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Contraddizioni nella teologia cattolica
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PACE E NON VIOLENZA IN UN RECENTE DOCUMENTO PAPALE
50 anni fa si colloca in una linea di documenti papali che, in specie a partire
dalla Pacem in Terris e dai documenti conociliari in poi, considera la guerra
non più com un malum necessarium, ma come male radicale, totale.
Prima vi erano sì appelli (il Papa richiama qui l'enciclica del marzo 1937 Mit
brennender Sorge di Pio XI, come anche molti altri testi, di Pio XII e non
solo), ma permaneva pur sempre l'equivoco a proposito della "guerra giusta".
La stessa preoccupazione di fronte al "Bolscevismo ateo" veniva ad inserirsi in
un contesto nel quale la guerra, lungi dall'essere giustificata, rientrava
tuttavia in un meccanismo di "tragica fatalità", quasi di variabile impazzita in
una dinamica che coinvolgeva comunque tutte le potenze (europee e non), di
fronte alla quale staccarsi nettamente da quanto stabilito in "altra" sede, cioè
nella sede politico-militare.
Senza voler, dunque, sottovalutare il fatto che questo documento- messaggio non
è un hapax, non è un primam assoluto, ma risulta da una tradizione ormai
radicata e consolidata (in cui il magistero di Giovanni Paolo Il ha sicuramente
un peso determinante, proprio nel senso della lezione conciliare e della Pacem
in Terris: ma bisognerebbe comunque ricordare le indicazioni provenienti da
Paolo VI, sempre ovviamente nella linea già tracciata), bisogna riconoscere che
il presente documento opera una radicale delegittimazione della guerra e della
violenza, culminante nell'invito "Ama gli altri popoli come il tuo" (p. 18),
come corollario diretto del comandamento "amerai il prossimo tuo come te
stesso"; e riconoscere il rigore analitico nella disanima delle cause che
portano alla guerra.
Non solo vengono individuate le "ideologie ottuse e violente", come il
"nazionalismo esasperato" e I"'intolleranza" (p. 17), ma anche cause e concause
più concrete come il meccanismo di propaganda; se, appunto, è tipico della
"colossale macchina propagandistica" (p. 12) non "lasciar spazio al pluralismo
delle interpretazioni, all'analisi critica della causa, alla ricerca delle vere
responsabilità" (p. 13), ecco come invece il recupero di questa eziologia,
quindi un serio approfondimento storiografico, diventa necessario, si potrebbe
dire moralmente obbligatorio.
E ciò, credo valga rilevarlo, finora è stato fatto scarsamente, comunque in modo
insufficiente, limitandosi quasi sempre a dichiarazioni generali, sia dal punto
di vista della teologia morale sia da quello più strettamente magisteriale.
Vi è maggiore attenzione al dettaglio (ma non sempre) in testi ispirati
espressamente dalla teoria nonviolenta (penso soprattutto a Heider Camara, a
Jean e Hildegard Goss, ma anche a molte dichiarazioni e a testi di Emesto
Balducci); purtuttavia, questo testo magisteriale è comunque un novum, nel
quale, accanto a quanto si è detto, vi è l'affermazione ferma e importante,
proprio rispetto alla teoria della "guerra giusta", per cui
"la forza al servizio della volontà di potenza è uno strumento inadeguato per
costruire la vera giustizia: Essa anzi avvia un processo nefasto dalle
conseguenze imprevedibili per uomini, donne, popoli ch rischiano di smarrirvi
ogni dignità insieme con i loro beni e la loro stessa vita"
sottolineatura non da poco, se pensiamo a tanta retorica militarista e/o
virilista diffusa in ogni settore, anche nei settori ecclesiastici più
"tradizionali", anzi, diciamo meglio, meno avvertiti, fino a non molto tempo fa
(il Concilio, naturalmente, segna un discrimine forte, anche in questo senso).
Il breve testo coglie anche il legame tra guerra e totalitarismo (p. 9), il che,
a dispetto dell'attuale querelle storico-politologica su
totalitarismo/autoritarismo ed eventuali reciproche differenze, rimane un
riconoscimento importante: un humus culturale autoritario (o totalitario,
sospendiamo o mettiamo tra parentesi la differenza), di imposizione e coazione
psicologica ma anche fisica, favorisce la violenza e la guerra; la democrazia,
il dialogo, la tolleranza nel senso aperto e non limitativo - non cioè quello
del puro e semplice "tollerare" le altre idee - si muovono invece nella
direzione opposta: il che non è riconoscimento da poco, per una cultura
cattolica e una Chiesa per decenni costrette a destreggiarsi in mezzo a regimi
"cristianissimi" come la Spagna franchista, il Portogallo salazarista-caetaniano, il Cile pinochetiano ( per dire solo di tempi relativamente recenti,
è chiaro).
Non appare giusto chiedere ad un messaggio un approfondimento storiografico che
può/deve venire da altre sedi: importante è, tuttavia, rilevare l'input dato in
questa direzione, ovvero la capacità, resa necessità cogente dai documenti
conciliari di confrontarsi col mondo nella sua storicità.
