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SAMMA SAMADHI (fine 1999-2001 )

Samma Novembre ‘99

samadhi

Passi nella consapevolezza

C’è un film di guerra americano in cui si racconta di una pattuglia sottoposta ad una stressante serie di azioni nel Pacifico, contro i Giapponesi. Quando gli uomini sono ormai completamente esausti, sopraggiunge l’ordine implacabile di una nuova azione. Di fronte alla delusione , alla rabbia ed alla sofferenza dei suoi soldati, il loro comandante, anch’egli estremamente provato, dice ad un soldato: ‘ Dobbiamo solo mettere un piede davanti all’altro una volta, poi un’altra volta, poi un’altra volta…’

Questa mi è sempre sembrata una metafora assai efficace della pratica di sati, la consapevolezza. Sei stanco, esausto, non ne puoi più? Metti semplicemente un passo davanti all’altro . Non pensare al futuro, non pensare al passato, metti semplicemente un piede davanti all’altro.

Fuor di metafora: Non disperderti nel passato, non disperderti nel futuro, vivi semplicemente l'attimo presente.

Il passato non c’è più, il futuro non è ancora venuto- né si sa se e come verrà- c’è solo l’attimo presente.

Così anche nelle situazioni più atroci, più insostenibili, non ricorriamo al passato, non fantastichiamo sul futuro, non cerchiamo rifugio nel ‘se’ e nel ‘ma’: viviamo solo l’attimo, limitiamoci a mettere un piede davanti all’altro.

La consapevolezza è proprio questo: vivere attimo per attimo con pienezza e senza aggiungervi interpretazione. E’ solo l’attimo. Stai facendo qualcosa di ‘spiacevole’ me se lo vivi attimo per attimo dov’è che la nozione di ‘spiacevole’ può trovare una base d’appoggio?

Mi capita di vivere una difficile situazione familiare. Succede che in certi momenti nascano le preoccupazioni sul futuro, la mente cominci a fantasticare immaginando terribili scenari, ed è a quel punto che mi dico: ‘Metti soltanto un piede davanti all’altro’. Così facendo, in questi giorni mi sono reso conto di come sia facile affrontare ogni situazione. Stare nella situazione del momento libera dagli incubi del pensato. Vorrei che si cogliesse appieno la potenzialità di questa pratica: il senso di liberazione momentanea che essa dà corrisponde -in piccolo- al ben più grande stato di felicità(se così si può chiamare) che dà la liberazione totale. Più sopra dicevo che, se viviamo attimo per attimo, dove può trovare una base d’appoggio la nozione di ‘spiacevole’? Osserviamo adesso l’incredibile potenzialità di Liberazione che c’è in questa pratica: se portiamo il vivere in consapevolezza , attimo per attimo, al grado di eccellenza, non solo non vi sarà una base d’appoggio per la nozione di ‘ spiacevole’ !  Non vi sarà base d’appoggio per alcuna nozione! Si sarà completamente LIBERI, non toccati dal mondo, pur vivendo pienamente nel mondo.

Come si vede la meditazione non è una ‘fuga dal presente’ come molti pensano. Non è l’oppio dei popoli. E’, al contrario, vivere il presente e- di più- vivere il reale com’è realmente, senza aggiungervi nozioni dualistiche: bello-brutto, buono-cattivo, piacevole-spiacevole. Ma si tratta di viverle senza l’annebbiamento del pensare- per- il- pensare che turbina nelle nostre menti derubandoci della presenza nell’attimo vitale, derubandoci della vita! La vita, in questo modo, è solo un’accozzaglia di fantasie, simili a quelle del sogno. Questo potrà sembrare spiacevole (sic) a chi ama sognare ad occhi aperti: ma provi a ricordare, questa persona, quante volte questi sogni si sono infranti contro la realtà provocando sofferenza!

Per parte mia, giusto stamattina, di fronte al sorgere di pensieri angosciosi riguardanti il futuro, ho percepito pienamente il senso di liberazione che viene dal ‘metti un piede davanti all’altro’.Se metto un piede davanti all’altro e sono lì, semplicemente in quell’ atto, che spazio c’è per la nozione di ‘sofferenza’?

Questo è purificare la mente! Se vivo il presente, attimo per attimo, la mente è pura, è vuota(e piena: di presente),è spaziosa, luminosa. La preghiera è sì, ad esempio, una fuga dal reale: è una pratica dualistica, in cui sono presenti l’oggetto pregato ed il soggetto pregante: in tal modo c’è del tutto evidente, un forte riferimento al sé, all’ego, ai suoi sogni e bisogni. Ma anche nella preghiera può essere portata la consapevolezza: essere ad es. consapevoli delle vere motivazioni per cui prego; notare i cambiamenti( di intensità, fervore, assorbimento) e così via. Ma se non si ha una pratica di consapevolezza vera, efficace, una volta usciti dall’ assorbimento pregante, ci si andrà facilmente a schiantare contro i normali ostacoli della vita quotidiana e la mente si confronterà di nuovo, quasi senza alcuna consapevolezza, con l’astio, l’avversione, la confusione, l’illusione, il desiderio .

Samma dicembre 1999

Samadhi

SORRISO INTERIORE COME MEDITAZIONE

C’è una meditazione assai semplice ed alla portata di tutti: sorridere. E’ una pratica facile, tutti possono sperimentarla senza sforzo. Nello stesso tempo è una pratica avanzata: provate a stare con il sorriso interiore per un lungo tempo e dovrete confrontarvi quasi subito con la mente che vuole andare per conto suo.

La voglio spiegare qui perché chiunque, anche chi dubita di poter o voler mai fare meditazione (per pregiudizi, sfiducia in se stesso ecc.) può ugualmente provarla e trarne vantaggi, non solo mentali ma anche fisici. E’ infatti risaputo come la maggior parte – se non tutti- dei nostri malanni, sia di origine psico-somatica. Perciò provate questa pratica e risparmiate quelle 200/ 300.000 lire che spendereste per pratiche simili presso qualche guru new-age.

Sedete comodamente con la schiena dritta e la lingua al palato, dietro i denti. Respirate profondamente per sette volte, notando il su e giù del respiro ed associandovi una parola di vostra scelta che vi crea sicurezza, fiducia in voi stessi e tranquillità: Bud-dho, oppure pa-ce, Ge-sù o quello che preferite. Dopo questo, continuate per un po’ ad osservare il su e giù del respiro.

Assumete un atteggiamento di ‘giusto orgoglio’, come diceva Thubten Yesce, come foste già una divinità o un Buddha e, appunto come in un’immagine del Buddha, sorridete lievemente. Per farlo concentratevi sulle labbra, sentitene le sensazioni, e notate le ripercussioni nel vostro corpo e nella vostra mente.

Tutto qui.

Se volete approfondire la pratica, sorridete ai vostri organi interni, riempite gradualmente il corpo di sorriso- che probabilmente si manifesterà nella vostra mente come un tipo di chiarore o di luce- ed immaginate che anche il corpo ed i suoi singoli organi sorridano. Nel contempo non perdete la consapevolezza delle vostre labbra sempre atteggiate a lieve sorriso (potete pensare alla Gioconda).

Dopo aver riempito corpo e mente di sorriso, rilassando il corpo ed il viso, pensate ad una o più persone che vi hanno fatto del bene, visualizzatele e sorridete loro. Immaginate che anch’esse sorridano. Visualizzate poi qualcuno verso cui siete relativamente indifferenti. Sorridete ed immaginate il sorriso di questo qualcuno. Fate lo stesso con una persona ostile o per cui non riuscite a provare simpatia, poi verso il mondo animale, così pieno di sofferenza ed infine verso tutti gli esseri del mondo.

Un passo ancor più avanti è quello di irradiare il sorriso: prima nello spazio in cui vi trovate, poi fuori di esso, infine verso tutto il mondo e l’universo. RESTATE COSI’ CONCENTRATI NEL SOLO SORRISO IRRADIANTE. Sentite sparire i confini del corpo e divenite l’irradiazione.

A questo punto siete di fatto una divinità ( o un Buddha), irradiazione di amore e compassione per tutti gli esseri.

Se la meditazione in questo modo riesce bene, concentratevi sulla bella sensazione che provate, fisica e mentale e permeatene tutto il corpo. Questa è la base del primo jhāna/ dhyāna. Ma non pensate a questo o a voler ottenere qualcosa. Voi semplicemente fate il vostro esercizio, semplicemente sorridete!

Portate questa pratica nella vostra vita quotidiana. Di fronte ad ogni situazione ricordatevi di sorridere. E’ CONSAPEVOLEZZA!

Samma Samadhi

2000/ 1

LE BASI DELLA CONOSCENZA E DELLA SAGGEZZA.

Praticando la meditazione, accade spesso che la mente si distragga, vada ad altre cose, addirittura intraprenda percorsi complicati di ragionamento, saltando da un argomento all’altro. Non c’è da preoccuparsene troppo. Già accorgersene è consapevolezza. Ma mentre non bisogna preoccuparsene più di tanto, un’occhiata andrebbe data al ‘meccanismo’ che sta alla base di questo distrarsi, poiché esso ci dà una base per la conoscenza delle ‘cose come sono realmente’ e, paradossalmente, di come funziona l’Universo intero.

‘Perché la mia mente ha pensato a questo?’, questa è la domanda. Beh, la funzione della mente è quella di pensare. Come la mente percepisce qualcosa tramite i sensi, essa comincia a ricamare e tinteggiare. Il godimento della coscienza, intesa come attività conoscitiva, è infatti

afferrare ed elaborare. Se la mente facesse solo questo potrebbe anche andare bene. Il fatto è però che la mente, basandosi sui suoi contenuti precedenti, sui semi lasciati

dalle piante scomparse delle esperienze precedenti, tende a colorare, con colori piacevoli o spiacevoli, l’esperienza stessa del conoscere.

Posso interrogarmi su cosa ha fatto sorgere ad es. la connotazione di piacevolezza di qualcosa . E’ indubbio che sarà stato il contatto(phassa) con quella cosa tramite i miei sensi (āyatana) a fornirmi la piacevolezza di una sensazione (vedanā). Questo però non spiega tutto. Perché la reazione suscitata dal contatto è stata piacevole e non spiacevole o neutra? Appare evidente che ancora qualcos’altro va cercato a monte di basi sensoriali<corpo/mente, contatto e sensazione. Dovevano esserci predisposizioni, volizioni o costruzioni mentali (sa.mkhārā) come basi, semi di una coscienza (viññāna) pronta a fornire al contatto sia l’immediatezza della sensazione( ‘Ah!’-dolore;’Oh!’-piacere)

che la successiva interpretazione ‘mi piace’>lo voglio, ‘non mi piace’>lo detesto.

