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La risoluzione dei conflitti - L’approccio Gandhiano

Teoria e pratica della Satyagraha

  1. Conflitti e risoluzione dei conflitti: osservazioni preliminari
  2. La Satyagraha: la filosofia di Gandhi e le tecniche di risoluzione dei conflitti
    1. Principi di base della Satyagraha
    2. Concetti fondamentali della Satyagraha
    3. Il ruolo dell’individuo nella Satyagraha
    4. Psicologia della Satyagraha: esistenza dell’aggressione (la violenza)
    5. Psicologia della Satyagraha: la volontà umana
    6. Il ruolo della pazienza nella Satyagraha
    7. Etica della Satyagraha
  3. Applicazione della Satyagraha
    1. Conflitti interpersonali
    2. Dispute legali: il sistema di riappacificazione con l’avversario
    3. Conflitti industriali
    4. La Satyagraha contro lo Stato: la disobbedienza civile
    5. Conflitti internazionali

Nagapattnam - mani tese

 


 

 

 

 

1. Conflitti e risoluzione dei conflitti: osservazioni preliminari

 

Conflitti

Interpersonali, legali, industriali, sociali, nazionali, internazionali; inevitabili dovuti alla tradizione, a cambiamenti emergenti o percepiti, incompatibilità; antagonismi o scontro di interessi, di religione, di valori, dell’io o di obiettivi; non sempre cattivi o distruttivi; può essere un sintomo del “lasciarsi andare ad uno sfogo”; varie forme: manifesto o irriducibile; motivo di risentimento; disputa; confronto.

Conflitti risolti

Quando i contendenti manifestano la speranza di futuro emendamento della situazione;  i costi di risoluzione potrebbero essere obiettivi e soggettivi, economici, sociali o psicologici.

 

 

I conflitti sono risolti attraverso

 

La coercizione

Una delle parti non trova altra strada, la disparità di forza preclude la reciprocità, la preoccupazione primaria è non cedere, o “perdere la faccia” è un problema.

“Riunire” o evitare

Sentire impotenza;  mancanza di volontà, abilità, sanzione sociale, alternative.

Mediazione

Terze parti aiutano senza potere decisionale

Arbitrato

Le parti si sottomettono volontariamente alle decisioni di un arbitro.

Decisione

Intervento e decisione legali.  Questi coinvolgono il potere coercitivo, enfasi sulle norme, precedenti, verdetti, decisioni a somma zero (entrambe le partiti provano a dominarsi – ne vinti ne vincitori).

Coercizione, Riunione e Decisione sono strade unilaterali e antagoniste

La trattativa è bilaterale e cooperativa.  La mediazione coinvolge i terzi ed è cooperativa.  L'arbitrato e l'aggiudicazione coinvolgono il controllo decisivo dei terzi e sono competitivi. I conflitti possono terminare in compromessi o decisioni forzate.

Conflitti “produttivi”

Gli avversari si avvicinano insieme con apertura ad una soluzione reciprocamente soddisfacente e sono soddisfatti dai risultati.  La cooperazione, il compromesso, la fiducia, la persuasione, la conciliazione, l'enfasi sui rapporti reciproci, l'aiuto e le somiglianze, la risposta, la reciprocità, la benevolenza, l'accreditamento che danno, la trattativa, la mediazione, il dialogo, capendo l'avversario, sollecitando prima i suoi punti validi e la non-violenza, caratterizzano la loro risoluzione.  Le norme e le agenzie istituzionali e sociali possono aiutare in un modo pacifico la risoluzione dei conflitti competitivi.

Conflitti “distruttivi”

Il vincitore adotta tutti gli approcci, l’avversario è insoddisfatto dei risultati, ha un senso di perdita/sconfitta;  i conflitti tendono ad intensificare.  La concorrenza, enfasi sulla possibilità di concessioni, uso delle minacce, coercizione, ambiguità, posizioni rigide, inganno, mezzi illegittimi, richieste non negoziabili, ignorando il profitto minimo accettabile all'avversario e le norme dell'imparzialità, della controversia e della violenza, caratterizzano questi conflitti.

 

 

 

2. La Satyagraha filosofia gandhiana e tecnica di risoluzione dei conflitti

 

Risoluzione dei conflitti con mezzi violenti

Uso di strategie evidenti e tangibili delle armi;  basata sulla negazione della Verità “perché l'uomo non è capace di conoscere la verità assoluta e quindi non è competente a punire”;  gli avversari reagiscono con timore ed azione riflessa non ponderata;  si auto-perpetua con la vendetta;  “distruttiva”.

 

 

Risoluzione dei conflitti con mezzi non violenti

Implica dare spazio e convertire l'avversario.  Anche un elemento di “coercizione” non violento può essere presente ma questo può anche condurre a lungo termine a cambiamenti negli atteggiamenti.  Con “la conversione”, l'avversario cambia interiormente la coscienza e così tende a conciliare con l’attivista non-violento, senza lasciare conseguenze di rancore o di vendetta.  Gandhi ha evoluto la Satyagraha come la tecnica più pragmatica e più potente di risoluzione dei conflitti e come il modo di vivere moralmente corretto, basato sulla dialettica “della conversione” che solo con la Verità può raggiungere la suprema missione della vita umana.

 

 

La Satyagraha

Agra - Forte Rosso (*)

Satya (= verità) + Graha (= insistenza, fermezza);  Gandhi l’ha denominato la forza della verità o la forza dell’anima.  I suoi elementi principali, la verità e la non-violenza, sono considerati come i fini ed i mezzi.  La Satyagraha mira non alla vittoria nel senso stretto ma “ad una ricerca implacabile della verità”.  Un Satyagrahi è uno chi pratica la Satyagraha.

La Satyagraha è descritta generalmente come “resistenza del non-violento”, “azione diretta del non-violento”, “militante della non-violenza”, ecc.  Ma Gandhi l’ha distinta da “resistenza passiva” (arma del debole).

La Satyagraha è applicabile in tutte le situazioni:  tra persone, gruppi e conflitti nazionali ed internazionali, da micro a macro livelli di conflitto.

 

E la sua unità fondamentale è l'individuo.  Infine, tutta la Satyagraha è un aspetto personale.  Anche nella Satyagraha totale:  “se un singolo Satyagrahi tiene fino alla fine, la vittoria è certa”.

L’addestramento a tutti i generi di Satyagraha comincia con la soluzione pacifica di piccoli conflitti tra persone:  “la non-violenza, come la carità, comincia in casa”.  Proprio l’esempio di Gandhi è istruttivo:  “ho imparato la lezione della non-violenza da mia moglie, quando ho provato a piegarla alla mia volontà.  La sua resistenza risoluta alla mia volontà da una parte e la sua calma accettazione della sofferenza  dall'altra, - mi ha fatto vergognare di me stesso e mi ha curato dalla stupidità – l’hanno resa il mio insegnante di non-violenza”.

Il Satyagrahi di Gandhi è un ottimista, un altruista ma un idealista pratico ed irreprensibile, “si sviluppa di verità in verità” e crede che “la fonte vera del diritto sia il dovere”.  Idealmente egli è come Gandhi:  “ quello che lui pensa, quello che lui ritiene, quello che lui dice e quello che fa sono un’unica cosa”.

