomini preistorici, che ne traevano fonte di
nutrimento e di ispirazione artistica. L’arenaria del Messak
Settafet ha offerto a queste popolazioni un vasto territorio di
caccia e la prima tela su cui raccontare il proprio mondo che,
intatto, è giunto sino a noi, all’epoca della computer grafica.
Nel 1850 l’esploratore James Richardson,
il naturalista Adolf Overweg e l’archeologo Heinrich Barth furono i
primi europei ad ammirare i graffiti del Messak Settafet; incisioni,
come annotò Barth, che “portano il segno di una mano forte e
rilassata, ben esercitata in questo tipo di lavoro”. Da allora
l’arte rupestre del Fezzan ha attratto molti studiosi: Leo Frobenius,
Paolo Graziosi, Fabrizio Mori, tutti affascinati dalla vita che
traspare da questa foresta perduta.
Mathendush
Punto di riferimento dell’arte rupestre sahariana, il sito dell’uadi
Mathendush si trova alle pendici sud orientali dell’altopiano del
Messak Settafet. I cinquanta metri della falesia dello uadi
costituiscono lo scenario di questo spettacolare museo a cielo
aperto, che ci immerge nell’epoca dei cacciatori messakiani.
Al centro del sito si manifesta l’universo reale e mitologico di
queste popolazioni primitive, e prende vita attraverso tratti
profondamente incisi che delineano le immagini staccandosi dalla
parete accuratamente lisciata. Questa sorta di santuario è dominato
da due animali immaginari, che si fronteggiano, eretti sugli arti
posteriori. La postura aggressiva delle zampe anteriori contrasta
con l’atteggiamento generale delle due figure dalle movenze feline,
che lievitano verso l’alto in una sorta di danza rituale. Tra i due
Gatti Mammoni (Meercatze), come li battezzò Frobenius, spiccano le
incisioni di quattro piccoli struzzi.
Sotto le due bizzarre figure si dispiegano opere di indubbio
interesse artistico. Una giraffa, l’animale di gran lunga più
rappresentato, con zampe poderose e collo forte. A destra la
fronteggiano due cerchi: quello inferiore, coevo all’immagine, è
formato da due cerchi concentrici raccordati da nove linee, una
delle quali prosegue verso il basso fino a congiungersi a una forma
irregolare.
Basandosi sulle tecniche di caccia ancora utilizzate dalle
popolazioni Dinka e Nuer del Sudan meridionale, i ricercatori hanno
ipotizzato che queste forme geometriche, presenti anche in altri
graffiti, rappresentino delle trappole finalizzate ad imprigionare
gli arti dell’animale. Questo, trattenuto da una pesante pietra
diveniva così più facilmente attaccabile dagli uomini con lance e
pugnali. Probabilmente questa rappresentazione aveva la funzione di
pannello didattico, per istruire i giovani e iniziarli alle tecniche
venatorie.
Verso l’estremità sinistra del Mathendush un possente coccodrillo
preda un erbivoro, mentre, più a sinistra, si staglia un grande
rettile, probabilmente un varano d’acqua, animale che, autentico
fossile vivente, sopravvive ancora nel massiccio dell’Ennedi.
Nei circa 1000 metri del Mathendush, l’arenaria racconta, attraverso
centinaia di immagini, la primordiale storia di cacciatori, in un
ambiente difficile ma di straordinaria bellezza.
In Galghien
“La pozza dei corvi”, secondo il suo significato in tamahaq, la
lingua dei tuareg, si trova alle pendici sud orientali
dell’altopiano del Messak Settafet. Però per tutti gli appassionati
d’arte rupestre sahariana In Galghien è “il posto degli elefanti” a
causa della grandiosità ed efficacia con cui sono riprodotte le
scene di caccia al mastodontico pachiderma. Tecniche venatorie,
ancora oggi utilizzate dai pigmei delle foreste centrafricane, si
alternano a rappresentazioni di struzzi e di giraffe, oltre a un
ippopotamo che, inevitabilmente, ci induce ad immaginare un ambiente
naturale ricco di acqua e di vegetazione.
In questo sito sono facilmente distinguibili anche i caratteri
alfabetici tifinhag, usati dai tuareg. Di epoca molto più recente,
ma non sempre leggibili, si riferiscono a stadi antichi della lingua
tamahaq. Nella maggior parte dei casi si tratta di frasi
estremamente semplici, che si trovano in corrispondenza dei punti di
sosta delle carovane. La presenza dei tifinhag segnala, quindi,
l’esistenza di falde acquifere.
Nel deserto la più
grande collezione d'arte rupestre
Questa natura rigogliosa, popolata da
grandi animali, come elefanti e giraffe, è proprio il soggetto delle
prime opere pittoriche.
Ma quando questi uomini cominciarono a
incidere sulle rocce?
