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SCIENZA E SPORT
by silvano

 

 

 
 

I TRAUMI SPORTIVI

 

 
 

i traumi da sport

il ginocchio
spalla
gomito
caviglie
muscoli

il riscaldamento

 
       

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL RISCALDAMENTO
PRE-GARA

A cura del Prof. Mario Testi
Testo del Dott.
Marcello Faina
Dipartimento di Fisiologia e Biomeccanica
dell’Istituto di Scienza dello Sport, C.O.N.I. Roma

Introduzione

Da molti anni la pratica di un'attività fisica d'intensità sufficientemente sostenuta, ma non tale da causare la fatica, prima di una prestazione agonistica o di uno sforzo muscolare, è utilizzata come un potenziale aiuto ergogenico alla prestazione stessa; tale pratica è universalmente conosciuta con il termine "riscaldamento" (warm-up).

In realtà sulla reale efficacia del riscaldamento si dibatte da lungo tempo. Fra il 1950 ed il 1970 furono effettuati numerosi studi (Saltin, Cotten, ecc.) per verificare l'efficacia del riscaldamento, sull'efficienza atletica dei soggetti, con risultati contrastanti fra loro. C'è da rilevare però, che in questi esperimenti furono utilizzate differenti modalità di riscaldamento con carichi diversi (di solito non quantificati secondo l'intensità) in atleti con differente grado di preparazione e di diversa età. Si può pertanto ipotizzare che alcune delle ragioni per spiegare le discordanze dei risultati conseguiti possano essere il numero non elevato dei soggetti, la non omogeneità del campione e la breve durata e la bassa intensità del riscaldamento stesso.

I risultati delle più recenti ricerche hanno portato ad una maggiore conoscenza degli effetti del riscaldamento sulla prestazione e soprattutto ad un più vasto accordo sui suoi effetti benefici.
E' quindi possibile fare il punto della situazione su quello che oggi si sa sul riscaldamento, prendendo peraltro atto che molti aspetti ci sono ancora oscuri.

Una prima considerazione riguarda proprio la definizione "riscaldamento". Infatti, alcuni autori, sostenendo che alcune delle attività fisiche precedenti la prestazione non aumentano realmente la temperatura del muscolo e quell'interna corporea, suggeriscono che sia più corretto utilizzare il termine "esercizio precedente" piuttosto che "riscaldamento".

Classificazione del Riscaldamento

Gli aspetti relativi al riscaldamento, sui quali allo stato attuale pare esserci un generale accordo, sono: la classificazione dei diversi tipi di riscaldamento e la durata e l'intensità ottimale alla quale questo va svolto.
In generale possiamo classificare, in prima istanza, il riscaldamento in due categorie principali:
 

Attivo, nel quale l'aumento della temperatura corporea è determinato da un aumento del metabolismo (quindi la fonte di calore è lo stesso muscolo che lavora).

Passivo, nel quale l'aumento della temperatura corporea è determinato dal passaggio (per conduzione, convezione etc.) di calore dall'esterno del corpo al suo interno

  

Riscaldamento attivo

Il riscaldamento "attivo" consiste in esercizi di vario genere che a loro volta sono classificati in base alla relazione con lo sforzo da compiere in:

  1. identico alla performance
  2. collegato direttamente alla performance
  3. collegato indirettamente alla performance

 

Riscaldamento attivo "identico" alla performance
Viene anche detto riscaldamento "formale o collegato". E' costituito da esercizi ed azioni muscolari completamente uguali per intensità cinematica e dinamica al gesto di gara. Ne sono esempio: il lanciatore di baseball che effettua nel riscaldamento molti lanci usando la stessa posizione, la stessa forza e velocità utilizzata poi durante la gara; il giocatore di pallavolo che prova il muro o la schiacciata ecc... 

Il riscaldamento attivo  "collegato direttamente" alla performance
Consiste in azioni muscolari uguali a quelle specifiche di gara che però, a differenza del riscaldamento identico, non sono compiute nella loro interezza oppure sono compiute ad intensità inferiore a quelle di gara. Si tratta cioè di preservare la cinematica del gesto e la tecnica evitando comunque di riprodurre totalmente lo sforzo della gara. Ne sono esempio il velocista che prova la partenza ed i primi 20 metri, il lanciatore del disco che prova solo alcune parti del movimento all'intensità di gara oppure il gesto a velocità inferiore.

Il riscaldamento "collegato indirettamente" alla performance
E' costituito da azioni e movimenti del tutto o in parte aspecifici rispetto a quelli di gara e tali da non riprodurre l'intensità propria della gara stessa. Ne fanno parte quindi tutte le attività fisiche che hanno come obiettivo l'aumento della temperatura corporea e la facilitazione della conduzione neuro-muscolare. Ciò può avvenire quindi solo con azioni prolungate nel tempo e necessariamente non d'elevata intensità. Ben si comprende come questo tipo d'esercizio sia generalmente non specifico per nessuna condizione di gara, anche se può essere effettuato usando il gesto ed il mezzo di gara come la corsa per i fondisti, la bicicletta per i ciclisti, gli sci per gli sciatori di fondo ecc.

 

Riscaldamento passivo

Simile al "riscaldamento indiretto", in quanto ad obiettivi, è il riscaldamento passivo, nel quale ci si propone di aumentare la temperatura corporea senza far eseguire all'atleta alcun esercizio. Ciò si ottiene "riscaldando" dall'esterno il corpo con bagni, massaggi, diatermia e docce calde.

Considerazioni sulle varie categorie di riscaldamento

Una descrizione così analitica e rigida del riscaldamento è in realtà semplicistica. Infatti, nella realtà attuale il riscaldamento pre-gara ha assunto tali e tante caratteristiche di sofisticatezza e complessità da renderne assai difficile una descrizione ed anche una corretta analisi dei meccanismi d'azione. Va, infatti, tenuto conto che il riscaldamento deve essere organizzato non solo tenendo conto, ed è ovvio, delle specialità alla quale partecipa l'atleta in questione, ma anche delle sue caratteristiche fisiche e psicologiche.
Come si vedrà più avanti, infatti, il riscaldamento sembra agire su diversi aspetti dell'organismo umano e quindi non si può prescindere da un'analisi globale di tali aspetti e di come interagiscono differentemente nei singoli individui. 

