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di Danilo Dolci e Johan Galtung
Johan Galtung e Danilo Dolci presentano il libro Scegliere la pace,
pubblicato dalle edizioni Esperia. Il volume, unico nel suo genere, è la
stesura del lungo dialogo sulla pace che si è svolto tra Daisaku Ikeda,
presidente della Soka Gakkai Internazionale, e Johan Galtung, fondatore del
Peace Research Institute. |
Danilo Dolci
Ringrazio tutti, soprattutto Johan Galtung, di aver pensato a me per introdurre
l'incontro di stasera, a cui partecipano alcuni degli amici che più stimo. La
pubblicazione che viene presentata non è un discorso professorale, ma un dialogo
sul tema "Scegliere la pace", fra due persone che hanno dedicato la vita a
questa ricerca.
Johan Galtung, nato norvegese, che ha iniziato in carcere come obiettore di
coscienza la sua esperienza di fondatore della Sociologia dei conflitti,
approfondendola poi ai più diversi livelli in ogni parte del mondo non solo
negli ambiti universitari ma anche in quelli governativi e non governativi
particolarmente attento all'esperienza di Gandhi.
Daisaku Ikeda, nato giapponese, fondatore dell'Istituto di Filosofia Orientale e
dell'Università internazionale della Soka Gakkai che si ispira particolarmente
al movimento mahayana.
Ambedue intimi di un mio carissimo amico, il prof. Glenn Paige, dell'Università
delle Hawai. Nella comune prefazione, i dialoganti sottolineano esplicitamente
che nel Buddismo hanno verificato come la meditazione e il dialogo il dialogo
"interiore ed esteriore" siano condizione per il miglioramento, per
rivitalizzare ognuno. Chi vorrà penetrare l'ampio dialogo potrà dialogare con lo
stesso Johan e poi meditare sul testo.
Come premessa vi propongo di ascoltare la voce del Budda, anche per osservare
come bene si accorda alla scienza della complessità che finalmente sta
sbocciando in tutto il mondo: (dal Discorso XXXII) «Bella, fratello Mogallano, è
la selva, magnifica la chiara notte lunare; gli alberi stanno in pieno fiore,
pare che celesti profumi spirino intorno. Quale monaco, fratello Mogallano, può
dare splendore al bosco? Se due monaci tengono un dialogo sulla dottrina, si
pongono domande e, dopo che essi hanno l'uno all'altro risposto alle domande, si
allontanano l'uno dall'altro, ognuno per sé, ed istruttivo fu il loro colloquio
e promovente, tali monaci possono dare splendore alla selva». (Dal Discorso
LXXIII): «Vaccho disse al Sublime: "Quanto è raggiungibile con esercitata
conoscenza, con esercitata scienza, è stato raggiunto da me. Più oltre voglia
espormi il Sublime". "Allora, dunque, Vaccho cerca di conseguire calma,
contemplazione. Tu puoi desiderare di comprendere e conoscere l'anima degli
altri esseri"». (dal Discorso CXVIII): «(Occorre dedicarsi) strenuamente allo
svolgimento della carità, della compassione, della serenità (...), del
disincanto dalla illusione: vigilante, cosciente, meditante, conquistando il
risveglio della forza, conquistando sempre più vigore, per il raggiungimento del
non raggiunto, la realizzazione del non realizzato».
A proposito di complessità, coscienza cosmica e liberazione, nel Buddismo
mahayana ogni fenomeno dell'Universo avviene anche il sé interrelato a ogni
altro essere. Occorre maturare la coscienza della infinita interdipendenza, e
delle potenzialità latenti. Il Dharma buddista comprende la legge delle Nobili
Verità, la Realtà delle cose, gli elementi della realtà fisico-psichico-noetica
che "confeziona" l'esistenza di ognuno, "frutto" determinato delle azioni
compiute. Le leggi del buon vivere buddista (ove un'ambiguità è da risolvere:
altro è sapere ognuno evanescente, altro che tutto è nulla) sussistono solo in
base alla reciproca relazione: alla ricerca di realizzare l'amorevolezza,
l'amicizia universale. «I fontanieri incanalano l'acqua, i falegnami piegano il
legno, i saggi piegano se stessi», cercando di perfezionare il compiersi. «La
primitiva arte buddista non ci ha lasciato raffigurazioni del Budda, ma soltanto
rappresentazioni simboliche della Legge, quali la Ruota della Legge. Le prime
raffigurazioni del Budda sono della prima metà del II secolo d.C.». Come è stato
osservato, mentre prima fra cielo e terra i sacerdoti erano mediatori, il Budda
raccomanda di osservare la Legge scoperta, più che lui stesso. Dice nella
Foresta di Bambù (dal Dharmapada): «Dolce è la benevolenza e la mansuetudine
verso tutte le creature. Suprema felicità ha raggiunto chi ha domato il suo
egoismo. Tutto ciò che è soggetto alla nascita è soggetto alla distruzione. I
disattenti sono già come morti. Gli esperti nell'esercizio dell'attenzione
gioiscono di essere attenti, forti, meditanti, costanti, sempre pieni di
energia.