La Satyagraha è un’etica:  “l'oggetto del Satyagrahi è la conversione, non la costrizione di chi sbaglia”.  Punta “ad una ristrutturazione degli elementi avversari per realizzare una situazione che è soddisfacente per entrambi gli avversari antagonisti”; “egli cerca di liquidare gli antagonismi ma non gli antagonisti stessi”.  Secondo Bondurant: “il dogma della Satyagraha conduce ad aprire l'esplorazione del contesto.  L'obiettivo non è di asserire le proposte ma generare le possibilità. Il Satyagrahi si coinvolge negli atti ‘di esistenza etica’.”.  Nessuno può esimersi dal raggiungimento degli appelli del Satyagrahi specie se la sua benevolenza e la sua compiacenza nel soffrire per la verità sono dimostrate chiaramente.

“La Satyagraha non è gentile, ma non ferisce mai.  Non deve essere il risultato della rabbia o della malizia.  Non è mai esigente, mai impaziente, mai rumorosa.  È l'esatto opposto della costrizione.  È stata concepita come sostituto completo della violenza.  Il riformatore deve avere coscienza della verità della sua causa.  Non sarà impaziente con l'avversario, lui sarà impaziente con se stesso”.

 

 

 

 

Principi di base della Satyagraha

La risoluzione dei conflitti con la Satyagraha è basata sui presupposti che: 

bulletalcuni elementi di interesse comune agli oppositori esistono sempre;
bulletgli oppositori possono essere favorevoli “ad un appello al cuore ed alla mente”; 
bulletil Satyagrahi è capace di seguire la Satyagraha fino alla fine.

Il Satyagrahi deve essere chiaro circa lo scopo essenziale e gli elementi del suo caso.  Non deve mai danneggiare l'avversario.  Il suo caso ed il suo comportamento devono essere sempre trasparenti.  Deve fare riparazione se è scoperto un errore.

Dovrebbe essere dato risalto agli interessi essenziali in comune fra gli avversari ed il dialogo incoraggiato su questa base:  “i tre quarti delle miserie e delle incomprensioni del mondo spariscono se facciamo un passo nelle scarpe dei nostri avversari e capiamo il loro punto di vista”. (oggi si potrebbe parlare di comunicazione sulla base di empatia n.d.t.)

“La regola doro:  tolleranza reciproca, osservare che non penseremo mai tutti allo stesso modo,  vedremo la verità in frammenti e da angoli di visuale differenti.  La coscienza non è la stessa per tutti”.

Fiducia tra gli avversari:  “molti mi hanno ingannato e molti lo sono stati.  Ma non mi pento. Il più pratico, il modo più dignitoso di continuare nel mondo è di prendere la gente sulla parola, quando non avete motivo del contrario”.  Ma il Satyagrahi non deve attendere all’infinito.  Quando “il limite viene raggiunto si assume le responsabilità e concepisce i programmi di Satyagraha attiva che possono significare la disobbedienza civile e simili”.

Agra - Forte Rosso

Un Satyagrahi non manca mai, non può mancare mai, una probabilità di compromesso a condizioni onorabili”. “Perché non posso mai essere sicuro che sono nel giusto”. Ma “il necessario” o “i principi eterni” dovrebbero essere difesi fino alla morte.  Gandhi ha asserito:  “La vita umana è una serie di compromessi e non è sempre facile realizzare in pratica quello che si è trovato essere vero in teoria”.  E ancora: “Il compromesso viene sempre, ma uno deve rendersi conto che è un compromesso e mantenere costantemente davanti all'occhio della mente l'obiettivo finale”.  Ha ulteriormente chiarito: “Non potrei combattere gli Olandesi e gli Inglesi senza tensione nel mio cuore per loro e senza essere pronto al compromesso.  Ma i miei compromessi non saranno mai al costo della causa o del paese”. 

Sulle sue differenze politiche con Subhash Bose su come combattere i Britannici, ha detto: “Non sto morendo dalla voglia di lottare.  Sto provando a evitarlo - sono desideroso di ottenere un compromesso onorevole con la Gran Bretagna e come richiede effettivamente la Satyagraha. Ma, se dovesse accadere e non avessi seguaci, io dovrei poter impegnarmi in una lotta individuale”.  Per concludere, “la mia vita si compone di compromessi, ma sono stati compromessi che mi hanno portato più vicino all'obiettivo”.

Non si sfrutta una posizione di debolezza dell'avversario.  Si rifiuta l'intrigo, la manipolazione, la sorpresa.  L’atteggiamento benevolo risultante può incitarlo a fidarsi del Satyagrahi ed a muoversi verso la risoluzione.  [ esempio:  Gandhi ha considerato totalmente fuori dalla Satyagraha gli indiani in Sud Africa nel mese di gennaio del 1914 a causa dello sciopero dei ferrovieri della società European.  La segretaria del General Smuts disse a Gandhi:  “Non mi piace la vostra gente.    Ma che cosa devo fare?  Ci aiutate nei giorni di bisogno.  Non offendete anche il nemico.  Volete la vittoria con la sola auto-sofferenza e non trasgredite mai i limiti di cortesia e cavalleria da voi assunti volontariamente.  E questo ci riduce a pura impotenza.” ].  Il Satyagrahi non umilia ne confonde mai l'avversario;  non si appella mai al suo timore ma sempre al suo cuore.

La conversione dell'avversario è promossa dalla sincerità personale del Satyagrahi che è meglio manifestata facendo sacrifici per quella causa.  Il processo di conversione coinvolge parecchi punti:  ragionamento, persuasione ed appello morale con l’auto-sofferenza invece della violenza o della coercizione e se queste falliscono, si adotteranno varie strategie di non-cooperazione e disobbedienza civile.  Questo “lo costringerà almeno a capire da lui [ l'avversario ] quale riconoscimento gli darebbe dignità anziché umiliarlo”.

 

 

I concetti fondamentali della Satyagraha

Agra - Forte Rosso

(a) La Verità

Verità “in sanscrito significa SEDUTO. Seduto significa È.  - Dio è, nient’altro è.  Di conseguenza, più sinceri siamo, più vicini siamo a Dio”.  Si è un agente morale soltanto nella misura in cui si abbraccia la Verità.  Dio è la realtà che tutto pervade, l'essenza dell'unità dell'uomo, di tutti le vite, la Verità Assoluta:  “finché non ho realizzato questa Verità Assoluta, dovrò ritenere la verità relativa come la concepisco”. Così “la mente umana funziona in molti modi – quello che può essere la verità per qualcuno può essere falsità per un altro”.  Nessuno quindi “ha il diritto di costringere altri a comportarsi secondo il suo proprio punto di vista della verità”.

Le differenze dovrebbero essere raccordate con la disciplina e l’umiltà ed il conflitto risolto con la non-violenza e l’auto-sofferenza. La Satyagraha che è una ricerca della Verità, richiede l’ammissione pubblica degli errori:  “ingrandite le colline dei nostri errori in montagne e minimizzate le montagne degli errori altrui in colline.” E vivendo una vita di Verità:  “un amante della Verità non sembrerà mai diverso da quello che è.  I suoi pensieri, le sue parole e le sue azioni saranno armoniosi”.

 

(b) La non-violenza (Ahimsa)

L’Ahimsa è il mezzo, la Verità è il fine.  Se ci prendiamo cura dei mezzi prima o poi raggiungeremo il fine”.

La violenza chiama violenza.  La violenza e l'odio sono sempre collegati.  Non è possibile fare distinzioni fra violenza giustificata e ingiustificata.  In una situazione di conflitto, la violenza colpisce il peccatore piuttosto che il peccato.

Gandhi non ha mai potuto accettare la violenza come “forza di pulizia”.  Ha asserito che “gli individui o le nazioni, che esercitano la non-violenza, devono essere preparati a sacrificare tutto loro stessi tranne l’onore”.  Come corollario: “dove c’è soltanto una scelta fra vigliaccheria e violenza, raccomanderei la violenza”.

