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A. Capitini - CORO
 

     Pink Floyd - Eclipse


1

Ci siamo levati nella notte, e il buio era già aperto;
abbiamo guardato oltre le valli, le linee deste dei monti,
e la devozione dell'aria non mossa ancora dagli uccelli.
Verso l'ultima veglia non si è udito il canto del gallo.
Oh il rapido atto dei primi raggi. Scendono le acque liete di servire.
2
Per tutto ieri abbiamo volto il corpo ad una tensione aperta,
pazienti alla mole del lavoro, piegandoci mansueti ad ascoltare.
Dall'oscuro esistere le cose si preparavano ad una simmetria festosa.
Ed alle prime stelle, purissime nel cielo distante,
abbiamo acceso un candelabro nella casa, di fiammelle non timide.
3
Guardate le siepi questa mattina: quanta gentilezza circonda il loro intrico!
Oh mostrarsi dei sentieri tra i campi, e larghi declivi fina ai rustici pozzi.
Ed ecco dalla curva della strada, procedono in gruppo buoi e vitelli,
e allo scuotersi dei bianchi corpi, rosse strisce dal capo oscillano.
Da cipressi da lauri e mirti, abbiamo posto fronde su tutte le soglie.
4
I suoni di campane dilagano, piú alto delle gradinate delle città,
e nel silenzio d'oro dei vicoli puliti, dove abitarono i nonni.
Dopo giorni di abitudini e di non accorgersi, rispondiamo a una chiamata per noi.
Da villaggi invisibili il vento porta onde di musiche e di trombe,
e da prati di pace, lungo ruscelli costeggiati da pioppi, i cori dei popolani.
5
0 festa, svela il tuo essere altro che salva, novità di pace.
Perduti nel sonno e tra i sogni, una tenerezza alludeva al tuo secreto.
Tu puoi soddisfare la parola inesprimibile da individuo a individuo,
tu che sei di là dall'utile; o invisibile nel tuo culmine,
compensa ogni perdita, e la continua pazienza della vita.
6
Ecco sarebbe un giuoco morire qui sotto i tuoi occhi, spezzarsi,
vestiti dalla tua luce mite, spegnendo il gemito nel tuo silenzio.
Il piacere che è il dio degli altri giorni, oh come goffo appare ora,
nella sua sordità, nel nascondersi sempre, nel dir mentite parole.
Permetti che conduciamo ai tuoi piedi, le cose che abbiamo piú care.
7
Di là dalla triste ingiuria e dal meditar la vendetta,
di là dal travaglio degli errori e dei pentimenti impotenti sui fatti,
di là dalle sere senza colloquio, dalla notte carica di sospetti,
e dal giorno in cui i felici si specchiano nella loro angusta felicità.
Non può essere che esista soltanto, darsi colpi l'uno con l'altro.
8
Tu cominci col silenzio creandoti un'altra luce; uniti al tuo ritmo,
disciolti dal nostro groviglio, e accordàti alla tua assorta indolenza,
guidàti da te varcheremo oltre, liberati ed aperti ad altro.
Nell'ombra che scende dentro tanta luce, culmina il tuo mistero:
tu. convocatrice serena, apri l'unità a purificate presenze.
9
Scendiamo nella vita col vestito della festa, indossato al cospetto dei morti
è con noi il silenzio dei cimiteri, l'ultimo verso delle epigrafi.
Si è aperta giovanile, la mossa della spirito che non ha età.
In un intimo orizzonte, da questa solennità scendiamo.
Vediamo i genitori nostri, uniti all'intimo e piú che genitori.
10
Ecco, qui le immagini dei morti, quello sguardo colmo di anima,
quell'aprire parole da una fiducia, e star vestiti degli umili panni dei mondo.
I fanciulli fermatisi ignari se fosse un giuoco. le giovani donne
con le chiome inutilmente atteggiate, gli anziani che accettavano la morte,
poggiata nell'agonia la canuta testa, dignitosi come al duro lavoro.
11
Come può essere che là, in mezzo a cui operammo sicuri,
e la durezza delle cose, fedeli a restare al posto assegnato,
la calda voce delle persone, quel sentimento di vita,
quella presa su ciò che era in corso, tendendo la mente,
sia ora unito a noi solo daìla trepidante memoria?
12
C'erano persone liete, bambini accoccolati in gruppi vivaci,
canto che si spandeva da stanze toccate dal sole,
c'era il serio conversare di uomini, il formare progetti
e forze per attuarli, in un mondo di salde strutture,
e tutto lo ha abbandonato come nulla fosse, la vita?
13
Ecco la pianta pareva unire, dalla calda terra uno sforzo,
a formare la sua figura, con belle linee nell'aria,
e veniva anche il fiore, brillante sulla sua cima aperto;