Un riscaldamento quindi può essere programmato in molti modi differenti, anche se tutti i tipi di riscaldamento, attualmente, tendono a comprendere ciascuna delle quattro tipologie sopra descritte. A titolo d'esempio, si pensi al tennista che è solito effettuare un riscaldamento "identico" per il servizio, compiendo l'esercizio sempre nelle stesse condizioni che si verificano durante la partita (distanza, posizione, numero di palle da tenere in mano, servizio sempre con la stessa velocità di gara), associando a questo un riscaldamento "diretto", consistente nel servire a velocità minore oppure effettuare uno degli aspetti del servizio, come il lanciare la palla all'altezza desiderata senza colpirla.
I due riscaldamenti sono preceduti da un riscaldamento "indiretto", comprendente attività come la corsa, i piegamenti ed esercizi di forza e da un riscaldamento "passivo" consistente in una doccia e/o un massaggio.
Esempi come questo del tennista si possono riscontrare in molti sport, ovviamente, a conferma dell'estrema complessità del riscaldamento e come sia, in qualche modo superato, il concetto che codificava classicamente in uno sforzo continuo da svolgere ad intensità di circa il 60% del VO2 max per almeno 20 minuti.
Quest'ultima metodica, se può mantenere una sua validità per il riscaldamento indiretto in rari casi d'atleti e più facilmente per l'uomo "normale" che svolga un'attività motoria ludica per il fitness o per il wellness, certamente non può essere applicato, come si è visto, alla quasi totalità degli sport.

Meccanismo d'azione del riscaldamento

Proprio la complessità con la quale oggi un riscaldamento può essere pianificato rende ragione della necessità di analizzare quali siano i meccanismi, fisiologici e non, che si ritiene essere alla base degli effetti positivi del riscaldamento. Ciò, ovviamente, al fine di meglio integrare le varie forme possibili d'esercizio pre-gara.
Anche da questo punto di vista le certezze non sono totali e le ipotesi suggerite dai vari ricercatori diverse, anche se si può ancora considerare valido, peraltro, il principio che il riscaldamento non debba portare alla fatica ed all'esaurimento dei substrati energetici, così da incidere negativamente sulla prestazione successiva.

Meccanismi fisiologici 
Per ciò che riguarda quest'ultimi, si sostiene che l'effetto principale sia rappresentato dall'aumento della temperatura dei muscoli. Quest'incremento termico, determinato dall'aumento del metabolismo energetico, avrebbe l'effetto di ridurre la viscosità dei muscoli, facilitandone quindi l'azione durante la gara, di modo che l'atleta spenda meno energia per far scorrere le fibre muscolari l'una sull'altra. L'aumento della temperatura riguarda, ovviamente, anche il sangue e ciò favorisce la liberazione dell'ossigeno dai globuli rossi alle cellule rendendo queste più pronte a produrre energia, specialmente per via aerobica. Questo meccanismo metabolico è ulteriormente favorito dall'aumentato afflusso di sangue, sempre causato dall'esercizio pre-gara, e dal rialzo della temperatura muscolare, che facilita l'azione degli enzimi dei processi metabolici. L'effetto della temperatura non è limitato, probabilmente, ai soli enzimi del metabolismo aerobico. Al contrario si può ipotizzare, come indicano alcune recenti ricerche, che l'azione del riscaldamento interessi gli enzimi di tutti i processi metabolici, non ultimi quelli anaerobici alattacidi.
Per concludere, il riscaldamento, sembra avere l'effetto di rendere il soggetto capace di attivare più rapidamente i propri processi metabolici quali che questi siano. 

Un altro aspetto che forse è stato meno sottolineato, ma che non può non esser opportunamente valutato, è costituito dagli effetti del riscaldamento sulla fisiologia neuro-muscolare.
Alcuni autori, infatti, sostengono che il riscaldamento ha la proprietà di accelerare la conducibilità nervosa, favorendo, anche grazie a ciò e non solo per semplice facilitazione metabolica, l'attivazione dei processi di contrazione muscolare all'inizio di uno sforzo.
Sarebbe quindi plausibile pensare che il riscaldamento "identico" non riconosce i suoi benefici effetti in una generica azione ipertermizzante (che, per lo più, non ha a causa dell'ovvia brevità di questa fase); è forse più lecito pensare ad uno specifico affetto facilitante di tipo neuro-muscolare sul fattore motorio che di lì a poco l'atleta utilizzerà in gara. 

Meccanismi psicologici
Molti autori sostengono che il riscaldamento, in modo differente, secondo lo sport interessato, abbia un effetto positivo anche per un'azione sulla psiche.
E' stato sottolineato come, negli sport di destrezza, il riscaldamento identico o diretto migliori la performance e come, in generale, il riscaldamento favorisca lo stabilirsi di un buono stato mentale. Alcuni autori hanno osservato come il riscaldamento comporti un miglioramento dello stato di reattività del SNC, che ha poi effetti benefici sul comportamento in gara. 

