Home Page Pagina precedente Mappa del SitoSite MapPagina degli Sponsor - Sponsor's PageQuestionario - Questionnaire Libri elettronici - e-bookUn aiuto per voi

Opere

Opere di Gianni Rodari

Tullio De Mauro: L'industria della favola

     Pino Daniele - E so' cuntento 'e sta'

L’editore Einaudi di Torino pubblica in questi giorni un nuovo libro di Gianni Rodari. Si chiama Grammatica della fantasia. Non è un altro libro di favole. Certo anche qui Cappuccetto giallo, il lupo buono, l’omino di vetro che gli si leggevano in testa i pensieri e non poteva dire bugie, la sedia che correva a prendere il tram, la casa musicale, la Lamponia, appaiono di continuo ma si accompagnano a discrete evocazioni di Vygotskij, Novalis e Sausse, di Vladimir Propp, Piaget, Wittgenstein. Vi appaiono non come protagonisti, ma come oggetti di riflessione. Il libro non è di favole, ma sulle favole.

            Ma questo non dice abbastanza. Gianni Rodari che riflette sulle favole è pur sempre il Gianni Rodari che scrive le favole. Passando dalla invenzione che tutti conosciamo e amiamo alla riflessione sull’invenzione, Rodari non ha dimenticato le sue buone qualità: la chiarezza, l’intelligenza sorridente, la capacità di far saltare fuori le idee da un sasso. E quest’ultima non è una frase fatta. Leggete l’inizio del libro almeno, e constatate con quanta semplicità e divertimento Rodari vi fa vedere tutte le associazioni e le idee che si possono tirare fuori da “sasso”, quante invenzioni e favole possono germinare da quella arida pietra.

            Un libro sulle favole, dunque. Ma un libro di Rodari. E, perciò non un accigliato e grave libro sulla metateorizzazione della struttura epigenetica del favolistico, ma un libro che viene voglia di leggere a tutti, e non solo agli accademici di Samarcanda. Anche se,  a vero dire, gli accademici no faranno male a leggere questo libro, serio, profondo, nuovo, pur nella sua larga accessibilità.

            Il segreto per mettere insieme le due cose, che spesso fanno a pugni, larga accessibilità e innovatività profonda, sta in lui, in Rodari. Nella serietà e autenticità con cui si è messo allo specchio e si è analizzato; con cui, cosa rara per un artista, ci introduce nella officina della sua fantasia, ci fa esaminare e anzi addirittura ci fa generosamente provare gli arnesi del suo mestiere, lucenti per l’uso. E ci racconta delle sue materie prime e, senza boria, senza trucchi, elenca momenti e procedimenti di fabbricazione.

            Come si fa a mettere insieme una storia? Punto primo, dice Rodari, occhio alle parole. Sia data una parola, « sasso » appunto, come si diceva, all’inizio, oppure « ciao », come nell’esperimento scolastico di cui si dirà; sia data una parola: lasciatela cadere nella vostra mente, lasciatela strusciare accanto alle parole che le somigliano, incespicare nelle parole che le stanno vicino, per forma o per significato. Anche questo, per quanto ovvio e pigro, può essere l’inizio di una storia. Rodari ve lo dimostra, e poi racco

“Dopo che io avevo parlato del modo di inventare una storia partendo da una parola data, l’insegnante Giulia Notari, della scuola per l’infanzia Diana di Reggio Emilia, ha chiesto se qualche bambino si sentisse di inventare una storia con quel nuovo sistema e ha suggerito la parola ‘ciao’. Un bambino di cinque anni ha raccontato questa storia: ‘Un bimbo aveva perso tutte le parole buone e gli erano rimaste quelle brutte: merda, cacca, stronzo, eccetera. Allora sua mamma lo porta da un dottore, che aveva i baffi lunghi così, e gli dice: - Apri la bocca, fuori la lingua, guarda in su, guarda in dentro, gonfia le guance. Il dottore dice che deve andare a cercare in giro una parola buona. Prima trova una parola così (il bambino indica la lunghezza di circa venti centimetri) che era arrangiati, che è cattiva. Poi trova una parolina rosa, che era ciao, se la mette in tasca, la porta a casa e impara a dire le parole gentili e diventa buono’.