dopo tempo tornando lí, poniamo lo sguardo a salutare,
e ormai un disseccato sterpo obliquo, sta divenuto cosa meschina.
14
Duole mirare qui in atto, che le cose consumate nel tempo,
se ne vadano esterne là. dove vanno gli eventi passati,
sfuggendo anche al ricordo, e non rispondano piú.
Cade una polvere sopra gli anniversari, lo slancio e il volto di gioia trapassano,
gli occhi si disfanno dalla bruna luce profonda.
15
Alziamo l'accusa anche alla luce, che accetta questo trapasso,
e rimira solo ciò che permane, e non accompagna chi è vinto.
Lascia ciò che è un sentire e un pensare allontanarsi cosí,
qualche cosa d'imperfetto, che non si può risolvere agendo,
e sta insensibile a un animo triste, rassegnato in silenzio.
16
Oh non è questo il silenzio che vogliamo e invochiamo
dai giorni imperfetti, quello che al culmine dell'agire,
e sul monte di temi musicali impetuosi, sosta sublime un istante,
vedendo tutte le cose aperte a mutarsi,
non volte che a questo, gli occhi appuntiti da festosa prontezza.
17
O festa, ci siamo posti presso il volto affilato del morente,
vòlto in sú il perduto sguardo, vita tutta impallidita:
amare, amare dalla radice, essere con l'atto purissimo di lui,
forza silenziosa, mentre il sole irraggia là fuori inconsapevole.
Tutti, tutti uniti e sempre, oltre lo sguardo ad ogni forma che passa.
18
Lealtà, bella come una fronte aperta, come uno sguardo che si china
solo per pudore, e si risolleva per chiarezza e per ascoltare.
Avremo la gioia della pace con ogni essere incontrato che soffra,
il nostro orgoglio si è scoperto nella festa stonato, e pronti serviamo
nell'amore che dà e non chiede, umiltà come i morti consumati.
19
E ci è cara la voce umana, la verità del suo appassionamento,
ricordando quando udivamo il tono di persone giuste e miti,
che parevano andate lontano, come in una sera che non risponde.
Associamoci al coro,. lasciamo di volere una felicità solo per noi,
ogni lamento è passato a un sacro silenzio di attesa.
20
Non vogliamo tornare indietro, la voce dei profeti ci incuora;
finita è la ragione dei templi dove abbiamo invocato, usciamo:
ecco una nuova luce, che unisce l'intimo e tutti purificati,
sforzo mutato in festa, e ogni tu perfetta verità.
Splendono le città sui colli, sovrane sugli effluvi dalle valli.
21
Tutto il passato ci sembra piú breve di una settimana, la fatica
per trovare il dovere, l'intimo grido per riprendere la costanza.
Abbiamo finito di sussultare risovvenendoci delle nostre colpe,
e di camminare bassi per la vergogna, tra la ferma
testimonianza delle cose, piangendo all'irreparabile.
22
Questa è l'anima che dovevamo perdere per salvarla, la cameretta
dove ci siamo inginocchiati, finendo e riprendendo il giorno,
il banco del nostro lavoro, il pensiero che si credeva separato.
Non ci ha ridotto di pietra, la nostra freddezza verso gli altri viventi.
Tutti come è più bello di tutto, inizio come è più bello di ricordo!
23
Dove pareva il nulla abbiamo visto volti, e nella ricomparsa di tutti
abbiamo cominciato un canto, per tenerli uniti accanto a noi:
piú il canto saliva bello, e certamente tutti cantavano in esso.
Non poteva essere che il vivente finisse triste, e la musica
stesse appartata, come parlando a qualche cosa di piú alto.
24
0 festa che sei gentilmente impaziente, come è l'affetto se non può donare;
tieni ognuno lontano dall’angoscia alla paura del nulla,
dal notturno stringersi a voluttà, che stanno sgualcite all'alba,
lontano dal fremente gonfiarsi dei succhi, dalle viste di piacere
che nel giorno attraggono, e la sera è ugualmente triste.
25
Oh chi sta per distaccarsi forse dalla purezza della festa,
e non resiste all'entrata nella voluttà, ecco questa sera da solo
sentirà dalla luna pietà, perché non è stato forte;
e per non aver saputo attendere l'impossibile, guarderà quella parte
piccola del tempo, che porta con sé il suo aver ceduto.
26
Per millenni è durata la saggezza, di ripetere furiosamente amore,
quanto piú infuriava la morte, per continuare la nascita e la vita;
la primavera che si colloca, tra le altre stagioni con voli d'uccelli,
e venti odorosi in luci crescenti, ed occhi lieti d'abbandono,