Il Riscaldamento per la prevenzione degli infortuni

Vi è da aggiungere un ulteriore aspetto che ha un'importanza notevole per chi fa sport ad alto livello, ma anche per l'amatore o il praticante il fitness. Il riscaldamento, grazie alla diminuzione della viscosità muscolare, alla capacità di ridurre la formazione di lattato all'inizio della prestazione ed all'azione di facilitazione del pattern neuro-motorio (con possibile riduzione dell'uso incongruo di muscoli antagonisti) è ritenuto da molti come un mezzo fondamentale per ridurre gli infortuni e traumi da sport
Fra questi vanno ricordati, in special modo, gli infortuni muscolari (strappi, contratture etc.) ma certamente ve ne sono altri i quali, anche indirettamente, possono essere fatti risalire al fatto che non si sia usata la precauzione di effettuare esercizi, non tanto di riscaldamento, quanto pre-gara, al fine di attivare i propri sistemi psico-fisici e preparali alla gara vera e propria. Basti pensare, ad esempio, ad errori tecnici nella guida dei mezzi di gara, con conseguenze anche molto gravi.
Questo aspetto del riscaldamento è forse quello più importante per chi fa attività per il fitness o il Wellnes, durante i quali l'intensità della lezione non è tanto elevata da richiedere una vera e propria preparazione pre-gara. E' quindi opportuno che i partecipanti a queste lezioni, allievi e istruttori, prevedano sempre una fase iniziale della lezione che abbia lo scopo di "riscaldare". Se questo è ben noto agli istruttori (normalmente le coreografie di aerobica, per esempio, prevedono una fase di riscaldamento iniziale), è a volte non compreso dagli allievi che tendono a strafare all'inizio. Ancora più pericolosa è la situazione quando l'allievo fa attività motoria da solo (corre sul nastro o utilizza altri ergometri) e non tiene nella dovuta considerazione l'importanza di un graduale e progressivo aumento della intensità dello sforzo, così da "scaldare" il proprio organismo.
Ebbene questa è una pratica che, associata allo stretching è tutt'altro che inutile o superflua; al contrario essa permette di allenarsi di più e senza danni.

Conclusioni

Da tutto ciò finora detto si possono trarre alcune conclusioni:
 

1

Sarebbe più corretto definire il riscaldamento piuttosto come "attività pre-gara", perché si è visto che alcuni dei suoi effetti positivi non sono legati solo all'aumento della temperatura corporea

2

Il riscaldamento negli atleti ha presumibilmente un'utilità significativa, quando ben praticato ed impostato, perché determina un'attivazione rapida dei sistemi fisiologici e l'esecuzione altrettanto rapida e precisa dei movimenti di gara

3

Il riscaldamento è una pratica utile anche per chi pratica attività fisica non agonistica perché permette di utilizzare il proprio organismo, ma in particolare i propri muscoli, con maggiore efficacia ed economia, ottenendo quindi risultati migliori dalla pratica sportiva

4

Il riscaldamento è un mezzo fondamentale per ridurre gli infortuni e i traumi da sport

  

TRAUMI DA SPORT

tratto da
Medicina dello sport
Istituto di Scienza dello Sport

Lo sportivo, per la ripetitività del gesto atletico, sia in allenamento che in gara, sottopone a sollecitazione le proprie strutture osteomuscolari esponendosi al rischio di produrre nel tempo patologie da sovraccarico funzionale.
Per meglio comprendere il lavoro articolare di uno sportivo professionista, basti pensare che un nuotatore di elevato livello di qualificazione, durante una stagione agonistica di 10 mesi, tra allenamenti e gare esegue con l’arto superiore 1.000.000 di bracciate, con tutte le implicazioni che ciò può comportare sulle spalle.

Oltre a questo rischio l’atleta, soprattutto se inesperto o poco allenato, può eseguire il gesto atletico scorrettamente od in condizioni non ottimali creando i presupposti per danneggiare il proprio organismo. 
Le lesioni acute invece riconoscono un momento meccanico preciso (cadute o colpi diretti) che produce lesioni immediate dolorose e che impone la sospensione dell’attività.

Le lesioni possono quindi essere di due tipi:

da sovraccarico funzionale
(sollecitazione articolare abnorme e/o eccessivamente ripetuta)

traumatiche
(cadute o colpi diretti)

In questa sezione vengono trattati i traumi da sport, sia da sovraccarico funzionale, sia traumatiche, che possono verificarsi nella spalla, nel gomito, nel ginocchio e nella caviglia, sulle lesioni muscolari.

 

 

 

 

IL GINOCCHIO

E’ un’articolazione complessa, sottoposta a forze che si esprimono contemporaneamente su più piani, sottoponendo le strutture ossee, capsulari, meniscali, legamentose e miotendinee a notevoli sollecitazioni; l’esecuzione scorretta del gesto atletico, un improvviso sovraccarico funzionale al ginocchio, un contrasto con piede fisso a terra possono produrre lesioni acute.

Tra le strutture maggiormente colpite da fatti acuti vi sono sicuramente i menischi. Per ogni ginocchio ve ne sono due, uno detto mediale l’altro laterale, di forma grossolanamente a ferro di cavallo adagiati sulla superficie tibiale dell’articolazione del ginocchio. Essi sono addossati e fusi con la capsula articolare, possiedono una discreta mobilità e deformabilità che consente loro di adattarsi ai mutamenti spaziali che si verificano durante i diversi movimenti articolari; la loro funzione è di stabilizzare il movimento di scivolamento e rotolamento dell’estremità femorale, grossolanamente sferica, su una superficie piatta quale è quella della tibia.

Rottura del menisco

  Quando una od entrambe queste strutture, o per un movimento sbagliato o per uno sbilanciamento dell’atleta, rimangono " intrappolate" tra il femore e la tibia vengono contuse o lacerate.

Sintomi
Il quadro clinico solitamente è di vivo dolore, con impossibilità a poggiare a terra l’arto colpito; soventemente il ginocchio si gonfia rendendo il dolore più acuto.

Diagnosi e trattamento
La diagnosi di rottura meniscale nella gran parte dei casi indirizza all’intervento chirurgico, solitamente condotto in artroscopia; mediante tale intervento che prevede piccole incisioni si procede a seconda dei casi a riparazione meniscale o più frequentemente a sezione della parte lesa del menisco. 
I postumi sono generalmente poco rilevanti nel medio periodo ed il recupero assai rapido

 

Rottura dei legamenti crociati

  I legamenti crociati, anteriore e posteriore, alloggiati all’interno del ginocchio sono tesi tra il femore e la tibia incrociandosi l’un con l’altro; la funzione biomeccanica è di stabilizzare reciprocamente durante il movimento l’articolazione del ginocchio.
Come per i menischi un’anomala energia impressa ai legamenti da movimenti abnormi può causarne una distensione tale da provocarne la rottura parziale o totale.