La pace è migliore della guerra perché lo scopo legittimo della guerra è una pace perfetta.  La guerra è “violenza reciproca” che alleva l'odio, la vendetta e l'amarezza un povero fondamento per una pace più grande.  La resistenza non-violenta porta a riaprire il problema e consente un nuovo accordo consono con la Verità.  Non lascia alcun rancore o frustrazione e realizza la pace più grande.

L’Ahimsa Gandhiana “non è semplicemente una condizione negativa di inoffensività ma è una condizione positiva d’amore, di fare del bene anche a chi fa del male.  Ma non significa aiutare il malvagio a perpetuare il torto o a tollerarlo con acquiescenza passiva.  La condizione attiva dell’Ahimsa vi richiede di resistere al malvagio”.  “Il primissimo passo della non-violenza è quello di coltivarla nel corso della vita quotidiana, fra noi stessi, con veridicità, umiltà, tolleranza, bontà e amore”.  La violenza agisce come un monologo, la non-violenza è un dialogo.

“La non-violenza non è mai un metodo di coercizione, è una conversione”. Tuttavia, le strade della non-cooperazione come il boicottaggio, lo sciopero ed il digiuno possono significare “una coercizione” morale implicita, un elemento irresistibile.  Gandhi, quindi, ha insistito sulla giustezza della causa, dei mezzi e “sull'amore” per l'avversario.

 

(c) L’auto-sofferenza creativa

“L'appello alla ragione è più diretto alla testa mentre la penetrazione del cuore viene dalla sofferenza.  Essa apre la comprensione interna dell'uomo”. Questa: “non significa sottomettersi umilmente alla volontà della malvagio, significa opporsi con tutta l’anima alla volontà del tiranno”.

“La sofferenza per un torto, in una persona è l'essenza della non-violenza ed è il sostituto scelto alla violenza fatta ad altri.  A lungo termine si riscontra in minori perdite di vite,” e sia il Satyagrahi che il suo avversario vengono trasformati.  Anche se la coscienza dell'avversario non è toccata, può ancora essere convertito indirettamente se la sofferenza sopportata muove l'opinione pubblica.

Anche se l’auto-sofferenza “è usata in una causa ingiusta, soffre solo la persona che la adotta.  Non fa soffrire gli altri per i suoi errori”. E segue una resistenza non-violenta.

Hall of Private Audience (*)

(d) La fede nella bontà umana

La base della Satyagraha è che l'avversario è aperto alla ragione, che abbia una coscienza e che la natura umana abbia un limite o che almeno plausibilmente “risponda a qualche azione nobile ed amichevole”.

“Ognuno di noi è una miscela di bene e di male”.  Quindi, all'avversario si dovrebbe dare lo stesso credito che il Satyagrahi da a se stesso.  “Anche se l'avversario si comporta per venti volte falsamente, il Satyagrahi è pronto a fidarsi di lui per la ventunesima volta, poiché possiede una fiducia implicita nella natura umana che è l'essenza stessa della sua dottrina religiosa”.  Credere nella bontà della natura umana nell’operato della ragione è l'atto di fede degli ottimisti.

 

(e) Mezzi e obiettivi

“Dicono che ‘i mezzi dopo tutto sono dei mezzi’. Direi, ‘i mezzi dopo tutto sono il tutto’.  Come i mezzi così i fini. Se uno si preoccupa dei mezzi, il fine  si prenderà cura di se stesso”.

“Ritengo che il nostro progresso verso l'obiettivo sia nella stessa proporzione con la purezza dei nostri mezzi.  Il metodo può sembrare lungo, forse troppo lungo, ma sono convinto che sia il più breve”.

Gandhi, affrontando tutta la critica, promosse una importante campagna di disobbedienza civile nel 1922 a causa  della violenza provocata ad alcuni Satyagrahi.

 

(f) Senza paura

Per Gandhi, il possesso delle armi era un segno di timore e di vigliaccheria.  I vigliacchi non possono mai avere una morale.  Una persona violenta potrebbe diventare qualche giorno non-violento, ma mai un vigliacco:  “La non-violenza e la codardia sono termini contraddittori”.  E la violenza “quando impiegata per auto-difesa o per sostenere un indifeso, è un atto di coraggio ben meglio di una sottomissione codarda”.

"Se vi ritenete umiliati, l'uso della forza sarebbe la conseguenza naturale se non siete vigliacchi.  Ma se avete assimilato lo spirito della non-violenza, non  avreste il sentore dell’umiliazione”.

Il coraggio nella Satyagraha “è una questione di cuore” e non di forza fisica.

 

 

Il ruolo dell’individuo nella Satyagraha

Madras - High Court (*)

Gandhi ha creduto che “alla fine fosse l'individuo a costituire l'unità (inteso come elemento minimo di fondo n.d.t.)”.  Ha creduto nella perfettibilità dell'individuo e nella sua capacità di avere effetto sulla società: “Il nostro ambiente diventa così come noi siamo”.  Ha dichiarato:  “un piccolo nucleo di spiriti risoluti, sorretti da una fede indiscutibile nella loro missione, può alterare il corso della storia”.  Ha visto il rapporto fra l'individuo e la società come una delle parti che determinano il tutto.

Tuttavia, nella tradizione sociologica, l'individuo è visto principalmente come modellato dalle forze sociali che agiscono su di lui, anche se alcuni sociologi accettano il rapporto specifico con la società come dialettico ed altri riconoscono il ruolo del carisma del singolo.  Per i marxisti, è l'esistenza sociale, che determina la coscienza dell'individuo.  Ma Marx ha detto, nella sua “Terza Tesi su Feuerbach” che “secondo la teoria del materialismo, gli uomini sono prodotti delle circostanze e dell’educazione - dimenticandosi che le circostanze sono cambiate precisamente dall'uomo“. Per Gandhi, lo sviluppo morale della società proviene da quello dell'individuo.  Ed uno dovrebbe rimanere leale alle istituzioni finché queste siano favorevoli allo sviluppo personale.  Dove lo impedissero è dovere dell'individuo “essere sleale verso di esse”.

 

La filosofia sociale di Gandhi ha compreso sia una società arricchita che libera ed integrata dagli individui.  Non solo la gente ha cambiato la società ma si è fatta parte attiva per accertarsi che fosse avvenuto.  All'interno della Satyagraha ha sperimentato ed esplorato che tanto i percorsi sociali quanto quelli individuali fossero coerenti con gli obiettivi ricercati.  Con lo SWARAJ (= auto-disciplina) gandhiano una volta che si smette di considerarsi schiavo, si cessa di esserlo.  Non cooperando con un sistema “diabolico”, uno comincia a riformare la società.  [ l'esempio migliore è costituito da Rosa Parks che si è rifiutata di cedere il suo posto in un autobus pubblico a Montgomery, negli U.S.A. ].

Forse la barriera reale ad una pratica efficace della Satyagraha consiste in una crescente concentrazione di forze in strutture sociali e politiche con conseguente relegazione dell'elemento individuale che è essenziale per l’iniziativa dei singoli e per l'esistenza morale.  Di conseguenza, ha ancora considerato che “un aumento del potere dello Stato incute un timore più grande perché, se da un lato minimizza lo sfruttamento, dall’altra fa un danno più grande all'umanità in quanto distrugge l’individualità che si trova alla radice di tutto il progresso”.