Tutto ciò è, come analisi, alla portata empirica di noi tutti. Da bravi investigatori possiamo mettere in fila sul tavolo ciò che abbiamo, assai banalmente, scoperto finora:

semi,volizioni,costruzioni (samkhara)> coscienza (vinnana)> corpo-mente > sensi>contatto sensoriale>sensazione.

Queste ‘prove’ che abbiamo messo in fila non vanno intese come una successione meccanica: diciamo che ognuna di esse è immediatamente compenetrata con l’altra successiva ed influisce su tutte le altre. In realtà sono un tutto unico che però è possibile analizzare.

Torniamo a noi, al momento in cui la mente si è distratta in meditazione, afferrando qualche oggetto piacevole -o anche spiacevole. C’è stato quindi questo DESIDERIO DI AFFERRARLO, dopo che c’erano stati il contatto con esso e la sensazione- diciamo di interesse. Nel caso del pensare, desiderio e afferramento si sono succeduti come un flash, senza vera interruzione. Subito dopo c’ è una NASCITA- in questo caso di una elucubrazione- e c’è un DIVENIRE di questa. Prima o poi però anche il ragionamento comincia a dissolversi, A DECADERE e poi a MORIRE,SCOMPARIRE.

Di nuovo, da bravi investigatori, poniamo sul tavolo questi nuovi reperti:

desiderio>afferrare>nascere>di-venire>decadere e svanire.

Ma indagando sulla nostra distrazione, non abbiamo forse tracciato un quadro di quello che accade sempre nella vita?

C’è di più. Tutta questa esperienza, svoltasi ciecamente sotto l’impulso del desiderare, si svolge e mantiene nell’IGNORANZA, intesa come non-coscienza-consapevole di quello che è realmente accaduto. Ogni esperienza, una volta consumata, lascerà inoltre dei semi, delle predisposizioni, ancora una volta i sankhārā che troveranno nel terreno fertile della non-consapevolezza una buona base di crescita. E quindi, completando il giro, andranno ad arricchire la coscienza,le basi sensoriali, il contatto, la sensazione, il desiderio, l’afferrare e così via.

Questa fu la grande, banale scoperta del Buddha che per questo prese il titolo di Risvegliato: che la Causalità(intesa in senso non meccanicistico)implicita nei Dodici Anelli sopra menzionati forma la collana del SORGERE DIPENDENTE. Il Buddha respinse tutti gli assolutismi e scoprì che al centro dell’Universo c’era Ta.nhā, il Desiderare. Egli scoprì anche che era possibile introdurre un cuneo tra gli anelli di questa catena e precisamente tra la sensazione ed il desiderare. Il cuneo era la consapevolezza senza interpretazione della sensazione come semplice sensazione, colta durante la meditazione. Ecco perché la meditazione di consapevolezza è così importante! Essa fa vedere ‘le cose come sono’ ,libera la mente dagli assolutismi metafisici e produce Saggezza e Libertà. La permanenza dei sa.mkhāra, i ‘semi’ del desiderio,

dell’avversione e dei punti di vista metafisici porta ogni volta a ripro-

durre la ruota di coscienza-sensazione,desiderio ecc., con la conseguenza del sorgere continuo dell’insoddisfazione. Personalmente, senza sapere nulla di tutto ciò, mi avvicinai alla Meditazione quando mi accorsi di come riproducessi sempre le situazioni allo stesso modo, con le stesse pulsioni , gli stessi sbagli e la creazione di sofferenza. Mi accorsi che c’era qualcosa che andava indagato. Giungere alla pacificazione dei sa.mkhāra, dei ‘semi’, è il contenuto della Liberazione.

SAMADHI

2000/2

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CONSAPEVOLEZZA, FATTORE DEL RISVEGLIO

SI è travolti dalla vita di tutti i giorni: mille cose da fare, una dopo l’altra. Si può cogliere, in ciò, la verità della sofferenza. Tutte queste diecimila cose ci fanno star male, fisicamente e psichicamente. Può anche sorgere la malattia. Come ovviare?

La sofferenza sorge dall’attaccamento alle cose ed al concetto di sé. Nello stravolgimento di mille cose da fare perdiamo consapevolezza ed aumentiamo invece la convinzione di un sé che soffre. La mente, travolta da se stessa, dai suoi diecimila pensieri, invia un messaggio di sofferenza al corpo e ne provoca il "corto circuito", sia che esso si espliciti sotto forma di malattia che sotto forma di sofferenza psicologica. Il sé protesta. Nei diecimila pensieri sorge inevitabilmente la preoccupazione per il futuro. Non c’è ancora, ma nella sua esigenza di autodifesa il "sé" lo crea, aumentando la sofferenza.

Qui si vedono alcuni nodi della questione. Un sé stabile, fisso, eterno non esiste. Corpo, sensazioni, percezioni ecc. con cui abitualmente ci identifichiamo, sono transitori e passeranno via con la morte. Forse la coscienza ritornerà all’oceano mentale che forma l’universo, potrà forse trovare altre forme vitali con cui rinascere ma sarà inevitabilmente persa l’identità che si era stabilita con un preciso corpo fisico che essa modificava e da cui era modificata. Vi saranno perciò continuità e diversità (non un’anima sempre identica). Questo ci spiega perché i buddhisti, ad esempio, rispettano tutti gli esseri: essi ritengono che nel ciclo incommensurabile delle nascite e delle morti, tutti gli esseri, prima o poi, siano stati i nostri padri e le nostre madri. Ritorneremo su questo.

Per quanto riguarda la sofferenza, essa è l’attaccarsi ad un sé che a sua volta si attacca ad un’immagine del mondo e la vuole rendere stabile . E’ tutto questo che ci fa soffrire. Temiamo sofferenza, impermanenza e morte. Questo ci spinge al desiderio di "fissare", staticizzare la nostra "realtà". Quando questa si modifica, sorge il soffrire.

La scienza ci insegna che dentro di noi, sia a livello fisico che mentale, tutto è cangiante, impermanente e che addirittura, a livello ultimo, non vi è sostanza. Vi sono solo processi in cui entrano in campo energie. L’unica cosa da fare è perciò adattarsi al cambiamento, averne coscienza, accettarlo. Questa è la LIBERAZIONE del Buddha: fluire con il fluire. Fu questa la sua illuminazione. Fu questo che egli proclamò come "Nobile Verità": c’è sofferenza, ma se c’è una sofferenza c’è una sua causa: il creare sostanza dove non c’è e quindi attaccarvisi: attaccarsi in particolare al concetto di sé. Ma fu indicata anche una via per porre fine alla sofferenza: portare una critica radicale al concetto del sé e di sostanza (su cui si basano tutte le religioni e molte filosofie) e porre quindi fine al soffrire. ESSERE LIBERI.

In questo il concetto base è il primo dei sette fattori del risveglio: Consapevolezza, Consapevolezza, Consapevolezza. Quando riusciamo a vivere con attenzione ogni momento, non c’è spazio per il sé, non c’è spazio per la sofferenza. C’è solo il presente. Ecco perché il primo livello dell’Illuminazione/Liberazione è basato sull’eliminazione di tre cose: il concetto del sé, il dubbio scettico, e l’attaccamento alle tradizioni e rituali religiosi. E tutto viene da ciò che necessariamente li esclude: CONSAPEVOLEZZA, CONSAPEVOLEZZA, CONSAPEVOLEZZA. Consapevolezza vera è solo l’attimo presente. Tutto il resto è necessariamente escluso, tutte le costruzioni mentali in particolare. Consapevolezza.

 

Samma samadhi 2000/3

SE INCONTRI IL BUDDHA, UCCIDILO…

Capita spesso che nelle sedute di meditazione o in altri momenti della vita qualcuno entri in argomenti ‘religiosi’ (o ‘politici’ o ‘sindacali’ o ‘sportivi’ ecc.). Capita spesso anche di venire identificato come ‘buddhista’ , nel che non ci sarebbe nulla di male, a parte l’uso di un – ismo, -ista che è pericoloso perché serve a incapsulare le persone, a ‘reificarle’, cioè a ghettizzarle mentalmente in qualche categoria mentale …E non ci sarebbe nulla di male se si conoscesse veramente il discorso originale del Buddha, che è un discorso di Liberazione, di Libertà assoluta, anche dalle etichette. Purtroppo si parla a sproposito e perfino nel campo della scuola, dove si dovrebbe avere il privilegio della ‘Conoscenza’ (l’ho ‘reificata’ usando la maiuscola), non si sa nulla di storia delle filosofie e religioni…Ognuno trasmette la sua visione del mondo, a cui è ferocemente attaccato, senza preoccuparsi di vedere le motivazioni degli altri e tantomeno di vedere realmente le proprie… così si attaccano al giorno d’oggi le ‘sette’ senza rendersi conto che ogni religione è una setta (compresa la cristiana ,la buddhista, la musulmana), ogni partito è una setta, ogni sindacato è una setta, ogni squadra di calcio è una setta…E’ una setta tutto ciò che invece di rendere liberi crea attaccamento, asservimento, a Gesù, a Dio, al Buddha, a Mohamed,a berlusconi, a d’alema, a fini, alla cgil e così via. Tutto ciò che insomma impedisce l’uso dello spirito critico, della libertà. Chi educa ad es. allo spirito critico nelle scuole? Forse gli insegnanti che insegnano religione? Forse coloro che trasmettono attaccamento alle grandi figure come Gesù, Buddha, Marx ecc.? Il cosiddetto plagio è molto più diffuso di quanto si sospetti . Come insegnante vedo arrivare in prima classe bambini già indottrinati (nel senso veramente peggiore del termine)e vedo colleghi che contribuiscono felicemente a questo indottrinamento, vedo altri che li indottrinano in altre direzioni; io stesso sono sospettato di volere, nascostamente, indottrinare…

Ho un grande rispetto per il Buddha perché lo riconosco come l’unico pensatore veramente libero che ha ricondotto ogni –ismo, ogni forma religiosa, ogni punto di vista a quello di cui realmente si tratta: l’attaccamento al sé, all’ego. Detto questo non ho altro attaccamento per il Buddha. In un’occasione mi è capitato di dire: ‘ faremmo veramente un pessimo servizio al Buddha… se ci preoccupassimo del Buddha’.

Quello di cui ci dobbiamo occupare con impegno è invece quello di essere mentalmente liberi. Il contenuto dell’esperienza di Risveglio che ebbe il Buddha e che hanno avuto tutte le persone risvegliate dopo di lui è quello della libertà assoluta…nessuna paura, nessun condizionamento, niente di niente… la felicità della non-ostruzione, dello spaziare senza ostacoli.