Sintomi
La sintomatologia è simile a quella della rottura meniscale; raramente vi è la rottura di entrambi i legamenti ed è da sottolineare che quello che più frequentemente si danneggia è l’anteriore.
Il grado di lesione e d’instabilità guida la scelta terapeutica. Nelle lesioni complete l’unica soluzione è l’intervento di plastica legamentosa, ovvero della ricostruzione del legamento rotto utilizzando dei segmenti tendinei

 

Lesioni dei legamenti mediale e collaterale

Oltre ai legamenti crociati esistono altri due legamenti assai importanti per la stabilità del ginocchio: Il legamento collaterale mediale e collaterale laterale. Essi decorrono ai lati del ginocchio ed il loro compito è di stabilizzare l’articolazione nei movimenti di traslazione laterale .

Distorsione di 1° grado Distorsione di 2° grado Distorsione di 3° grado
Rottura completa dei legamenti

Tra i due il più frequentemente interessato da lesioni acute è il collaterale mediale che nella maggior parte dei casi subisce lesioni parziali che ben riparano con un’adeguata immobilizzazione. Altre volte invece la lesione è così profonda che l’unica soluzione è l’intervento chirurgico per riparare e ritendere il legamento rotto.

Lesioni complesse del ginocchio

Nei casi più gravi le lesioni vengono definite complesse quando due o più strutture articolari vengono coinvolte ( p.e. rottura meniscale e lesione legamentosa sia del crociato anteriore che del collaterale mediale); la soluzione chirurgica diviene indispensabile per restituire stabilità al ginocchio, ma è evidente che vi saranno evidenti postumi del trauma subito ed i tempi di recupero risulteranno assai lunghi.

A destra: la triade infausta
Rottura dei legamenti collaterale tibiale e crociato anteriore con lesione del menisco mediale

 

 

 

 

LA SPALLA

 L’articolazione della spalla è struttura anatomica il cui scheletro, composto da omero scapola e clavicola, si raccorda in due articolazioni fondamentali: la gleno-omerale e l'acromion-claveare

L'articolazione gleno-omerale possiede la particolarità di lavorare sospesa nel vuoto ed è costituita dall’estremità sferoidale della testa omerale che ruota su una superficie della scapola, detta glena consentendo al braccio di compiere una rotazione vicina ai 360° nello spazio.

L'articolazione acromion-claveare è formata dall’estremità della clavicola e da una parte della scapola chiamata acromion; le due ossa si affrontano mantenendo il reciproco rapporto mediante una spessa capsula e robusti legamenti tesi fra di loro

Lesione della cuffia dei rotatori

  L’origine dei disturbi alla cuffia, oltre ad una causa traumatica violenta, può nascere da un'irritazione dei tendini dovuta all’iperuso funzionale cui segue una fase di infiammazione, edema ed iperemia tissutale (aumento della vascolarizzazione nei tessuti articolari). Perdurando lo stimolo irritativo, quindi aumentando l’edema, si restringe lo spazio articolare causando un conflitto tra il tendine e la parete ossea sovrastante durante il movimento; ciò perpetua la sofferenza del tendine facendolo degenerare sino alla rottura, parziale o completa.

In tale caso si indicherà il danno come "lesione della cuffia dei rotatori" cui conseguiranno lesioni della cartilagine articolare dell’omero e talora dell’osso sottostante. Spesso l’alterazione articolare conseguente alla lesione della cuffia produce l’irritazione del capo lungo del bicipite brachiale e della guaina che l’avvolge nel tratto in cui scorrono sulla testa omerale; l’infiammazione che ne origina viene definita tenosinovite.

Sintomi

Il dolore alla regione antero laterale di spalla che aumenta con l’attività sportiva e regredisce con il riposo è l’unico sintomo; con il passare del tempo, il dolore diviene continuo disturbando anche il riposo notturno.

Diagnosi

La diagnosi è basata su un’accurata visita confortata da successivi esami quali ecografie/RMN.

Trattamento

Il trattamento è guidato dall’estensione e profondità della lesione. Infatti, dal semplice riposo articolare associato a terapia fisica e farmacologia si può arrivare all’indicazione chirurgica per i casi in cui vi siano lesioni della cuffia che non abbiano risposto alla fisiokinesiterapia ed alla terapia farmacologia o che siano di tale entità da essere riparabili solo chirurgicamente.

Lesioni dell'articolazione acromion-claveare

Un urto diretto alla faccia laterale della spalla, o per caduta o per investimento da parte di un avversario sportivo, è solitamente il meccanismo che produce un danno la cui estensione e profondità possono giungere, attraverso lo stadio di stiramento e parziale lacerazione, sino alla completa rottura della capsula e di tutto il complesso legamentoso dando così origine ad una lussazione acromion-claveare 

                           

Sintomi

Il dolore all’apice della spalla, di tale intensità da impedire ogni movimento, è il sintomo principale delle lesioni di quest'articolazione; in caso di franca lussazione dell’acromion-claveare si noterà una deformità alla spalla legata allo spostamento della clavicola verso l’alto, rispetto all’acromion.

Diagnosi

La diagnosi, oltre che sull’evidenza clinica, si pone con esame radiografico standard e sotto stress dinamico che dimostrerà l’allontanamento dei capi articolari per la lacerazione legamentosa.

Trattamento

La lussazione acromion-claveare viene curata chirurgicamente, riservando l’uso di tutori e successiva fisiocinesiterapia per le lesioni di grado minore.

Lesioni dell'articolazione gleno-omerale

Quest’articolazione, che possiede la particolarità di lavorare sospesa nel vuoto, è costituita dall’estremità sferoidale della testa omerale che ruota su una superficie della scapola, detta glena  consentendo al braccio di compiere una rotazione vicina ai 360° nello spazio.

Oltre alla capsula articolare, ad una struttura di contenimento appoggiata al bordo glenoideo scapolare, detta cercine, ed ai legamenti la stabilità articolare è affidata ad un complesso di muscoli che sovrapponendosi in vari strati mantengono "centrata" la testa omerale sulla glena scapolare durante il movimento.

