Chicago - Twentyfive or six to four

La tradizione della non-violenza e le forze sottostanti

 

di Wiliam Stuart Nelson

 

Old Delhi - Il forte (*) Nota: I numeri tra parentesi () costituiscono il riferimento alle fonti bibliografiche riportate in fondo alla pagina.

Fra il 2000 ed il 1000 A.C., quando i Greci erano nomadi tranquilli, sono comparse in India le più vecchie scritture religiose nella storia.  Erano i Vedas (una raccolta di sacre scritture Indù organizzate in quattro libri n.d.t.) in cui troviamo, quello che è stato descritto come “i primi prodotti della mente umana, il bagliore della poesia, l’entusiasmo della bontà della natura e della misteriosità”. (1)

Subito dopo i Vedas sono venuti il ritualistico Brahmanas, le leggi Manu ed il filosofico Upanisads.  Quindi apparvero le due grandi epiche popolari, il Mahabharata ed il Ramayana e, come parte del primo, il Bhagavad-Gita denominato da Wilhelm von Humboldt “il più bello, forse l’unica vera canzone filosofica che esiste in tutta la lingua conosciuta”. (2)

All’inizio l’idea della non-violenza era presente in mezzo a preghiere, speculazione filosofica, comandamenti, poesia ed epiche.  Nella Bhagavad-Gita l’ahimsa o la non-violenza è una virtù etica superiore:

Non prevedo niente di buono

Dall’uccidere il mio proprio simile in guerra.

Anche se mi uccidono mi auguro di non colpirli

Come possiamo essere felici, avendo ucciso il nostro proprio simile

Sebbene essi, con cuori colmi di avarizia,

Non vedono il male che verrà. (3)

Le leggi di Manu prescrivono che chi vuole insegnare agli altri per il loro bene, deve essere guidato dall’ahimsa ed usare discorsi dolci e delicati verso loro.  Dal Mahabharata viene la massima secondo cui la non-violenza è la religione o il dovere più grande.

Non soltanto la non-violenza è una delle virtù cardinali dell’Induismo e la sua generale prospettiva cosmica, ci sono anche presenti in esso quelle altre qualità dello spirito umano che sono inseparabili dalla non-violenza.  Così Mahabharata ammonisce dall’astenersi dal ferire tutte le creature col pensiero, la parola e l’atto e la bontà ed la generosità sono considerate le funzioni permanenti del bene.  Le leggi del Manu incoraggiano:  “lasciate che ascolti pazientemente parole dure.  Che non insulti nessuno.  Che non mostri rivalsa contro un uomo arrabbiato.  Che benedica quando è maledetto”. (4)

Durante queste migliaia di anni nelle scritture troviamo la sofferenza volontaria e la resa dei propri averi a Dio, scoprendo che entrambi si accompagnano invariabilmente alla non-violenza genuina. L’Induismo antico ha seguito il corso della maggior parte delle religioni lasciando negli anni pura adorazione, poesia, comprensione filosofica ed etica deteriorati in culto inflessibile, altre cose di questo mondo ed in un ordine sociale gerarchico oltremodo rigido.

La grande riforma è venuta con Gautam Buddha, cinquecento anni prima di Cristo, che ha fornito al mondo un primo personale e straordinariamente grande esempio di impegno totale al modo di vivere non-violento. Allontanandosi dal ritualismo della religione Vedic ha attaccato le superstizioni, i cerimoniali e le furbizie dei preti di una religione popolare ed i loro interessi acquisiti, la metafisica e la teologia, i miracoli e le rivelazioni ed ogni cosa connessa al soprannaturale.  Ha fatto appello alla ragione ed all’esperienza.  Ha dato risalto all’etica.  Così descrivendo la riforma buddista, Nehru dice dello stesso Budda:  “il suo intero metodo viene come un alito di vento fresco dalle montagne dopo l’aria stantia delle speculazioni". (5)

Che valore si accresce dalla violenza?  La risposta del Buddismo è, "... gli odi non sono estinti dall’odio.  Ma piuttosto ... gli odi sono estinti dall’amore”. (6) E la vittoria è sempre determinante nel coltivare l’odio in quanto i conquistati sono naturalmente infelici. Il discorso degli uomini deve seguire la stessa regola, usare un linguaggio duro per coloro che hanno commesso un peccato è spargere sale sulla ferita dell’errore.

Budda pensò:

Un fratello non dovrebbe intenzionalmente

Distruggere la vita di un altro essere.(7)

Non per la nostra vita dovremmo mai intenzionalmente

Uccidere un essere vivente. (8)

Un cercatore della verità che pone da parte randello e spada,

Vive una vita di innocenza e di grazia …

Guarisce le divisioni e cementa l’amicizia; …

Nella pace risiede la sua delizia … (9)

Ho parlato dell’impegno totale di Budda verso il modo di vivere non-violento.  Un tale impegno deve includere una preoccupazione profonda per il benessere di tutti.  Questo in effetti era una passione per Budda.  Ha predicato ai suoi discepoli:  “andate in tutte le terre e predicate questo vangelo.  Dite loro che il piccolo e l’umile, il ricco ed il potente, sono tutti uno e che tutte le caste si uniscano in questa religione come i fiumi nel mare.” (10) Vivere per il bene e la felicità delle grandi moltitudini, fuori dalla commiserazione del mondo, per il bene, il guadagno e la ricchezza degli uomini. (11)

Per Budda, gli esuli non erano della specie tradizionale.  Ha detto:

