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A. Capitini - La responsabilità dello scrittore

 

     Battisti Lucio - Emozioni

A. Capitini A. Capitini A. Capitini

Lo scritto che segue risale al 19 maggio 1959. Non risulta che sia stato pubblicato altrove. Con esso Capitini intervenne, facendo delle osservazioni, su una traccia di relazione che Guido Piovene aveva preparato per un convegno fiorentino su "La responsabilità dello scrittore", indetto dalle riviste: Nuovi Argomenti, Il Ponte, Il Contemporaneo, Paragone, Il Pensiero Critico. La tematica proposta al Convegno era costituita da questi quattro punti.

1. E' veramente superata la lotta tra fascismo ed antifascismo? Non assistiamo forse a fenomeni involutivi non ancora sufficientemente individuati e chiariti in cui si possono ravvisare nuovi sintomi e nuove forme di fascismo? Di fronte a tali pericoli vi sono nuove forze intellettuali di resistenza sufficientemente vitali ed adeguate a fronteggiarli?

2. Ammesso che la cultura per poter agire positivamente nell'ambito della vita sociale non può piú essere puramente individualistica ma richiede forme organizzate, quali possono essere tali forme, in quali campi possono spingersi e a quali limiti devono sottostare?

3. Qual'è la parte dell'arte in rapporto alle altre forme di cultura e alle loro organizzazioni?

4. La formula di un'arte nazionale-popolare, nel cui quadro ha operato larga parte della cultura di sinistra nel dopoguerra, è risultata feconda e sufficiente? ".

 

"Convengo su alcuni punti della relazione di Guido Piovene, ma non sono d'accordo su altri, e soprattutto non approvo l'atteggiamento generale, il metodo, con cui la questione è affrontata.

Osservazioni verissime sono quelle:

1. sul fascismo, o qualche cosa di molto simile, come extrema ratio per i gruppi conservatori;

2. sulla tendenza di molti uomini di cultura a tirarsi in disparte;

3. sulla propensione, specialmente fra i giovani, ad occuparsi in astratto di questioni politiche e sociali;

4. sulla prossima situazione difficile dell'intellettuale sincero;

S. sulla mancanza di libertà della stampa di grande diffusione;

6. sulle riserve quanto alla formula dell'arte " popolare e nazionale ";

7. sulla resistenza da fare e sul dialogo riaperto in Francia tra l'intera sinistra laica e antifascista.

 

Quello che non approvo non è tanto il riserbo sulla qualità dell'impegno e il carattere della posizione da prendere, riserbo che potrebbe essere per non voler predeterminare la discussione e l'esposizione delle varie opinioni, con una soluzione già pronta a cui dire sí o no quanto il nessun segno di una fede, di un affetto, di un appassionamento, che in questo caso sarebbe l'unico segno di concretezza, perché porterebbe oggetti e realtà concrete, al posto di analisi e diagnosi che finiscono con se stesse.

E' chiaro, mi sembra, che la migliore definizione che si possa dare di " classico " nel campo della morale o della coscienza, è quella di una concezione che è aperta all'avvenire, cioè al fare qualche cosa in cui si crede, e utilizza il dato storico e gli elementi di una situazione verso un miglioramento da fare. Questa concezione, anzi questo metodo, poggia sulla persuasione che il reale non sia compiuto.

E' evidente che in questo caso l'esame da compiere è su direzioni di fede, per vedere di quanta razionalità si armino, e quanto conto tengano delle situazioni concrete. E' da questo humus caldo e pieno di succhi che sorgono religioni, filosofie, culture, politiche. Quando una cultura va nell'accademico o nell'aulico, sorge e si diffonde una letteratura evangelica. Quando una filosofia si fa semplicemente analizzatrice e neutra e apolitica, gli sforzi della razionalità, per tutto intendere e tutto indirizzare, si arricchiscono di nuovi vigori religiosi. Quando l'individuo si ritira in se stesso, sfiduciato di poter influire sul mondo circostante, ci sono quelli che lavorano per una società e realtà di tutti, come se fossero soli, senza aspettare degli altri, perché certe volte, e sono i periodi decisivi, proprio questo si chiede agli uomini: ognuno di voi faccia piú e meglio che può, come se fosse solo; effettivamente migliaia e milioni saranno e, forse già sono con lui, perché la vita dello spirito nella produzione dei valori è intimamente corale. Manca nella relazione di Piovene il minimo intravede re l'orizzonte di tutti; e se non si fa cosí, si ricade prima o poi nel presentare i meandri della coscienza propria ed altrui all'occhio di Dio, come se ancora si potesse perpetuare un modo di vedere la religione come rapporto del singolo individuo con Dio, e null'altro.