Detto questo ecco il motivo della mia riconoscenza a questo grande uomo. E’ dare pane al pane.

Il Buddha disse: il mio insegnamento è come una zattera: serve ad arrivare alla riva della libertà ma se poi ve la caricaste sulle spalle vi sarebbe d’impaccio, di grave peso.

Il suo discepolo, Nagarjuna, asserì che anche ogni insegnamento del Buddha, come tutti i fenomeni del mondo era vuoto di sostanza( e che sostanza può avere infatti l’essere liberi?); egli asserì anche che il massimo della scemenza( non disse proprio così, naturalmente) era attaccarsi a questa vuotezza, renderla di nuovo in qualchemodo una sostanza… Un patriarca dello zen disse: SE INCONTRI IL BUDDHA UCCIDILO, SE INCONTRI IL PATRIARCA UCCIDILO (in senso metaforico naturalmente).

Quale cristiano o musulmano avrebbe questo coraggio della libertà: se incontri Gesù uccidilo, se incontri Dio uccidilo….

Un cristiano non ha quasi nemmeno il coraggio di pensarlo…i condizionamenti sono feroci, si va all’inferno…

Quindi nessun Buddh-ismo e invece buddhismo, nel senso di essere liberi. Ogni volta che ci identifichiamo non siamo più liberi.

Viene il monaco Chandapalo. Ecco la contraddizione, griderà felice qualcuno. Un monaco addirittura! Ecco la setta, la religione, l’indottrinamento…neanche per idea. I monaci in questa tradizione danno solo una metodologia di lavoro. La metodologia della liberazione dalle identificazioni, dagli attaccamenti di ogni tipo. Ma se ci attacchiamo anche ad essa come a qualcosa di sostanziale, non renderemmo un buon servizio al Buddha.

Ancora una volta: quale sostanza, quale dio, quale setta ci può essere nell’imparare ad essere liberi?

 Sammā Samādhi 2000/4

Aprile.

MANCANZA DI CONTROLLO

Quello che possiamo conoscere realmente del mondo, al di l delle ideologie religiose costruite sulla base delle nostre predisposizioni mentali, basato sulla nostra esperienza. Sulla base di questa vediamo che tutto si risolve in insoddisfazione, sofferenza. Abbiamo, ad es., una bella situazione e con consapevolezza ci rendiamo conto che siamo felici, abbiamo tutto per essere felici( in verit anche questa consapevolezza rara: la maggior parte delle persone tende a lamentarsi in ogni occasione) ed ecco che tutta un tratto questa situazione cambia, si trasforma, crolla, ci frana sotto i piedi. Tentando di afferrare quello che possiamo, ci accorgiamo di soffrire perch le cose non vanno come vorremmo. Questa un'esperienza frustrante che senz'altro abbiamo sperimentato tutti. Ma da cosa viene tutto questo soffrire? Ancora pi importante: perch questo soffrire si trasforma in depressione, talvolta cronica e la gente deve ricorrere ai veleni della chimica moderna per curarsi?

Partiamo dalla depressione. Perchè ci deprimiamo? Non lo facciamo forse perch tutto ci sfugge sotto i piedi, perch sentiamo di non avere alcun controllo della nostra vita? Facciamoci caso: questa la verit che vogliamo tenere pi nascosta, che celiamo agli altri vergognandocene, che celiamo ai nostri figli per paura che vedano la vita per quello che : una massa di insoddisfazione intrecciata a tutti gli altri momenti del vivere, inscindibile da essi. Bisogna dire che lideologia del secolo, quella del successo, dello stare bene, del giovanilismo, del vincitore, non aiuta. Di fronte al continuo bombardamento di immagini di persone felici perch hanno quel telefonino o il vestito firmato, stare male decisamente fuori moda. Tutti sono felici meno noi? Ci sentiamo come degli straccioni in un mondo ricco ma questo gravissimo, non va mostrato, pena lemarginazione: chi vuole stare con una persona depressa? Cosa facciamo allora? Invece di affrontare apertamente questa massa di insoddisfazione e di sofferenza, la nascondiamo sotto il tappeto, adottiamo qualche maschera, oppure ci lamentiamo:

perch proprio a me?

Le stesse ideologie religiose o new-age ci servono poco: possiamo cercare di vedere tutto rosa, tutto positivo, pensare a qualche disegno misterioso che permea la storia umana e che ci impone di soffrire per poi ricevere un premio, non fossaltro unevoluzione (che per, possiamo osservare, non sempre avviene: ho anzi molti esempi di involuzione sotto gli occhi); possiamo darci a comprare questo e quello e riceverne una misera soddisfazione momentanea, possiamo metterci a fumare furiosamente, a bere o a drogarci. Per inciso vedo spesso, nella sigaretta accesa nervosamente, un esempio di fuga dalla situazione spiacevole, una fuga che diventa unabitudine addormentante col tempo e che sar poi a sua volta fonte non pi di piacere ma di estreme sofferenze.

Mi chiedo allora: invece di nascondere sotto il tappeto tutta la miseria del vivere, perch non trovare il coraggio di guardarla in faccia, di indagarla, di servirsene per vedere le cose come sono, cio appunto una massa di insoddisfazione? Perch non ammettere francamente, con noi e con gli altri, che sì, in effetti l'esistenza implica la sofferenza, tanto più gravemente perchè non vi abbiamo alcun controllo?! Lasciamo da parte tutti gli anestetici che usiamo normalmente (sport, mode, fumo, droghe, politica, religione ecc.) e usiamo la sofferenza per scardinare la sofferenza. Ma come possiamo sconfiggerla se non sappiamo da cosa viene? Se non la indaghiamo? Perchè si soffre? L'origine della sofferenza è il fatto che il nostro desiderare non soddisfatto; oppure che, una volta soddisfatto, l'abitudine al desiderare spinge a cercare qualcosaltro, in una corsa infinita, oppure ancora, che una volta soddisfatto, il sè si ritrova con una situazione che d'improvviso cambia, senza il suo volere! Si soffre, in sostanza, perchè ogni cosa dipende da ogni altra cosa ed ogni altra cosa dipende da ogni altra cosa e cos via allinfinito; non c un centro, non c stabilit da nessuna parte, non c nulla di sostanziale. DIPENDENDO DA ALTRE COSE, OGNI COSA E ESTREMAMENTE INSTABILE, E SEMPRE SULLORLO DELLA MUTAZIONE, ANZI MUTA IN CONTINUAZIONE. E come un gigantesco gioco del domino, dove il crollo di una carta modifica lassetto del tutto. Perci appare come il desiderare sia la fonte del soffrire: il desiderare fa sorgere lafferrare, lattaccarsi alle cose o situazioni, il creare lillusione di una loro sostanzialit, ma lattaccarsi vano poich ci a cui ci attacchiamo CONDIZIONATO da una serie di altri fattori fuori dal nostro controllo.

VIVIAMO SULLE SABBIE MOBILI. Ma se tutto dipende da tutto, se tutto perciò è  instabile, se non c'è un un centro, è mai possibile che noi invece siamo stabili, un sè  completo, eterno, indistruttibile (si noti che questo è il concetto di anima)? O non è forse il caso di pensare che anche il nostro sè, dipendendo da mille fattori, condizionato da mille fattori, sia sostanzialmente un fluire di vari elementi psico-fisicitenuti insieme dalla forza centrale delluniverso, il desiderare- ed in particolare il desiderare di esistere? Si rifletta e si indaghi su questo, non si accetti nessuna soluzione a priori ma ci si affidi appunto allindagine. In ci potr essere utile il cominciare a vedere le cose che accadono in noi- sensazioni fisiche, percezioni, il pensare- in maniera un po pi impersonale, cose se assistessimo ad un film: c una sensazione fisica , c una percezione, c un pensare. Solo distaccandosi un po possibile osservare le cose in maniera pi oggettiva, senza il condizionamento dellenostre propensioni. Allora cominceremo forse a vedere, a vedere realmente come si muovono le cose, come si condizionano reciprocamente e che non c bisogno

di soluzioni metafisiche per comprendere luniverso. Scopriremo forse che la sofferenza, linsoddisfazione, sorgono dal nostro continuo voler afferrare, il voler credere solido, duraturo ci che in realt non ha sostanza. Poich noi stessi non siamo duraturi, permanenti ma partecipiamo dellinsostanzialit di tutto luniverso, non sar forse il caso di smettere di voler afferrare, di imparare a lasciar-andare, a lasciarsi andare, a fluire con la mobile insostanzialit del tutto? Non sar forse in questo accettare, la via all'essere liberi? Si noti bene: essere liberi non significa essere indipendenti: perfino il Buddha, Gesù, l'idea di Dio ecc. sono dipendenti, non sorgono in maniera indipendente dall'interdipendenza generale dell'universo. Essere liberi vuol dire aver pacificato i tre condizionamenti del desiderare, dell'avversare e dell'illusione, per cui , senza più lo spettro del sè, si fluisce con le cose. Vuol dire stare nel mondo senza essere toccati dal mondo. Ma riuscite ad immaginare realmente una cosa del genere? Siete mai stati realmente liberi?

LIBRI:

Rune E. A. Johansson, La Psicologia del Nirvana, Ubaldini ed. ,L. 12000.

Nonostante la bruttezza del titolo questo è uno dei libri più interessanti che siano stati scritti sulla questione del Nibbana/nirvana; l’autore è un buon conoscitore della lingua antica pali ( ha scritto Pali Buddhist texts, An Introductory Reader and Grammar, Curzon, 1973) ed il testo è pieno di citazioni in pali e in traduzione. E’ un libro estremamente interessante.

Consiglierei anche : Nagarjuna, Le Stanze del Cammino di mezzo (Madhyamaka karika), Boringhieri. Lo faccio esitando per la sua difficoltà ma è un testo davvero importante.

Sammā samādhi 2000/4 speciale

Sacro e meditazione

Questo testo è assai personale e me ne scuso; è tratto dal mio diario meditativo. D’altra parte vi sono in esso questioni di interesse generale che mi sembra utile trattare.

L’8 marzo, è morto papà., alle 10 circa. Ero a scuola quando mi è arrivata la telefonata di Pola.