anch'essa stava nel ritmo di fioridezza, e di lento sparire.
27
Da più alto guardiamo la luce, il silenzio, la vita, l'amore, la morte.
O festa, che stai qui a purificare, e per la gioia di aggiungerti
sei pronta ad irraggiare, aprendo ogni punto anonimo,
come te siamo mansueti, fatti della tua sostanza invisibile,
anche un po' della tua lieve stanchezza, perché tu sei dall'infinito.
28
Ecco accompagniamoci dallo spazio e dal tempo, da forme finora immutate,
e voi alberi dalla vostra immobilità, voi animali cui batte il cuore,
non restate chiusi nei nidi, non seguite le vecchie abitudini;
meglio prender su i figli già pronti, e che non guardino indietro;
questo presente può aprirsi, a realtà che non genera per la morte.
29
Con alti temi musicali, e un vigoroso ringraziamento,
procediamo nelle mansuete campagne, mirando alla grazia
dei colli, ai soffi di aurea pace trascorrenti sui campi.
Anche a te, o monte che ti alzi fraterno, e sull'austera tua costa
dove gli olivi si diradano, posiamo lo sguardo e l'animo nel canto.
30
Qui noi siamo tutti, con reverenza e gioia pensosa;
come piú bella è la parola qui, divenuta compresenza di tutti,
donando le cose del mondo, a chi ha somiglianza con i morti,
agli stroncati, ai disfatti, ai rimasti con voce afona,
perché tutto sia di tutti, cosí come fa la festa.
31
C'è stato qualche angolo insensibile, qualche atto che gustò di chiudersi?
Abbiamo perdonato e dimenticato, l'ultimo che giunge festeggiamo come atteso.
La nostra tenerezza è udendo le parole dell'accordo,
godiamo la pace, anche con ciò che pareva impersonale.
Un'interiore armonia trabocca, avvicinandoci a tutto.
32
O acqua, che rispondi alla sete, e balzi via sorridente, accetta
la carezza che ti facciamo, con mano calda del nostro cuore;
tu, o aria, che reggi uguale i vari silenzi ed i suoni,
e tu, fuoco, che troppo limitato, per impazienza ti spegni,
voi molecole e punti di sostanza energia, dietro le solide forme.
33
Non manchino secchi colmi di bianca farina versati
alla mangiatoia delle vacche, guardanti nelle stalle semioscure;
chi può rallegrarsi al vedere una bestia lunga in terra e morta,
con i segni di darsi una compostezza? Faremo nidi invernali,
pingui di paglie agli uccelli, non piú riscaldati dal volo.
34
Su moviamo con i fanciulli, con la stessa prontezza al mutamento,
al distacco da leggi e abitudini che non hanno scavato solchi.
con la festosità del riso e di grida, se l’acqua sprizza lieta nel mezzo,
e i giuochi muovono tutte le cose dintorno ad unirsi
con loro, invidiose e vogliose come un giovane cane.
35
Perché andare lontano, se qui è il sommo che si apre?
Bisognava salutare con letizia il mattino pur dopo l'insonnia,
sperare sempre, consumare dentro l'offesa ricevuta,
fino a poter sorridere fra sé, e incontrare la figura dell'offensore
umana con i suoi abiti a bozze, e il colletto sgualcito.
36
Tenuta viva la rinuncia a vincere opulenti vitali offerte,
entrava in noi sereni una tacita allegria per il di piú,
che si staccava dal chiuso cerchio delle cose restanti uguali,
dalle abitudini bilanciate tra il necessario e il piacevole;
fu in noi la forza di chiudere gli occhi, quando la vita sfrenò una danza.
37
Sorridendo alla disubbidienza fanciullesca, godendo
al cerchio dei bimbi, che stanno con il viso e l'orecchio tesi
alla favola che può muovere là dalla punta dei rami,
o dalla luna guardante giú dal cielo, e dal musetto fisso
della lucertola, che ancora (ci sembra) non ha detto la sua parola.

38
Cosí come i piccoli uccelli, che alcuni volano ai chicchi
intravisti sulla terra piú scura, e lí tornano a scendere,
altri si stanno impettiti, guardanclo qua e là,
o se ne vanno in volo nell'aria, e si librano sospesi trillando,
essere frotte come loro, dagli alberi ai monti alle acque.
39
In alto in alto, o tutti compagni, liberando anche il cielo
dalle sue consuetudini, alte sopra il nostro capo,
lassú portando uno squarcio raggiante di fanciullezza,
a sciogliere le ripercorse orbite dei mondi isolati,
aprendo una musica che unisce tutti, cosí come il cuore vuole.
 



Da Aldo Capitini, Coloquio corale, Pisa, Pacini Mariotti, 1956, pp. 4-10

 

 

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