L’uomo affamato che porta odio,

Che danneggia gli essere viventi, che parla con falsità,

Che esalta se stesso e disprezza gli altri,

Lasciate che venga riconosciuto come un esule. (12)

L’impegno alla non-violenza implica anche auto-disciplina e auto-rinuncia.  Budda ha rifiutato l’ascetismo estremo ed ha scelto piuttosto la via di mezzo fra auto-indulgenza e auto-mortificazione accoppiati con una rigida auto-disciplina.  “neppure un dio”, egli disse, “... potrebbe cambiare in sconfitta la vittoria di un uomo che si ha conquistato se stesso e vive sempre in restrizioni”. (13)

Avendo fatto sessanta discepoli, li ha mandati sulla loro strada, con questo messaggio”andate ora senza la pietà del mondo, per il benessere di dei e uomini.  Non andate in due per la stessa strada.  Predicate la dottrina che è gloriosa.  Proclamate una consumata, perfetta e pura vita di santità.” (14)

Se Budda non sollecitò l’auto-mortificazione, ha messo in guardia contro l’egoismo.  Ha insegnato:  “la gente si addolora per l’egoismo;  le cure perpetue lo uccidono”; (15) e

L’uomo che possiede molte proprietà

Che ha oro e cibo,

E ancora gode delle sue dolci cose

Saranno queste le cause della perdita. (16)

Successivamente il Buddismo in molti casi è stato apostolo degli insegnamenti del suo fondatore ma partendo dall’India, dopo più di mille anni, ha lasciato un contrassegno ineffabile sulla vita ed il pensiero di questo paese.

In India quando gli uomini parlano delle due o tre figure supreme del loro passato, il re Asoka è sempre fra loro.  È stato chiamato l’Adorato degli Dei ed il suo regno e descritto da uno storico indiano come “uno degli intervalli più luminosi nella storia perturbata dell’umanità". (17)

 

Re Asoka ed il Buddismo

Asoka, modello di dolcezza, è succeduto al trono di suo padre nel 268 A.C.  quando i Romani facevano rivivere lo sport Etrusco di far combattere a morte gli schiavi tra di loro e solo alcuni anni prima che i primi giochi gladiatori fossero tenuti in quella città.  Il suo regno era vasto, comprendeva tutta l’India attuale tranne la parte più a sud ed i grandi territori oltre il nord.  Fu un conquistatore fino alla sua conversione.  Di questa conversione Asoka stesso ci dice.  Addolorato dalla sofferenza sopportata in una delle sue grandi vittorie, che coinvolse la deportazione di 150.000 persone, l’uccisione di 100.000 e la morte di molte altre migliaia di persone, decise per il perdono e la conciliazione ove possibile e fu incoraggiato dai suoi antenati a non cercare nuove vittorie e, se fossero venuti per conquistare con le armi, ad aver piacere con pazienza e gentilezza nel considerare l’unica conquista vera quella vinta con la pietà. 

Barsana - Latthmaar Holi

Anche se non ha rinunciato all’uso della forza non ha intrapreso volontariamente una guerra che conducesse  ad un grande indebolimento del suo regno. La conversione di Asoka fu una conversione dalla legge della conquista alla Legge della Pietà.  In che cosa consisteva allora la Legge della Pietà?  Era la legge delle buone azioni, della compassione, della liberalità, veridicità e purezza.  E così, durante il suo lungo regno, ordinò di piantare gli alberi banyan (Ficus benghalensis -  tipico albero tropicale indiano piantato per ornamento e ombra n.d.t.) per fornire ombra sia agli uomini che alle bestie, lo scavo di pozzi, la costruzione di strutture irrigue e case di riposo.  Non ha intravisto l’eliminazione della pena di morte ma promulgò nuove regole - nuove allora e nuove ancora oggi in alcuni posti – secondo cui i condannati avevano tre giorni di tempo per ricevere la visita dei loro parenti e meditare con loro.  Gli animali non sono stati dimenticati. Per loro furono eretti ospedali, i sacrifici animali furono proibiti e disposti  limiti alla macellazione degli animali per uso alimentare, dando così impulso ad una pratica vegetariana.  Fu abolita la caccia.  Asoka non espresse fede in Dio ed ebbe poco entusiasmo per i cerimoniali.  Si lamentò per la futilità, per le cerimonie femminili senza valore durante le nozze, per la nascita dei bambini e per le partenze per i viaggi dichiarando che solo il cerimoniale della pietà portava grandi frutti.  Questo cerimoniale, disse, include un trattamento adeguato degli schiavi e dei servi, fa onore agli insegnanti, gentilezza verso le creature viventi e liberalità verso gli asceti ed i Brahman (sacerdoti del Brahmanas n.d.t.). Deve essere ricordato che Asoka era buddista e si dice che i suoi missionari siano andati dalla sua corte fin verso l’estremo ovest ad Alessandria.  Era un tollerante.  Parlando del rispetto (nel senso di osservanza religiosa n.d.t.) ha detto: “... la sua radice è contenuta nel discorso per arguire che un uomo non deve adorare la sua propria setta o denigrare quella di un altro uomo senza motivo ...  perché le sette altrui meritano tutte il rispetto per un motivo o per un altro ...  Nel comportarsi diversamente, un uomo danneggia la sua propria setta e danneggia le sette di altra gente”. (18) Questo era re Asoka del terzo secolo A.C. di cui H. G. Wells ha scritto:  “per otto dei venti anni del suo regno Asoka ha lavorato sensatamente per i bisogni reali degli uomini.  Tra le decine di migliaia dei nomi di monarchi che affollano le pagine della storia ... il nome di Asoka brilla e brilla quasi da solo, una stella.  Dal Volga al Giappone il suo nome è ancora onorato.  La Cina, il Tibet e perfino l’India, benché abbia abbandonato la sua dottrina, preservano la tradizione della sua grandezza.  Molti più uomini hanno oggi cara la sua memoria di quanti abbiano mai sentito i nomi di Costantino o di Carlo Magno”. (19)