Direi di essere contento di come è morto: a casa sua, circondato dalle cure continue dei suoi figli e di sua nipote. Lolita, in particolare, va elogiata per la sua devozione ed il suo impegno. E’ passato oltre, probabilmente senza soffrire. Negli ultimi tempi aveva cominciato a disfarsi, per le piaghe da decubito, per cui dovevamo girarlo spesso e con mille precauzioni ogni 3 o 4 ore. In più c’era mamma che stava anch’essa male. Era divenuto magro magro, emaciato, senza più alcuna muscolatura, non mangiava, veniva nutrito a fleboclisi, non parlava. Era in uno stato di semi-coma ma rispondeva con lo sguardo quando lo chiamavamo. Ricorderò sempre il suo sguardo intenso mentre lo giravamo nel letto o lo accarezzavo. Sembrava che volesse ‘bermi’, che volesse portare con sé il ricordo intenso di noi.

Per me era un padre ed un amico. Negli ultimi anni eravamo divenuti amici di caffè, perché quando potevo lo portavo al bar, da Enza, dove salutava tutti con gioia anche se nel parlare non si capiva cosa dicesse. Grazie a lui avevo riscoperto i rapporti umani più semplici, più elementari, con la gente del posto ed in particolare del bar: Giulio, Pietrino, Pietro ed altri.

Mentre stava male, in questi ultimi giorni, ho mantenuto la mente in uno stato di accettazione il più possibile, senza permettere, se non in rari casi, che andasse a fantasticare, a costruire. Così, per es. , ho mantenuto la mente assolutamente attenta a non preferire: né volere che vivesse né volere che morisse: solo stare nel presente, perché ogni scelta, ogni desiderio è, in ultima analisi, una scelta dell’ego. Una scelta malsana, tesa a non soffrire, anche se mascherata- ed in parte identica- con il non voler far soffrire la persona amata. Così, anche mentre, durante le meditazioni, irradiavo, irradiavo con mente equanime e non desiderante. Ero lì e basta!

Così anche durante il funerale sono rimasto sostanzialmente sereno. Ho assistito alla messa con mente equanime e con mente equanime ho visto deporre la bara.

La potenza dei condizionamenti mentali mi si è disvelata qualche giorno dopo. Ero in parte anch’io stupito da questa mia accettazione completa dell’avvenimento. Il fatto di non provare quasi ricordi, il fatto di non sentire sofferenza per questo vuoto…strano, ho pensato, e mi si è insinuato il dubbio che questo mio distacco non fosse propriamente morale: un figlio dovrebbe soffrire molto per la mancanza dell’amato padre…un figlio dovrebbe far visita frequentemente al cimitero, dovrebbe, come fa una mia amica, chiedersi continuamente in quale luogo si trovi ora suo padre…questa è insomma la sacralità della morte.

In realtà questa è una grande illusione, è ridurre a sostanza, ancora una volta ciò che sostanza non ha. Esistono paradisi o altri regni di rinascita? E’ possibile, ma non abbiamo modo certo di verificarlo. Non potendolo fare, tutto ciò che elaboriamo va ad essere una pura paññatti, pura concezione mentale, da cui è bene astenersi per non essere afferrati dall’attaccamento ad una concezione. Meditazione e sacro, sacralità, non vanno d’accordo, per lo meno se lo scopo è la liberazione. E questo nonostante alcune tradizioni meditative facciano uso della sacralità.

In effetti la mia mente, riguardo a questi problemi, è relativamente assai libera. Tutte le concezioni mentali, quelle cioè non supportate dall’esperienza empirica e ripetibile (si noti la scientificità e razionalità del metodo meditativo di consapevolezza e visione profonda) sono attaccamenti legati alle motivazioni, più o meno chiare, dell’ego e rientrano nel campo vastissimo dell’ignoranza, cioè della non-visione delle cose così come sono. Così facendo, ogni volta, l’ego si riconferma nella sua illusione di propria auto-esistenza in termini di realtà ultima e di convinzione di un proprio essere-speciale.

Perciò il sacro, la sacralità, il misterioso, la metafisica, gli assolutismi metafisici e religiosi, sono tutti ostacoli alla Liberazione, all’essere liberi. Non a caso l’attaccamento ai riti religiosi, alle cerimonie ecc., è considerato uno dei tre ostacoli che vengono rimossi quando per la prima volta ci si affaccia sul fiume della Libertà, la cosiddetta ‘entrata nella corrente’: gli altri due ostacoli sono la concezione del sé come sostanziale ed il dubbio scettico (dovuto alla mancata sperimentazione della Visione profonda).

Essere liberi è ovviamente il massimo della felicità ed anche il massimo della purificazione mentale. Le scorie del sacro, della sacralità, ce le portiamo dietro dalla preistoria, da quando cioè l’uomo tremava di fronte all’immensità dei grandi fenomeni naturali ed a quello che appariva il mistero dell’invecchiamento e del morire.

Il condizionamento è talmente radicato nelle nostre cellule, nella nostra memoria biologica, che anche solo a mettere in dubbio questi concetti ci sentiamo in colpa: tanto più che l’Ebraismo, con i suoi sottorami cristiani ed islamici, ha introdotto nella psiche umana anche un meccanismo di difesa ed autoprotezione dei suoi dogmi, quello di peccato.

Non si può essere liberi senza liberarci di queste scorie, per quanto terribile o doloroso possa apparire. La via della Liberazione, della

della razionalità non sono in contrasto, come accade invece nelle forme religiose. Essere liberi è estremamente razionale. E la libertà è senza contenuti, sacri o profani che siano.

Samma samadhi 2000/4

SPECIALE 2

 

PUBBLICO QUESTA LETTERA RICEVUTA DA G.,

PERCHE' PERMETTE DI APPROFONDIRE I TEMI DEL TESTO DA ME PROPOSTO SU SAMMA SPECIALE.

Credo che il dolore che si prova per la morte di un padre (io ho perso il
mio l'anno scorso) sia proporzionale al rapporto affettivo che abbiamo con
lui. Io ne avevo uno pessimo, avendo litigato tutta la vita in modo spesso
anche violento. per questo quando è morto la mia mente è stata equanime: in
fin dei conti la sua scomparsa non apriva nessun buco nella mia vita: non
ricordo una sola telefonata per chiedere come stai o cosa hai fatto oggi.
Solo chiamate di servizio del tipo: "è arrivata la solita multa", oppure:
"cosa devo fare con questo o quello".

sfido chiunque perda un grande amore o la persona con cui divide ogni
giorno la sua vita a rimanere equanime come siamo stati noi di fronte alla
scomparsa del nostro genitore.

io di sicuro non sarei altrettanto equanime nemmeno di fronte alla morte
del mio cane.

i legami sono fatti di affetto, frequentazione, necessità, fiducia ecc. che
di questi legami l'illuminato possa fare a meno è probabile, che noi si
riesca serenamente a mandare sottoterra chi ci ama, intensamente riamato e
desiderato, per me lo escludo, per chiunque altro mi permetto di dubitarlo.

G.

 

Cara G.

le cose che scrivi sono interessanti perché fanno parte di quella vasta casistica che ricopre i rapporti di parentela. Non sei la prima e non sarai l'ultima ad aver avuto un rapporto del tipo che dici con il tuo genitore. Accade spesso. Per parte mia, dopo la normale ribellione antifamiglia dei miei venti anni, dopo una vita passata a snobbare le feste di Natale e pasqua che trovavo barbose, ho pian piano riscoperto la frequentazione con i miei,soprattutto man mano che li vedevo invecchiare. Io ho provato un amore fortissimo per mio padre e ne provo altrettanto per mia madre che si trova quasi nelle stesse condizioni. Il discorso è che quando sono molti gli anni passati a praticare la consapevolezza e metta, la gentilezza amorevole,- o forse preferisci l'amore?- avvengono due fenomeni opposti e complementari: aumentano in maniera infinita amore e compassione ed aumenta altrettanto la capacità di osservare con un certo distacco ciò che sta accadendo. Sapevo che il mio testo avrebbe provocato varie reazioni: soprattutto del tipo:- ma che persona è questa qui, che amore poteva mai provare se poi reagisce così 'freddamente'? se puoi credermi, ti assicuro che non vi è stata nessuna freddezza, mentre lui era in vita; tanto amore invece, tanta compassione (nel senso di com-passione), tanta dolcezza- tutte cose che effettivamente non trasparivano molto dal testo. Purtroppo il testo è limitato e non dà mai la misura dei fatti reali. La mappa non è mai il territorio. Mi sembra però che dovremmo meditare anche per metterci in relazione con il morire, dovremmo misurarci nella ricerca della Liberazione anche con la possibilità di avere comportamenti non usuali di fronte a questi eventi. Comportamenti che per me sono questi: essere completamente presenti quando la persona è con te, vivere la situazione attimo-per-attimo, senza pensare al passato, senza pensare al futuro; ti sembra impossibile? A volte mi sembra che si stia nel campo della meditazione pretendendo di salvare capra e cavoli: cioè da una parte sviluppare una serie di comportamenti di distacco, che portano verso la Libertà- libertà dal condizionato o, se ti sembra più 'umano' dai condizionamenti- ,dall'altra tutto il vecchio apparato emozionale ( a cui siamo così attaccati, perché è 'nostro' e ci permette di farci 'riconoscere' come esseri umani da altri esseri umani) che dovrebbe restare non-toccato, perchè è così bello piangere e disperarsi. Credi forse che io non abbia mai pianto? Io sono condizionato come te ed ogni volta che mi venivano ricordate certe cose le lacrime mi venivano agli occhi e non mi sono mai vergognato di piangere:

sono così, un tipo molto emozionale come ben sa chi mi conosce. Nello stesso tempo sono lieto di poter affermare queste verità: uno, che se esiste la verità della sofferenza, esiste anche la verità di un sentiero che porta alla fine della sofferenza. Crediamo ad una ma riteniamo che l'altra sia possibile solo sui libri o per esseri mitici come i bodhisattva? Se è così, basta leggere e scrivere di filosofia e praticare non occorre.Due,il passato è una sostanza che possiamo afferrare? Sì, è vero, anch'io possiedo esperienza e memoria, quindi se ci penso, a mio padre, a certi episodi, sto male. Ma non ci penso e sai perchè? Perchè so che non esiste nessuna sostanza passata, letteralmente non esiste proprio, e tutto quello che passa nella mente è concezione mentale, niente di reale. perciò, se mi piace trastullarmi, penso al passato, ma sono consapevole di trastullarmi, non è niente che io possa afferrare. Se voglio soffrire so dunque come fare, ma so anche come fare per non soffrire. Il buddhismo è molto pragmatico, non si tratta in esso di ideali scritti in cielo ma di cominciare a liberarsi da subito. Io non pretendo di essere un Liberato:so però che voglio praticare la liberazione da subito, vedo che è possibile, riesco in parte a farlo possibile. Ricordi forse la guerra del Vietnam? I Vietcong liberarono subito tutto il loro paese? No, perchè il tutto e subito non esiste. Liberarono prima ciò che riuscirono a liberare e da lì allargarono la liberazione( si fa per dire) a tutto il territorio.