 

 

Psicologia della Satyagraha: esistenza dell’aggressione (la violenza)

L'aggressione, nella sua forma applicata di auto-asserzione, può riflettere il tentativo innato dell’uomo di ottenere la perfezione e lo sviluppo, ma nella sua forma più pura, capita generalmente che si trasformi in VIOLENZA.  Prese in questo senso, le teorie biologiche riguardo all’AGGRESSIONE rientrano in due categorie.  Per gli etologi, gli esseri umani, in quanto animali, sono “per istinto” aggressivi, causando ancor più massacri che gli animali.  L'invenzione delle armi sposta l'equilibrio aumentando potenziali uccisioni e le inibizioni sociali sono ulteriormente indebolite dalla capacità di uccidere a distanza.  Secondo Freud: “gli uomini non sono creature delicate che vogliono essere amati.  Sono, al contrario, le creature fra cui le dotazioni istintive devono essere considerate una parte potente dell’aggressività“. Per i behavioristi (abbiamo tradotto così il termine inglese in quanto fa riferimento a studiosi del behaviorismo che è una branca della psicologia che studia i comportamenti n.d.t.), i comportamenti aggressivi sono in gran parte imparati ed arbitrari e, quindi, uomini e società possono cambiare in conformità con il cambiamento d’immagine che sviluppano di se stessi.

Gandhi, tuttavia, crede fortemente nella sostanziale bontà e natura non-violenta dell’essere umano.  Altrimenti essi “si sarebbero auto-distrutti tanto tempo fa”.  La non-violenza che è il comportamento umano normale “non può essere annotata dalla Storia”.  Ci si forma una consuetudine alla non-violenza semplicemente non essendo violenti.  Gandhi ha detto:  “il mio ottimismo si fonda sul credere nelle possibilità infinite dell'individuo per sviluppare la non-violenza”.  Gli atteggiamenti umani sono la causa di gran lunga più determinante della violenza.  Per Gandhi:  “la natura dell'uomo non è essenzialmente la malvagità;  la natura brutale è stata conosciuta per cedere all'influenza dell’amore”. Una vista ottimista del potenziale umano è la base per il successo della Satyagraha.

Gandhi ha dato risalto al ruolo della formazione alla non-violenza nelle interazioni umane - cultura “di veridicità, tolleranza, umiltà, bontà e amore” - ancor più che alla violenza.

Gandhi si è reso conto che se la frustrazione è l'innesco principale dell’aggressione, allora il rimedio è vivere in modo da causare meno frustrazione nei nostri contatti.  La violenza potrebbe essere evitata se il comportamento del conflitto non minacciasse l’autostima dell'avversario: “la non-violenza consente la più completa protezione dell’auto-rispetto di ognuno nel senso dell’onore”.

 

 

Psicologia della Satyagraha: esistenza della volontà umana

Amber - Il mercato

La posizione determinista sostiene che tutti gli eventi seguono le leggi immutabili e, come tali, anche un atto della volontà è determinato dal carattere innato e dalle intenzioni dell'individuo.  Molti psicologi ritengono che le influenze inconsce motivino l'azione considerata al contrario libera.  Voltaire ha rilevato che la libertà c’è “quando posso fare quello che desidero fare” ma che “non posso contribuire a desiderare quello che desidero fare”.  Quindi, secondo i deterministi, l'uomo è un burattino, controllato dall’istinto o dal condizionamento.

Secondo la vista ‘causale’, le nostre qualità e caratteristiche innate sono le modalità con cui siamo trattati e la libertà di scelta è il modo con cui le viviamo.  Altri sostenitori del libero arbitrio affermano che la libera volontà dipende almeno parzialmente dal conoscere se stessi con analisi delle motivazioni. 

Gli individui hanno al loro interno il potere di sviluppare le loro abitudini o di superare le abitudini esistenti.  Sartre è arrivato fino al punto di sostenere che siamo liberi ma ha voluto negarlo senza disonestà.

Gandhi ha creduto che gli individui potessero cambiarsi con la forza della volontà.  Ancor più  con l’auto-sofferenza, la coscienza dei protagonisti potrebbe essere spinta al punto di realizzare la natura del loro comportamento e quindi di decidere coscientemente di cambiare.  Nel modello gandhiano, l'individuo, in una situazione di conflitto, non è congenitamente aggressivo ed ha la libertà della volontà per risolvere i conflitti in un modo non-violento.

Gandhi inoltre ha utilizzato lo strumento dei voti (leggasi anche fioretti n.d.t.) come aiuto alla volontà:  “il voto significa realmente una risoluta determinazione senza cui il progresso è impossibile”.

 

 

Il ruolo della pazienza nella Satyagraha

L’impazienza umana logora la Satyagraha, per aver voglia di una pratica più attiva e senza restrizione rispetto ad un soldato o ad un terrorista.  L’impazienza implica l'incapacità di tollerare attendendo e una convinzione che tutto il cambiamento atteso possa essere ottenuto rapidamente.  Il problema della totale impazienza è ancor più serio.  La pazienza è estremamente collegata con la non-violenza sia nelle tecniche che nei più grandi obiettivi della non-violenza.

La violenza cerca i risultati più rapidi e non di meno provoca comunemente situazioni che sembrano dei punti morti.  L'usuale abbondanza di attività contribuisce a determinare l'interesse ed il morale degli oppositori.  I metodi non-violenti, la non-cooperazione in particolare, hanno raramente un effetto rapido sugli avversari e molti di essi sono appena percepiti dai Satyagrahi.  In seconda istanza, la violenza offre distrazioni di uso complesso, nuove apparecchiature,  potere aggiunto ed interesse tecnologico in dispositivi scientifici.  In terzo luogo, nello scontro violento si può usare la forza selvaggia quando la pazienza si esaurisce.  La violenza mira a costringere, la non-violenza a convincere e convertirsi per un rapporto migliore e durevole basato sulla verità e sulla preoccupazione reciproca e quindi ha bisogno della pazienza e della comprensione per rispondere all'apatia.

India - Architetture (*)

La vera pazienza, significa forza d'animo, resistenza ed attesa, è un attributo eroico ma raro.  Questa qualità ha reso Gandhi il Satyagrahi più grande del nostro tempo.  Questa qualità può persino diminuire a causa del declino della fede religiosa, della ricerca della strada più veloce, dei rimedi ‘tecnologici’ ai problemi politici, sociali e personali ed alle soluzioni che sono per se stesse lente;  il non voler fare persiste nei corsi senza successo;  c’è confusione mentale in chi associa il passo lento con l’inefficienza e cerca obiettivi di breve durata e non durevoli.  Queste tendenze aggravano le difficoltà di applicazione dei metodi non-violenti per risolvere oggi giorno i problemi dell'essere umano.

La risposta si trova parzialmente nello sviluppare la disciplina sociale basata sull’auto-disciplina.  Ci vuole più tempo per creare un Satyagrahi che un soldato.  Ma anche la semplice disciplina sociale ugualmente non solleverebbe una comunità moderna ad un livello tale da poter sostenere iniziative non-violente di fronte alla frustrazione ed alle lunghe provocazioni alla violenza.  Il rimedio del Gandhi a questo si trova nel suo dictum per un certo tipo di programmi costruttivi e socialmente utili: “Non accompagnare con lo spirito di servizio, rasentare la prigione, invitare a bastonare e supportare le accuse, diventa una specie di violenza”.