Come l'auriga riesce a trattenere il cocchio precipitante è colui che vince la collera, con la bontà vince la cattiveria, con la generosità vince l'avarizia, con la verità vince la menzogna. Vive l'umanità nel logorio del mondo e nella concitazione del tempo si agita; perciò sarà difficile all'umanità di comprendere la concatenazione delle cause e degli effetti, e più difficile sarà il comprendere l'estinzione della cupidigia. Gli esseri accecati da odio e passione non potranno vedere la Legge che risale la corrente, la Legge riposta e profonda, difficile da afferrare e piena di mistero... Come in uno stagno di fiori di loto azzurro, rosso e bianco, alcuni dei fiori nati e cresciuti sotto l'acqua non emergono e sotto l'acqua rimangono nascosti, mentre altri fiori salgono sulla superficie dell'acqua e altri ancora, che sempre sott'acqua sono nati e cresciuti, emergono dall'acqua senza nemmeno essere bagnati. Mai terminata è l'opera. L'uomo non vede la fine del suo lavoro. Non c'è fine alla nostra fatica. Finché la gente vive unita, continuando a tenere di frequente le pubbliche riunioni, osserveremo non decadenza, ma prosperità: nella concordia si svilupperà. Specchio di verità è la fiducia del Saggio nella Comunità». E altrove, ragionando poeticamente, constata: «Come l'ape raccoglie il succo dai fiori, senza danneggiarne colore e profumo, così dimori l'asceta nel villaggio. Come un fiore smagliante e profumato, altrettanto belle e fruttuose sono le parole di colui che agisce conformemente. Il profumo dei fiori non va controvento, (non quello di) sandalo, tagara, o gelsomino; il profumo dei buoni va controvento, in tutti i sensi lo effonde il virtuoso. Sandalo, tagara, loto e vassiki: di tutte queste specie di profumo quello della virtù è maggiore. Anche in un mucchio di spazzatura gettata sulla strada maestra può nascere un loto profumato e delizioso: così pure nel mucchio spregevole, nel volgo cieco, può risplendere la conoscenza. |
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Immaginando il reale nell'irreale (si perviene a) false
immaginazioni. Coloro che riconoscono l'essenziale nell'essenziale e il
non-essenziale nel non-essenziale, costoro invero conseguono l'essenziale,
divenuti campo d'azione di giuste immaginazioni. (...) Mai si placano gli odi
con l'odiare: col non-odiare si placano. Questa è la Legge eterna». Il movimento
mahayana accentua: la causa del soffrire è l'illusione; solamente il saper
illuminarci mediante il dialogo interiore e con gli altri può liberarci. Se
molto spesso il Buddismo è interpretato come divulgazione a convertire il
maggior numero di esseri umani dell'estinguersi, la rielaborazione mahayana
potenzia una più ampia prospettiva. Al percepire la verità ultima, l'essenza
della vita, vi è anche una evoluzione del risveglio più alla Legge che all'uomo
Budda a cui ognuno può partecipare.
Il potere è energia vitale, potenziale capacità di vivere: aumenta la sua forza
quando impara autodisciplinato, coraggioso e umile, attento al proprio Sé e al
mondo intorno a coincidere con la forza cosmica sgorgante da ogni stella e da
ogni fiore.
Il monaco Nichiren Daishonin (1222-1282) aveva affermato: «Il vero Budda è un
comune mortale, ma comune mortale è il vero Budda», quando diviene come il fior
di loto che sboccia nel fango degli stagni.
Teniamo presente che, contemporanei al risveglio buddista, tanto nel miracolo
ellenico che nella ventura ebraica, c'erano gli schiavi (Il libro delle Guerre
del Signore celebrava vittorie d'Israele contro i nemici suoi). Mai Budda si
presenta come il Buon Pastore, mai ha proposto "la pace" del gregge.