Come per l’acromion claveare una sollecitazione del braccio, durante uno sforzo od un contrasto, provoca una lesione delle struttura capsulare, legamentosa e muscolare che può condurre alla lussazione dell’omero, ovvero alla perdita del fisiologico contatto tra omero e scapola.

A differenza dell’acromion claveare, la cui lussazione avviene in un solo piano dello spazio, la lussazione omerale, grazie all’ampiezza dell’arco di movimento, può prodursi in diversi piani (anteriore, posteriore, ascellare…). In realtà nello sportivo il 95% delle lussazioni gleno omerali è anteriore e si produce per un trauma prodotto mentre il braccio è alzato ed extrarotato.

Lussazione scapolo-omerale anteriore

         

Lussazione scapolo-omerale posteriore (sotto-acromiale)

         

L’aspetto clinico è caratteristico per la deformità che si evidenzia alla spalla lussata, oltre che per l’atteggiamento obbligato dell’arto superiore ed il dolore acuto che accompagna la lesione

Diagnosi

La diagnosi si pone con esame radiografico.

Trattamento

Le manovre per la riduzione della lussazione, ovvero per riportare l’articolazione alla normalità, devono essere eseguite da personale medico esperto. Infatti, sia la lesione in sé, come le manovre di riduzione, se non ben condotte, per la particolare anatomia della regione, possono causare lesioni assai serie ai nervi e ai vasi con lesioni permanenti alla spalla.

Dopo la riduzione della lussazione è necessario un periodo di immobilizzazione di quattro settimane per consentire la cicatrizzazione della lesione, seguita da fisiocinesiterapia per il recupero articolare

Recidive

Talora, in seguito ad un episodio di lussazione, si verificano con frequenza e per movimenti banali ripetuti casi di lussazione gleno-omerale dovuti alla lassità dei tessuti coinvolti nel primo episodio di lussazione; in tale caso si definirà la lussazione di spalla come "abituale o recidivante" e l’unica terapia che potrà essere efficace è quella chirurgica.

 

IL GOMITO

L'articolazione del gomito è formata da diverse articolazioni singole dotate di movimenti propri: l'articolazione tra omero e ulna, l'articolazione tra omero e radio e l'articolazione tra radio e ulna.

L'articolazione tra omero e ulna è un'articolazione a cerniera che consente movimenti di flessione ed estensione

 

 

Ciascuna articolazione a cerniera ha un legamento di sostegno laterale che viene posto in tensione sia nella flessione che nell'estensione, limitando i movimenti non richiesti.
In corrispondenza della faccia interna ed esterna della capsula articolare, ci sono due robusti legamenti: il legamento collaterale mediale (ulnare) e il legamento collaterale laterale (radiale).
Ad articolazione estesa vengono posti in tensione  i legamenti anteriori, ad articolazione flessa quelli posteriori

 

Tendinopatie

Nell’ambito delle patologie da sovraccarico funzionale al gomito sono da segnalare le tendinopatie degli estensori e dei flessori del polso e della mano che prendono il nome di epicondilite omerale o "gomito del tennista" ed epitrocleite omerale o "gomito del golfista". 
Le strutture interessate da tale patologia sono i tendini degli estensori e dei flessori di polso e mano all’inserzione, rispettivamente, su epicondilo ed epitroclea omerale

         

L’irritazione tendinea sembrerebbe originata dalle vibrazioni trasmesse lungo l’avambraccio dopo il      colpo inferto all’attrezzo sportivo( racchetta da tennis, mazza da golf, giavellotto ecc…) ed è più frequente nello sportivo amatoriale od a basso livello agonistico che non nell’atleta ad alto livello.
La tecnica corretta nell’esecuzione del gesto, nella presa dell’attrezzo sportivo così come nella coordinazione preservano l’articolazione dalla patologia.

Sintomi
Il dolore è il sintomo principale che all’inizio si manifesta solo con taluni movimenti; per esempio l’epicondilite si manifesta inizialmente nel tennista solo nei colpi di battuta e rovescio, mentre l’epitrocleite in quelli di diritto. In seguito il dolore diviene continuo disturbando il riposo notturno e limitando la vita quotidiana poiché si risveglia con movimenti banali per esempio afferrando una bottiglia anziché lavandosi i denti.

Diagnosi
La diagnosi è essenzialmente clinica eventualmente integrata da esami radiologici standard per escludere microlesioni ossee e da RMN per indagare le strutture tendinee.

Trattamento
Il trattamento si riassume in riposo articolare, antinfiammatori seguiti da fisiokinesiterapia. Talora si praticano infiltrazioni con steroidi, solo raramente e nei casi ribelli alle succitate terapie si pratica terapia chirurgica.

 

LA CAVIGLIA 

L'articolazione tibio-tarsica è un’ articolazione assai esposta al rischio di lesioni acute al complesso legamentoso sia interno (mediale) che esterno (laterale).

L’articolazione è composta dal complesso tibio-peroneale entro cui bascula, nei movimenti di flesso estensione e rotazione del piede, l’astragalo.

La stabilità e la congruità articolare di queste ossa durante l’esecuzione del movimento è assicurata dall’integrità di questi complessi legamentosi.

Distorsione

La distorsione di caviglia produce un danno legamentoso, più o meno complesso a seconda del numero di legamenti coinvolti, la cui estensione e gravità viene quantificata in tre gradi.

             

In seguito al trauma comparirà una marcata tumefazione della regione malleolare colpita, accompagnata da vivo dolore che spesso impedisce l’appoggio del piede a terra.
Nelle distorsioni di I grado spesso basta il riposo articolare , integrato da terapia anti infiammatoria, seguito da cicli di terapia fisica (ionoforesi, laser) e fisiocinesiterapia; la ripresa dell’attività sportiva sarà consentita a quadro clinico risolto.
Nelle lesioni di II grado in cui la compromissione dell’integrità legamentosa è più grave rispetto al precedente è opportuno procedere ad immobilizzazione per 4 settimane, a cui seguirà un intenso programma riabilitativo.
Le lesioni di III grado, ovvero la rottura completa del legamento, prevedono la terapia chirurgica seguita da periodo di immobilizzazione.