Nelle iniziative che fanno partecipare tantissima gente e che puntano a comprensivi adattamenti di classi sociali o di rapporti sociali, sostegni morali per lunghi periodi di impasse, è impossibile operare senza un’organizzazione su vasta scala che miri ad un lavoro costruttivo.  Fornisce un'occupazione ideale di sostegno per la massa, sostiene il morale popolare offrendo progresso nell’iniziativa per compensarne la mancanza nella Satyagraha, fornisce ai Satyagrahi le occasioni per esercitarsi praticamente nella non-violenza in vista di prospettive socio-economiche più larghe.  Un tal programma avrebbe certo un immaginario rapporto con l'obiettivo di lotta, alleviando le difficoltà e diminuendo l’ingiustizia.

 

 

Etica della Satyagraha

La Satyagraha è un dialogo;  quindi è essenziale ascoltare gli altri, trattarli come persone ragionevoli e di ragionamento.

L'ultimo scopo della vita umana è la Verità o Moksha cioè auto-realizzazione o “elevare il suo potenziale umano”.  La violenza contro gli altri o se stessi nega l’auto-realizzazione;  inoltre, essendo l'umanità una sola, la violenza contro un altro è violenza contro se stessi.  La Satyagraha punta a cercare la verità in tutte le situazioni ed usa soltanto i mezzi non-violenti per raggiungere l'obiettivo.  Questo aumenta la probabilità di soluzioni ‘produttive’.

Per Gandhi l’individuo ha ‘scelta’.

Lo stile di vita del Satyagrahi è una vita degna di essere vissuta.  Riduce la probabilità di raggiungere la fase ‘di rimostranza‘.  È basata sull’umiltà con auto-rispetto, sulla pazienza e sulla tolleranza di fronte agli insulti.  Non minaccia gli avversari.  Insiste sul compromesso per tutti gli argomenti ma non sulle questioni di principio fondamentali.  Le iniziative di Satyagraha sono metodi ‘di lotta’ dove i conflitti hanno raggiunto la fase di rimostranza.

Nella Satyagraha, comunque, l’ideale può non essere mai raggiungibile, è irraggiungibile e “la soddisfazione risiede nello sforzo, non nel raggiungimento.  Lo sforzo completo è la vittoria completa”.

“È veramente nobile fare quello che è buono e giusto”.  “La moralità desiderata da Gandhi dovrebbe essere osservata come religione”.  L’etica di Gandhi non deriva dalla formula deduttiva "Fate agli altri come vorreste sia fatto a voi", ma dall'ingiunzione "Quello che fate agli altri, fatelo anche a voi stessi”.

Udiapur - Tempio Jain (*)

Un Satyagrahi non evita soltanto di causare il male, ma lo deve attivamente impedire e promuovere il bene.  Le idee morali ed utilitarie sono differenti:  “un seguace dell’Ahimsa non può sottoscrivere la formula utilitaria.  Tenterà di ottenere il più grande bene per tutti [ avversari compresi ] e morirà nel tentativo di realizzare l’ideale”.

“La vostra prontezza nel soffrire illuminerà la torcia della libertà che non può mai essere spenta”. Gandhi ha detto: “Questa libertà viene con la dignità di essere la propria persona, del far diventare un impegno il vivere moralmente, di procedere dritti in conformità ai dettami ignorando le pressioni”. 

La felicità nella metafisica di Gandhi è “un’illuminata realizzazione della dignità ed un grande desiderio di libertà per gli uomini che premia se stessa oltre la semplice ed egoistica soddisfazione delle comodità personali e materiali desiderati”.

Gandhi pone alti standard (da intendersi come livelli di capacità n.d.t.) per se stesso ed ha avuto fede nelle loro possibilità:  “sono un ottimista perché mi aspetto molte cose da me stesso.  Non le ho ottenute, lo so, perchè non sono ancora un essere perfetto. … In futuro tutta l'umanità sarà essenzialmente simile.  Quello che è quindi possibile per me, sarà possibile per tutti”.  Forse, Louis Fischer ha indicato con precisione l'essenza della grandezza di Gandhi quando ha detto che “risiede nel fare quello che tutti potrebbero fare ma che non fanno”.

 

 

 

3. Applicazione della Satyagraha

 

 

Gli stessi principi generali della Satyagraha si applicano in varie situazioni di conflitto per la loro risoluzione.  Tuttavia, ogni tipo di conflitto ha caratteristiche specifiche e quindi può anche richiedere un metodo ad esso più appropriato.  Le caratteristiche salienti dell'applicazione della Satyagraha nelle categorie differenti di conflitti sono riportate oltre.

 

Conflitti interpersonali

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La Satyagraha, in tali situazioni, dipende più dal grado con cui i suoi valori sono stati interiorizzati che non dall'adozione cosciente delle tattiche.  Ciò “presuppone un grande studio, una strenua perseveranza ed una  minuziosa pulizia di se stessi da tutte le impurità”. “Durante la vita, il credo della vostra vita deve essere un sermone vivente” e deve avere una vasta e variegata esperienza nel conflitto interno.  Per riconciliare il dovere di resistere alla malvagità con quello dell’Ahimsa, Gandhi ha raccomandato che “Ci si dovrebbe sforzare incessantemente di realizzare l’Ahimsa in ogni settore e nei momenti di crisi in un modo che sia il più naturale possibile per chi la intraprende”.

La non-violenza è basata sul fatto che nessuno è ingiusto e cattivo nei suoi occhi e quindi è ingiusto odiarlo.  Ci si può sbagliare.  Lo spirito di giustizia abita nel nostro avversario, una persona come noi, come in noi.

È nei rapporti personali che possiamo iniziare ad esercitarci nella non-violenza - “chi viene a mancare nella sfera domestica e cerca di applicarsi ad essa solo nella sfera politica e sociale non ci riuscirà” -  e a sostituire l'emozione profonda del TIMORE con la FIDUCIA.  Nella maggior parte dei conflitti entrambe le parti desiderano prevalere.  Questo è spesso sostenuto dal timore o dall’insicurezza.  Quindi, il non-violento non mira mai a nuocere all'avversario o ad imporgli una soluzione ma ad aiutare entrambe le parti a stabilire un rapporto più sicuro, più creativo e sincero.

 

I Satyagrahi non possono assumere atteggiamenti rigidi ma mentre sperano di vincere sull'avversario dovrebbero essere disposti a cambiare i loro propri atteggiamenti quando i problemi e le cause di fondo diventano più chiare.

Quando si manifestano conflitti tra le persone, a prescindere dai livelli di autorità delle parti, i modi usuali di risolvere questi problemi sono autoritari - le parti provano ad imporsi la loro volontà a vicenda - o permissivi - una delle parti cede.  Il primo può produrre rancore e ostilità nel perdente, richiede un’intensa applicazione, è necessario liberarsi dalla dipendenza e dalla sottomissione al timore e far sentire colpevole il vincitore.  Il secondo può far sentire colpevole ed impotente il perdente e provocare nel vincitore la mancanza di rispetto per il perdente.  In uno o nell’altro caso, quelli senza potere tendono a rispondere con la rappresaglia, la disonestà, la sottomissione, la regressione o ribellandosi.  Dove le parti hanno forze equilibrate l'impasse è il risultato normale.

Soltanto il metodo cooperativo della Satyagraha evita tali risultati negativi.  In esso, ci si preoccupa del proprio comportamento più che dell'avversario e si prova a comprendere il punto di vista dell'avversario.  Dove c’è scontro apparente di valori o di credo, uno deve essere il modello proprio dei valori e ci si proverà a trasformare per accettare sistemi di valore differenti.

È con successo nei conflitti tra persone che uno progredisce nella teoria e nella pratica della Satyagraha:  “sarà dalle piccole cose che sarete giudicati”.