 

Jainismo e Buddismo – Similitudini

Conviene ricordare, nella discussione sul Jainismo, che Mahavira, il suo fondatore, era un contemporaneo di Budda, che Jainismo e Buddismo si sono sviluppati parallelamente in India nel sesto secolo A.C. e che mostrano somiglianze importanti.  Come era vero con il Buddismo, anche il Jainismo si è allontanato dalla religione di Vedic.  Nessuna delle due religioni si preoccupa dei primordi ed in entrambe l’enfasi è fortemente etica piuttosto che trascendentale. (il motivo di questo è insito nel fatto che il Jainismo crede nell’immortalità e nella trasmigrazione dell’anima negando l’esistenza di un essere supremo n.d.t.).

L’allontanamento del Jainismo dal Buddismo in pratica era in gran parte un aspetto intellettuale.  L’auto-disciplina nel Jainismo è stato portato al limite estremo. Gandhi trascorse i primi anni nel Goudjerate, nell’India occidentale, in cui il Jainismo era molto forte e lui e la sua famiglia ne furono pesantemente influenzati. La penitenza di fine anno è descritta come la caratteristica etica forse più fine del Jainismo in cui i Jaini (i seguaci), comprendendo sia i monaci che i laici, “pensano di confessare i loro peccati, pagare i loro debiti e chiedere perdono al loro prossimo per tutte le offese, sia intenzionali che involontarie”. (20) Come nel Buddismo, il Jainismo rivela una preoccupazione sociale forte, la differenza è in gran parte nella motivazione.  Nel Buddismo, l’uscita dal cerchio della sofferenza era almeno il motivo originale.  La carità nel Jainismo è buona per l’anima che è messa in grado di rompere i legami con la materia.  Quindi, spesso, non è per amore degli altri ma per amore della propria anima che i buoni propositi dovrebbero essere realizzati.  Successivamente il Jainismo ha rivelato un calore ed un’umanità più grandi. Quanto a certi aspetti più facilmente identificabili della non-violenza, il Jainismo era l’esponente più vivo di tutte le religioni dell’India.  Si legge:

Tutti gli esseri detestano soffrire.

Quindi non si dovrebbero uccidere.

Questa è la quintessenza della saggezza,

Non uccidere ogni cosa.

Questa dottrina ha condotto alle pratiche più straordinarie, compreso una varietà di percorsi così come ognuno ha preferito intraprendere e l’uso di bende sopra la bocca per evitare l’uccisione accidentale di qualche creatura.  Inoltre, nella visione dello Jain, una buona rinascita o salvezza non può essere realizzata con la violenza contro la terra o l’acqua, in quanto molte anime vivono nell’acqua e molte creature vivono sulla terra. Anche se all’Ahimsa è stato dato risalto come alla virtù più grande nei rapporti personali, fu considerata dai Jain, e dalla maggior parte dei indiani, una cosa legittima ed il militarismo non fu osteggiato decisamente.  L’astuzia pratica nel pensare dei Jain si è rivelata nella seguente osservazione:  “la forza delle armi non può fare quello che fa la pace.  Se potete ottenere il vostro obiettivo con lo zucchero, perché usate il veleno?”. (22)

 

Gesù – un profeta della Non-violenza

Velankanni - Croce indiana

Il sermone della montagna (le beatitudini n.d.t.), disse Gandhi, “è andato diritto al mio cuore”, (23) e trasse piacere dai versi che cominciano:  “ma io dico a voi, che non sapete resistere al male:  a chiunque vi colpisca su una  guancia mostrate  anche l’altra”. (24) Gandhi non è stato interessato dall’esegesi di quello che ha letto, dalla massa di brani secondari delle Sacre Scritture, o dal difendere le sue interpretazioni da quelle contrarie.  Quello che ha letto è andato diritto al suo cuore e tanto basta.  I motivi di questo sono chiari.  Quello che ha letto ha confermato le sue comprensioni più profonde.  Chi crede nella non-violenza, tuttavia, troverà numerose difese dell’interpretazione di Gesù quale profeta della vita non-violenta.  Se l’episodio di Gesù che scaccia i cambia monete fuori dal tempio con “la frusta” lo ha turbato, imparerà che il verbo usato per “dirigere fuori” o “lanciare via” è lo stesso di quello impiegato per descrivere il licenziamento di un lebbroso guarito e l’invito ai lavoratori a fare il raccolto (ritengo che qui l’autore possa fare riferimento a quanto riportato da Matteo 8,2 e 9,37 e simili n.d.t.).  Troverà sostegno in un erudito che scrisse che l’essenza di quello che Gesù ha insegnato è distillato “nella regola d’oro” e cristallizzato nei due grandi comandamenti “di amore completo verso Dio” ed “amore inesauribile verso il prossimo”.  La sua benedizione è per i costruttori di pace.  Ha ritenuto che la sofferenza fosse più vicina al suo proprio spirito piuttosto che l’afflizione, anche quando la sofferenza è immeritata.  Anziché ricercare la vendetta, invita i suoi discepoli ad amare i loro nemici e a pregare per coloro che li perseguitano ... Ed infine la sua accettazione della Croce era la somma di tutte le azioni che aveva insegnato con la parola”.

