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A. Capitini - Liberalsocialista e indipendente di sinistra

 

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Partigiani

Negli anni dal 1933 al 1944, in cui costruiva la sua posizione religiosa, Capitini, oltre ad essere un attivissimo antifascista nonviolento che contattava e organizzava antifascisti di tutte le estrazioni sociali e in moltissime città d’Italia, per cui andò due volte in carcere, costruiva anche le ragioni della sua opposizione al fascismo e maturava le sue future scelte politiche.

"Il fascismo aveva unito in un insieme tutto ciò contro cui dovevo lottare per profonda convinzione….1) il nazionalismo…2) l’imperialismo colonialista…3) il centralismo assolutistico e burocratico…4) il totalitarismo con la soppressione di ogni apporto di idee e correnti diverse… 5) il prepotere poliziesco…6) quel gusto dannunziano e quell’esaltazione della violenza, del manganello come argomento, dello spaccare le teste, del pugnale, della bombe a mano…7) quel finto rivoluzionarismo attivista e irrazionale sopra un sostanziale conservatorismo, difesa dei proprietari, di ciò che era vecchio…

8) quell’alleanza con il conservatorismo della chiesa, delle parrocchie, delle gerarchie ecclesiastiche…9) quel corporativismo con una insostenibile parità fra capitale e lavoro…10) quel rilievo malsano di una solo tipo di cultura e di educazione, quella fascista…11) quell’ostentazione di Littoria e altre poche cose fatte, dilapidando immensi capitali, invece di affrontare il rinnovamento del Mezzogiorno e delle Isole…12) l’onnipotenza di un uomo, di cui era facile vedere quotidianamente la grossolanità, la mutevolezza, l’egotismo, l’iniziativa brigantesca, la leggerezza nell’affrontare cose serie, gli errori e la irragionevolezza…"

("LA MIA OPPOSIZIONE AL FASCISMO, sul "Ponte" del 1 gennaio 1960)

I principi gandhiani per i quali "religione e politica diventano una cosa sola, l'azione è congiunta al pensiero, la riforma politica e sociale procede insieme con la riforma religiosa", la scelta della nonviolenza annulla ogni distinzione tra i mezzi e il fine, diventano le basi del pensiero politico di Capitini.

La scelta religiosa nonviolenta significava in Capitini la massima apertura verso i sofferenti e gli esclusi, che egli sentiva particolarmente vicini nel rifiuto della realtà e della società, fonti del loro male.

Da questa apertura religiosa derivò la sua grande sensibilità ai problemi della giustizia sociale e la sua adesione a una soluzione socialista delle ineguaglianze. Anche il carattere internazionale del movimento dei lavoratori era da Capitini sentito in armonia con la realtà di tutti, liberata e senza confini.

La scelta religiosa nonviolenta escludeva però ogni uccisione, ogni oppressione, ogni sopraffazione: rifiutava tutto del fascismo, ma escludeva nel suo orizzonte di società socialista, già dagli anni trenta, anche la soluzione statalista, violenta e illiberale del regime sovietico.

Un dissenso non comune in quegli anni: mai però un atteggiamento oscurantista e manicheo verso lo stato uscito dalla rivoluzione d’ottobre, del quale, oltre all’impegno internazionalista, apprezzava le conquiste sociali e la lotta al fascismo nella guerra di Spagna prima, in quella mondiale poi.

Negli anni in cui tanti popoli, tanti uomini e donne seguivano nel mondo l’idea socialista e comunista, Capitini ne condivideva le motivazioni e riconosceva l’onestà e il valore dell’impegno fino al sacrificio di milioni di persone, in grande maggioranza umili e poveri, che lottavano per una società universale basata sulla giustizia e sulla uguaglianza di partenza garantita a tutti, ma avrebbe ripetuto inascoltato l’inutilità di costruire con la violenza e senza libertà regimi che volevano e dovevano essere nuovi rispetto al passato.

"In nome dell'uomo come "cittadino" e dell'uomo come "lavoratore", sono state fatte due rivoluzioni;.....Noi oggi dobbiamo costruire una terza rivoluzione, questa volta aperta o nonviolenta, che possiamo chiamare anche religiosa....