Tendinopatie

Come per  le articolazioni della spalla e del gomito, anche i singoli tendini possono sviluppare processi patologici degenerativi legati al sovraccarico funzionale.

Tendine d'Achille

  E’ il robusto tendine che si inserisce sul calcagno originando dai muscoli della loggia posteriore della gamba; esso ha il compito di trasmettere la forza originata da tali muscoli allo scheletro ed è implicato costantemente durante la deambulazione, la corsa ed il salto. Esistono, come nel caso della cuffia dei rotatori, delle strutture che si interpongono tra osso e tendine per diminuire l’attrito durante il movimento chiamate borse; esse possono andare incontro a fenomeni irritativi satelliti dell’infiammazione tendinea.

Il sintomo principale è il dolore lungo il decorso del tendine, talora avvertito nella regione calcaneare, inizialmente legato allo sforzo atletico ed in seguito presente anche a riposo.

Spesso si accompagna edema dei tessuti peritendinei ed irritazione delle borse lungo il tendine con deformazione del normale profilo anatomico ed apparente scomparsa dei margini del tendine stesso. 

Un ruolo importante nella tendinite del tendine d'achille giocano le calzature, il fondo su cui si pratica l’attività sportiva, la conformazione anatomica del piede e la coordinazione del movimento.

Diagnosi
La diagnosi, oltre che sull’esame clinico, si basa su indagini radiografiche, per escludere alterazioni ossee che sostengano la patologia, e su indagini ecografiche che documentino il grado di lesione del tendine.

Terapia
La terapia, oltre al riposo articolare, consta di somministrazione di antinfiammatori, terapia fisica (ultrasuoni), fisiokinesiterapia, talora la prescrizione di particolari ortesi atte a tutelare da sollecitazioni il tendine. La terapia chirurgica viene riservata ai casi di cronicizzazione della patologia in cui vi sia necessità di asportare il tessuto degenerato.

Rottura dei legamenti crociati

Interessa robusti tendini che dalla loggia posteriore della gamba si inseriscono sul piede rispettivamente al lato esterno ed al lato interno della caviglia, passando sotto i rispettivi malleoli. La loro funzione è di stabilizzazione e flessione plantare del piede durante il cammino, la corsa ed il salto; le cause d’irritazione sono per la gran parte simili a quelle che colpiscono il tendine d’Achille. Il segno clinico è il dolore durante l’attività sportiva accompagnato a volte da tumefazione delle regioni sottomalleolari.

Diagnosi
La diagnosi si basa sulla visita clinica integrata da esame radiografico ed ecografico.

Terapia
La terapia consiste in riposo funzionale, antinfiammatori, fisiokinesiterapia ed eventuali ortesi.

Fascite plantare

Il termine indica l’irritazione di una spessa tela fibrosa che decorre lungo la pianta del piede e si chiama aponeurosi plantare. 

Colpisce prevalentemente atleti amatoriali oltre i quarantenni d’età che pratichino corsa e tennis. Riconosce un sovraccarico funzionale associato soventemente ad alterazioni degenerative ossee (artrosi).

Il dolore, avvertito in sede plantare soprattutto alla flessione delle dita, in fase iniziale regredisce con il semplice riposo. Quando cronicizza esso diviene persistente rendendo difficoltosa la deambulazione; in questa fase diviene necessario l’uso di terapia farmacologia, fisica (ultrasuoni) ed eventuale ortesi.

L’intervento chirurgico sull’aponeurosi viene riservato ai casi ribelli alla terapia.

 

 

LE LESIONI MUSCOLARI

Le lesioni muscolari acute sono di frequente riscontro in tutte le discipline sportive e la loro incidenza viene calcolata tra il 10 ed il 30 % di tutti i traumi da sport.

Il meccanismo di produzione della lesione è di due tipi:

trauma "diretto"

trauma "indiretto"

I traumi diretti sono causati da contusioni.

Nei traumi diretti il dolore compare subito dopo la situazione traumatica. Vi può essere tumefazione per edema dei tessuti muscolari e perimuscolari. Nelle lesioni più gravi vi è anche la formazione di un ematoma più o meno voluminoso. Per valutare l'entità del danno muscolare, in assenza di dolore, si procede a palpazione muscolare. L'integrità della forma muscolare indica assenza di lacerazioni e interruzioni delle fibre muscolari. La presenza di un solco denuncia la presenza di rotture, più o meno estese, del muscolo.

Nel secondo caso la lesione della muscolatura è legata ad una contrazione troppo rapida del muscolo da una fase di completo rilasciamento; fattori predisponenti possono essere lo scarso allenamento, l’eccessiva fatica muscolare, la scorrettezza del gesto atletico, fattori ambientali climatici (il freddo) o terreni di gioco che non consentano la perfetta aderenza provocando movimenti scoordinati.

I traumi indiretti possono essere provocati da un allenamento scorretto, da un allenamento insufficiente, dall'età del soggetto, dallo stato di affaticamento muscolare, dall'ipertono muscolare, dal freddo e dall'umidità.

Nei traumi indiretti la sintomatologia differisce a seconda del tipo di lesione muscolare. Queste lesioni (comunemente denominate strappo, stiramento, ecc.) sono distinte in elongazione, distrazione e rottura muscolare.

Nell'elongazione, il dolore è acuto e improvviso e interessa una porzione del muscolo abbastanza ampia, ma spesso ha un'entità modesta e consente la prosecuzione delle attività sportive. La remissione della sintomatologia avviene mediamente in meno di una settimana.

Nella distrazione il dolore, simile a una pugnalata, impedisce la prosecuzione dell'attività sportiva e causa delle impotenze funzionali. Non recede con il riposo. La palpazione muscolare, se il danno non è troppo in profondità, permette di evidenziare una zona muscolare ben circoscritta, molto dolente e infiltrata. L'impotenza funzionale del muscolo dura mediamente 1-4 giorni.

Nella rottura muscolare oltre al dolore immediato e all'impotenza funzionale muscolare è presente una tumefazione per ematoma e la palpazione permette di localizzare il solco tra i monconi muscolari.