Un secondo erudito del Nuovo Testamento aggiunge che “l’insegnamento etico di Gesù, secondo un’esegesi naturale e semplice, è ovviamente ed in flagrante incompatibilità con il massacro intenzionale ed organizzato e quindi con la guerra”.  (26) Le vite e le convinzioni dei primi cristiani inoltre forniscono la convinzione se non la prova conclusiva che la natura intrinseca della vita e degli insegnamenti di Gesù sono la testimonianza convincente contro la violenza e la partecipazione alla violenza.  Per più di due secoli i Cristiani si sono opposti alla guerra con preponderanza, rifiutando di giustificarla e di prendervi parte.  Un ordine ecclesiale del terzo secolo ha chiesto ai soldati di disertare la chiamata alle armi prima del battesimo e scomunicò i Cristiani che avevano fatto parte dell’esercito.  Circa 150 anni dopo Cristo, Marco Aurelio Antonio, incalzato dal nemico, supplicò i Cristiani di unirsi alle sue forze e poi li minacciò per essersi rifiutati “per la Causa ed il Nome del loro Dio, che portavano nelle loro Coscienze”. (27) La risposta di Martin a Julian l’apostata  300 anni dopo Cristo, era, “io sono un soldato di Cristo, quindi non posso combattere”. (28) Poi seguì la grande tragedia della Chiesa Cristiana sposata a Roma.  Cadoux dice del grande cambiamento:  “Permettendo una piccola esagerazione, è vero parlando in generale” che “la Chiesa nell’insieme ha rinunciato definitivamente alle sue inclinazioni anti-militari, ha abbandonati tutti i suoi scrupoli, ed infine ha adottato il punto di vista imperiale trattando il problema etico come una questione circoscritta”. (29)

Ai tempi della riforma protestante abbiamo visto ripetere un modello storico già noto  rivolto contro autorità religiose da tempo consolidate e pratiche religiose, accompagnate da una vigorosa asserzione o da una riaffermazione del temperamento non-violento.  Così sono venuti John Hus ed i Moravian, i Mennonite e i Schwenkfelder e successivamente George Fox ed i Quaccheri.  I Quaccheri ci sono ben noti e sono conosciuti non soltanto per la loro costante testimonianza contro la guerra ma anche per il loro impegno ad un modo di vivere totale che è l’invariabile unisono della non-violenza più genuina. Qualunque deviazione dalla strada non-violenta può esserci stata fra specifici Quaccheri, la memoria testimonia che “nessun corpo regolarmente costituito della Società degli Amici ha mai reso una dichiarazione contraria alla posizione rigorosa di pacifista”. (30) Quando Howard Brinton (31) descrive il metodo della non-violenza nella sua società, include la testimonianza e l’azione dei Quaccheri contro gli orrori della vita di prigione nel diciassettesimo secolo che hanno sottoposto questi stessi Cristiani Protestanti ad una sofferenza crudele  per le loro pene.  Ha descritto il lungo e doloroso sforzo dei Quaccheri per cambiare quell’inumano ed insano trattamento con modi pietosi e più buoni.  Il Briton cita l’ammonizione di Gorge Fox “lasciate che la vostra luce risplenda fra gli indiani, i neri ed i bianchi in modo che possa aprire in loro la verità”. (32) Ricorda il programma di soccorso dei Quaccheri per il pericolo corso nel 1690 durante la guerra irlandese quando i Quaccheri hanno dato ai prigionieri di guerra cibo e vestiti e che continuano fino ai giorni nostri nei posti vicini e lontani della terra.  E naturalmente descrive la calma, il coraggio, il nuovo e spesso fruttuoso lavoro dei Quaccheri nell’interesse della pace internazionale.

 

Tolstoy e la non-violenza

Gandhi si espresse come se fosse sopraffatto leggendo “Il Regno di Dio è dentro di Te” di Leo Tolstoy definendosi un umile seguace del Tolstoy.  Cosa trovò Gandhi in questo ed in altri scritti di Tolstoy?  Ha trovato una cosa e cioè che nella visione del Tolstoy un Cristiano è uno che evita la violenza, evita anche le dispute con il suo vicino in modo da guadagnarsi la libertà e contribuire a liberare il mondo.  Alla domanda se coloro che lottano in modo non-violento saranno uccisi, Tolstoy ha risposto, sì, ma solo in minima parte rispetto a coloro che muoiono in guerre rivoluzionarie.  Insieme ad altri che hanno professato la non-violenza, Tolstoy fu profondamente offeso da una religione di principi ecclesiastici, di dogmi, di sacramenti, digiuni e preghiere.  Ritenne che la religione avesse dato significato alla vita, ma che la chiesa era un insulto alla sua ragione.  “Una vita basata sulla verità cristiana era preziosa ed indispensabile per me ma la chiesa mi ha dato regole completamente in disaccordo con la verità che amavo”. (33) Ha creduto in Dio.  “Credo in dio”, confessò, “che comprendo come spirito, come amore, come la fonte di tutto.  Credo che sia in me ed io in Lui. 