...quel vedere l'uomo come "cittadino", come "lavoratore", era un modo insufficiente, che astraeva un aspetto per estenderlo a tutto l'uomo...Da queste astrazioni...non potevano venir fuori che totalitarismi falsi e oppressivi, a cui la realtà di tutti doveva, prima o poi, contrapporre sé stessa."

(OMNICRAZIA, nel Il Potere di tutti, pagg.117-119)

 

L’opposizione di Capitini al fascismo era totale perché comprendeva sia quella dei democratici in favore della libertà sia quella dei socialcomunisti in favore della giustizia sociale.

Il superamento proficuo del fascismo sarebbe dovuto avvenire, nel pensiero di Capitini, con l’incontro delle idee guida dei due schieramenti, la libertà, la democrazia, il socialismo. I due blocchi, l’Oriente e l’Occidente, si sarebbero dovuti arricchire l’uno delle qualità e dell’esperienze dell’altro, per aprire all’umanità più civili prospettive. Sappiamo che non è andata così, ma non sappiamo se sia stato meglio così.

Su queste basi fondò nel 1937, insieme al filosofo Guido Calogero, il movimento liberalsocialista, che si diffuse clandestino in molte città italiane e dal quale si distaccò quando, dopo il 25 luglio 1943, fu trasformato in Partito d'Azione:

"...siamo socialisti ma non possiamo ammettere il totalitarismo burocratico statalista; siamo liberali ma non possiamo ammettere il dominio del capitalismo che è nel liberalismo."

(ANTIFASCISMO TRA I GIOVANI, pag.97)

"Questo non era, e non è affatto, moderatismo e quasi neutralizzazione reciproca dei due termini, libertà e socialismo; ma due rivoluzioni invece di una, massimo socialismo e massimo liberalismo. E perciò non la riluttanza ai due termini, ma anzi l'orgoglio di dirsi socialisti e liberali, con tutta la suggestione morale che questi due termini portano.

(NUOVA SOCIALITA' E RIFORMA RELIGIOSA pag.92)

"Lo scritto "Orientamento per una nuova socialità" è del 1943. Lo preparai in occasione di un convegno, in agosto, a Firenze con i miei amici antifascisti. Volevo chiarire questi termini: o continuare il movimento imprimendogli quei caratteri di novità che sostenevo come autentici di un liberalsocialismo; o accettare la trasformazione del movimento in partito, come era sostenuta principalmente da Ugo La Malfa e come già si attuava in un periodico intitolato "Italia libera", di tipo repubblicano democratico.

Spiegai ai miei amici (Guido Calogero, Alberto Apponi, Franco Mercurelli, Tristano Codignola, Carlo Ludovico Ragghianti, Enzo Enriques Agnoletti, ed altri) il mio pensiero e detti loro una copia di questo scritto "Orientamento per una nuova socialità".

Ma essi non accettarono la mia critica al sorgente partito d'azione, né la mia impostazione di un movimento extrapartitico di "centri".

Così il giorno dopo essi parteciparono a un convegno del partito d'azione, e io no; continuando da allora a chiamarmi liberalsocialista o indipendente di sinistra.

(NUOVA SOCIALITA’ E RIFORMA RELIGIOSA, pag.72)

Non s’iscrisse mai a nessun partito, continuò a definirsi "liberalsocialista", "indipendente di sinistra" e "libero religioso".

Nella critica motivata dell’agosto 1943 all’idea del Partito d’azione, Capitini lanciava la proposta di lavorare come gruppo alla creazione e al funzionamento di "centri", cioè libere associazioni a livello territoriale, aperte al contributo di tutti, con il compito di informare sui problemi della vita pubblica, discutere le possibili soluzioni, offrirle alle decisioni dei politici e amministratori, controllare la loro attuazione.

Era una delle prime volte che il concetto e il termine di "centro" veniva portato da Capitini dal suo originario significato religioso, di persona che si apre agli altri con le scelte morali, al significato politico in cui l’apertura investe anche i rapporti della convivenza civile con le scelte in campo economico e sociale.