La vita di ciascuno contiene un'energia capace d'influenzare il macrocosmo. Come
attingere alla fondamentale fonte della natura universale? Secondo il Sutra del
Loto, l'illuminarci non inizia ora, perviene dalle ere più lontane. Ma il
destarci più fondo non scaturisce da fuori di noi. La dottrina non basta: è
necessario fonderci con la verità essenziale pulsando della viva forza cosmica.
Illuminarsi, autoilluminarsi è necessario a ognuno. Nichiren Daishonin parla
anche dell'"Illuminazione delle piante". La saggezza suprema non può essere
conseguita con il ragionamento astratto o induttivo. La paura dipende
dall'illusione. Tra i fenomeni incerti e transitori, i rapporti possono avere,
debbono avere, funzione costruttiva, di rinascita. La parabola, immagine
poetica, non definisce ma, inventando, illumina.
Il mondo dove gli esseri umani vivono e muoiono può diventare un paradiso, in
pace, se ognuno illumina sé e l'ambiente. Cura incessante del "non-attaccato" è
come ognuno possa illuminarsi e liberarsi pervenendo al corpo di comunione.
Gandhi a proposito di Budda ha detto: «Devo molto all'ispirazione che ho potuto
trarre dalla vita dell'Illuminato. Gautama aveva assorbito quanto di meglio
c'era nell'Induismo e riportò alla vita certi insegnamenti dei Veda: non rinnegò
mai l'Induismo, ma ne ampliò la base dandogli nuova vita e nuova
interpretazione. Sono d'altronde convinto che la sostanza dell'esperienza del
Budda costituisca ormai una parte integrante dell'Induismo» (24-11-1927, in
Young India). Possiamo noi aggiungere che Gandhi ha inventato conflitti
nonviolenti, da organizzarsi per cambiare il mondo, mai prima concepiti.
Johan Galtung
Nel suo intervento precedente, Danilo Dolci ha detto una cosa importantissima
quando ha spiegato la linea che collega Gandhi al Budda. Gandhi è stato ucciso
da un bramino ortodosso di una città vicino Bombay che forse vedeva il Mahatma
come un traditore dell'Induismo.
Gandhi era un "inventore sociale", ma molte sue idee si potevano già trovare nel
Buddismo classico. Un altro "inventore sociale" è Daisaku Ikeda, e, dal momento
che lui non può esser presente, ho il dovere, come coautore del nostro libro di
dialoghi, di tentare di rappresentarlo in questa sede. Daisaku Ikeda è un
"fenomeno" molto simile a quelli che si sono manifestati durante il Rinascimento
fiorentino: è un uomo intelligentissimo, con moltissime potenzialità che ha
saputo sviluppare molto bene. Ha incontrato e sta incontrando alcune difficoltà
con le autorità giapponesi, ma le ragioni di tali opposizioni sono relativamente
facili da capire.
Il Buddismo mahayana, il Buddismo di Nichiren Daishonin, il Buddismo del Sutra
del Loto, il Buddismo della Soka Gakkai e il Buddismo di Daisaku Ikeda, infatti,
sono Buddismo antimilitarista che non riconosce la superiorità dello Shintoismo
di Stato. Dopo la rivoluzione Meiji, il primo ministro giapponese sosteneva la
necessità di avere un Dio più vicino e simile al Dio che avevano in Germania (Got
mit uns), di un Dio che potesse sostenere e giustificare anche le tendenze
militariste del Giappone. Tsunesaburo Makiguchi, il fondatore della Soka Gakkai,
si è opposto a tutto questo e ha pagato la sua scelta con la vita morendo in
carcere. Il secondo presidente Josei Toda lanciò un appello molto determinato
contro la bomba atomica: tale appello non era rivolto contro gli Stati Uniti, ma
essenzialmente contro le armi nucleari. Il terzo presidente, Daisaku Ikeda, ha
seguito e continua a seguire la stessa linea antimilitarista: Ikeda non si
oppone allo Stato giapponese, ma a una concezione teocratica dello Stato.
Recentemente egli ha incontrato Fidel Castro a Cuba: non per dire a Castro che
va tutto bene, ma per avere un dialogo sincero con lui. Negli anni sessanta
Ikeda è uscito dal Giappone per andare in Cina, prima ancora che questa fosse
riconosciuta. Tale iniziativa gli ha comportato l'odio dei circoli governativi
giapponesi che lo accusavano di aver rotto l'isolamento della Cina.