Credo che la volontà di Dio sia stata espressa nel modo più chiaro ed intelligente possibile nell’insegnamento dell’uomo Gesù che considerare Dio e  pregarlo, ritengo sia la blasfemia più grande”. (34) Ha inoltre creduto nella fede, ma in una fede riconciliata con la ragione.  La conseguenza della rigidità del Tolstoy contro la chiesa è stata la sua scomunica. Quello di  Tolstoy è stato il primo funerale pubblico tenuto in Russia senza rito religioso. Protestando contro il misticismo e la rivelazione di qualunque tipo, Tolstoy espresse la sua fede profonda nella moralità.  “La religione”,  disse, “è certo un rapporto separato stabilito dall’uomo fra la sua personalità e la Fonte dell’universo infinito.  E la moralità è la guida sempre presente della vita che deriva da quella relazione”. (35) La natura di Tolstoy era vulcanica.  preso all’età di cinquantasette anni fra il messaggio di Cristo e il vivere dell’uomo, abbandonò la vita di privilegio, andò a piedi nudi, adottò un abbigliamento normale, lavorò i campi come i contadini, smise di fumare, di consumare carne e di andare a caccia.  

Tolstoy

In Tolstoy lo spirito della non-violenza ha trovato un’altra espressione logica, soffrì come i poveri e si sforzò con tutte le sue energie di portare loro aiuto.  Ha fatto una petizione al governo per assegnare ai contadini una parte uguale agli altri, per proibire l’indifferenza della Legge Comune, per rimuovere tutte le barriere all’educazione scolastica e rimuovere tutte le limitazioni alla libertà religiosa.  “Una buona azione”, disse, “non consiste semplicemente nel dare da mangiare del pane agli affamati, ma nell’amare sia l’affamato che i soddisfatti.  È più importante amare che sfamare, perché uno può alimentarsi e non amare, ma è impossibile non amare e alimentarsi”. (36) Brevemente, tuttavia, il suo diario riportava la nota:  “Ho dormito profondamente tutta la notte.  Alla mattina ho detto che quello di dar da magiare agli affamati è un problema serio.” (37 ) L’annotazione indica che impresse una vigorosa forza per combattere le sofferenze della carestia. È evidente perché Gandhi divenne così volentieri un discepolo di Tolstoy ed è una grande fortuna della società che Tolstoy abbia trovato qualcuno che avrebbe portato a tale magnifica fioritura il seme che aveva gettato.

 

Thoreau e la Non-violenza

Il rappresentante degli Stati Uniti William H. Meyer del Vermont si è opposto alla leva delle forze armate ed espresse la convinzione che a causa della sua non conformità, la Cina comunista non avrebbe dovuto essere un membro delle Nazioni Unite. A proposito di questo, un editorialista del Washington Post commentò che questa obbedienza alla coscienza è nella tradizione di Thoreau e che questi andò in prigione per il suo credere nell’abolizione della schiavitù.” (38) Nel primo articolo del suo celebrato giornale “circa la disobbedienza civile”, Thoreau protestò contro la guerra degli Stati Uniti contro il Messico”. (39) La sua protesta più vigorosa fu il rifiuto di pagare una tassa a sostegno di quella guerra.  Così è stato arrestato e tradotto in prigione.  La storia ci ha detto che Emerson abbia visitato Thoreau nei suoi nuovi quartieri e che gli abbia domandato del perché fosse là.  La risposta che Thoreau si dice abbia dato sia: “Perché non siete qui?”  Quanto a Thoreau, Emerson ha rimarcato eloquentemente:  “su di lui non ci si può far conto”. (40)

In Thoreau sentiamo una nota familiare.  È stato respinto dalla religione ufficiale, “allontanato” dalla chiesa del villaggio ed ha rifiutato di pagare la sua tassa per il supporto ai pastori ecclesiastici.  Una volta ha tenuto una conferenza nella chiesa ortodossa di Amherst, nel New Hampshire, e successivamente ha espresso la speranza che con quello avesse contribuito a minarla.  Non seguì alcuna dottrina religiosa, abbiamo detto, ed egli stesso sostenne: “felice l’uomo che ... vive una vita equilibrata, accettabile dalla natura e da Dio”. (41) E Bronson Alcott, che lo ha conosciuto bene, ha osservato:  “dovrei dire che ha ispirato l’amore; se infatti il sentimento che risveglia non sembra appartenere a qualcosa di ancor più puro, ammesso che esista, e questo qualcosa è rimasto finora indefinito per sua rarità ed eccellenza”. (42)

Nella storia americana è famoso il soggiorno di Thoreau per due anni da solo in una baracca fuori Concord di Walden Pond senza che molti capiscano completamente “la visione chiaramente percepita” da Thoreau “di una falsa economia e della perversione dei valori di vita americani”.  Soltanto ora, dice Henry Seidel Canby, ha pieno significato quanto è stato sentito a Walden.  E continua: “È soltanto nella nostra generazione che la rivoluzione industriale ha raggiunto il punto in cui l’uomo è in reale pericolo da trasformarsi in una macchina che pensa come una macchina ... Ed avviene solo nel nostro tempo che la comodità corporea e le soddisfazioni dell’orgoglio siano elevate in quello che è francamente chiamato il livello di vita americano”. (43) Thoreau mostrò un ulteriore aspetto dello spirito non-violento.  Il suo cuore sanguinò alla vista dell’ingiustizia e di tutta la sofferenza umana.  La sua casa era una stazione sulla ferrovia sotterranea ed egli stesso accompagnò uno schiavo in fuga verso il Canada.  La morte di John Brown lo commosse nel profondo del suo essere.  Parlando in pubblico a Concord di questo uomo impiccato di recente, disse: “Per una volta siamo sollevati della banalità e dalla polvere della politica verso la regione della verità e dell’umanità” (44);   e “l’unico governo che riconosco ... è quel potere che stabilisce la giustizia sulla terra, mai quello che stabilisce l’ingiustizia”. (45) Thoreau non era un pacifista.  Per lui la resistenza passiva non era abbastanza dove infieriva il male.  “Non desidero uccidere o essere ucciso”,  disse, “ma prevedo, circostanze in cui entrambe le cose sarebbero inevitabili per me.  Al limite potrei persino essere ucciso”.  Ma non avrebbe ucciso neppure un uccello malgrado i suoi interessi scientifici e non lo avrebbe tenuto persino nelle sue mani ... “lo terrei piuttosto nel mio cuore”, disse. (46)