Toccando un altro tema di cui parli ho visto morire la mia cagna, ho visto il lampo di disperazione nei suoi occhi, ho vissuto con lei questo momento. Ma so che chiunque sia soggetto alla nascita è destinato alla sofferenza ed al morire.E questo è valido per tutti. E' IL PRESENTE IL PUNTO IN CUI SI DEVE MOSTRARE IL MASSIMO DI AMORE, DI COMPASSIONE E DI PRESENZA. IL PASSATO NON ESISTE, IL FUTURO NON ESISTE. Per me questo presente è già passato, è stato vissuto con il massimo- non il minimo- di intensità e di presenza ed ora non esiste più, c'è un altro presente.

E' dura da accettare questa visione,lo so.

Vorrei infine ricordare come reagì il Buddha allo sterminio del suo clan familiare, 500 persone a quanto si dice. Si mise a disperarsi ed a piangere?

Accettò le cose com'erano perchè di questo si tratta, vedere le motivazioni chemuovono l'universo e sapere che queste motivazioni vanno inevitabilmente a produrre i loro risultati. Nel Cristianesimo si dice: sia fatta la volontà di Dio. Noi che pratichiamo la liberazione, la visione profonda della coproduzione dipendente di tutti i fenomeni e la loro vacuità, la loro impersonalità ( e ciononostante pratichiamo amore e compassione) dovremmo essere da meno?

Un'ultima cosa: ti ringrazio per avere scritto la tua lettera così vera e sincera e da cui traspare vera sofferenza. Sono con te perché non è difficile identificarsi con ciò che dici. So che la chiarezza può sembrare durezza, ma ti prego di non scambiarla per tale.

Con affetto

Lo

Samādhi

2000/5

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GRAMMATICA DEL VIVERE

(testo fatto per i miei alunni/sc. elem.)

Come maestro elementare vi ho insegnato la grammatica della nostra lingua. Ad un certo punto vi ho anche introdotto all'analisi logica che, come dice la parola, serve a ragionare, a stabilire chi sia il soggetto, quale il predicato ecc.; vorrei ora introdurvi a qualcosa che si chiama la grammatica della vita.

In questa grammatica occorre partire dall'osservazione. Ricordate quando abbiamo cominciato a disegnare soggetti veri? Vi dicevo: non fate le cose, le persone o altro come ve le immaginate. Va bene anche quello per una fase della vostra vita, ma ad un certo punto dovete cominciare ad osservare.

Cerca di disegnare quello che vedi realmente, non quello che immagini. Così facendo, alcuni di voi, quasi tutti, hanno raggiunto risultati straordinari.

Bene, nella vita sarà uguale e questa la prima regola che possiamo stabilire. Già adesso vi trovate spesso a dipingere la realtà con i colori che preferite. Nulla di male in ciò, anzi. Però occorre sapere che sono i colori che noi, come artisti, scegliamo di mettere. Non sono probabilmente i veri colori. Se coloro la luna di verde devo sapere che ho scelto io di colorarla così. E'  una scelta del soggetto che fa l'azione di dipingere. Se però volessimo dipingere le cose come sono davvero, forse il colore lunare sarebbe più grigio, più sbiadito. Prima lezione: le cose non sono come le vorremmo. Devo imparare a distinguere tra quel che c'è realmente e quello che io vorrei che ci fosse.

La seconda regola proviene dalla prima. Questa è  una regola grammaticalmente diversa da quelle scolastiche. Per vedere le cose come sono realmente, dobbiamo cercare di usare pochi predicati nominali. Un predicato nominale è  dato da un certo tipo di verbi + una qualità. Es.: Cristina è bella, Davide è intelligente,  David è creativo, Loriano noioso. Il rischio dell'uso eccessivo di predicati nominali è che li incolliamo addosso alle persone e dopo per noi Loriano sarà sempre noioso, Davide sempre intelligente… e avremo sempre in antipatia Loriano anche quando dica cose non noiose ed ascolteremo con rispetto Davide anche quando dica baggianate… perciò questo ci porterà a parteggiare per questo e contro quello e questo diverrà fonte di conflitti, di scontri. Una mente rischiarata dall'intelligenza della consapevolezza vedrà  invece che oggi Cristina ha fatto l'azione X e Lucrezia l'azione Y, senza aggiungervi un predicato, senza dare un giudizio. Questo ci permetterà di conoscere Cristina, Giada o Andrea come realmente sono in quel momento, come persone vere, cioè mutevoli e non come pacchi con sopra un'etichetta. Chi è stato pessimo per noi ieri può essere speciale domani e viceversa. Questo è essere liberi: non dare giudizi se possiamo, non etichettare gli altri.

Terza regola: Vorrei piacere a L. tanto quanto L. piace a me. Ma magari non è così. Magari a L. non piaccio o forse semplicemente ha altre idee. Cosa nasce in me? Frustrazione, forse rabbia. Se questo sentimento di furia mi prende, ecco che L diventa un nemico, qualcuno con cui essere furiosi. Ecco che allora l'amore si trasforma in avversione, rabbia, nella vita talvolta in odio. Diciamo che tutti i casi che vanno a finire sui giornali (violenze, talvolta omicidi, suicidi) vengono da questo: mancanza di accettazione delle cose come sono> eccessiva importanza data a se stessi > lasciare via libera nella mente a tempeste negative per noi e per gli altri. Quante persone hanno distrutto la propria vita e quella di altri per questo motivo? Quante di loro avranno poi riflettuto: Se ci avessi pensato, prima di fare quel che ho fatto! . La terza regola perciò è questa: osservarsi internamente, essere consapevoli di tutto quello che sorge nella propria mente. C'è  un modo assai semplice per farlo: se sorge amore sapere che è sorto amore, se sorgono fantasie sapere che sono fantasie, se sorge rabbia sapere che c'è rabbia. Si può immaginare una lavagnetta mentale su cui, con il nostro gessetto mentale, scriveremo: amore, fantasie, rabbia, insomma qualunque cosa sorga nella mente. Qualcuno ha detto: L'uomo è quel che pensa. Questo si vede anche nell'aspetto fisico: chi è gioioso, chi coltiva sentimenti piacevoli è bello; è brutta invece la persona sempre arrabbiata, iraconda, gelosa, violenta o che pensa sempre e soltanto a se stessa ( e quindi è cupa, chiusa). Avete osservato mai queste cose?

Da questo viene la quarta regola: Sulla lavagnetta mentale è bene usare verbi in forma impersonale, all'infinito presente. Perchè questo? Per avere un po' di distanza da ciò che osservo, come un pittore che per rendersi conto di come sia venuto realmente un suo quadro si allontana da esso. Per es., invece di "io penso", usare pensare , notare cioè che c'è una funzione mentale, il pensare appunto. Quindi: pensare, sentire vedere ecc.

Quinta regola: coltivare una mente piacevole, attenta e gioiosa. E' per noi stessi che possiamo farlo. Ma noterete anche il cambiamento negli altri: diverrete come fari splendenti per gli altri che vi staranno intorno, contenti di godere della vostra compagnia. Questo avverrà se smetteremo di pensare a noi stessi, ad essere ossessionati dal nostro io e allora vorremo non prendere, afferrare, ma dare. Attenti a capire che quel tale nostro compagno soffre: aiutiamolo; attenti a non aspettarsi sempre questo e quello ma a dare. C qualcuno, tra noi, che già è così. Chi è così gode dell'amicizia di tutti, è cercato da tutti. L'avete  osservato questo, anche nella nostra classe?

Sostanzialmente tutto questo si può riassumere in poche parole: siate attenti e consapevoli ed irradiate gli altri con affetto e comprensione. Allora vivrete felici, accettando la vita com'è.

(Nota). Non ho mai imposto niente delle mie idee ai ragazzi, tanto meno la pratica meditativa. Ma per noi grandi può essere singolare notare come le cose che qui dico a loro sono un breve compendio per la meditazione. In particolare il non usare predicati nominali implica il non sostanzializzare, la non-adesione al dualismo che pretende che esistano entità sostanziali ed assolute(e non relative e dipendenti) come il bene ed il male, la persona cattiva e quella buona. Il rifiuto degli assolutismi è necessario per la liberazione personale ed è stato necessario per la liberazione dei popoli nella storia (anche se in questa, per la mancanza di consapevolezza, ha poi quasi sempre portato a nuovi assolutismi: si vedano la rivoluzione francese o quella russa del 1917).

SAMĀDHI

2000/6

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SAMADHI 2000/9.

Vivere semplicemente

Il più famoso filosofo di questo secolo, Ludwig Wittgenstein, inizia il suo Tractatus Logico-philosophicus con due sensazionali/banali affermazioni:

1)Il mondo è tutto ciò che accade.

1.1) Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose.

Che significa la seconda affermazione? Semplicemente che il mondo, l'universo, è formato da relazioni fra fenomeni e non da cose. Questo significa che il mondo è privo di sostanza intrinseca, non vi è niente che abbia una base sostanziale, vi sono solo fatti, avvenimenti e le relazioni tra questi fatti. Ma se vi sono solo relazioni tra fenomeni (e questo è testimoniato anche dalla fisica moderna), ciò  significa che viviamo in un flusso di relazioni senza nessuna base in nessun luogo, fatto o entità! Detto con le parole di un filosofo assai più  grande, che si basava non sulla speculazione intellettuale come Wittgenstein ma sull'esperienza della meditazione e della conseguente saggezza penetrante e sulla propria Realizzazione (domanda: chi era questo grande filosofo vissuto quasi 500 anni prima di Cristo?), tutti i fenomeni (dharma) sono privi di un sè. Questa affermazione fu anche sintetizzata nel termine Vacuità  che fu la base dell'opera di Naagaarjuna, vissuto verso il II/III secolo d. C..