L'emarginazione e il non-contatto con la Cina era una faccenda molto semplice da
sbrigare per i giapponesi perché questi, per tradizione, coltivavano una totale
mancanza di rispetto verso i cinesi e i coreani. Ma la Soka Gakkai è
un'organizzazione importantissima in Corea e i suoi legami con la Cina sono
fortissimi. Lo stesso Daisaku Ikeda per esempio aveva invitato alcuni giovani
cinesi a studiare alla Università Soka e, alcuni anni più tardi, uno di questi
studenti gli fece da interprete durante il suo incontro con il premier cinese.
Questa è politica.
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Noi siamo qui a mettere a fuoco i contributi alla pace
che ci possono venire dal Buddismo: credo che ci siano quattro elementi da
tenere in considerazione: Vorrei tornare al primo punto, quello dell'origine dipendente e porre una piccola domanda: «In che modo si sarebbe potuta evitare la prima guerra mondiale?» È certo un po' tardi per interrogarsi su questo argomento, ma comunque è una domanda molto importante. |
Io sono un "lavoratore per la pace", ho 25 anni d'esperienza,
e quando affronto una situazione la prima domanda che mi faccio è: «Perché ci
troviamo in questa situazione? Avremmo potuto trovare altre soluzioni?» Quando
ho chiesto in Germania come si sarebbe potuta evitare la seconda guerra
mondiale, mi sono sempre sentito rispondere: «Uccidendo Hitler quando era ancora
giovane». Questa risposta è molto rozza e primitiva per un motivo molto
semplice: dietro Hitler c'era già pronta una fila di successori molto più
pericolosi di lui. Più pericolosi perché meno fanatici. Credo che la risposta
migliore sia quella relativa alle conseguenze del Trattato di Versailles: quel
trattato andava cambiato dopo cinque anni. In questo modo, forse, sarebbe stato
possibile evitare la guerra, perché il Trattato di Versailles era l'argomento
propagandistico più usato da Hitler.
Quando ho parlato di questo a Oxford, un professore, mosso da una rabbia
genuina, si è opposto alla mia tesi dicendo che rivedere il Trattato non avrebbe
portato a nulla perché i tedeschi erano gli aggressori colpevoli e i francesi,
gli inglesi e gli americani le vittime innocenti. Quel professore e come lui
tanti altri vivono e pensano in un modo dicotomico, e questa maniera di
affrontare i problemi è totalmente falsa.
Preferisco di gran lunga la luce della Buddità. Oggi nelle scienze sociali
esiste il System research, la Ricerca dei sistemi, per cui le catene causali
sono molto ben conosciute. Ciò che è interessante è che il Budda già 2500 anni
fa lo aveva intuito. Dicendo queste cose non voglio addebitare agli alleati la
responsabilità della seconda guerra mondiale, voglio semplicemente affermare che
la responsabilità è stata di tutti.
Vediamo ora la situazione del Giappone: come si poteva evitare la guerra nel
Pacifico? Il metodo sarebbe stato semplice: ascoltare anche la voce dei
militaristi giapponesi, e cercare di capire i loro argomenti. E loro avevano un
argomento eccellente: «l'Asia per gli asiatici», ossia «fuori dall'Asia i
colonialisti e gli imperialisti occidentali». Dietro questo slogan, però, si
nascondeva un altro argomento inaccettabile: l'Asia per il Giappone. Se i poteri
occidentali nel 1930 avessero detto: «Abbiamo un progetto: eliminare il
colonialismo dall'Asia. Dateci dieci anni per smantellare tutto», sicuramente
sarebbe sparito il miglior argomento a favore dei militaristi giapponesi. Ma la
storia non si può cambiare, e questo esercizio ci serve solo per capire che
stiamo tutti nella stessa barca. Questa barca nel Buddismo si chiama karma.
Karma non vuol dire destino, ma indica la situazione in cui ci troviamo e che
possiamo cambiare e migliorare. Qui c'è il punto d'incontro tra la tradizione
buddista e la tradizione della ricerca per la pace.
Vorrei ora spiegare tre punti che nascono anche dalla mia personale esperienza,
tre capacità da sviluppare per la soluzione dei conflitti. Siano essi conflitti
famigliari, conflitti etnici o la guerra del Golfo.