Gandhi lesse la “Disobbedienza Civile” di Thoreau quando era in prigione.  Nel riflettere su questa esperienza della prigione Gandhi cita da Thoreau:  “dico che se ci fosse una parete di pietra fra me ed i miei concittadini, sarebbe ancor più difficile scalarla o farne una breccia prima che potessero ottenere di essere liberi come me.  Non ho sentito neanche per un momento di essere confinato e le pareti sembravano uno grande spreco di pietre e malta” (47). Dalla lettura della “Disobbedienza Civile” di Thoreau, Gandhi ha cominciato a chiamare il suo movimento di Disobbedienza Civile per i lettori inglesi, anziché di resistenza passiva.  Successivamente ha adottato la denominazione di resistenza civile.

 

Gandhi e la Non-violenza

Spero che in questa rapida e frammentaria indagine determinati segni inequivocabili della tradizione non-violenta, del significato e dei principi o delle forze sottostanti la non-violenza siano comparsi in qualche modo.  Queste forze desidero ora ricapitolare ed esaminare particolarmente in rapporto alla filosofia della non-violenza di Gandhi. In primo luogo, l’origine ed il supporto dello spirito della non-violenza in un popolo o in una persona, non ha una spiegazione unica.  Può essere considerata, cioè, nata dalla cultura della sua eredità religiosa, fin da piccoli.  La non-violenza di Gandhi era in gestazione minimo da tremila anni, qui nella terra dell’Induismo, del Buddismo e del Jainismo.  Kaba Gandhi, suo padre, era un uomo di pensiero e si è tenuto pronto per essa.  Sua madre avrebbe potuto “prendere i voti più duri” senza alcun problema. A volte la non-violenza nasce ancora al limite della propria sofferenza o della sofferenza di altri.  Il re Asoka non avrebbe potuto sopportare l'orrore di Kalinga sul campo di battaglia e fu rigenerato.  Gandhi non ha sopportato gli insulti ricevuti e fatti ai suoi amici di pelle scura in Sud Africa ed ha cominciato la ricerca di una risposta.  Questa ricerca è sfociata in una religione di verità e non-violenza. Qualunque sia l’origine della non-violenza questa deve essere sostenuta dalla ragione.  Il buddista ha visto chiaramente che la vittoria della forza genera l'odio, dato che il conquistato è sempre infelice. 

Il Mahatma Gandhi

Gandhi è stato ispirato dalla grande tradizione in India dell’ahimsa ma ha speso il corso della vita per elaborare una struttura razionale alla sua fede, facendo questo ragionamento:  l’auto-sacrificio è superiore al sacrificio di altri;  se la causa non è giusta, allora soltanto i resistenti soffriranno;  la non-violenza è un modo asettico di consentire che il veleno fuoriesca lasciando che tutte le forze naturali agiscano in modo completo;  la non-violenza desta la cosa migliore in altri;  il bene apparente della violenza è provvisorio, mentre la malvagità è permanente; il bene portato con la forza distrugge l'individualità, mentre la non-cooperazione non-violenta conserva l'individualità.

I pacifisti cristiani richiamano il Nuovo Testamento per aiutarsi ma sono anche auto-motivati. I Quaccheri, per esempio, invocano l'esempio di Cristo ma giustificano anche la non-violenza come risposta “a quel Dio” che è in altri uomini;  nella lotta, spiegano, una parte o l'altra perde sempre  mentre col metodo non-violento c’è la possibilità che entrambe le parti possano vincere;  precisano che la forza può produrre una unità superficiale come quella di una macchina ma non genera una unità organica all’appello della “Luce” interiore. Tolstoy osservò che il numero delle vite perse con la lotta non-violenta può essere soltanto una frazione di quelle perse nelle rivoluzioni violente.  Ovviamente lo spirito non-violento può essere generato dentro e, per certi aspetti, può essere consolidato tramite l’azione di tutte queste altre forze:  la propria eredità, la propria capacità di tendere al limite, la propria ragione.  Ma la non-violenza vive e si sviluppa anche con la sperimentazione.  La vita di Gandhi fu un esperimento con la verità e per mezzo della verità, la non-violenza.  La sua vita, disse, è consistita in nient'altro che questi esperimenti. In un certo senso era uno scienziato, non dichiarava alcuna irrevocabilità riguardo alle sue conclusioni, accettando qui e rifiutando là;  ricercando sempre, come ha detto, di soddisfare la sua ragione ed il suo cuore.