I graffiti che risalgono a 4.500 anni fa
sono tutti ricoperti da una patina grigia che si formò all'incirca
in quell'epoca. Ma nel solco dei graffiti più antichi si riscontrano
anche un processo di corrosione che è precedente rispetto alla
formazione della patina, che è stato provocato da alterazioni
climatiche verificatasi in un momento dell'antico Olocene, tra
10.000 e 7.000 anni fa.
Non si conosce la data precisa ma si
ritiene che i graffiti antichi possono precedere quella data e
risalire fino a 12.000 anni fa.
E' verosimile che siano l'opera delle
prime popolazioni giunte nel Sahara centrale al seguito delle piogge
monsoniche.
Le fasi, la
migrazione in Egitto
Gli studiosi dell'arte rupestre sahariana hanno
evidenziato 5 periodi storici differenti dell'evoluzione artistica:
Grande Fauna Selvaggia, Teste Rotonde, Pastorale, Fase del cavallo,
Fase del cammello.
Nella fase della
Grande Fauna Selvaggia i graffiti, tracciati con un solco
profondo fino a 15 mm e largo anche 10, fanno immaginare una savana
dove circolavano elefanti, giraffe, leoni e rinoceronti in gran
numero.
Gli autori di questi incisioni erano
cacciatori-raccoglitori che vivevano alla fine del Paleolitico. La
loro sopravvivenza dipendeva dalle risorse dell'ambiente ed era
facile immaginare come la caccia potesse essere l risorsa
principale. Era una vita condotta all'insegna del pericolo.
Affrontare una belva ferita, rincorrerla tra i monti o catturarla al
momento dell'abbeverata doveva essere molto rischioso. Forse per
questo che sulle rocce gli animali venivano raffigurato in grandi
dimensioni, seguiti da caciatori timorosi che appaiono sempre in
gruppo e di dimensioni sproporzionatamente ridotte rispetto alla
bestia.
In questo periodo comparve anche un
altro bovide con corna lunghe e rivolte verso l'alto. Un Bubalus
antiquus che si estinse circa 10.000 anni fa. E' considerato dagli
archeologi una sorte di "fossile guida" che indicherebbe che il
graffito è stato eseguito prima della scomparsa dell'animale.
Poi qualcosa cambia.
E all'incirca 8.000 anni fa il mondo di
questi popoli si fa più complesso. Comincia il periodo delle
Teste Rotonde. Per la prima volta
l'attenzione è rivolta all'uomo. I temi naturalistici scompaiono.
Gli artisti scelgono le pareti di alcuni grandi ripari scavati dalle
erosioni.
Quì vengono dipinti i misteriosi
personaggi senza volto che danzano sulle rocce come se
stessero compiendo una cerimonia, indossano maschere fiabesche,
a volte hanno il corpo tatuato e puntinato di bianco. Sono figure
che sembrano non appartenere a questo mondo. Perchè?
A questo periodo si attribuiscono i
primi tentativi di addomesticare gli animali, l'uomo comincia ad
usare macine e spatole di legno trovate ancora con tracce di colore.
Raccoglie semi nei cesti e produce ceramica.
Tra gli 8.000 e 5.000 anni fa l'addomesticamento
è un fatto compiuto. In questo periodo il clima favorisce
l'espansione della civiltà nel centro del Sahara: è la fase
Pastorale. La sua arte racconta in modo
verosimile sulle rocce grandi scene pastorali. Ma accanto al mondo
idilliaco fatto di tante mandrie di bovidi al pascolo ci sono anche
le lotte cruenti, gli scontri fra clan rivali ritratti con stile
pittorico maturo e preciso fino al dettaglio. Si distinguono i
profili minuziosi di gruppi etnici differenti che fanno pensare che
di quì sono passati genti di diversa provenienza.
Ma a partire dal 3.000 anni avanti
cristo sopraggiunse un nemico inaspettato: il deserto. Con l'inizio
della fase arida, quella tuttora in corso, questo mondo fiorente
pian piano scompare. I pastori abbandonano il Sahara e l'arte
rupestre si inaridisce.
Sono le fasi del
Cavallo e del Cammello. Il
declino si riflette nelle immagini sulle rocce: i personaggi sono
stilizzati.
Gli abitanti si spostano verso zone più
fertili. La coincidenza stupefacente è che proprio a questa
migrazione corrisponde, 2.000 chilometri a est, la nascita sul Nilo
della civiltà egizia.
Gli archeologi ora si limitano a dire
che ciò che avvenne nel Tadrart Acacus potrebbe spiegare
sorprendenti affinità tra alcune pitture sahariane e l'iconografia
egiziana, come il bovide con le corna a lira che trattiene un ovale,
così simile al sacro bue Apis.
Le ricerche continuano.
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