1) Empatia. Fare, cioè, tutti gli sforzi possibili per capire l'altro. E quando
dico l'altro penso a più parti, non solo a due. Il teatro dove agiscono gli
attori "violenti" non è necessariamente solo il luogo dove si svolge fisicamente
una guerra. Gli attori principali della guerra in Yugoslavia, ad esempio, non
stanno in Yugoslavia, stanno in Germania, Austria, in Vaticano, a Washington, a
Mosca, un po' a Roma, a Londra. Insomma il 70% sta fuori dalla Yugoslavia e il
30% dentro. Tutti questi attori hanno un punto in comune che va capito (questa è
l'empatia): hanno paura cosa eccessiva, ma facile da capire di uno Stato
musulmano. Come è possibile evitare questa cosa? Fare un pacchetto di croati e
serbi e chiamarlo Bosnia? Ma la Bosnia non esiste, è una illusione che serve a
evitare uno Stato musulmano in Europa. Questa dunque è la vera motivazione, ma
voi non l'avete mai sentita perché i giornali non ne parlano. Il metodo perciò
non è quello di lottare in tutti i modi per evitare un collegamento tra Bosnia e
Iran, ma quello di costruire un dialogo tra crisitiani e musulmani. E questo
dialogo non c'è mai stato.
Bisogna costruire non una ma diecimila occasioni di dialogo con l'Islam.
2) Fantasia, creatività. È necessario inventare sempre nuove strade. Posso fare un esempio molto semplice: in America Latina ci sono due Stati il loro nome non importa che hanno lottato moltissimo per un territorio. Questo territorio, da una generazione all'altra, cambia di mano. Mi sono trovato a cena con un ex-presidente di uno di questi Stati che mi ha chiesto cosa fare e io gli ho suggerito: «Perché non gestite insieme questo territorio? Perché non fate insieme un aeroporto, una zona di cooperazione economica tra i due paesi, delle fabbriche, un campeggio dove possano venire giovani e una Casa per la negoziazione della pace, non soltanto tra i due paesi, ma per tutta l'America Latina e per tutto il mondo? Un territorio per la pace. Per la pace nel mondo». Lui mi ha risposto: «Non conosco nessun politico in America Latina che abbia mai pensato a questo». 3) Nonviolenza. Evitare cioè i metodi violenti. Io non sono convinto che la nonviolenza di Gandhi funzioni sempre, e per me la parola nonviolenza presenta un'accezione molto più ampia. Sono convinto però che la violenza non funziona mai, perché gli sconfitti escono dalla guerra con una sola idea in testa: vendetta. E anche perché i vincitori escono dalla vittoria con una sola idea in testa: la vittoria è bella, perché non averne una all'anno? |
Il nostro mondo che chiamiamo "moderno" ha il monopolio della
violenza. Un proverbio americano che mi piace moltissimo dice: «To he who has a
hammer, the world looks a nail. (Se hai un martello, il mondo si presenta come
un chiodo)». In altri termini, se tu hai un esercito, tutti i problemi diventano
problemi militari. Ma la realtà non è questa: i problemi sono problemi
d'identità, di diritti umani, di mutuo rispetto, di giustizia economica e questi
non si possono risolvere con la violenza. Un esempio: abbiamo avuto un attentato
terrorista in Arabia Saudita e sono morti 19 soldati americani. È stata una cosa
terribile. Questo attentato voleva comunicare qualcosa: la popolazione araba
desidera che tutti i soldati americani vadano via dall'Arabia. Chiedono anche un
referendum e, se gli americani credono veramente nella democrazia, allora è
importante ascoltare tali richieste. Ma, a Lione, il gruppo dei Sette i capi
degli Stati più importanti nel mondo ha stilato una dichiarazione in quaranta
punti contro il terrorismo. Sono quaranta punti di violenza. E per di più fatti
da sette capi di Stato. Immaginiamo invece cosa sarebbe successo se i Sette
avessero detto: «Abbiamo un problema, c'è un conflitto in atto, noi siamo
totalmente contro il terrorismo, siamo totalmente contro la violenza, allora
invitiamoli al dialogo, chiediamo qual è il problema, ascoltiamoli. Possiamo
scegliere un posto segreto per incontrarli, senza usare i servizi segreti.
Apriamo un dialogo». Una persona matura avrebbe detto questo. Ma noi abbiamo i
Sette che non definirei neanche bambini perché sarebbe un insulto ai bambini.