In secondo luogo, la non-violenza non è una singola virtù o una specifica qualità della vita;  è un insieme di virtù, di qualità;  è uno spirito, un potere della vita, di una religione, o come Gandhi direbbe, della legge del proprio essere.  Nella struttura Gandhiana, ci sono due colonne portanti, la verità e l’ahimsa o non-violenza o, come lo ha anche chiamato, l’amore.  La verità è il fine;  la non-violenza è il mezzo.  Ma il fine ed il mezzo sono legati irrevocabilmente l'un l'altro, in quanto la visione della verità dipende dalla realizzazione della non-violenza.  Poiché la verità è Dio, anche  l'amore è Dio. L’amore non è certamente una singola virtù;  è un modo di vivere, una religione.  La sua vita l’ha considerata come un intero indivisibile.  “Quali”, domandò, “sono state le più grandi ‘simbiosi’ che Budda e Cristo hanno predicato?  Gentilezza e amore”. (48) Osserviamo, allora, quelle qualità di vita che contengono la simbiosi che Gandhi ha chiamato non-violenza.  La vera non-violenza è religione in quanto è un impegno totale verso ciò che l'individuo considera supremo nel mondo.  In Gandhi, tuttavia, ed in ogni esempio autentico di non-violenza, c’è il sospetto e spesso una rivolta contro cose devote al potere temporale, il ritualismo eccessivo, l'insistenza sulla teologia e la gerarchia ecclesiale.  Gandhi, tuttavia, era saggio.  Anche se si è considerato un riformatore vero non ha consentito mai al suo zelo di condurlo al rifiuto di qualche cosa dell’Induismo che ha considerato essenziale.  In nessun ambito, infatti, il suo genio fu più evidente che nella sintesi ottenuta fra la storia, la lingua e determinate forme della sua eredità religiosa da una parte e una nuova interpretazione radicale della religione d'altra.  Per Gandhi l'essenza della religione è la moralità.  “rifiuto ogni dottrina religiosa che non faccia appello alla ragione e che sia in conflitto con la moralità”. (49) Poteva tollerare un sentimento religioso non ragionevole ma non quando fosse immorale. Nella sua filosofia “Non c’è alcuna cosa come la religione preponderante sulla moralità”. (50) Per Gandhi la regola d’oro di comportamento era la non-violenza, la tolleranza reciproca, perché si è reso conto che tutti gli uomini non penseranno mai come uno e che la verità compare sempre in frammenti. Per lui tutte le religioni sono vere, tutte le religioni contengono un certo errore, tutte le religioni gli erano care quasi come il suo Induismo.  La sua preghiera per un altro era “... non ‘Dio dà a lui la luce che tu hai dato a me’, ma ‘dà a lui tutta la luce e la verità di cui ha bisogno per il suo sviluppo più alto’”. (51) Questo non ha significato un abbandono di quanto ha creduto e giudicato caro.  Ha detto che avrebbe lasciato che i venti delle dottrine passassero attraverso le finestre e le porte di casa sua ma che avrebbe rifiutato di camminare senza i suoi piedi.  Non avrebbe abbandonato la sua religione ma avrebbe fatto quello che poteva per migliorarla e purificarla.  Per Gandhi la non-violenza è inconcepibile senza l’auto-rinuncia. “devo ridurmi a zero”, egli disse, perché “l’ahimsa è il limite più lontano dell’umanità”. (52) Si è privato di tutte le cose materiali.  Dovunque camminassi o parlassi con lui, mattina, pomeriggio o sera, in un villaggio sperduto o in una grande città, era sempre lo “stesso-niente” nel vestito, nei mobili, nella casa, nella livrea e distratto in ogni cosa.  Non c’era fretta.  Quando andava in  casa di una donna e vedeva la misera inadeguatezza di quello che indossava, immediatamente riduceva il suo vestito vicino allo zero ed ha continuato a fare così fin quando non è morto.  Gandhi sapeva troppo bene che gli uomini ricchi amavano non essere mai realmente liberi.  Ha avvertito, tuttavia, che la rinuncia al desiderio è molto più importante della rinuncia agli oggetti.  Nell'astensione, come in tutte le altre questioni, ha dato risalto al fatto che lo spirito era l’obiettivo.  “Un uomo”, diceva, “oltremodo scrupoloso nella dieta è uno sconosciuto assoluto all’ahimsa e un pietoso sciagurato se è schiavo dell’egoismo e delle passioni ed è duro di cuore”. La non-violenza è la pietà.  A mezzanotte del 15 agosto 1947 ho ascoltato il sig. Nehru mentre ha parlato del trasferimento di poteri che allora stava avvenendo dal Governo Britannico all’India.  Si è riferito a Gandhi, che era assente, come a qualcuno che se avesse potuto, avrebbe asciugato lacrime da tutti gli occhi.  In nessun posto nel nostro tempo, e forse anche nei mille anni precedenti, si è conosciuto tra gli uomini qualcuno con la pietà più grande per i suoi simili.  Quando non poteva dare loro i vestiti di cui avevano bisogno  riduceva i suoi al minimo indispensabile.  Quando la rimozione delle catapecchie degli intoccabili era oltre i suoi poteri, ha fatto la sua casa in una di esse.  Ha dedicato la sua vita a rompere le catene che legavano la sua gente.  È morto da martire perché ha osato combattere la causa di gente ritenuta nemica da qualcuno della sua stessa comunità.  Il bambino non colpevole ed il condannato, il mendicante inoffensivo alla sua porta ed il suo oppressore straniero, sono stati tutti ugualmente oggetto della sua compassione. Questa, inoltre,  fu una pietà che ha trovato espressione in un grande programma costruttivo destinato a liberare il corpo e ad elevare lo spirito - un programma per tessitori ed altri, di organizzazione del villaggio, di formazione.  Per lui il filatoio si è trasformato nel simbolo per eccellenza del non-violenza.  Ha unito la gente pacificamente ed in fiducia reciproca.  Ha promesso soccorso alla povertà degradante.