 

 

Dispute legali: il sistema di riappacificazione con l’avversario

Il sistema legislativo è la soluzione istituzionale primaria per la risoluzione dei conflitti fra gli individui o i gruppi.  Preclude generalmente la dialettica di Gandhi tra le parti perché tende a “sanzionare” e non alla riconciliazione ed al compromesso quando tutta la conversione termina.  Una delle parti in conflitto rischia la perdita totale ed entrambi devono solitamente sostenere dei costi.  Diversamente la Satyagraha di Gandhi, basata sulla tradizione indiana, sollecita il dialogo, la mediazione ed il compromesso e non dà risalto ai disaccordi, alle vittorie ed alle sconfitte evidenti; l’approccio occidentale enfatizza il metodo della risoluzione “legale” dei conflitti implicando l'articolazione ed il confronto delle alternative/oppositori e la vittoria di uno sull'altro.

Le parti generalmente interagiscono attraverso avvocati professionisti.  Gandhi, egli stesso un avvocato, ha visto tali figure come mediatori piuttosto che protagonisti puri delle azioni giudiziarie.  Parlando del suo primo caso che lo impegnò in Sud Africa e che aiutò a risolvere fuori dal tribunale con un arbitro indipendente ed in tempi previsti per appianare i debiti contratti, ha detto:  “sono rimasto disgustato dalla professione.  Come avvocati, i consigli legali per entrambe le parti sono stati limitati a cercare cavilli legali a sostegno dei loro clienti.  -  la parte che vince non recupera mai tutti i costi - ho ritenuto che fosse mio dovere assistere entrambe le parti e metterli insieme”.  Si è dedicato alla sua pratica legale in modo singolare:  “mi sono reso conto che la funzione vera di un avvocato era quella di unire le parti invece che dividerle.  La lezione è così indelebilmente fissata in me che una grande parte del mio tempo durante i venti anni della mia pratica come avvocato è stata occupata nel determinare compromessi privati in centinaia di casi.  Non ho perso niente quindi, certamente non la mia anima”.

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Le corti sono mezzi per risolvere quei conflitti che ciò nonostante accadono ancora.  Nondimeno, dove le corti possono essere evitate dovrebbero esserlo, perché la soddisfazione di entrambe le parti non può venire da una sconfitta di uno di loro.  Soltanto gli antagonisti possono essere parti nella dialettica da cui la verità e la giustizia emergono.  Come Gandhi ha detto: “vero, gli uomini diventano più inumani e codardi quando fanno ricorso ai tribunali.  Certamente, la decisione di terzi non è sempre giusta. Nella nostra semplicità immaginiamo che uno sconosciuto, prendendo i nostri soldi, ci dia la giustizia”.

Le corti non possono essere uniformi facendo il loro lavoro secondo una percezione comune.  Quindi, in assenza di modi efficaci alternativi di risoluzione delle dispute, gli oppositori possono ricorrere alla violenza o evitarla ‘conciliandosi’. 

Inoltre, molte forme tradizionali di meccanismi di risoluzione delle dispute sono sparite dalla nostra società urbanizzata, per esempio, gli anziani più rispettati, i sacerdoti di fiducia, i capi del villaggio.  La proposta “di centri per la giustizia della comunità”, benché cerchino l’accomodamento piuttosto che la conversione, sono più vicini all’ideale Gandhiano.

Il caso di Satyagrahi chiamati in tribunale a causa della disobbedienza civile contro una legge è visto come mancanza immorale da altre categorie.  A causa della loro natura essenzialmente di adesione alla legge, i Satyagrahi, (disobbedienti civili) si presentano in generale, volontariamente all'arresto, non cercano la libertà provvisoria, evitano gli avvocati ed accettano volontariamente le conseguenze legalmente stabilite per una tale infrazione.  Il consiglio di Gandhi era:  “è auspicabile che la gente eviti la controversia.  … ma … che succede quando siamo trascinati … in tribunale?  Direte: “non difendersi”.  Se foste in torto, meritereste la sentenza …, se siete portati a torto in tribunale e siete giudicati colpevoli, lasciate che la vostra innocenza calmi l’immeritata sofferenza”.

In effetti Gandhi ha visto persino dei benefici nell'incarcerazione dovuta alla Satyagraha:  “la disciplina che acquisteranno in prigione aiuterà l'organizzazione non-violenta della gente all'esterno e li aiuterà a non aver paura”.  La sua dichiarazione in tribunale, nella sua famosa causa per “scrittura sediziosa”, nel mese di marzo del 1922 (la pagina relativa è presente in questo stesso sito n.d.t.) è diventata memorabile:  “non cooperare con il male è tanto un dovere quanto la cooperazione con il bene.  – La non-violenza implica la presentazione volontaria alla pena per la non-cooperazione con il male”.  Ha desiderato che i disobbedienti civili non facessero “distinzione fra un prigioniero ordinario e loro stessi”, ma al “disobbediente civile tali regole sono non soltanto seccanti ma anche dure da sopportare e sono umilianti e definite per degradare i non-cooperatori”.

 

 

Conflitti industriali

I conflitti all'interno dell’industria che spesso conducono a scioperi hanno fattori determinanti economici o sociali, per esempio stipendi, politiche di amministrazione, rapporti impiegato-datore di lavoro, sentore d'impotenza negli impiegati.  I conflitti industriali devono avere come loro risultato un modus vivendi continuato ed attuabile fra la direzione e gli impiegati.

Gandhi credeva che per evitare le dispute industriali: “il lavoro dovrebbe avere la stessa condizione e dignità del capitale”.  Gli impiegati, che sono co-proprietari nell'industria, "dovrebbero avere lo stesso accesso alle transazioni d’impresa come gli azionisti”.  Ha desiderato che gli operai fossero organizzati:  “quando il lavoro è abbastanza intelligente da organizzarsi ed impara ad agire come un uomo solo, avrà lo stesso peso dei soldi se non di più”. Una volta che questo succeda con i mezzi non-violenti della Satyagraha, “i proprietari” non porteranno i lavoratori allo sciopero ma li abbracceranno come soci.  Ma questo richiede pazienza, fermezza, disciplina, unità e fede nell'organizzazione.

Per i buoni rapporti, nessuna parte dovrebbe avere il potere di dominare.  Gandhi ha creduto moltissimo in questo, una tale dominazione poggia sull'acquiescenza dell’oppresso.

I Satyagrahi devono combattere quello che vedono fortemente come un’ingiustizia.  Gandhi stressò l’onestà di questo contesto:  “nella Satyagraha il più piccolo è anche il più grande e poichè il più piccolo è irriducibile, non c’è possibilità di ritirarsi e l'unico movimento plausibile è andare avanti”.  Ma la tecnica di Gandhi prevede anche la riconciliazione e lo spostamento della posizione così come cambia la percezione della verità.  I mediatori possono aiutare forzando le parti, compreso i Satyagrahi, per ottenere una più chiara realizzazione della verità.

Se tutto questo fallisse, Gandhi ha notato che “gli scioperi sono un diritto degli uomini ma devono essere considerati immediatamente un crimine se i capitalisti accettano il principio dell’arbitrato”.  Ma agli SCIOPERI (= non cooperazione non-violenta con i datori di lavoro) si può ricorrere solo dopo che tutti i mezzi legittimi di risoluzione della disputa - appelli morali alla coscienza dei datori di lavoro, offerta di arbitrato volontario ecc. - sono stati provati.  Gandhi ha avvertito:  “l’opinione pubblica non ha mezzi per giudicare i meriti di un sciopero, a meno che sia sostenuto da persone imparziali che godono la fiducia della stessa opinione pubblica”.