 

Questo inizio sembra contrastare con il titolo: Vivere semplicemente. Ma in effetti il modo migliore per vivere semplicemente proprio nella libertà dalla visione che rende il mondo come un insieme di oggetti, sostanze, persone. Non si nega qui la realtà di tutti i giorni, le cose, le persone, l'ambiente circostante. Si nega che esse abbiano una sostanza in sé, qualcosa di immutabile, di eterno, di autosufficiente nascosto sotto la mutevolezza dei cambiamenti superficiali. Se tutto è fatto di processi, se tutto è in continua trasformazione - perché di questo si tratta quando si parla di un processo- , se non esistono cose separate dalle proprie qualità, se riusciamo insomma a cogliere la Vacuità del mondo in cui viviamo, non vi sarà niente a cui attaccarsi ed anche la sofferenza sarà spezzata. Mi spiego con un esempio: la massima sofferenza che noi esseri umani sperimentiamo è nella morte delle persone care o nel timore della nostra morte ecc.. Ma se siamo consapevoli che tutto semplicemente è una serie di fenomeni sia pure assai complessi, potremo accettare che le cose siano come sono, che semplicemente quella serie di fenomeni a cui diamo un nome abbia terminato il proprio ciclo momentaneo trasformandosi in qualcos'altro. Niente compare e scompare realmente, tutto si trasforma (lo diceva già Leonardo da Vinci). E la nostra mente che attribuisce sostanza, eternità alle entità complesse con cui viviamo, rendendole così cose a cui attaccarsi e la cui privazione ci sembra un furto. Ma se cose non sono, se tutto scorre, se riusciamo ad accettare questo, la sofferenza finirà o sarà molto ridotta.

Il quarto fondamento della consapevolezza è l'attenzione ai fenomeni mentali nei fenomeni mentali. E' quando ci rendiamo conto che tutte le designazioni che diamo sono fenomeni e giochi della nostra mente, nel notare immediatamente come fenomeno mentale ogni attribuzione che diamo alla realtà che si apre la via all'essere liberi dalla sofferenza.

Vivere semplicemente è anche vivere, semplicemente. Questa , per esempio, è l'essenza della vita monastica. Per noi che siamo laici, impegnati nelle faccende del mondo, essere liberi passa attraverso una semplificazione della nostra vita. Si può stare nelle cose, viverle completamente e nello stesso tempo esserne distaccati. Non si può fare questo però se non attraverso una grande e continua consapevolezza. Consapevolezza che si riporta anche allo scegliere di fare meno e di farlo meglio. Andare più lentamente. Eliminare l'inutile che crea preoccupazioni superflue. Usare e godere tutto quello di cui la vita di oggi ci impone minimamente l'uso senza lasciarsene schiavizzare.

Essere semplici , essere liberi, è il fine e nello stesso tempo il mezzo per questo scopo. In realtà si potrebbe dire un non-scopo. Ecco perché anche la meditazione deve essere senza-scopo. Non c'è niente da afferrare nella libertà , né dio/dei, né buddha, né religione, né filosofie: la libertà vuota di sostanza come qualsiasi altro fenomeno. Si riesce a stare seduti senza scopo? Si riesce, nella vita, a non avere scopi oppure, per il minimo che la vita ci richiede, ad avere scopi limitati senza lasciarsene catturare? O siamo sempre pronti- per desiderio, avidità, ambizione- a lanciarci in imprese sempre nuove che non ci fanno dormire tranquilli e che affollano l'orizzonte della nostra mente? Riusciamo a godere del presente senza sempre pensare al futuro o al passato? Si può vivere felicemente qui ed ora?

 

Si può godere della bella semplicità di un fiore? Il fiore profuma indifferente a chi ha davanti.

Possiamo essere fiori noi stessi verso il mondo?

SAMADHI

Dicembre 2000/10

SENZA SCOPO

Una delle domande che prima o poi tutti si pongono : Che senso ha tutta questa sofferenza?. Soffrire noi per primi, vedere i nostri cari soffrire, vedere il mondo intero in tragedia: profughi, stragi, violenza, malattia, milioni di persone che muoiono di fame, la morte…Anche la fede più salda in un essere che ci ama e di cui saremmo figli- cos ci dicono- può vacillare. L'esperienza, infatti, che è l'unico mezzo primario valido di conoscenza, NON CONVALIDA ASSERZIONI COME QUESTA. Conoscete del resto un padre che esporrebbe i propri figli a sofferenze simili? Come lo giudichereste? Tutte le giustificazioni per un simile stato di cose li leggiamo solo sui libri. La nostra esperienza porta ad esse convalida?

Non si tratta qui di esporre un punto di vista diverso: si tratta di mettere in discussione gli abituali mezzi di conoscenza, vedere come essi sono in relazione al desiderare, al sentirsi soli in questo universo, in ultima analisi ai bisogni dell'ego. Da questo sorgono tutte le visioni del mondo, da questo sorge l'idea che vi sia uno scopo nell'esistenza del mondo e così via. Lo scopo della meditazione di consapevolezza e di visione profonda non è quello di sostituire un'altra visione, buddhista o che altro, a quella mondana attuale. Non ci si faccia alcuna idea di questo mondo disse un saggio anticamente. Si adotti invece un'attitudine di osservazione delle cose per quello che sono: che siano sensazioni, percezioni o fenomeni mentali. Riguardo soprattutto ai fenomeni mentali occorre stare attenti. E' realmente difficile, per noi, accettare che una nostra opinione, una nostra percezione, sia solo un fenomeno mentale tra tanti altri. La prendiamo per garantita, ci attacchiamo ad essa e siamo pronti a difenderla contro altre opinioni. E' questa una forma di attaccamento, di afferramento, che ci porta lontani dal conoscere.

Vedere le cose come sono e stare lontani dalle opinioni su di esse: QUESTA E LA MEDITAZIONE DI VISIONE PROFONDA. Quando anni fa il giornale Repubblica usc in edicola, lo fece con uno slogan assai interessante: I fatti separati dalle opinioni. E vero questo? I suoi redattori lo direbbero oggi? Benchè sia un buon giornale, non è certamente così, come non lo è per nessun altro giornale. Bisognerebbe che i redattori dei giornali avessero seguito una lunga pratica meditativa per riuscire a far sì che i fatti descritti non fossero influenzati dalle loro opinioni personali.

Perciò non ci si faccia alcuna opinione di questo mondo (Sutta Nipata, Atthakavagga 799). La visione profonda porterà a vedere inequivocabilmente il mondo come una serie di fenomeni fisici e mentali. Questa non sarà un'opinione, questo non sarà un punto di vista. Dove osserveremo un dato fisico sarà un dato fisico, dove osserveremo un dato mentale sarà un dato mentale. Basta, nessuna attenzione ai contenuti. Un'idea politica? E' solo un'opinione basata sulle proprie predisposizioni; un'idea religiosa? Lo stesso precisamente! Un'idea filosofica? Anche! Un giudizio su qualcuno o qualcosa? Pure. E così via. E' l'ego con le proprie predisposizioni a colorare la realtà. Se cominciamo a stare attenti in questo modo cominceremo a superare questo mondo fatto di predisposizioni e condizioni. Per approdare dove? Anche qui non ci si faccia nessuna idea particolare; in ogni caso, sbarazzandoci di opinioni ed afferramenti, si arriverà certamente ad essere più liberi e poi liberi completamente.

Non diamoci quindi scopi di alcun tipo nella meditazione: ogni scopo, diventando una costruzione, un oggetto, provocherà afferramento e porterà lontano dalla libertà E' possibile aiutarsi, nella vita e nella meditazione, con questo "mantra"/aiuto-memoria: Senza scopo o meglio "Pura attenzione-senza scopo". Quando la mente si distrae, possiamo ritornare al respiro o alle sensazioni fisiche o a questo mantra. Senza scopo è, in qualche modo, un equivalente di VACUITA', ASSENZA DI UN SE' ASSOLUTO. Occorre perciò semplicemente STARE, sia che si sia seduti, sdraiati, in piedi o in movimento. E, naturalmente, anche STARE ATTENTI. Ma rilassandosi, lasciando andare, identificando sensazioni, percezioni ed oggetti mentali come fossimo spettatori nella grande arena dei processi psico-fisici. Non c'è nulla da raggiungere se non la libertà, la liberazione, e la libertà non la puoi afferrare, anch'essa è vuota di contenuti. Ecco perché, personalmente, mi è di grande ispirazione quell'antica frase: Tutte le costruzioni condizionate sono impermanenti, tutte le costruzioni condizionate sono (perciò) insoddisfacenti, TUTTI I FENOMENI sono privi di un sé (reale). Tutti i fenomeni, CONDIZIONATI E INCONDIZIONATI. Perciò anche nella ricerca spirituale non vi è niente da raggiungere: la Liberazione è vuota, priva di un s!

Questo può sgomentare qualcuno. In realtà- e questo viene dalla mia esperienza personale- la stessa collina può essere vista da due versanti diversi. La mancanza di scopo può essere vista come terrore e disperazione oppure come libertà, felicità. Detta nei termini in cui la espone Nagarjuna, non vi è alcuna differenza tra il flusso del mondo condizionato e la Libertà assoluta, il nirvana. Il che non vuol dire che siano la stessa cosa. Ma si prova terrore, spavento, disperazione quando si è attaccati a qualcosa: in tal caso lo spavento viene nello scoprire la mancanza di senso nelle cose che più ci piacciono. E' davvero terrore. Vi sembrerà esagerato ma è davvero così (ed è l'origine di tutti i tipi di depressione). La stessa consapevolezza è fonte invece di gioia, libertà. Perché? Perché se non si è attaccati a nulla, nulla ci può veramente più colpire! E' questa la libertà assoluta, quando non c'è  più nulla e nessun ego da difendere. Si può allora anche stare nel mondo dando importanza a tutto perchè non si dà importanza a niente.

Talvolta in un ritiro, quando si lasci andare e quindi si purifichi la mente abbastanza a lungo,si può arrivare a scoprire questa libertà, questa felicità. Non c'è scopo? Bene, sono libero. Tutti i fenomeni, condizionati e non, sono privi di sostanza reale? Bene, questo significa che posso vivere nel senza-scopo con rilassata consapevolezza. Non c'è nulla da raggiungere, nulla da afferrare. Forse ci sarà invece da lasciare andare?

SAMADHI

2001/1

APRIRSI

Vivo in una casa di campagna fredda, non c’è riscaldamento centrale e la scaldo con una stufa a legna nonché un paio di altre stufette. La mattina, quando devo scendere dal letto, è molto freddo ed andare in bagno per lavarsi è una vera impresa. Togliersi la maglietta e restare mezzo nudo poi è un atto di coraggio. Mi aiuto con un po’ di kungfu per riscaldarmi brevemente e poi mi lavo (acqua calda, un piccolo privilegio).

Quando leggo: " Mi alzai e feci una doccia…" mi sembrano cose marziane. La doccia d’inverno la faccio una volta o due la settimana (più una che due) e solo dopo aver riscaldato un po’ la casa con la stufa a legna.

