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A. Capitini - Nonviolenza
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Un brevissimo periodo passato all'estero mi ha dato il
modo di fare queste considerazioni. molto meglio che soltanto leggendo
giornali stranieri.
1 - Mi sono confermato in ciò che ho scritto sulla inopportunità della
campagna di allarme del Presidente del consiglio; viene così diffusa, e
semplicizzata, l'impressione che l'Italia sia un paese caotico e immaturo,
sempre bisognoso di un « salvatore », di un pugno di ferro, di un « uomo
della Provvidenza ».
All’estero non c'è la possibiIità di formarsi un'idea obbiettiva della
concreta situazione italiana, e forse c'è anche una certa sfiducia per un
popolo che subì (per l'alleanza delle istituzioni dirigenti) il fascismo, o
a cui fu necessario sì estremo rimedio.
Tanto più sarebbe opportuno che una voce così autorevole diffondesse parole
serene sullo svolgersi della democrazia e dell'autogovemo italiano, di là
dalla fortuna del proprio partito.
2 - Mi sono anche confermato nell'importanza che ha per l'Italia una
situazione di arginamento di ogni influenza crescente di « regime ». |
Dopo la liberazione dal fascismo l'Italia aveva davanti un
lavoro di formazione di costume e di strutture democratiche che dovevano farla
diversa, più moderna, più organica, più popolare, più giusta e più
effettivamente libera, che non l'Italia prefascista.
Bisogna che questo lavoro non sia impedito né dall'alto né dal basso, né dal
governo né dagli stranieri, né dai privilegiati né dai partiti.
L'Italia deve darsi organi di giustizia e di libertà, dalla liberazione dal
feudalismo meridionale al controllo, popolare ed efficace, sulle amministrazioni
comunali di qualsiasi partito.
Il problema dell'ltalia, che la minoranza e la maggioranza s'incontrino, che il
popolo possa articolarsi ed elevarsi in una educazione all'autoamministrazione e
in uno sviluppo di cultura e di responsabilità, non può essere risolto con la
ostinata conservazione di un passato sociale angusto e guasto, e con ambigui
doni dall'alto.
3 – E’ un errore idoleggiare altri paesi che l'Italia, presentare altre civiltà
come esemplari. Non ci sarebbe bisogno di toccare altro suolo, per saper questo;
tanto è facile rendersi conto dei limiti delle civiltà esaltate dall'uno o
dall'altro, ed esserne, con libri alla mano, esattamente informati.
Fuori dell'ltalia non ci sono che elementi: o maggiore ordine amministrativo, o
una pulizia da specchio, o un più vivo rispetto reciproco, o strutture sociali
più moderne ecc. Ma, nell'insieme, e visto -anche che questi elementi sono
facilmente acquistabili, come potremmo minimamente allontanarci dal cuore della
nostra vivacità e della nostra umanità?
L'ltalia è attualmente un microcosmo dove ci sono tutti gli atteggiamenti
essenziali, tutte le correnti che giganteggiano altrove; il venticinquennio che
la spiritualità italiana ha vissuto sotto e contro il fascismo, ha in sé una
complessità (poco conosciuta comunemente), una freschezza di problemi e
originalità di direzioni, che oggi vuol dare i suoi risultati. Non c'è ;paese
dove si sia, insieme, sofferto profondamente e liberamente pensato.
In Germania la gioventù si staccò meno dal nazismo; in Italia da quindici -anni,
c'è stato un distacco crescente della parte migliore e il costituirsi di una
tensione e di premesse vitali.
Altri paesi sono stati o più conformisti o più scettici, o più edonisti o meno
svegli sui propri mali.
4 - Bisogna interpretare la nostra tradizione non secondo i contenuti (la fede
di Dante, la scienza di Galileo, l'ideale estetico di Raffaello ecc.), ma
secondo la forma. secondo il suo modo di fare che può applicarsi alle civiltà
attuali e a contenuti modernissimi diversi dai passati.
In Italia si è cercato di affermare valori puri, più alti di quelli della
semplice amministrazione della vita. Per questo l'Italia può offrire
incarnazioni pure di valori, della carità in San Francesco, della poesia in
Dante, delle arti, della scienza ecc.
Questo secreto non deve essere perduto. Mentre le civiltà che sono all'orizzonte
eccellono nell’amministrazione dei mondo, noi ripeteremo l'antico detto, che non
vogliamo propter vitam, vivendi perdere causas (per vivere, mandare in rovina le
ragioni dello stesso vivere).
Accade nelle altre civiltà che il mezzo si è tanto ingrandito da far perdere il
fine, e l'operosità, l'arricchirsi, la vita amministrativa - politica -
economica - giuridica - sociale, prevale sugli altri valori, ben più essenziali
alla salvezza o alla trasformazione dell'uomo.
Perciò il momento dell'Italia è di utilizzare e superare le diverse esperienze
altrui, di operare sintesi superiori, di aggiungere valori allo stato puro,
proprie al punto di sutura dell’Oriente e dell'Occidente.
E tra questi valori, insisto, quello di una tensione alla pace assoluta, alla
comunità aperta, all'annuncio di nonviolenza.
Aldo Capitini, Italia nonviolenta, Bologna, Libreria Internazionale di
Avanguardia, 1949, pp. 7-9
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