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Nonviolenza difficile

 

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LA NONVIOLENZA DIFFICILE di MARIO MARTlNI

Mario Martini e Marino Sinibaldi alla presentazione de Le ragioni della nonviolenza di A. Capitini. 28-11-2004

Puntualmente, ogni anno, in occasione dell'evento della Marcia della Pace, sorgono, a partire dall'Umbria ma con risonanza nazionale, una serie di polemiche, prese di posizione alternative e contraddittorie, pro e contro.
Per tentare di venire a capo di questa valutazione controversa cercherò di mettere in connessione ad essa ciò che idealmente ne è a monte, e cioè la nonviolenza.
La marcia infatti che si svolge da Perugia ad Assisi ha la sua origine nel pensatore perugino Aldo Capitini, che la ideò e la mise in atto nel settembre del 1961 come realizzazione della nonviolenza.
La ripetizione dell'evento a distanza di anni e la sua realtà attuale con crescita esponenziale dei partecipanti è arrivata ad una presenza valutata intorno alle duecentomila persone.

La manifestazione (prima di Capitini insolita nella cultura italiana) è riportabile a vari fattori, da una parte storici e attuali, e dall'altra a forte valenza ideale.
Mi sembra che la critica dell'evento attenga a due diverse interpretazioni dei primi e ad una completa negligenza dei secondi.
Infatti la Marcia è appunto "della pace" perché si oppone a concrete situazioni di guerra. sulla base di un ideale etico-politico.
Uno storico, Galli della Loggia, ha osservato che non si tiene conto di tutte le guerre e si guarda solo ad alcune.
Un altro storico, Teodori. vorrebbe che l'attenzione non fosse tutta puntata sull'attuale leadership politica degli Stati Uniti come causa principale, per esempio. della guerra in Iraq (come se essa non lo fosse, e come se quest'ultima non fosse la principale guerra in atto).
Un politico, ma non è il solo, ha parlato di "vergognosa sinistra antiamericana".
Per costoro, in ultima analisi, si tratta di una marcia strumentale.
Queste critiche della manifestazione sono passate nell'ultimo anno dalle pagine dei giornali, dalla cronaca mediatica e televisiva, a livelli organizzativi e istituzionali.
Il sindaco di Assisi. che da anni fa opera, come dire. di non collaborazione con gli organizzatori della Marcia, nel giorno del suo ultimo evento ha organizzato in Comune una commemorazione delle vittime degli attentati dell'11 settembre. Contemporaneamente, a Norcia, si organizzava una contromanifestazione della stessa tendenza, presentata come "omaggio a S. Benedetto", cioè come una contromanifestazione in difesa della civiltà occidentale di cui si vedeva (indubbiamente a ragione) l'emblema in San Benedetto patrono d'Europa.
Quasi che i marciatori, che da parte loro si richiamano al messaggio universale di S. Francesco d'Assisi, commettessero un grave errore a non vedere la gravità dell'attacco antioccidentale.
Ora, a patte l'insulsaggine della contrapposizione, le ragioni della marcia sono state enunciate dagli organizzatori come solidarietà alle vittime della guerra e del terrorismo, come denuncia della guerra stessa e delle forze che l'hanno provocata, e soprattutto come denuncia di quella che è oggi nel mondo la causa principale di essa: la povertà, e la disparità indotta delle condizioni di vita sul pianeta.

I temi messi sul tappeto dalla Tavola della pace sono da una parte una riforma efficace ed un rilancio dell'ONU, e dall'altra un appello all'azione contro la povertà. Evidentemente due obbiettivi centrali e ben individuati.
Infatti la preparazione e poi lo scatenamento della guerra contro l'Iraq si sono dati in violazione del dettato deII'ONU e del diritto internazionale; che ci piaccia o no, non sotto l'egida di un organismo super partes, ma della potenza egemone mondiale. D'altro lato, la fruizione e l'accaparramento delle ricchezze e delle fonti energetiche da parte di un Occidente che vuole mantenere a tutti i costi il proprio tenore di vita è senz'altro la causa della povertà dell'altra parte del pianeta.

Marcia della pace

All'inizio del XXI secolo, 104 milioni di bambini non possono andare a scuola; 860 milioni di adulti (la maggior parte donne) non sanno né leggere né scrivere; la fame è una realtà quotidiana per 852 milioni di persone; un miliardo e 400 milioni di individui non hanno un lavoro dignitoso e altrettanti non hanno accesso all'acqua potabile.
Di che cosa ci vogliamo preoccupare, degli attacchi alla nostra "civiltà", o piuttosto (come riassunto al punto 8 del programma della Marcia) di realizzare una collaborazione globale per lo sviluppo?
Il Custode del Sacro Convento, il Vescovo di Assisi, Mons. Paglia vescovo di Terni, oltre a tutte le organizzazioni cattoliche che partecipavano alla Marcia (per tutte: Pax Christi), facevano eco alla grande parola di Giovanni Paolo II contro la guerra.
Il vecchio Pontefice non si è mai stancato di affermare la propria condanna della guerra e del ricorso allo strumento della forza e della violenza per risolvere le controversie internazionali.
Ma, contrapporsi alla potenza egemone a livello mondiale non è facile.
Perché è la nonviolenza che è difficile, essa che si oppone non solo al potere e alla prepotenza del più forte, ma anche alla violenza del più debole.
Aldo Capitini avanza questa posizione quando afferma che bisogna scendere più nel profondo, rispetto al vecchio pacifismo generico e sedentario, il pacifismo che non prende posizione di fronte all'ingiustizia affermata con la forza, che si mobilita solo, per dirla con la fulminante battuta di Flaiano, in soccorso del vincitore.
Sul fatto che la nonviolenza non sia soltanto affare individuale, come farebbe comodo che fosse, Capitini è molto chiaro: "L'unificazioni delle ragioni della nonviolenza porta, tra l'altro, a considerare violenza e nonviolenza non come un fatto privato e personale, ma internazionale. E perciò puntiamo prima di tutto sul fatto guerra, ci opponiamo alla violenza internazionale... il vecchio pacifismo credeva di arrivare alla pace molto facilmente attraverso la cultura, la scienza, l'interesse al benessere... si è visto poi che queste cose non bastavano e si capisce perché. Non era stato affrontato il lato religioso del rifiuto della violenza; che cioè questa si rifiuta, in nome dell'amore (e non dello star bene), di una realtà liberata dagli attuali limiti (e non in nome della continuazione di una realtà insufficiente), e con una disposizione al sacrificio, ad essere come il seme del Vangelo che muore per far sorgere la nuova pianta".
Il pacifismo della nonviolenza, per non essere "a senso unico" oggi (e non al tempo dei "partigiani della pace"), cosa dovrebbe fare, non schierarsi forse contro il potente di turno, e in ogni caso contro la pace delle armi?
Perché questa è a mio avviso la contraddizione di fondo: volere, sì, la pace, ma una "pax armata".
E si sa poi a cosa servono le armi.

Auschwitz - 1997 Guantanamo

(La conseguenza dell'uso delle armi: non vi sembra che ci sia una strana somiglianza? Sarà un caso o una scienza?)


Mario Martini è docente di Storia della filosofia presso la Facoltà di Scienza dell'educazione e della Formazione della LUMSA - percorso Educatore professionale (sede di didattica decentrata di Gubbio)
 

Mario Martini

martini.fil@alice.it

 


 

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