            “ Durante il racconto, due volte gli ascoltatori si sono inseriti per raccogliere e sviluppare spunti offerti dalla storia. Una prima volta sul tema delle parole ‘brutte’ hanno improvvisato allegramente una litania di cosiddette ‘parolacce’, recitando poi l’intera serie di quelle che conoscevano e che erano state evocate dalla prima. Lo facevano, ovviamente, per sfida, in un gioco liberatorio, di comicità escrementizia, che ben conosce chiunque abbia a che fare con i bambini .

            “Una seconda volta gli ascoltatori hanno interrotto il narratore per sviluppare il ‘gioco del medico’, cercando variazioni al tradizionale ‘tira fuori la lingua’. Il divertimento aveva qui un doppio significato: psicologico, in quanto serviva a sdrammatizzare, comicizzandola, la figura sempre un po’ temuta del medico; di gara, a chi trovasse la variazione più sorprendente e inattesa (‘guarda in dentro’). Un gioco del genere è gia teatro, è l’unità minima della drammatizzazione».

Per trovare associazioni efficaci, cioè coppie di parole fra cui scocchi la scintilla di una buona storia, conviene affidarsi al caso, suggerisce Rodari. Un bambino scrive una parola su un lato della lavagna, un compagno che non lo vede ne scrive un’altra. Si rivolta la lavagna e la classe vede anche l’altra (la classe, perché Rodari queste sue idee le ha largamente sperimentate e arricchite con l’esperienza viva in scuole per l’infanzia ed elementari). Nove su dieci, scoppia una gran risata: e dall’accoppiamento imprevisto, « cane »-« armadio », per esempio, nascono le storie più impensabili.

            Ma per fabbricare una storia alle parole conviene guardare anche in altro modo: non solo per associarle, ma anche per dissociarle. Dissociarle dagli oggetti a cui sono pigramente accoppiate,  e associare all’oggetto nuove parole. Consigliava Tolstoj (e lo ricorda Sklovskij) di prendere un divano, e descriverlo con le parole che adopererebbe uno che non avesse mai visto un divano.

A questo procedimento, che si chiama « estraneazione », ricorre per gioco Umberto Eco con i suoi bambini; ma vi han fatto ricorso anche Swift, e Stevenson (in un racconto breve un marziano arriva sulla terra e guarda i vari esseri, e conclude che la gente più simpatica sono quei signori col corpo di legno, fermi immobili in un punto, con la testa verde, gli alberi). E Rodari, naturalmente, se ne serve e lo suggerisce.

            Altri accendi-storie: l’ipotesi pazza. Quello che gli antichi trattatisti (ma Rodari non lo dice perché è gentile e modesto) chiamavano “adynaton”, ossia “l’impossibile”. Che succederebbe se...? Che succederebbe se Reggio Emilia cominciasse a volare? Anche per fare buone ipotesi conviene servirsi di parole: dieci soggetti da una parte, dieci predicati verbali da un’altra. Tirare a caso un soggetto e un predicato: “la moglie di Maurizio” -  “abbaia nel pollaio”; “l’accademico dei Lincei “- “si rosola con la salvia “.

            Ancora occhio alle parole: servitevi dei prefissi in modo inconsueto. C’è “micro”: inventate il “microippopotamo” che si alleva in casa, nella vaschetta dei pesci. C’è la « esse privativa »? Inventate lo “scannone”, che serve per “sfare la guerra”,  per non farla più, per stare in pace. Eh già, qui come altrove in queste storie curiose di parole, cacciano sempre fuori la testa le cose: le cose che vogliamo combattere, e quelle che vogliamo realizzare.

Tutto serve, per fare storie. Perfino l’errore: Lamponia per Lapponia, sfuggito alla macchina da scrivere, può essere l’inizio d’un giro turistico inconsueto, o d’una nuova geografia (confina a est con Fragolia, a nord con Gelsolandia, è bagnata dal Rhum e dal fiume Panna).