Ragazzi nel fiume Mahananda nord est dell'India

Per concludere, la non-violenza è un'arma del forte.  La mia ultima conversazione con Gandhi fu a Calcutta nell’agosto del 1947 durante lo scoppio dei tumulti fra Indù e Musulmani, gli Indù, ora al potere, erano gli aggressori.  Ho sollevato il problema dell'efficacia della tecnica della non-violenza nei rapporti di gruppo.  Mi disse che su quell'argomento al momento vagava nel buio.  Aveva speso quasi una vita insegnando che la non-violenza era un'arma non del debole ma del forte, di coloro che potevano colpire alle spalle ma non lo facevano.  Si è reso conto allora che la sua gente non aveva capito.  Questa è una delle funzioni più difficili per la non-violenza da sondare ed accettare ed anche la spiegazione per gli errori prodotti da tanti sforzi nel suo nome.  La non-violenza non è un espediente da usare quando non c'è nessun altro strumento disponibile e si è indifesi.  Non è una tattica, una strategia.  È un modo di vivere, una religione. 

Comincia nei rapporti personali, negli atteggiamenti nei confronti di tutti gli uomini - forti e deboli;  si esprime nel pensiero, nel discorso, e nell’azione.  Ciò non significa che la non-violenza totale debba non essere mai tentata fino a che ogni parte non abbia raggiunto la perfezione.  Richiede che l’ideale sia chiaro, che ci sia impegno, che gli uomini siano candidati per la qualità dello spirito e della vita esemplificati in Gesù di Nazareth e che così è stato rivelato fra noi ultimamente da Mohandas K. Gandhi.

 

 

Fonti

1.   Jawaharlal Nehru. Citato da H. G. Wells; Outline of History (New York, The Macmillan Company, 1921) p. 252.
2. Citato da Jawaharlal Nehru, The Discovery of India (New York, The John Day Company, 1946) p. 99.
3. Bhagavad-Gita, 1.31, 35, 37, 38,
4. Laws of Manu, 6: 47-48.
5. Op. cit., p. 111.
6. Vinaya, 1.342-349,
7. Mahavagga, 1,78.4 (Sacred Books of the East, 13.235).
8. Mahavagga, 6.31.13 (Sacred Books of the East, 17.117),
9. Cula-Hatthi-Padopama Sutta (Sacred Books of Buddhism, 5: 128, 129).
10. Citato da Nehru, op. cit., p. 119,
11. Maha-Parinibbana Sutta, 3,4 (Sacred Books of the East, 11.41).
12. Sacred Books of the East, 10: 2. 21-22. 13. Ibid., 10: 1.31-32,
14. Ibid., 13.112-113.
15. Sutta Nipata, 805 (Sacred Books of the East, 12.2,150).
16. Ibid., 101 (Sacred Books of the East, 10.2.18),
17.
Citato da Narendra Krishna Sinha and Anil Chandra Banerjee, History of India (Calcutta, A. Mukherjee and Company, 1947) p, 84,
18. Rock Edict X11, Vincent A, Smith, Asoka (Delhi, S, Chand and Company, 1957) p. 170.
19. Outline of History (New York, The Macmillan Company, 1921) p. 371,
20. A. L. Basham, “Jainism and Buddhism", in Sources of Indian Tradition by Bary, Hay, Weiler, and Yarrow (New York, Columbia University Press, 1958), p. 53.
21. Sutra-Krtanga Sutra, 1.11.9-10 (Sacred Books of the East, 45.311).
22. Nitivakyamrita, 344-56, cento, Citato by Basham, op. cit., p. 90.
23. Autobiography (Washington, D.C., Public Affairs Press, 1948) p. 92.
24. Ibid.
25. G. H. C. Macgregor, The New Testament Basis of Pacifism (London, James Clarke and Company, Ltd., 1938) p.35.
26. C. J. Cadoux, The Early Church and the World (Edinburgh, T. and T. Clark, 1925) p. 55.
27. Robert Barclay, An Apology for the True Christian Divinity (Birmingham, John Baskerville, MDCCLXV) p. 495.
28. Ibid.
29. Cadoux, op. cit., p. 588.
30.Howard Brinton, Friends for 300 Years (New York, Harper and Brothers, 1952) p. 160.
31. Op. cit., p. 151 ff. 32. Ibid.

33. Leo N. Tolstoy, "My Religion", My Confession, My Religion, The Gospel in Brief (New York, Charles Scribner's Sons, 1929) p. 80.
34. Ernest J. Simmons, Leo Tolstoy (Boston, Little Brown and Company, 1945) p. 599.

35. Ibid., p. 499.
36. Ibid., p. 467.
37. Ibid.
38. Marquis Childs, The Washington Past and Times Herald, 17 July 1959.
39. Henry D. Thoreau, “Civil Disobedience”, in Yankee in Canada (Boston, Houghton, Mifflin and Company, 1885) p. 123.
40. George F. Whicher, Walden Revisited (Chicago, Packard and Company; 1945) p. 68.
41. Ibid., p. 64.
42. Ibid., p. 57.
43. Henry Seidel Canby, Thoreau (Boston, Houghton, Mifflin and Company, 1939) p. 293.
44. Whicher, op. tit., p. 70.
45. Ibid., p. 71.
46. Canbv. op. cit., P. 325.
47. Citato da Louis Fischer, The Life of Mahatma Gandhi (New York, Harper and Brothers, 1950) p. 87.
48. Young India, 5 December 1920.
49. Young India, 7 July 190.
50. Young India, 24 November 1921.
51.Sabarmati-1928 (Sabarmati, Federation of International Fellowships . , 1928).
52. Autobiography, p.616

 

 

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