 

Cominciava a prendere forma e sostanza in quell’inizio degli anni quaranta quella che egli chiamò la "idea politico-sociale" della nonviolenza, e cioè l’omnicrazia, il potere di tutti, per la costruzione del quale si è mossa da quel tempo e sempre più consapevolmente la vita pubblica di Capitini.

Un esempio su cui lavorare erano i Comitati di Liberazione Nazionale, che, oltre a guidare la resitenza antifascista, costruivano sul territorio le prime forme del potere democratico.

"In un paese antico come il nostro, dove non si è avuta una rivoluzione che sommovesse il popolo dal basso; dove di solito si è disposto e si dispone di strutture, di mezzi, di forze psicologiche ingenti, costituite e mantenute mediante una diffusione dall'alto; dove, sopratutto, ci si è sacrificati per creare un mondo ideale di pensiero, di arte, senza propagare queste cose a tutti, il Comitato di Liberazione Nazionale rappresentava una prima manifestazione di compresenza di forze etico-politiche, con una volontà di amministrazione e di sviluppo democratico, che voleva salire fino alla forma dello Stato ed era già, finalmente, l'antitesi della monarchia."

(NUOVA SOCIALITA' E RIFORMA RELIGIOSA, pag.237

Malgrado che fino al 1947 i partiti democratici governassero insieme per ricostruire sia l’economia che l’amministrazione, i C.L.N. vennero presto sciolti; con la ritrovata libertà i partiti rafforzarono i legami con le loro basi sociali, si diffusero nel territorio e cominciarono la contrapposizione tra loro per il potere.

 

Capitini, convinto invece che bisognasse dare subito una base più larga alla partecipazione dei cittadini al potere, nel luglio del 1944, appena un mese dopo la liberazione, per fare un’aggiunta, come lui diceva, alla rinata vita della democrazia, inventò a Perugia i C.O.S. (Centri di orientamento sociale), libere e periodiche assemblee, aperte a tutti, per l'informazione e la discussione su problemi locali e generali.

Prendeva corpo in una sola città l’idea che aveva proposto invano di attuare con i liberalsocialisti in tutta l’Italia.

"Si voleva che la libertà fosse non soltanto il fatto negativo di non aver più davanti e contro dei duri tiranni, ma un fatto positivo, che la libertà svolgesse sé stessa, tirando fuori idee e trasformazioni pratiche della realtà sociale."

(I C.O.S. PER LA COMUNITA' APERTA, pag.3)

Perugia - Paesaggio

" Si costituisce a Perugia un Centro di Orientamento Sociale (C.O.S.) La direzione non intende insegnare, ma lavorare insieme con gli altri. Essa ritiene che l'orientamento sociale non è principalmente risultato di cultura, ma di esigenze che vivono nell'animo, e la discussione con gli altri, la cultura, l'azione, aiutano queste esigenze a diventare più chiare e concrete.

Il Centro compie perciò l'opera di ascoltare queste esigenze e di farle sorgere. Il Centro promuove lo studio di problemi che la trasformazione sociale presenta nei diversi aspetti non solo economico, ma politico, giuridico, scientifico, morale, religioso, culturale.

E' a disposizione di tutti e specialmente dei giovani, ingannati dal fascismo nella loro formazione e informazione politica. Promuove conferenze, discussioni, corsi di studio, pubblicazioni. Apre una biblioteca di libri e periodici. Aiuta giovani volenterosi e di condizioni disagiate ad iniziare e migliorare i loro studi. Aperto a tutti, è sostenuto dalle iscrizioni e dalle offerte volontarie di chi si interessa in modo speciale alla trasformazione sociale.

Chi s'iscrive, s'impegna non solo a partecipare intellettualmente alla vita del Centro, ma a promuoverne la conoscenza e lo sviluppo presso gli altri, ad aiutare la fondazione di Centri nelle altre città e nei paesi di campagna, ad offrire - secondo le proprie possibilità - attività, libri e denari."

