| |
LA NONVIOLENZA DIFFICILE di MARIO MARTlNI
|
Puntualmente, ogni anno, in occasione dell'evento della
Marcia della Pace, sorgono, a partire dall'Umbria ma con risonanza nazionale,
una serie di polemiche, prese di posizione alternative e contraddittorie,
pro e contro.
Per tentare di venire a capo di questa valutazione controversa cercherò di
mettere in connessione ad essa ciò che idealmente ne è a monte, e cioè la
nonviolenza.
La marcia infatti che si svolge da Perugia ad Assisi ha la sua origine nel
pensatore perugino Aldo Capitini, che la ideò e la mise in atto nel
settembre del 1961 come realizzazione della nonviolenza.
La ripetizione dell'evento a distanza di anni e la sua realtà attuale con
crescita esponenziale dei partecipanti è arrivata ad una presenza valutata
intorno alle duecentomila persone. |
La manifestazione (prima di Capitini insolita nella cultura
italiana) è riportabile a vari fattori, da una parte storici e attuali, e
dall'altra a forte valenza ideale.
Mi sembra che la critica dell'evento attenga a due diverse interpretazioni dei
primi e ad una completa negligenza dei secondi.
Infatti la Marcia è appunto "della pace" perché si oppone a concrete situazioni
di guerra. sulla base di un ideale etico-politico.
Uno storico, Galli della Loggia, ha osservato che non si tiene conto di tutte le
guerre e si guarda solo ad alcune.
Un altro storico, Teodori. vorrebbe che l'attenzione non fosse tutta puntata
sull'attuale leadership politica degli Stati Uniti come causa principale, per
esempio. della guerra in Iraq (come se essa non lo fosse, e come se quest'ultima
non fosse la principale guerra in atto).
Un politico, ma non è il solo, ha parlato di "vergognosa sinistra
antiamericana".
Per costoro, in ultima analisi, si tratta di una marcia strumentale.
Queste critiche della manifestazione sono passate nell'ultimo anno dalle pagine
dei giornali, dalla cronaca mediatica e televisiva, a livelli organizzativi e
istituzionali.
Il sindaco di Assisi. che da anni fa opera, come dire. di non collaborazione con
gli organizzatori della Marcia, nel giorno del suo ultimo evento ha organizzato
in Comune una commemorazione delle vittime degli attentati dell'11 settembre.
Contemporaneamente, a Norcia, si organizzava una contromanifestazione della
stessa tendenza, presentata come "omaggio a S. Benedetto", cioè come una
contromanifestazione in difesa della civiltà occidentale di cui si vedeva
(indubbiamente a ragione) l'emblema in San Benedetto patrono d'Europa.
Quasi che i marciatori, che da parte loro si richiamano al messaggio universale
di S. Francesco d'Assisi, commettessero un grave errore a non vedere la gravità
dell'attacco antioccidentale.
Ora, a patte l'insulsaggine della contrapposizione, le ragioni della marcia sono
state enunciate dagli organizzatori come solidarietà alle vittime della guerra e
del terrorismo, come denuncia della guerra stessa e delle forze che l'hanno
provocata, e soprattutto come denuncia di quella che è oggi nel mondo la causa
principale di essa: la povertà, e la disparità indotta delle condizioni di vita
sul pianeta.
I temi messi sul tappeto dalla Tavola della pace sono da
una parte una riforma efficace ed un rilancio dell'ONU, e dall'altra un
appello all'azione contro la povertà. Evidentemente due obbiettivi centrali
e ben individuati.
Infatti la preparazione e poi lo scatenamento della guerra contro l'Iraq si
sono dati in violazione del dettato deII'ONU e del diritto internazionale; che
ci piaccia o no, non sotto l'egida di un organismo super partes, ma della
potenza egemone mondiale. D'altro lato, la fruizione e l'accaparramento
delle ricchezze e delle fonti energetiche da parte di un Occidente che vuole
mantenere a tutti i costi il proprio tenore di vita è senz'altro la causa
della povertà dell'altra parte del pianeta. |
|
All'inizio del XXI secolo, 104 milioni di bambini non possono
andare a scuola; 860 milioni di adulti (la maggior parte donne) non sanno né
leggere né scrivere; la fame è una realtà quotidiana per 852 milioni di persone;
un miliardo e 400 milioni di individui non hanno un lavoro dignitoso e
altrettanti non hanno accesso all'acqua potabile.
Di che cosa ci vogliamo preoccupare, degli attacchi alla nostra "civiltà", o
piuttosto (come riassunto al punto 8 del programma della Marcia) di realizzare
una collaborazione globale per lo sviluppo?
Il Custode del Sacro Convento, il Vescovo di Assisi, Mons. Paglia vescovo di
Terni, oltre a tutte le organizzazioni cattoliche che partecipavano alla Marcia
(per tutte: Pax Christi), facevano eco alla grande parola di Giovanni Paolo II
contro la guerra.
Il vecchio Pontefice non si è mai stancato di affermare la propria condanna
della guerra e del ricorso allo strumento della forza e della violenza per
risolvere le controversie internazionali.
Ma, contrapporsi alla potenza egemone a livello mondiale non è facile.
Perché è la nonviolenza che è difficile, essa che si oppone non solo al potere e
alla prepotenza del più forte, ma anche alla violenza del più debole.
Aldo Capitini avanza questa posizione quando afferma che bisogna scendere più
nel profondo, rispetto al vecchio pacifismo generico e sedentario, il pacifismo
che non prende posizione di fronte all'ingiustizia affermata con la forza, che
si mobilita solo, per dirla con la fulminante battuta di Flaiano, in soccorso
del vincitore.
Sul fatto che la nonviolenza non sia soltanto affare individuale, come farebbe
comodo che fosse, Capitini è molto chiaro: "L'unificazioni delle ragioni della
nonviolenza porta, tra l'altro, a considerare violenza e nonviolenza non come un
fatto privato e personale, ma internazionale. E perciò puntiamo prima di tutto
sul fatto guerra, ci opponiamo alla violenza internazionale... il vecchio
pacifismo credeva di arrivare alla pace molto facilmente attraverso la cultura,
la scienza, l'interesse al benessere... si è visto poi che queste cose non
bastavano e si capisce perché. Non era stato affrontato il lato religioso del
rifiuto della violenza; che cioè questa si rifiuta, in nome dell'amore (e non
dello star bene), di una realtà liberata dagli attuali limiti (e non in nome
della continuazione di una realtà insufficiente), e con una disposizione al
sacrificio, ad essere come il seme del Vangelo che muore per far sorgere la
nuova pianta".
Il pacifismo della nonviolenza, per non essere "a senso unico" oggi (e non al
tempo dei "partigiani della pace"), cosa dovrebbe fare, non schierarsi forse
contro il potente di turno, e in ogni caso contro la pace delle armi?
Perché questa è a mio avviso la contraddizione di fondo: volere, sì, la pace, ma
una "pax armata".
E si sa poi a cosa servono le armi.
(La conseguenza dell'uso delle armi: non vi sembra che ci sia una strana somiglianza? Sarà un caso
o una scienza?)
Mario Martini è docente di Storia della filosofia presso la Facoltà di Scienza
dell'educazione e della Formazione della LUMSA - percorso Educatore
professionale (sede di didattica decentrata di Gubbio)
Mario Martini
martini.fil@alice.it
|