Racconto questo perché vedo in questi gesti la vita vera, non anestetizzata dalle comodità moderne in cui viviamo. Sono gesti veri, antichi: uscire ed andare nell’orto a prendere la legna,

accendere il fuoco, alimentarlo. Andare nell’orto a prendere la legna mi ricorda tanto mio padre. Seguo le sue orme. In tutte queste pratiche provo talvolta sofferenza fisica (per il freddo) ma non vi è sofferenza mentale di fondo. C’è anzi una curiosa esplorazione di questo modo di essere che è andato perso man mano che le comodità moderne ci hanno addormentato. E’ proprio praticando così che sento di aprirmi ancora di più alla sofferenza che c’è nel mondo. Mi colpisce spesso brutalmente l’idea che nella gelida Russia per esempio vi sono milioni di persone che vivono, disperate, in questo modo, senza denaro per scaldarsi, con poco cibo, avendo come unica risorsa l’alcolismo e con temperature rispetto alle quali quelle che sperimentiamo noi sono tropicali; soprattutto persone anziane, spesso sole ed abbandonate, angosciate nella loro mancanza di consolazione. Non è che sia contrario al progresso (prima o poi metterò forse qualche sistema più comodo di riscaldamento anch’io), ma trovo che veramente il lusso relativo in cui viviamo ci impedisce di vedere la crudezza della vita vera e le sofferenze degli esseri che vivono più semplicemente a contatto con essa.

Un altro esempio di questo sono gli animali. Sono rimasto colpito, in questi giorni, dal fatto che nel bailamme della cosiddetta ‘mucca pazza’ non una voce si sia alzata, per quello che almeno ho potuto rilevare, per attirare l’attenzione sul destino di questi poveri esseri, gli animali. Il grande baccano attuale sembra quello di una folla di orchi improvvisamente privata della carne e sangue di cui si nutriva. Il terrore degli animali quando vengono portati al macello (e se ne accorgono, amaramente se ne accorgono, terrorizzati se ne accorgono) non è diverso da quello degli ebrei nei campi di concentramento nazisti. Talvolta alle vacche viene messo un anello nel naso. Vi siete mai chiesti come mai? Non un vezzo sciocco, come potrebbe sembrare: con quell’anello le si può trascinare letteralmente avanti- grazie al dolore inflitto al naso dall’anello- al taglio della gola o simile. E quanto sonno c’è, anche, su concetti come ‘carne di vitello’, ‘carne di agnello’? Siamo veramente degli orchi che mangiamo senza pietà i bambini delle altre razze viventi. Pensiamo al nostro terrore seun giorno una razza più evoluta (perché questo noi siamo rispetto ai nostri fratelli animali: solo altri animali più evoluti), ci mettesse in gabbie, stie e stalle e ci togliesse i bambini per mangiarseli…

Un giorno (in parte piccola anche adesso), alla razza umana verrà forse posto il conto da pagare per tutto questo e per la mancanza di consapevolezza e compassione. In particolare verrà forse posto a quelle religioni che parlano di difesa della vita ma solo a compartimenti stagni: non dimentichiamo che in passato anche le donne ed i negri non venivano considerati pienamente esseri umani. Per parte mia abbandonai il Cristianesimo decine di anni fa quando mi resi conto della sua mancanza di compassione e della sua cecità verso gli altri esseri. Ciò non è casuale: i testi ‘sacri’ di questa religione pongono l’uomo non come un ‘primo fra altri esseri coscienti e senzienti’ ma come l’unico essere cosciente a cui un qualche presunto essere divino avrebbe detto:" Riempite la terra e soggiogatela, ed abbiate dominio sui pesci del mare, sui volatili del cielo, sul bestiame e su ogni essere vivente che striscia sulla terra" (Genesi). Che presunzione! Come studioso di storia so bene quanti testi vengano creati a posteriori per giustificare le cose peggiori. Come è facile capire come ad es. testi come questo siano giustificazionisti ! Ma il bello è che ci sono fanatici che citano il Libro (con la maiuscola) e non si rendono conto che è l’uomo che ha creato queste parole in bocca di questo Dio.

Se guardassero alla propria esperienza reale si renderebbero conto della coscienza, sia pure inferiore alla nostra, che esiste ad es. in cani e gatti. Perché negarla allora a mucche e galline (mi ricordo ancora di una gallina assai intelligente che avevo anni fa, poi mi fu uccisa)? La realtà è che vogliamo vedere solo quello che ci fa comodo e credere in quello che ci fa comodo. Questo è il giustificazionismo umano (anni fa veniva, come dicevo sopra, adottato per donne, negri ecc.).

Non condanno nessuno per quello che mangia. Ma è la mancanza di vera consapevolezza che è davvero triste. E’ l’adesione cieca a punti di vista più o meno tradizionali, perché così comodi! E’ l’accettazione della violenza e del massacro purchè possiamo continuare a mangiare la nostra bistecca! E’ l’adesione cieca a fedi senza mai domandarsi nulla!

Ancora una volta bisogna non aderire a questa o quella teoria, questa o quella religione ma ‘vedere’. Vedere ad es. che la coscienza esiste in tutti gli esseri viventi, a cominciare da quelli che ci sono più vicini ma arrivando anche a quelli più lontani. Possiamo avere, trovare questo coraggio di vedere, di uscire dalla nostra comodità? Possiamo abbandonare punti di vista di comodo? Possiamo avere quel coraggio di essere critici a cui per es. le famiglie –e raramente la scuola- mai ci educano?

Non si tratta di costruire nuovi punti di vista. Si tratta di vedere le cose come sono, di dire che c’è sofferenza dove c’è sofferenza, che c’è coscienza dove c’è coscienza, di non essere complici volutamente ciechi della violenza e del massacro. Il fatto scomodo per tutti coloro che parlano di amore etc. è che QUI SIAMO NOI IN PRIMA LINEA. LA DIFESA DELLA VITA O E’ GLOBALE O E’ A COMPARTIMENTI STAGNI, IPOCRITA E GIUSTIFICAZIONISTA. Non c’è solo l’Uganda, Il Kossovo o che altro. Del massacro siamo complici noi per primi.

Possiamo trovare il coraggio? Tolleranti verso tutti ma chiari con noi stessi.

 

SAMADHI

Dicembre 2000..

vivere,accettare,accettarsi…

 

Mi telefona un'amica. E', come spesso, scontenta, insoddisfatta della vita. Questa vita è uno schifo ecc., si sente un profondo senso di insoddisfazione in quello che dice. La invito a vedere le cose in maniera più tranquilla ma sono colpito dal pessimismo che esprime.

<<Ma tu>>, mi chiede, <<che ti aspetti dalla vita?>>

Resto un attimo in silenzio.

<<Veramente non mi aspetto nulla>>.

<<Ma questo non ti crea sofferenza?>>

<<No, anzi!>>.

<<Ma vivere così…>>

<<E proprio perché non mi aspetto nulla che sto bene. Certo, a volte soffro anch'io ma riesco, credo, a vedere gli aspetti di fondo. Ci pensavo proprio stamattina: ero in macchina e ad un tratto, ripensando alla gentilezza di mio padre verso di me, ai piccoli doni che ci faceva trovare la mattina sul letto, al fatto che anche quando ormai era fuori di sé si ricordava di comprare al bar un gelato per mamma, tutta questa sua grande, semplice gentilezza mi ha fatto sentire immensamente la sua mancanza… mi sono commosso, mi commuovo ancora se ricordo… è sorta sofferenza ma poi ho saputo riconoscere che si trattava di un ricordo e, senza volerlo escludere o reprimere, aver visto che si trattava di un fenomeno mentale, averlo visto, mi ha rasserenato.>>

Le ho detto perché non provava a venire a fare meditazione di consapevolezza.<<In fondo non l'hai mai provata. Non che ti debba aspettare miracoli; ma anche semplicemente stare ad osservarti un po' nel silenzio, a vedere quello che compare dentro di te, potrebbe forse aiutarti. Il problema è che le persone non vogliono vedersi, non vogliono cambiare, stanno cos bene come sono, anche quando soffrono, sono così affezionate a tutto il proprio modo di essere… In realtà vogliono soffrire. E' una forma di godimento masochistico ma anche una forma di comodità.>>

<<Forse vero. Ma come funziona?>>

<<In un certo senso come fare psicoanalisi; con la differenza che nella psicoanalisi ti si chiede di rintracciare nel passato le cause del tuo star male; nella meditazione si chiede invece di vedere attentamente quello che c'è nel presente. Vedere e basta, accettare quello che c'è, senza giudicarlo. Ma quando vedi cominci a cambiare; lentamente ma cambi, un processo lento e di cui quasi non ti accorgi. Del resto ti accorgi anche che tutto è una serie di processi in cambiamento; tu sei una serie di processi in una serie di processi- in cambiamento.>>

<<Ma perchè secondo te si sta male?>>

<<Si sta male perchè diamo troppa importanza a noi stessi, prendendoci come qualcosa di stabile, di sostanziale, non appunto come qualcosa di instabile, insostanziale dentro processi instabili e senza sostanza. Mi vien da ridere quando la gente dice: Questa è la mia personalità, come dire: non posso proprio cambiarla. In realtà questa personalità si formata sotto l'influsso di diecimila condizionamenti, non c'è nulla di veramente nostro. Abbiamo messo così tanto tempo a formare questa immagine, a costruire questo piccolo guscio fortificato contro il mondo che poi ci dispiace assai lasciarla…Difendersi è proprio ciò che crea attrito con il mondo.>>

<<Ma che vedi nella meditazione?>>

<<Intanto cominci a distinguere chiaramente i fenomeni fisici da quelli mentali. Ti accorgi ad es. che spesso è più la sofferenza che costruiamo in una situazione pensando al futuro- quindi fabbricando quello che non c'è ed oscurando quello che realmente c'è- di quella sofferenza che realmente esiste.>>

<<E' proprio il mio problema. Quante volte mi accorgo di allargare le situazioni col pensiero!>>

<<Quindi imparare a vedere: questo è fisico, questo è mentale. Questo è reale, questo è una costruzione della mente, una fantasia. Allora possiamo cominciare a vedere le cose come sono realmente e cominciare ad accettarle. E ad accettarci. Noi siamo così come siamo, in questo momento siamo proprio così, non potevamo essere diversamente.>>

<<Invidio la maniera che hai di prendere la vita.>>

<<Penso che la vita vada presa come fa un fiore: la mattina spunta, la sera è scomparso. Vogliamo disperatamente trovare un senso in tutto ciò. Allora costruiamo diecimila teorie, religioni, filosofie. Ma il fiore non chiede nulla, non costruisce. Sicuramente prova anch'esso sofferenza fisica. Ma non ha la sofferenza mentale. Nella meditazione funziona così. Si vedono i processi e li stacchiamo dalle opinioni. Può essere terribile per il nostro ego pensare che non c'è scopo; o può essere fonte di accettazione, di fluire tranquilli con le cose. Il mondo scorre, la vita scorre, indifferente a te, a me, a tutti. Se siamo molto attaccati alle nostre costruzioni mentali- la personalità è una costruzione__ questa indifferenza della vita (che ci teniamo accuratamente nascosta, coprendola di sensi, costruendo ad esempio la religione che, come dicono giustamente i preti davvero è un nostro bisogno, il bisogno di non vedere), questa impersonalit della vita pu essere veramente spaventosa. Ma se impariamo piano piano a riconoscere le costruzioni mentali come costruzioni, se impariamo a lasciare andare, ad accettare che le cose siano così, si può vivere felicemente. Ti posso sintetizzare lo scopo della meditazione in tre parole: vedersi, accettarsi, accettare.>>

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Il mio amico Yves Kieffer scrive:

"Ho letto con attenzione il tuo ultimo samadhi.

