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Giorgio La Pira La profezia e la città

A cento anni dalla nascita, un ricordo di quello che per i fiorentini era "il sindaco santo".

 

Andrea Bigalli

Chiunque si occupi, sia pur saltuariamente e in modo periferico, di politica, deve da sempre far i conti con una serie di domande, che ruotano intorno all'interrogativo su quanta utopia si possa trasferire nella logica politica, di governo e amministrazione. Le risposte si fanno per lo più univoche quando vengono dai politici stessi, spesso pronti a distinguere tra il loro ruolo e gli ideali di riferimento. Come a dire: un conto è il sogno, un altro la pratica di governo, che assume sempre più le logiche prammatiche dell'accettazione del principio di realtà.

Ma ogni amministratore, se si confronta con un preciso riferimento, ha molto da riflettere: una generazione di uomini e donne che in Italia e in Europa si sono impegnati in politica con ben altro stile da quello a cui ci stiamo assuefacendo. Senza voler tacere anche le contraddizioni e gli errori, questo gruppo di personaggi, uscito dalla fine della guerra e dall'esperienza della Resistenza con la volontà di opporsi all'orrore della violenza, ha cercato di educare alla pace e a rapporti con gli altri popoli che fossero di autentica comunicazione. Questa generazione e tale intento dà contesto alla figura di Giorgio La Pira. Sotto l'amministrazione da lui presieduta come sindaco, Firenze fu pensata e in parte realizzata come una città modellata sulle esigenze e i bisogni dei suoi membri più piccoli e meno tutelati.

L'edilizia popolare fu concepita con l'intento di dare a tutti la possibilità di possedere un'abitazione propria (le cosiddette "case minime", essenziali e sobrie ma decisamente decorose), si vararono politiche di assistenza all'avanguardia per il tempo, si progettò la vita nei quartieri periferici con l'occhio attento a criteri che oggi definiremmo di sviluppo integrale e compatibile all'umano. Per fare un esempio, il quartiere periferico dell'Isolotto fu fatto ideare da gruppi diversi di architetti, con l'intento di edificare un'area urbana in cui gli edifici fossero il più possibile diversi da loro e nel maggior equilibrio consentito tra case, zone verdi, servizi, per evitare l'uniformità che caratterizza molti dei quartieri dormitorio di quel periodo, tristemente contraddistinti dalla logica del "sacco edilizio" che deroga selvaggiamente da ogni piano regolatore. L'idea di fondo è quella del villaggio, in cui le diversità e i valori umani si integrano in un microcosmo capace di favorire le relazioni. All'Isolotto esiste una zona urbana totalmente concepita per i piccoli, che fa sfociare la piazza principale in un "viale dei bambini", largo e verdeggiante, che conduce al parco giochi della Montagnola e alla scuola elementare.

L'attenzione sincera del La Pira amministratore per i poveri, che si concretizzò sempre nell'accoglienza e nell'ascolto personali, si coniugò con uno stile di vita austero e al riparo da sospetti di sorta. Per lui si può parlare di un'autentica spiritualità delle Beatitudini, della povertà come scelta di libertà unita all'intolleranza nei confronti della miseria, contro cui bisogna lottare per esigenza di fede. Le lettere ai monasteri di clausura e agli istituti religiosi, con cui fu sempre in stretto contatto, dimostrano la qualità di un'azione politica che fu sempre sostenuta da un alto livello etico: l'impegno politico come esplicitazione di un servizio alla collettività che verifica la fede. Lo stesso impegno per la pace, logica espansione sul piano globale della famiglia umana della sollecitudine verso i propri concittadini, da indirizzare verso la cultura di una cittadinanza mondiale, transculturale e interculturale, si nutre in quest'uomo di riflessioni sulla Scrittura molto ricche.

Si è scritto molto a suo tempo del millenarismo di La Pira, la sua visione storica dettata dai profeti e dall'apocalittica biblica: una sua frase famosa recitava "alla fine del mondo resusciterà anche il Campanile di Giotto", espressione del suo riferimento alla teologia delle realtà terrestri come assunzione piena del valore del mondo, pur annunciandone il superamento alla luce del Regno di Dio che viene.

Un Regno che non annullerà la bellezza frutto delle mani, dell'ingegno, della sofferenza degli esseri umani. Questa visione sul presente, che si pone la questione sul rapporto con il passato per l'edificazione del futuro, dovrebbe essere il riferimento per ogni azione storica del credente. È un riferimento difficile da tradurre totalmente sul piano razionale, per molti viziato da un senso di irrealtà, che condanna le politiche ispirate all'utopia a rimanere ancorate al livello dell'assoluta impraticabilità. In realtà con La Pira un tempo tristissimo di divisioni e paura (l'olocausto nucleare incombeva) si aprì alla prospettiva politica della pace, che vita e pensiero di quest'uomo ci aiutano a comprendere nella logica della politica stessa. Come a dire: non un tema esterno, perché segnato solo da tensioni utopiche, ma propriamente politico, frutto del senso autentico della politica, che è arte di mediazione a partire da ideali alti, non inquinati da interesse di parte o - peggio - personali.

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Se la politica non si pone la questione dell'edificazione della pace - e di una pace da intendersi nel suo senso più ampio, di proposta e identificazione di un'esistenza piena e risolta positivamente, articolata nell'acquisizione e nel rispetto reciproco di diritti e doveri - è una politica fasulla, che non sarà mai capace di svincolarsi dalla pura gestione dell'esistenza, non riuscirà mai a generare moralità e futuro e che, per questo, finirà inevitabilmente preda della logica, sempre più meschina, dello scambio corporativo, fino alla concussione e al peculato, ormai di fatto concessi moralmente e depenalizzati. I risultati danno ragione al piccolo professore diventato sindaco: grazie a lui si sono messe in comunicazione realtà assai distanti, la città è stata ancora pensata come realtà da vivere e non da subire passivamente, la speranza è entrata nei linguaggi amministrativi perché fosse in grado di donar loro respiro e orizzonte.

Più il tempo presente ci suona politicamente squallido, più ricordare Giorgio La Pira ci ridà energia e voglia di fare. Perché sappiamo che da chi ci governa possiamo chiedere altro oltre all'essenziale della competenza e dell'onestà: la capacità di sognare e di progettare una realtà comune, solidale, capace di chiedersi e dare avvenire.

 

 

 

 

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