E, naturalmente, si possono rimpastare i vecchi temi: integrare e impastare vecchie storie (Cappuccetto Rosso incontra non il Lupo, ma il Gatto con gli stivali), modernizzarle (il Lupo attacca Cappuccetto da un elicottero), ribaltarle (Cappuccetto Rosso, come del resto molti ritengono, è un’autentica canaglia, e il Lupo un bravissimo uomo), seguitarle (degli Stivali delle Sette leghe, Pollicino poi che ne fece?).

Ma si possono fare mille altre cose: per esempio (lo sa bene Calvino) si possono “mettere le carte in tavola”, ogni carta un personaggio o un evento-tipo, e poi giocarci, e inventarci su storie. E si può guardare con occhio attento, divertito e serio a un tempo, il mondo che ci sta attorno. Scrive ancora Rodari: “L’idea che il bambino di oggi si fa del mondo è per forza tutt’altra da quella che se ne può essere fatta, da bambino, il padre stesso da cui lo separano pochi decenni. La sua esperienza lo mette in grado di compiere operazioni diverse. Forse anche operazioni mentali più complesse: per quanto manchino, in proposito, le misurazioni che occorrerebbero per affermarlo con sicurezza “.

“Gli oggetti di casa dànno informazioni con gli stessi materiali di cui sono fabbricati, i colori con cui sono dipinti, le forme in cui sono disegnati (da un designer non più da un artigiano). ‘Leggendo’ questi oggetti il bambino apprende cose diverse da quelle che il nonno apprendeva ‘leggendo’ la lampada a petrolio. Si inserisce in un modello culturale diverso”.

“La pappa, al nonno, gliela preparava la mamma: al nipotino, gliela prepara la grande industria, che lo coinvolge nel suo giro molto prima che egli possa uscire di casa con le sue gambe “.

“Abbiamo così a disposizione una più ampia materia per fabbricare storie e possiamo usare un linguaggio più ricco. L’immaginazione è una funzione dell’esperienza, e l’esperienza del bambino d’oggi è più estesa (non so se si possa dire più intensa, questo è un altro problema) di quella del bambino di ieri “.

“Ogni oggetto, secondo la sua natura, offre appigli alla favola. Anch’io ho già appeso qualche storia a questi attaccapanni della fantasia. Per esempio, ho inventato un Principe Gelato, abitante in un frigorifero; ho fatto precipitare nel suo televisore un personaggio troppo attaccato al teleschermo; ho combinato un matrimonio tra un giovanotto – precedentemente innamorato della sua motocicletta rossa giapponese – con una lavatrice; ho ipotizzato un disco stregato, ascoltando il quale la gente è costretta a ballare, mentre due malandrini la derubano, eccetera”.

Nelle prime righe, non abbiamo citato a caso nomi insigni di teorici. In modo molto pratico, molto

“effettivo” (nel senso antico e matematico di questo termine), Rodari, partendo dal problema di come stimolare i bambini a inventare storie, perché si liberino da oscure angosce e paure e remore, Rodari li raggiunge. Voglio dire: raggiunge proprio loro, i grandi teorici della scienza, come invenzione costruttiva della grammatica e della lingua come imprevedibile gioco.

I maestri avranno molto da ricavare dalla lettura di queste pagine. Ma anche altri avranno di che imparare. Per esempio Francesco Orlando ed Emilio Garroni, che stanno gettando le basi per una seria (e non cialtronesca) utilizzazione di Freud in sede letteraria, dovranno riflettere su alcune pagine in cui Rodari con mano assai sicura, ma con l’aria di niente, segna i limiti delle possibilità di interpretazione freudiana delle storie anche infantili. Quillian ed Eco vedranno come opportunamente è utilizzato il loro modello di significato. Luis Prieto troverà qui larga conferma alla sua tesi del carattere arbitrario di ogni classificazione.

Come Cimarosa col suo Maestro di Cappella, come Rilke nelle Lettere a un giovane poeta, come Goethe e Leopardi in certe loro pagine, un artista ha messo in tavola le carte del suo gioco. E ne è nato, elegante e geniale, un classico.

 

 

 

 

Per ulteriori informazioni inviate una mail a:

 

 

For additional information please email us at:

[ Home ] [ Up-Su ] [ Mappa del Sito ] [ Site Map ] [ Sponsors ] [ Two minutes ] [ Libri Elettronici ] [ Aiuto! ]