Dove si possono insegnare questi semplici principi generali? Non credo
francamente nei Ministeri degli Esteri, in genere lì c'è scarsa empatia e una
lunga lista di interessi nazionali. Non c'è creatività, ma burocrazia. Non c'è
la nonviolenza, ma il sistema "martello e chiodo".
Allora mi viene da pensare che forse non è valido il sistema-Stato. È troppo
radicale questo mio modo di pensare? Non necessariamente. Abbiamo avuto nella
storia europea altre istituzioni relativamente poco valide: l'aristocrazia, ad
esempio, con i duelli, la vanità, con l'ideologia dell'onore, con tanta
violenza, con la schiavitù, con il colonialismo... Forse anche il sistema-Stato
un giorno potrebbe essere ridimensionato, non necessariamente sparire. Vedo
invece nel sistema-Città un avvenire più promettente. Abbiamo duecentomila città
nel mondo. Non conosco nessuna città che abbia un inno nazionale, non conosco
nessuna città tedesca che dica di essere uber alles. In generale le città sono
più sane: lavorano, si rispettano reciprocamente, hanno un sistema di scambio
relativamente buono, non hanno eserciti...
Poi dovremmo guardare con attenzione anche alle organizzazioni popolari. In
tutto ce ne sono circa diecimila e moltissime lavorano per i diritti umani, per
la protezione dell'ambiente, per lo sviluppo.
Molto importanti sono le donne: il 95% della violenza viene dagli uomini.
Dunque più potere alle donne, alle organizzazioni internazionali, alle autorità
locali, alle città e meno potere allo Stato e forse un po' di psicoterapia alle
nazioni, soprattutto quando pensano di essere investite da un mandato divino.
Conosco bene una nazione di questo tipo: era esattamente l'idea di Mussolini, ma
l'Italia ne è uscita relativamente bene. Un po' confusa magari... ma la
confusione è sempre preferibile al fascismo.
E alla confusione è sempre preferibile uno Stato che si dedica alla Pace.
Scheda del libro
È POSSIBILE
di Marina Marrazzi
«Considero il pessimismo una lussuria personale e autoindulgente che nessuno di
noi si può permettere. Certamente ci sono migliaia di ragioni dentro e fuori di
noi per essere pessimisti. Queste ragioni non devono essere respinte o
sottovalutate, né essere scongiurate. Bisogna occuparsene accettando la sfida
che propongono. L'ottimismo e il pessimismo devono continuamente sfidarsi nei
nostri continui dialoghi interiori quotidiani». Johan Galtung si interroga, nei
colloqui con Daisaku Ikeda raccolti in questo libro, sulle strade praticabili
per trovare soluzioni pacifiche ai conflitti del mondo contemporaneo. «Il leader
di un movimento pacifista deve ispirare fiducia nell'esistenza di soluzioni
pacifiche ai nostri dilemmi. Ma questa fiducia deve consistere in più che
semplici promesse formali, deve essere sostenuta da un solido ragionamento». E
solidi ragionamenti, costruiti intorno alla incrollabile convinzione di entrambi
gli autori nella possibilità di uscire dalla logica dello sfruttamento, della
violenza e della guerra che guidano la politica mondiale, sono la struttura
portante dei loro interventi. Non è idealismo velleitario, ma un impegno
concreto e attento alla realtà della politica internazionale, a guidare la
discussione sulle sorti delle etnie in conflitto, sullo sfruttamento economico
del capitalismo occidentale, sui pericoli della concentrazione di poteri
economici in pochi stati, sulla pena di morte, sulla possibilità di ridurre gli
armamenti nucleari, sulla necessità di riformare l'Onu per rendere il suo
operato più efficace a salvaguardia dei diritti umani e della pace in ogni
nazione della Terra.
E in più parti emerge come la lucidità della ragione sposata alla fede
nell'ideale trovi nel Buddismo una conferma e una indicazione di percorso.
La risposta ai problemi del mondo del futuro sta in un sistema di governo
flessibile, e «nel dialogo interiore ed esteriore tra tutte le parti
interessate» riconosce Galtung. «Pigiati gli uni contro gli altri su questa
terra, scopriamo che tutti i nostri karma si intrecciano. Quando qualcosa va
storto dovremmo seguire l'ottima tradizione buddista di meditare e cercare la
soluzione in noi stessi. [...] L'impegno per la pace ha bisogno non solo di una
manciata di governi o di popoli alla ribalta, ma di noi tutti».
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For additional information please email us at: |
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