In entrambi i casi le lesioni prodotte vengono classificate il tre gradi a seconda del coinvolgimento del numero di fibre muscolari, del grado di lesione delle stesse e delle strutture connettivali e vascolari ad esse intimamente connesse.

Sintomi e diagnosi

Il quadro clinico è caratterizzato da dolore della zone interessata accompagnato da tumefazione e spesso da impotenza funzionale della muscolatura colpita; la diagnosi clinica viene confortata da un esame ecografico che specifica il grado di lesione muscolare.

Trattamento

Il trattamento, impostato in base all’estensione della lesione ed alla sua sede, è prevalentemente conservativo, basato sul risparmio funzionale del distretto muscolare interessato nei primi giorni, seguito da fisiocinesiterapia e terapia fisica per recuperare la maggior elasticità/contrattilità possibile dal tessuto di cicatrizzazione della lesione .

La terapia chirurgica è riservata alle rottura complete od estese del muscolo seguite solitamente da periodo di immobilità per consentire la cicatrizzazione di lesioni così ampie e profonde.

Ematoma: ghiaccio e riposo per 8-15 giorni (casi lievi); svuotamento, ghiaccio e riposo per 15 giorni (casi media gravità); svuotamento chirurgico, drenaggio e riposo per 1 mese (casi gravi).

Elongazione: riposo attivo per 3-4 giorni, massoterapia, applicazione locale di farmaci antiflogistici e somministrazione di miorilassanti.

Distrazione: riposo assoluto per 2-3 giorni; ghiaccio per le prime 24 ore, quindi impacchi caldo-umidi, laserterapia, miorilassanti, pomate antinfiammatorie e antiedemigene; rieducazione dopo 10-15 giorni e ripresa degli allenamenti, in media dopo 3 settimane.

Rotture: riposo assoluto per 3 settimane, ghiaccio per i primi 2-3- giorni, impacchi caldo-umidi, laserterapia, farmaci antiflogistici e miorilassanti; rieducazione dopo 30-40 giorni.

 

 

 

SUPER MUSCOLI

tratto da Quark n.55

E' il sogno di tutti gli sportivi mantenere negli anni il vigore fisico della gioventù. Ma forse un giorno questo sogno diventerà realtà.

A vederli correre nella gabbietta, non sembrerebbero topolini speciali.
Tuttavia per i loro 18 mesi di età, che ne fanno topi da considerare anziani, hanno una forza muscolare sorprendente.
Il segreto? Sono "topi-Schwarzeneger", con muscoli sempre giovani grazie a una modifica genetica operata dai biologi della European Melecular Biology Laboratory di Monterotondo (Roma).

I topi sono stati modificati con un gene che produce il fattore di crescita IFG-1 (Insuline-like-Growth Factor), responsabile della rigenerazione muscolare.

Il fattore di crescita è presente in tutti i mammiferi fin dallo stato embrionale, ma nell'adulto è "silente". Per questo motivo i nostri muscoli (compreso il cuore) tendono ad atrofizzare man mano che invecchiamo.

In pratica se iniettassimo nell'uomo il fattore IFG-1 esso funzionerebbe nel nostro organismo come un megafono molecolare, reclutando nel sangue le cellule staminali (cioè le cellule non ancora specializzate) e le utilizza per rigenerare il tessuto molecolare.

In questo modo i nostri super-topolini sono difesi dai danni dell'invecchiamento e dall'infarto, senza che nel loro organismo si verifichino anomalie.

Ma è possibile che il corpo si aggiusti da se?
Da qualche anno si è aperta una nuova prospettiva terapeutica: la medicina rigenerativa.
Per indurre l'organismo a riparare da sé muscoli, organi, tessuti danneggiati dall'età o dalla malattia, la ricerca si basa sull'utilizzo delle cellule staminali, ma soprattutto dei cosiddetti "fattori di crescita" indispensabili alla specializzazione di queste cellule. Infatti sono loro i direttori d'orchestra della rigenerazione.
Il principale mistero da svelare è il motivo per cui il fegato sia capace di riparare lesioni, così come le ossa e la pelle, sebbene in modo sempre meno efficace man mano che l'età avanza , mentre cuore, denti, muscoli, pancreas, una volta raggiunto il pieno sviluppo sembrano perdere questa capacità. Mentre alcune specie come le stelle marine, alcuni pesci anfibi e rettili possono addirittura rigenerare interi pezzi del proprio corpo.

 

 

POWER WALKING

Cos'è

Non si tratta di corsa o di jogging, ma di una camminata "potenziata" sia in termini di velocità che di sforzo, utile per mantenere sano il sistema cardiovascolare.
Il potenziamento può essere ottenuto in vari modi: con l'applicazione di pesi (wogging), con terreni particolari (ad esempio sabbia) e con ritmi e movimenti sostenuti.

Wogging

Questa tecnica prevede l'utilizzo di pesi sia mantenuti in mano che applicati alle caviglie.
Impugnando piccoli manubri o utilizzando polsiere di peso modesto viene sollecitata (e potenziata) la muscolatura del busto e delle braccia, aumentando anche il carico alle gambe e l'effetto dell'allenamento. Applicando i pesi alle caviglie si potenzia la muscolatura delle gambe e delle articolazioni.
Questa tecnica dovrebbe essere utilizzata soltanto da chi ha padronanza delle tecniche di base dell'allenamento per evitare traumi articolari.

Sand power walking

Il power walking sulla sabbia, per la prima volta codificato come attività sportiva e di allenamento in California, consiste nel camminare a grandi falcate sulla sabbia, a piedi nudi e con una giusta postura, respirando a pieni polmoni l'aria marina.
Anche questo tipo di power walking richiede, per essere di beneficio, alcune accortezze, in particolare:

praticare, prima di cominciare, un piccolo riscaldamento (10 minuti) con saltelli, torsioni del busto e stretching;

adottare una postura corretta, rilassata e senza contratture. In caso di irrigidimenti o mal di schiena, rimandare l'allenamento;

adottare una respirazione regolare, cercando con movimenti addominali le fasi di inspirazione e di espirazione;

graduare in funzione del grado di allenamento il tempo, partendo da 10 minuti fino ad arrivare a 25-30 minuti al massimo.