(NUOVA SOCIALITA' E RIFORMA RELIGIOSA, pag.242)

I C.O.S., fedeli ai principi di ascoltare e parlare e dell'apertura a tutti, crearono nella vita politica delle città in cui furono attivi uno spazio schiettamente democratico ed un potente concreto mezzo educativo.

In questa direzione i Centri di Orientamento Sociale servono, secondo Capitini, all'intelletto ma anche all'animo, all'informazione della mente e alla formazione dell'intimo.

"Centro" appunto perchè è aperto e non è un circolo chiuso, un partito; "di orientamento" perchè c'è bisogno per la mente e per l'animo soprattutto di orientarsi; "sociale" perchè tale orientamento è cercato e collocato dentro tutta la società e non su una montagna o in un cerchio limitato, sia esso famiglia, razza, nazione.

" Con il proposito e l'animo di capovolgere, io chiesi (per il 17 luglio 1944), pochi giorni dopo la liberazione di Perugia, l'ampia sala della Camera del Lavoro per le riunioni del Centro di Orientamento Sociale (C.O.S.) dedicate all'esame dei problemi amministrativi, sociali, politici, culturali.

Gli aspetti del capovolgimento erano questi:

Ascoltare e parlare: non l'una cosa o l'altra, come nel fascismo; nel C.O.S. tutti possono prendere la parola, inserendola nella discussione e ricerca collettiva, come un pensare insieme, razionalizzando le esigenze al loro sorgere.

Presenza delle autorità: i capi degli enti e degli uffici pubblici vengono al C.O.S. a fare le relazioni sui loro provvedimenti, ad ascoltare osservazioni e critiche di chiunque voglia del pubblico.

Contributo degli intellettuali: l'esame dei problemi si avvantaggia delle esposizioni fatte da specialisti, i quali in cambio imparano concretezza, semplicità di linguaggio, autenticità di esperienze.

Libertà di ingresso: al C.O.S. nessuno sta all'ingresso a chiedere tessera, prezzo; tutti possono entrare al C.O.S. senza esclusione di partiti, nazionalità, cultura, sesso, razza, condizione.

Nonviolenza: il C.O.S. è uno spazio nonviolento e ragionante dove il contrasto viene preso in esame, dove mai è avvenuta rissa, dove pure hanno parlato tutti.

Autoeducazione: al C.O.S. di Perugia non sono mai entrate le guardie, l'ordine si è mantenuto da sé, da sé il C.O.S. ha imparato a disciplinare la discussione (con il semplice richiamo del campanello del presidente), eppure nei primi tempi mareggiava di una folla che tutta voleva parlare.

Controllo democratico: il C.O.S. sollecita continuamente la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, denuncia abusi, nomina commissioni di inchiesta e informa l'opinione pubblica.

Deliberazioni: sebbene il C.O.S. non abbia potere deliberativo, quanti provvedimenti ho visto a Perugia che sono stati presi dopo essere stati proposti ed esaminati al C.O.S.

Obiettività: la discussione al C.O.S. sugli avvenimenti della settimana raggiunge l'obbiettività anche per la presenza e l'intervento di persone di correnti e opinioni diverse.

Iniziative collettive: il C.O.S. può anche prendere iniziative cooperative, come acquisto di legna, biblioteche circolanti, doposcuola, ecc."

(ITALIA NONVIOLENTA, pag.88)

I C.O.S. dopo la buona accoglienza di Perugia si diffusero per merito dei tanti amici di Capitini e dei simpatizzanti dei partiti di sinistra anche a Ferrara, Firenze, Arezzo, Ancona, Bologna; in provincia di Perugia; in provincia di Teramo; infine a Prato, Foiano, Sansavino, San Giovanni Valdarno, Cortona, Jesi, Casteferretti, Nervi, Napoli.

I C.O.S. operarono fino al 1948 finché si esaurirono sull’incomprensione di fondo dei partiti di sinistra, fedeli ai vecchi schemi per la conquista del potere, e sulla stanchezza degli amministratori, recalcitranti davanti al controllo stretto degli amministrati.