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Durante lo sciopero delle fabbriche del 1918 che Gandhi ha condotto, ha voluto le risposte alle seguenti domande per decidere se richiedere gli aumenti salariali: 

(a) Aumento salariale necessario per il lavoro per condurre una vita semplice ma soddisfacente?

(b) Possono le fabbriche dare questo aumento?  Se no quanto possono permettersi?

Ha stabilito i seguenti principi generali per il comportamento nelle dispute evidenti con le direzioni aziendali:

• Gli operai ed i loro capi (fra cui dovrebbe esserci una perfetta comprensione) non dovrebbero esagerare le richieste e devono essere pronti a correggere se convinti dall'avversario.

• Agli scioperi si dovrebbe far ricorso come ultima arma se la trattativa, la riconciliazione e l'arbitrato non hanno buon esito.  Durante lo sciopero, i lavoratori dovrebbero rimanere pronti per un accordo o per l'arbitrato.

• L’organizzazione dei lavoratori deve conservare un atteggiamento non-violento anche se provocata e non indurre gli impiegati in cattiva volontà.

• Gli scioperanti dovrebbero, al di là dell’auto-rispetto, non contare sull’elemosina, sui fondi pubblici o del sindacato ma trovare un lavoro alternativo disponibile per avere introiti alternativi.

• Gli scioperanti, come i Satyagrahi, non devono agire subito con azioni di forza o difficoltà.

• Gli scioperanti dovrebbero essere sinceri, coraggiosi, giusti, senza odio o malizia ed essere pronti al lavoro volontario con fede in Dio.

… la demoralizzazione individuale dei suoi leader, consente solo una Satyagraha specifica benché se ne veda la sua necessità e la si usi quando si presenta l'occasione.

Nel conflitto di gruppo, l'azione da intraprendere prima di adottare la Satyagraha, include l'analisi imparziale del conflitto e degli interessi essenziali comuni fra gli avversari, la definizione degli obiettivi ragionevoli di lungo periodo a cui gli avversari potrebbero aderire e la loro precisa comprensione da parte degli stessi e, nel caso che una parte rifiutasse di accettare gli obiettivi così definiti, un tentativo di compromesso accettando i cambiamenti non-essenziali.

Gandhi ha sostenuto che la Disobbedienza Civile può essere usata come tecnica per la riparazione dei torti portati localmente o portati alla coscienza o alla coscienza locale ma che comunque, non potrebbe mai essere usata in una causa generale, quale l’indipendenza.  Per la Disobbedienza Civile, “il problema deve essere definito, capace di essere capito chiaramente e all’interno del potere dell'avversario di recedere”. Per le cause o le iniziative non-violente generali e di grande portata, il programma costruttivo/attività si trasforma in un'arma chiave e forse tali iniziative non sono completamente non-violente a meno che non siano accompagnate da una certa attività costruttiva.  Il lavoro costruttivo è soltanto l'altro lato della Satyagraha totale ed è essenziale al suo comportamento.  La non-violenza, è creativa, può non esprimersi mai nella semplice resistenza.  Il Satyagrahi è almeno un riformista e potenzialmente un rivoluzionario che spinge ogni conflitto a servizio dell’umanità.

In iniziative contro la guerra o l'armamento nucleare, il lavoro costruttivo ha potuto prendere la forma di formazione dell'opinione pubblica e di formazione di quadri direttivi per il movimento.

Gandhi ha visto che tutti i tipi di oppressione o sfruttamento - politico, economico, razziale o sessuale - poggiano in larga misura sull'acquiescenza dello sfruttato.  Per esempio, “lo sfruttamento dei poveri può essere fermato non eliminando alcuni milionari ma rimuovendo l'ignoranza dei poveri ed insegnando loro a non cooperare con gli sfruttatori”.

La teoria di Gandhi dell’amministrazione fiduciaria (abbiamo tradotto così il termine inglese “trusteeship” usato da Gandhi; si veda anche la filosofia di Gandhi contenuta in questo sito n.d.t.) è un altro elemento importante del suo punto di vista nel senso che i conflitti sociali dovrebbero essere risolti:  dobbiamo cercare di “distruggere il capitalismo, non il capitalista”, cioè, convertire e non costringere. L’amministrazione fiduciaria dipende dalla realizzazione di un’unica umanità e nel credere nella precisione morale del non-possesso e della povertà volontaria e, quindi, può essere piuttosto difficile ottenerla attraverso una società consumistica industrializzata.  Ma non ci sarebbe altro modo di sviluppare un ordine sociale non-violento.  Se i ricchi rifiutassero di diventare “amministratori” dei poveri Gandhi appoggerebbe la non-cooperazione non-violenta e la  disobbedienza civile come “la giusta ed infallibile” soluzione.  “I ricchi non possono accumulare  ricchezze senza la cooperazione dei poveri della società”.  E, “nessuno è indotto a cooperare con la  propria rovina o schiavitù”.  Naturalmente, Gandhi ha visto la difficoltà di rendere l’amministrazione fiduciaria una realtà pratica:  “aderisco alla mia dottrina dell’amministrazione fiduciaria nonostante il ridicolo che è stato versato su di essa.  È vero che è difficile da raggiungere.  Così è la non-violenza”.

 

 

La Satyagraha contro lo Stato: La disobbedienza civile

In campo politico, le lotte sociali non-violente sono costituite generalmente “dalla malvagità” avversaria sotto forma di leggi ingiuste, ovvero, la Satyagraha assume la forma della disobbedienza civile (o di resistenza).  Gandhi ha creduto che l’apparente non rispetto di una legge non fosse realmente così a condizione che:

(a) Venga seguita una legge più alta della coscienza

(b) Non si osservi la legge in modo non-violento

(c) il trasgressore è preparato a pagare felicemente la pena completa per la violazione.

Gandhi ha dato risalto a che la disobbedienza fosse “civile”: “deve essere sincera, rispettosa, trattenuta, mai ribelle, deve essere basata su qualche principio ben appreso, non deve essere un capriccio e soprattutto non deve contenere cattiva volontà o odio”.

Inoltre: “un Satyagrahi esaurisce tutti gli altri mezzi prima di ricorrere alla Satyagraha”.  Rimane pronto per le trattative, che possono, tuttavia, non aver mai luogo a prescindere dagli errori del Satyagrahi.  La volontà allora “fa appello all'opinione pubblica, istruisce l'opinione pubblica, indica il suo caso tranquillamente e freddamente prima che qualcuno voglia ascoltarlo”.  E soltanto allora ricorre alla Satyagraha.  La pressione morale e l'opinione pubblica aprono la strada per una possibile conversione.

India - Architetture (*)

Gandhi ha creduto nell'autorità dello Stato in una società democratica.  Qui, la disobbedienza civile diventa Satyagraha soltanto se effettuata apertamente.  Si ha il dovere di obbedire alle leggi tranne a quelle che sono contrarie alla coscienza o causano un ben definito danno al benessere della gente:  “è soltanto quando una persona ha obbedito così scrupolosamente le leggi della società che è in condizione di giudicare quanto e quali regole particolari sono buone e quali sono ingiuste ed inique”.  Ed ancora: “la disobbedienza civile non è una condizione di assenza di legge ma presuppone uno spirito di adesione alla legge unito ad un'auto-limitazione”.

Con la Satyagraha, si dovrebbe puntare al cambiamento di leggi inaccettabili con la conversione della maggior parte della gente e dei legislatori.  Lo Stato ha anche correttamente atteso le sue leggi prima di punire i disobbedienti civili.  Ogni legge dà due alternative al soggetto - obbedire alla legge in se (sanzione “primaria”) o accettare il decreto della pena (sanzione “secondaria”).  Quindi, Gandhi ha detto:  “la disobbedienza civile è la forma più pura di agitazione costituzionale”.  Ovviamente, la disobbedienza “criminale” non ha posto nella Satyagraha”.