Il power walking a piedi nudi sulla sabbia offre grandi benefici alla mucolatura articolare della caviglia, normalmente trascurata, migliorando anche la postura e l'elasticità nei movimenti. Rinforza la muscolatura delle gambe e del tronco, gli addominali, la muscolatura dorsale e i glutei. 
Infine, trattandosi di un esercizio aerobico, dà benefici a livello cardiovascolare.

Benefici psicologici del power walking

Una camminata energica dà anche benefici di tipo psicologico, specialmente a soggetti di età avanzata. 
Uno studio condotto dall'Università dell'Illinois ha dimostrato che una pratica regolare del power walking aiuta a stimolare la memoria, l'attenzione e previene lo sviluppo del morbo di Alzheimer.

 

 

GINNASTICA PASSIVA

Il termine "esercizio passivo" contiene una contraddizione di termini, perché se qualcosa è passivo, non è un esercizio ed in effetti il solo buon senso dovrebbe far capire che è difficile ottenere reali benefici senza un impegno fisico. Tuttavia, il fatto di ottenere risultati senza sforzo ha una tale attrattiva, che molta gente è disposta a credere che ciò sia possibile.

Per capire meglio il problema è bene definire quali sono i principali vantaggi che l’attività fisica offre all’organismo. Essi sono:

potenziamento muscolare, sviluppo della forza

aumento della tonicità muscolare

aumento della resistenza

miglioramento della destrezza, del coordinamento e della propiocettività

benefici al sistema cardiovascolare

controllo del peso (con tutti i benefici connessi in termini di prevenzione)

benefici psicologici (rilassamento, sensazione di benessere, migliore autostima)

Ovviamente non tutti i tipi di esercizi fisici e di sport danno in eguale misura benefici in tutti i campi descritti. Alcuni privilegiano il potenziamento muscolare e lo sviluppo della forza, altri lo sviluppo della resistenza e migliorano il sistema cardiovascolare; altri ancora si focalizzano sul coordinamento, sulla propiocettività e sull’equilibrio.

La ginnastica passiva era stata inizialmente sviluppata per la riabilitazione di soggetti che avevano subito un'immobilizzazione per traumi muscolo-scheletrici, consentendo, in tempi rapidi, di recuperare il tono muscolare e di ritornare alle attività contro resistenza con le quali il muscolo può recuperare trofismo. Tale attività può perciò contribuire alla tonicità muscolare, specialmente in soggetti che non fanno da tempo attività fisica, ma ha poco effetto in termini di sviluppo della forza, di aumento della resistenza. Non ha poi alcun effetto in termini di miglioramento della destrezza e del coordinamento e non dà alcun beneficio per il sistema cardiovascolare. Infatti gli esercizi rinforzano il cuore e il sistema circolatorio soltanto quando la frequenza cardiaca, durante l’esercizio, aumenta di almeno 20 battiti al minuto.

Apparecchiature per ginnastica passiva

Rientrano in questa categoria gli elettrostimolatori,  le apparecchiature azionate a motore, come le cyclette motorizzate.

Gli elettrostimolatori, nati per applicazioni riabilitative, sono ora impiegati anche nella preparazione di atleti nello sport agonistico. Non possono assolutamente sostituire l’allenamento, ma possono contribuire ad ottenere un aumento di potenza della fibra muscolare e sono usati per defaticare il muscolo al termine dello sforzo. L'utilizzo a tale scopo richiede un'adeguata conoscenza e apparecchiature dotate di programmi adatti onde evitare di procurare danni muscolari da eccessiva stimolazione.

Le apparecchiature motorizzate per ginnastica passiva possono contribuire, per soggetti che non praticano alcuna attività fisica, ad una ripresa della tonicità muscolare. E’ tuttavia ovvio che un reale potenziamento muscolare può essere ottenuto soltanto con un programma di allenamento che richieda sforzo.

Rowing

Una delle tendenze più recenti e interessanti della ginnastica passiva in Italia è il Rowing. Nonostante il termine tradotto in italiano significhi "remare", gli attrezzi più comunemente utilizzati differiscono dai tradizionali vogatori.

Gli attrezzi sono generalmente dotati di un monitor computer che misura costantemente il livello della prestazione. Vengono misurate le accelerazioni e le decelerazioni impresse alla ventola/volano nel carter anteriore.
Il lavoro è indicato sul monitor, come energia in watt, calorie o con un calcolo del tempo che si impiegherebbe a percorrere 500 metri su un imbarcazione in acqua a 4 senza timoniere. Vengono anche indicate le remate al minuto, la distanza percorsa ecc.

Benefici

Durante il movimento di voga vengono utilizzati, anche se con diversa intensità, tutti i muscoli del corpo con un rilevante impegno del sistema cardiovascolare. Anche nel rowing, come in tutti gli sport remieri, conta la massima potenza aerobica del soggetto. Poiché il massimo consumo di ossigeno normalmente aumenta con la massa del soggetto, atleti di taglia notevole sono avvantaggiati ed è perciò che nelle competizioni vengono create delle categoria in base al peso.

L'allenamento si realizza con tre fondamentali principi:

  1. apprendimento della tecnica, in termini di posizione, ritmicità e ciclo di voga
  2. sviluppo della resistenza aerobica
  3. sviluppo muscolare

Conclusioni

La ginnastica passiva non può considerarsi una facile soluzione per fare attività fisica e per fruire di tutti i benefici che offre. Può essere soltanto utilizzata come coadiuvante alle sedute di allenamento o come strumento per “sbloccarsi”, anche psicologicamente, da una totale assenza di allenamento.

I principali vantaggi alla salute dell’attività fisica, in particolare i benefici al sistema cardiovascolare e il miglioramento della flessibilità e del coordinamento, nonché il controllo del peso, con tutti i benefici connessi in termini di prevenzione per molte malattie, non possono essere ottenuti con queste tecniche.

 

 

 

 

 
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