TRA PRUDENZA E PROFEZIA
…Si diceva precedentemente dell’insufficienza di vari testi, anche sistematici,
di teologia morale, per quanto riguarda la problematica della guerra e/o della
pace. Così, un testo diffuso come il Peschke recita testualmente:
Eppure un rifiuto incondizionato della forza nella protezione dei propri diritti
non appare meno distruttivo nelle sue conseguenze. Esso non significherebbe
altro che il permesso accordato alla forza di prevalere impunemente sul diritto.
E questo significa che l'umanità sarebbe abbandonata al disordine della
violazione morale attraverso la violenza brutale e alla perdita della libertà
morale e religiosa, perdite queste di maggiore significato che la stessa
distruzione fisica" (pp. 371-372).
Più avanti, l'esemplificazione appare più prudente, volta comunque e dimostrare
che "a volte la guerra è il solo [!] mezzo per difendere in modo efficace il
bene di una nazione contro un'ingiusta aggressione" (p. 373)
Ecco come la extrema ratio contemplata anche nella Gaudium et Spes (9 79) viene
qui invece usata come mezzo sì straordinario, ma sicuramente efficace, al di là
del "grave senso di responsabilità", che è invece del documento conciliare!
Quando il teologo morale parla del fatto che "si può ritenere giustificata anche
una guerra preventiva contro un'aggressione mortale, che incombe in modo
minaccioso e senza ombra di dubbio" (p. 375), è sicuramente chiaro come i
successivi distinguo ("non guerra temuta, ma certa e imminente, o anche
un'aggressione meramente possibile") non facciano altro che aggravare la
situazione peraltro molto intricata, se pensiamo a casi recenti (guerra del
Golfo noi ultima e non sola).
E insomma impossibile, partendo da tali premesse tracciare praticamente un netto
discrimine tra l'ammesso-ammissibile e i non ammesso-non ammissibile. Qual è il
confine tra pericoli reali e pericoli immaginari-costruiti, con scenari come
quelli attuali?
PACE GLOBALE
….Prospettiva totalmente diversa in un altro manuale di teologia morale, scritto
in anni più recenti ma a partire da riflessioni non recentissime. Enrico
Chiavacci spiega come il concetto di pace sia da estendere ben al di là del
convenzionalmente ammesso-.
Concludiamo sottolineando come l'idea evangelica di pace, in armonia con la
coscienza sempre più diffusa dell'umanità, sia l'idea di una pace globale in due
sensi, che vanno precisati e distinti:
- pace globale, in quanto include in sé non solo il dominio e l'oppressione
militare, ma ogni forma di dominio e di oppressione, di autochiusura e di
singoli e di gruppi: la disumanità della guerra e degli armamenti è solo una
componente del tradimento della pace a cui oggi ci è dato assistere;
- pace globale in quanto non investe più, almeno in linea prioritaria, il
rapporto tra due Stati o il benessere di uno o più Stati, ma investe il
benessere e la stessa sopravvivenza dell'umanità concepita come un tutt'uno,
come "famiglia umana": la promozione del benessere di uno Stato o di un blocco a
spese del resto dell'umanità, o delle sorti dell'umanità futura, è da
considerarsi un tradimento della pace (p. 41).
Ecco le interconnessioni con la giustizia (in ogni accezione) che non limitano
più la pace alla non-guerra - un'accezione, questa che, se pure con altre
connotazioni, risuona oggi nel messaggio papale.
Inoltre, Chiavacci storicizza la questione "guerra giusta", mostrando come,
storicamente, argomenti a favore siano appunto condizionati dall'epoca e quindi
oggi obsoleti, e come la riconduzione delle argomentazioni pro-guerra giusta
alla "legittima difesa" sia ingiustificato: tutto ciò - a parte il diverso tipo
di approccio - sarebbe del tutto fuori posto nel messaggio papale che, in quanto
tale, non ha certo da essere un trattato; tuttavia, 50 anni fa è un documento
che presuppone comunque, come si diceva, l'ottica della "guerra giusta".
In Chiavacci troviamo inoltre una trattazione importante della nonviolenza,
caratterizzata come attività, ossia come forza attiva e non meramente
contemplativa, come elemento propulsore per la giustizia, come forza morale e
legata anche alla grande tradizione cristiana, a cominciare dai primi secoli.
Un tendere alla nonviolenza è indicato come necessario, pur ammettendo
"situazioni in cui la coscienza del singolo potrà decidere in modo diverso" (pp.
98-99).
Del resto, il tema nonviolenza (con o senza trattino, pur se già Aldo Capitinì
voleva notoriamente proprio togliere le virgolette ... ) è un work in progressi
specie nell'Europa latina; non è qualcosa di acquisito, ma un fine cui tendere
progressivamente; un certo modello educativo, per non dire un allenamento.
Come mette in evidenza Chiavacci e altrove anche Balducci, essa non nasce
nell'Europa latina cattolica ma nell'America protestante (si pensi a Martin
Luther King e alla tradizione dei Quaccheri), mentre l'esperienza
gandhiana e
post-gandhiana (Vinoba, Lanza del Vasto) rimane comunque molto lontana da
partners europei e occidentali...
Proprio l'appello morale, invece, quale è contenuto nel messaggio 50 anni fa, in
ogni caso, può essere uno degli stimoli (anche se stimolo è, chiaramente, dire
poco) nella direzione di una coscientizzazione a riguardo della "pace globale".
Eugen Galasso, da "Archivio", 1995
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