Capitini prende atto della sconfitta, ma rafforza le sue convinzioni.

"Quanti sono i democratici che hanno fatto vivere un COS, che hanno capito che questa era l'unica rivoluzione possibile in Italia, l'unica proveniente dal basso e dagli animi, dalla periferia delle ventiduemila parrocchie italiane?

Perugia - Palazzo prefettura

Buttar via la violenza, la vuotezza diseducatrice dei comizi (da chiunque fatti)...; mettersi giù ad un lavoro di solidarietà e di formazione aperto a tutti, questo era ed è da fare..."

(ITALIA NONVIOLENTA, in Scritti sulla nonviolenza, pagg.81-82)

Dal 1944 al 1946 Capitini aveva diretto l’Università per gli Stranieri di Perugia, chiamando a far lezioni i migliori intellettuali italiani e perugini, tra cui Attilio Momigliano, Ernesto Bonaiuti, Carlo Ludovico Ragghianti, Walter Binni, Francesco Siciliani.

Nel 1946 tornò all’Università di Pisa come incaricato di Filosofia morale; malgrado la notorietà della sua figura e la grande mole delle sue pubblicazioni, soltanto nel 1956, undici anni dopo la fine della guerra e la caduta del fascismo, si ruppe il muro ostile innalzato dai cattolici e Capitini ottenne una cattedra universitaria di Pedagogia a Cagliari; nel 1965 la stessa cattedra gli fu affidata a Perugia nella Facoltà di Magistero.

Capitini aveva aderito con entusiasmo al Fronte Popolare creato dalle sinistre per le elezioni del 18 aprile 1948 e nel documento di adesione aveva proposto con forza l’idea che il Fronte si impegnasse a fornire gli strumenti necessari per la partecipazione di tutti al controllo dal basso, che si avviasse la costruzione di una società alternativa, giusta e egualitaria, affiancando un Centro di Orientamento Sociale a ogni parrocchia.

Anche qui, dopo la sconfitta dovette lamentare che il salto qualitativo da lui proposto non fosse stato accettato e che il Fronte Popolare si fosse ben presto ridotto a un’alleanza elettorale, condizionata pesantemente dai legami con i paesi dell’est europeo.

In un articolo apparso il 30 giugno 1948 sul "Mattino del Popolo" scrive:

"La riunione del Planetario a Roma del 28 dicembre 1947 venne dopo una serie di convegni nazionali (per i consigli di gestione, per i comitati della terra, per il Mezzogiorno, delle amministrazioni comunali di sinistra) e costituì un Fronte popolare democratico per la difesa e il promovimento di quegli organi di controllo e di sviluppo democratico.

Nel giro di un mese il Fronte diventò esclusivamente elettorale."

Con la votazione del 18 aprile 1948, Capitini vede consolidarsi l’egemonia della Democrazia Cristiana sulla quale aveva scritto:

" La prevalenza di un partito, che aveva dato alla lotta antifascista un contributo troppo modesto rispetto al potere che oggi tiene, è proprio il segno e l’attività della restaurazione; che ha dissolto i C.L.N.(Comitati di liberazione nazionale), ha salvato del fascismo tutto ciò, uomini e idee, che fosse conservazione, ha ristabilito in pieno (associandosi qui ad altre forze retrive) la vecchia burocrazia.

Il postfascismo doveva essere non una rivoluzione nelle piazze, ma un soffio educativo sui giovani e nelle moltitudini, una pianificazione a vantaggio di tutti, la trasparenza democratica di tutte le amministrazioni pubbliche, il passaggio dei beni fascisti alla ricostituzione fisica e alla formazione morale e tecnica dei fanciulli, che saranno il popolo italiano di domani.

Con il pretesto della contrapposizione del Cremlino di Roma al Cremlino di Mosca, la gente comune, la buona gente comune italiana dei rioni di città e delle campagne (che se è diseducata, deve accusarne principalmente la classe dirigente nei secoli) vede riassicurarsi le consuetudini del privilegio."

La liberazione

(su "Italia socialista", 3 ottobre 1947)

 

 

 

 

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