In uno stato democratico si può far ricorso soltanto alla disobbedienza civile “difensiva” – “disobbedienza civile involontaria, riluttante o non-violenta di tali leggi che sono in se stesse cattive ed a cui l’obbedienza sarebbe contraddittoria con il proprio auto-rispetto o con la dignità umana” – Là dove lo Stato sia corrotto, repressivo o dominato da una potenza imperialista si può far ricorso “alla disobbedienza civile aggressiva, assertiva o offensiva”, cioè, “alla disobbedienza non-violenta e ostinata delle leggi dello stato, il cui non rispetto non implica turpitudine morale e che è intrapresa come sommossa contro lo stato”.

Riassumendo, i passi successivi in un disobbedienza civile Satyagraha possono essere:  trattativa, arbitrato ed esaurimento di tutti i canali stabiliti, preparazione per l’azione di gruppo, agitazione quale propaganda, marcia, ecc., un ultimatum all'avversario se non è raggiunto nessun accordo, boicottaggio economico e scioperi, non cooperazione, mancato pagamento delle tasse, boicottaggio delle istituzioni pubbliche, disobbedienza civile, usurpazione delle funzioni del governo e governo parallelo.

 

 

 

Conflitti internazionali

Rispetto alla II guerra mondiale, Gandhi ha detto:  “mentre tutta la violenza è cattiva e deve essere condannata in astratto, è ammissibile per un seguace dell’Aimsa, ed è persino un suo dovere, distinguersi dalle parti  … parteggiando per chi si difende in modo non-violento”.  Perché: “la difesa [ violenta ] deve ricorrere tutte le cose dannabili che il nemico fa e con maggior vigore se vuole riuscire”.  Un Satyagrahi “combatte” scendendo “in una guerra senza armi”, puntando alla conversione dell'avversario.

La moderna tecnologia di guerra, specialmente con le armi nucleari, tende a dare il concetto “di difesa obsoleta”.  L'unico rimedio è eliminare la fonte dei conflitti che condurrebbero una nazione all'uso delle armi.  Questo metodo conta sulla conciliazione, sui passi unilaterali verso il disarmo e su una politica estera di verità-ricerca sostenuta con la “difesa civile” in caso di invasione.

Gandhi ha visto che per un mondo meno armato “una certa nazione dovrà disarmarsi ed assumersi grandi rischi”. Nella condizione politica attuale, il disarmo unilaterale completo, l’ideale di Gandhi, non può essere praticato ma un'iniziativa  “graduata e di scambio” potrebbe dare un inizio produttivo.

Poiché gli armamenti sono controllati in gran parte da fattori economici, Gandhi ha detto:  “il disarmo reale non può venire a meno che le nazioni del mondo cessino di sfruttarsi l’un l’altra”.  La società ideale di Gandhi mirerebbe a risolvere i conflitti internazionali aiutando i relativi vicini ad attenuare i loro problemi economici e provando a stabilire un clima amichevole con loro.  Non sfrutterebbe un’altra nazione.  La definizione di Gandhi di sfruttamento comprende la concezione per cui se si esige “più del minimo realmente necessario, si è colpevoli di furto”.  Se il semplice aiuto non è sufficiente, dobbiamo invitare i nostri vicini “a dividere le nostre risorse”.

La difesa civile concede di assumere la direzione fisica del paese (benché Gandhi non si sia opposto all'idea “di una parete vivente”al confine per arrestare l'esercito d'invasione) che si sostituisca alla lotta politica per via della guerra aggressiva.  L’aggressore diventa l’analogo di un tiranno domestico ed la disobbedienza civile e la non-cooperazione si trasformano in metodi di lotta.

Jaipur - Hawa Mahal

Gandhi ha chiarito “che uno stato può essere amministrato su una base non-violenta solo se la grande maggioranza della gente è non-violenta”.  Se una società non-violenta fosse attaccata, secondo Gandhi avrebbe due opzioni: “cedere all’usurpazione ma non cooperare con l’aggressore – e, secondo - resistenza non-violenta dalla gente che è stata addestrata in senso non-violento.  Si offrirebbe come bersaglio per il cannone dell’aggressore”.  La seconda opzione potrebbe essere efficace soltanto se intrapresa da una comunità di veri Satyagrahi che “deponendo le loro armi si sentano coraggiosi e battaglieri”.  Ed inoltre “è questa auto-sofferenza disgregata la forma più vera di auto-difesa che non conosce resa”.  L’aggressore capirebbe subito “che punire l'altra parte non avrebbe senso e che la sua volontà non potrebbe essere imposta in quel modo”.

Ha dichiarato:  “se non c’è il pericolo di essere uccisi da coloro che uccidete, non potete continuare ad uccidere all’infinito gente indifesa e che non protesta.  Dovete mettere giù le vostre armi per auto-disgusto”.

Rispondendo ai suoi critici, Gandhi ha detto:  “ognuno sembra cominciare con il presupposto che il metodo non-violento induca in errore a meno che non viva per goderne il successo” ma questo non è detto della guerra.  “nella Satyagraha più che negli affari di guerra, si può dire che troviamo la vita perdendola”.

N.K.Bose, segretaria di Gandhi nel periodo 1946-47, aveva descritto così il metodo Gandhiano relativo al caso di invasione di una nazione.  In primo luogo, una fascia di Satyagrahi (l'esercito della pace) affronta e dice agli aggressori quanto sbagliata sia la loro azione.  Possono persino morire nel processo.  Se il nemico muove per occupare la terra, nessuna bruciacchiata politica della terra può essere seguita.  Ma “i resistenti della non-violenza rifiuterebbero qualsiasi aiuto, persino l’acqua.  Per essi non costituisce un loro dovere aiutare chiunque a derubare il proprio paese”.  Inoltre viene applicata la forza piena della non-cooperazione.  Se la non-cooperazione non coinvolgesse tutti completamente, la macchina amministrativa dovrebbe cessare di funzionare ed i rappresentanti della gente potrebbero fare il proprio ingresso (sulla scena congiunturale n.d.t.).

La natura essenziale della guerra è l’uccisione.  Gandhi ricorda a tutti che la guerra “demoralizza coloro che sono addestrati ad essa.  Brutalizza la natura sensibile degli uomini”.  Anche se i non-violenti di un paese rimangono “una minoranza disperata” e non possono liberare le masse dalla guerra, devono "vivere la non-violenza in tutta la sua totalità e rifiutare di partecipare alla guerra”.  Gandhi ha desiderato che l'individuo svolgesse un ruolo su due livelli.  In primo luogo, non cooperando attivamente con lo stato che  fa la guerra, che sia il proprio o un aggressore esterno:  “rifiutare semplicemente il servizio militare non è abbastanza.  - coloro che non sono sul registro di leva partecipano ugualmente al crimine se sostengono lo stato in qualche altro modo”.  In secondo luogo, gli irriducibili Satyagrahi dovrebbero guidare le masse in modo che “anche la gente comune cominci infine a considerare interiormente la non-violenza come una fede”.

Come Horsburgh ha detto, benchè “i successi della non-violenza in India debbano tanto alla grandezza morale di Gandhi ed alle tecniche della Satyagraha, il giusto metodo, se persiste interiormente, può fare molto per produrre l'uomo giusto”.  Come Gandhi ha detto, addestrare per la violenza non ha mai potuto fare lo stess

 

 

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