Noi viviamo con una certa agiatezza, ma comunque in campagna: durante la stagione fredda carico la legna da ardere tutti i giorni e facciamo andare 3 stufe a legna (non sempre insieme), coltiviamo l'orto e il frutteto, mangiamo le cose di stagione…

Sai che noi teniamo 2 galline vecchie che moriranno di morte naturale perché nessuno più le vuole uccidere? Quelle precedenti le ammazzavo io (perché nessun altro lo voleva fare), ma da anni ho smesso, non sopportando più di vedere e sentire tanta sofferenza. Da giovane ho anche aiutato un amico macellaio ad ammazzare una mucca, non è stato traumatico per me, ma di certo non lo farei più. Tuttavia qualcuno lo fa di mestiere e noi un po' di carne la mangiamo. Una cosa che mi lascia perplesso è che nessuno fa caso alla morte dei pesci. Per ASFISSIA, io che ho avuto un po' d'asma so che è una cosa tremenda.

Per finire oggi, ti scrivo di una mia riflessione che mi è venuta una settimana fa, leggendo su iL VENERDI (regalatoci da un parente) l'intervista a Yusuf Islam, meglio conosciuto come Cat Stevens (un cantante che mi piaceva molto) e di suo vero nome Steve Dimitri Gheorgiou (oddio, un Greco convertito all'Islam). Alla fine dell'articolo dice che il suo ultimo CD è intitolato A IS FOR ALLAH, una canzone scritta per la sua prima figlia per insegnarli che la prima lettera dell'alfabeto è per Allah. Innanzittutto,  Aè prima di "apple", poiché tutto ci viene dato dal Signore (meno male). Bene, come proprio scrivi tu, questa persona non si rende conto che l'alfabeto è una invenzione arbitraria dei popoli del Mediterraneo, che il dio unico è un'altra invenzione dei popoli mediorientali, che ha fatto seguito all'invenzione di numerosi dei che a sua volta è un'evoluzione di altre escogitazioni del lavorio mentale. E' proprio una caratteristica dei popoli del Libro di credere che la Verità (come se ce ne fosse una sola o che questa Verità abbia tutta l'importanza che noi le diamo nelle nostre culture) è scritta! Ricordo bene quanta fatica ho fatto per iniziare a non credere sistematicamente a qualsiasi cosa sia scritto in un libro (sentito alla TV si direbbe oggi), all'epoca del liceo. Comunque fa comodo a molte persone e ai loro interessi, questo sicuramente è una verità!"

Anche Enrico Chiesa ha scritto una lettera. Qui un brevissimo stralcio:

"Il Buddhismo si occupa degli animali sin dal suo primo insegnamento, quando spiega la sofferenza. Ma non giudica nessuno, neppure chi uccide".

Altre persone hanno manifestato il loro interesse per l’argomento e per una giusta considerazione degli animali come esseri viventi che soffrono esattamente come noi.

 

 

SAMĀDHI

2001/3

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"Emptiness" da Thanissaro Bhikkhu © proprietà letterario riservato 1997 Thanissaro Bhikkhu Per distribuzione libera solo.

Puoi ristampare questo lavoro per distribuzione libera.

VACUITA’

La vacuità o vuotezza è una maniera di percezione, una via di guardare all’esperienza. Aggiunge nulla e prende nulla dai dati crudi degli eventi fisici e mentali. Guardi agli eventi nella mente ed ai sensi senza alcun pensiero se vi sia qualche cosa dietro di essi.

Questa maniera è chiamata vacuità perché è vuota delle presupposizioni che di solito aggiungiamo all’esperienza per trarne un senso: le storie e la visione del mondo che foggiamo per spiegare chi siamo ed il mondo in cui viviamo. Benchè queste storie e punti di vista abbiano i loro usi, il Buddha trovò che alcune delle domande più astratte che esse sollevano--della nostra vera identità e della realtà del mondo fuori--attirano l’attenzione via da un'esperienza diretta di come gli eventi si influenzano l'un l'altro nel presente immediato. Così ostacolano nella via quando cerchiamo di capire e risolvere il problema della sofferenza.

Per esempio, voi state meditando ed un sentimento di rabbia verso vostra madre appare. Immediatamente, la reazione della mente è identificare la rabbia come la"mia" rabbia, o dire che"sono" adirato. Essa poi elabora sulla sensazione, sia elaborando nella storia della vostra relazione con la madre, o sul vostro punto di vista di quando e dove la rabbia verso la propria madre possa essere giustificata. Il problema con tutto questo, dalla prospettiva del Buddha, è che queste storie e punti di vista comportano molta sofferenza. Più siete coinvolti in essi, più venite distratti dal vedere la causa reale della sofferenza: le etichette di "io" e "mio" che hanno messo il processo intero in moto. Come risultato, non potete trovare la via di portare alla luce quella causa e portare la sofferenza a una fine.

Se, comunque, potete adottare la modalità della vacuità—non agendo o non reagendo alla rabbia, ma semplicemente osservandola come una serie di eventi, --potrete vedere che la rabbia è vuota di qualche cosa degna di identificazione o di possesso. Dominando la modalità della vacuità in maniera sempre più efficace, potrete vedere che questa verità è valida non solo per emozioni così aspre come la rabbia, ma anche per gli eventi più sottili del regno dell’ esperienza. Questo è il senso in cui tutte le cose sono vuote. Quando vedete questo, comprendete che le etichette di "io" e "mio" sono improprie, non necessarie, e causano nient'altro che stress e pena. Potete allora lasciarle cadere. Quando le lasciate cadere totalmente, scoprite una maniera di esperienza che si trova più in profondità, uno che è una che è totalmente libera.

Dominare la modalità della vacuità della percezione richiede addestramento in ferma virtù, concentrazione, e discernimento. Senza questo addestramento la mente tende a stare nella maniera che continua a creare storie e visioni del mondo. E dalla prospettiva di quella maniera, l'insegnamento della vacuità suona semplicemente come un’altra storia o un altro punto di vista sul mondo con nuove regole di base. Nei termini della storia della vostra relazione con la madre, sembra dire che non c’è realmente nessuna madre, nessun voi. In termini dei vostri punti di vista del mondo, sembra dire sia che il mondo non esiste realmente, sia che la vacuità è il terreno della grande base indifferenziata dell’ essere da cui noi tutti siamo venuti ed alla quale un giorno o l'altro tutti noi ritorneremo.

Queste interpretazioni non solo mancano il significato di vacuità ma anche trattengono la mente dall’ ottenere la modalità corretta. Se il mondo e la gente nella storia della vostra vita non esistono realmente, allora tutte le azioni e reazioni in quella storia sembrano come una matematica di zeri, e vi potrete chiedere se vi sia qualche senso nel praticare la virtù. Se, d’altra parte, vedete la vacuità come il terreno dell’ essere al quale dobbiamo tutti ritornare, allora che bisogno c’è di addestrare la mente in concentrazione e discernimento, poichè stiamo tutti andando là in ogni modo? E anche se avessimo bisogno di addestramento per ritornare al nostro terreno di essere, cosa ci potrebbe trattenere dal riemergerne e dal soffrire di nuovo, ancora e ancora? Così in tutti questi scenari, l'idea di addestramento della mente sembra futile e spuntata. Per focalizzarsi sulla domanda se vi sia o non vi sia realmente qualcosa dietro l’ esperienza, essi impigliano la mente in problemi che la trattengono dal restare nella modalità del presente.

Ora, storie e punti di vista, servono a uno scopo. Il Buddha li proponeva quando insegnava, ma non usò mai la parola vacuità quando parlava in queste maniere. Egli narrò le storie di vite della gente per mostrare come la sofferenza proviene dalle non-abili percezioni dietro le loro azioni, e come la libertà dalla sofferenza possa provenire dall’ essere più percettivi. Ed egli descrisse i principi di base che sono posti sotto il ciclo di rinascita per mostrare come azioni cattive intenzionali conducano alla sofferenza in quel ciclo, mentre realmente azioni abili (buone) possano portarvi al di là di questo ciclo. In tutti questi casi questi insegnamenti sono stati mirati a ottenere che la gente si focalizzasse sulla qualità delle percezioni ed intenzioni nelle loro menti nel presente--in altre parole, ottenerli nella maniera della vacuità. Una volta là, essi possono usare gl'insegnamenti sulla vacuità per il loro scopo intenzionale: allentare tutti gli attaccamenti a punti di vista, storie, ed assunzioni, lasciando la mente vuota di ogni avidità, rabbia, ed inganno, e così vuota di sofferenza e stress. E quando arrivate lì, questa è la vacuità che conta realmente.

Nota a questo testo:

La vacuità è intesa come la mancanza di sostanza reale in tutte le cose, la mancanza di io e mio. Il che non esclude l’esistenza di una verità relativa, quella della vita di tutti i giorni. Per es. Naagaarjuna distinse chiaramente tra verità assoluta e verità relativa. Poiché tutto dipende da tutto (inter-essere o "coproduzione condizionata") non vi è niente nell’esperienza che possa essere dichiarato come sostanza reale delle cose. A meno che, naturalmente, non ci si basi su qualche sostanza "misteriosa". Ma proprio questo produce i punti di vista più svariati e l’attaccamento ai punti di vista, che porta al conflitto, alle guerre di religione, all’integralismo fanatico. E poiché non vi è liberazione se si è attaccati…

La vacuità è una delle tre porte alla Liberazione. Vi è uno specifico samadhi della Vacuità. Gli altri due sono i samadhi della non direzionalità o assenza di scopo ed il samadhi del "senza segni". La stessa Liberazione va vista come vuota di sostanza. Questo è interessante. Cosa suggerisce per la pratica meditativa?