1. All'estremità occidentale della Camera del Re è presente un sarcofago rettangolare ricavato da un unico masso di granito color caffè, che gli archeologi ritengono fosse destinato ad accogliere il corpo del faraone Cheope. Per l'assoluta precisione della lavorazione esso è un vero capolavoro, nonostante non sia stato rifinito e sia del tutto privo di iscrizioni o decorazioni. Le sue dimensioni esterne, che sono state controllate e ricontrollate, sono due metri e ventisette centimetri di lunghezza per novantasette centimetri di larghezza: vale a dire di due centimetri e mezzo superiori alla larghezza del passaggio dell’anticamera. Il sarcofago dunque deve essere stato messo in loco prima della definitiva costruzione del corridoio. Già nell' Xl secolo d.C., quando gli uomini guidati dal califfo Ma’ mum riuscirono a introdursi nella Camera del Re, il sarcofago era vuoto e accanto aveva il coperchio scorrevole purtroppo spezzato.... Gli studiosi hanno esaminato questo importante reperto con cura minuziosa, l'hanno studiato e misurato con attenzione e hanno fatto delle scoperte sorprendenti. Il suo volume esterno infatti (che corrisponde a 2332 litri) risulta doppio (con un'approssimazione dell'ordine dell' 1 %) rispetto al suo volume interno (pari a 1166 litri). Pare improbabile che ciò sia frutto di una coincidenza e questo fatto, se non è casuale, indica che il sarcofago è stato lavorato con assoluta precisione ed è indiscutibile che, per poter tagliare un materiale compatto e resistente qual è il granito, gli operai devono essere stati forniti di mezzi adeguati. L'archeologo Flinders Petrie suggerì che dovevano avere usato seghe «lunghe due metri o più, munite di punte taglienti» e constatò inoltre che la qualità del risultato faceva pensare all'utilizzo di punte di diamante che non erano certamente disponibili nell'Egitto dei faraoni. Il lavoro di scavo dello spazio interno al sarcofago è stato certamente ancor più complesso del distacco del blocco di roccia dalla sua sede naturale. A questo proposito, sempre Petrie ipotizza che siano state usate seghe circolari che, ruotando, hanno consentito l'estrazione delle cosiddette “carote” di roccia. Più Petrie approfondiva l'argomento dello scavo del sarcofago della Camera del Re e di altri manufatti, più il problema della tecnologia usata dagli Egizi anziché chiarirsi si complicava. Infatti i solchi a spirale che la pietra rivela indicano che la pressione applicata deve essere stata elevatissima (pari a 2000 chilogrammi) e appare davvero strano che più di 4500 anni fa gli Egizi possedessero trapani tanto potenti. Un altro esperto di tecnologia, l'americano Christofer Dunn, esaminando le relazioni di Petrie, che affermava che i solchi del trapano si presentavano pressoché regolari in materiali di differente durezza, ipotizzò l'utilizzo di un trapano a ultrasuoni. Questo strumento fora la pietra provocando la velocissima vibrazione di una punta, ricoperta di diamante, mediante un suono non udibile dalle orecchie umane perché di altezza straordinaria. Del resto permane il mistero anche su quale strumento abbiano usato gli incisori dei geroglifici che decorarono le mirabili coppe di pietra rinvenute a Saqqara e risalenti almeno alla III dinastia. Nelle camere della piramide a gradoni del faraone Zoser sono stati rinvenuti non meno di trentamila recipienti di basalto, quarzo e diorite. La diorite è un materiale durissimo, più duro del ferro, su cui però gli  Egizi riuscivano a tracciare geroglifici con un solco omogeneo di 1,7 millimetri. Come è stato possibile più di quattromila anni fa, senza possedere punte di diamante, lavorare pietre tanto dure e ricavarne vasi o urne di accuratissima fattura? Che strumenti possedevano gli Egizi per riuscire a ottenere tali risultati?  

 

 

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