Non sono affatto d'accordo sul ritenere un chiasso inutile, anzi utile all'avversario, gran parte della polemica diretta contro la Chiesa cattolica. E' strano che qui Piovene, che tiene tanto a distinguersi dai politici dell'estrema sinistra, si trovi accanto a loro che d'altra parte si giustificano con il motivo di non dividere le masse. Se si ha una fede e una concezione, come dicevo, classica di essa, non si può che operare conseguentemente, perché fiorisca largamente in Italia una vita religiosa diversa da quella tradizionale (che è responsabile dei tre quarti dei mali della società italiana, e di quelli del quindicennio dopo la Liberazione). Che questa costruzione religiosa debba esser fatta con purezza, con profondità, e non con parole grossolane, lo penso e lo desidero certamente.

Ma ho l'impressione che tale peccato di grossolanità non sia molto diffuso nella parte dei liberi cristiani e dei liberi religiosi di oggi, e sia piuttosto dall'altra parte.

Copertina de L'Eresia

E perché Guido Piovene non tragga fuori anche lui, che pure è un uomo di gusto, la frase dei " predicatori astratti ", mi sia permesso di richiamare due problemi profondamente tormentosi, e di dimensioni grandiose:

1. Come vedere l'incontro dell'Occidente con l'Oriente asiatico e i popoli di Bandung? Forse con un impero contro imperi, con guerre e contro-guerre, al modo dell'Impero romano e con le aquile statunitensi? O non piuttosto con un poderoso sforzo di unificazione, associando a piani giganteschi di collaborazione, un animo assolutamente nonviolento ed aperto, di là dalle religioni tradizionali che non hanno insegnato agli europei a noncollaborare con le guerre, con gli imperialismi, con il capitalismo?

2. Come vedere il problema del punto in cui il prepotere confessionale, influente e insolente, dovrà trovare una reazione, che potrebbe essere terribile, degli ingannati, dei discriminati e licenziati, dei trastullati con leggende? Non dovremmo, anche qui, liberarci dal vecchio e portare nel basso il meglio che abbiamo, aggiungendo cultura, poesia, libertà, nonviolenza, all'inevitabile sollevazione di ciò che oggi è battuto o illuso?

Ecco problemi grossi, ecco il sacrosanto metodo dell’aggiunta da consigliare, impostare e praticare, piuttosto che sfogliare la margherita del " m'impegno " e " non m’impegno ".

Premesso questo, che è il massimo orizzonte attuale, credo che possiamo meglio rispondere alla tematica proposta per il convegno di Firenze.

1. Il fascismo prevalse perché riuscì separare gli intellettuali e il popolo, manovrando il patriottismo scolastico e le inerzie tradizionali e parrocchiali degli italiani, come se i contadini che volevano la terra, promessa sul fronte di combattimento, e gli operai, che volevano i consigli di gestione, offendessero qualche cosa di essenziale. Cosí oggi si utilizza a scopo interno l'antagonismo dei blocchi politico-militari, si diffonde il senso del pericolo di qualche cosa di essenziale, e si alimenta l'immaginazione comune con soddisfazioni pseudo-natalizie. E i clerico-conservatori, se vedranno le brutte nelle elezioni, faranno pasticci e truffe. Bisogna che gli intellettuali sentano la loro saldatura con le moltitudini di ogni Asia, che ogni paese ha.

2. La forma di questa saldatura è il porsi accanto alle moltitudini nelle grandi questioni: lavoro, scuola, pace, liberazione religiosa. Danilo Dolci è un grande esempio di ciò. Durante il fascismo ci accorgemmo della gioia che c'era nei popolani rimasti socialisti e comunisti, malgrado le botte, se vedevano che qualcuno di noi intellettuali era con loro; e cosí si preparava la Resistenza. Oggi bisogna riprendere intensamente questa prassi. Io ho esperienza di due tentativi, il secondo dei quali è in sviluppo: il primo è il C.O.S., Centro di orientamento sociale per l'esame dei problemi amministrativi e sociali, l'altro è il C.O.R., Centro di orientamento religioso, periodicamente aperto ai problemi religiosi. C'è poi il campo della scuola, nel quale tutti, anche gli scrittori ed artisti, dovrebbero schierarsi.

3. L'arte va distinta dall'artista, che come uomo dovrebbe unirsi ai vari modi di risolvere in comune i problemi attuali, dai religiosi agli amministrativi.

4. Credo che sia una limitazione porre la cultura di sinistra come unicamente indirizzata alla formula di arte nazionale-popolare. Questo non è che un aspetto; ma, ce n'è un altro, che secondo me, ha piú importanza, ed è la formazione di un senso di comunità di valori e di coralità, di umanità dilatata al massimo e aperta, per cui trovarsi con popoli diversi è già scontato, e quasi non ci si bada piú, in nome di una liberazione sociale e religiosa, dal basso e risanatrice."

Perugia - Panorama

Aldo Capitini

 

 

 

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