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     Notre Dame de Paris - Il tempo delle Cattedrali

Giorgio La Pira e Fioretta Mazzei

UN SODALIZIO PER IL REGNO

 GIOVANNA CAROCCI

Come tutti sanno, Giorgio La Pira giunge a Firenze nel 1926 al seguito del suo professore di Diritto Romano Emilio Betti. È un giovanissimo e brillante laureando, così promettente che il Betti, trasferitosi dall’Università di Messina, decide di portarlo con sé.  E’ un giovane che vive con passione i grandi amori della sua vita: il Diritto Romano e, soprattutto, quella fede cristiana da poco ritrovata, come dimostra l’annotazione in calce al suo Digesto: “ S.Pasqua 1924: 1° Santa Comunione.” (1)

 Ma è anche un ragazzo molto solo e i mesi di studio intenso e fruttuoso che porteranno alla sua laurea precoce pochi mesi dopo l’arrivo a Firenze, e al suo altrettanto precoce insediamento in cattedra, nel 1927, sono anche mesi di sofferenza, di angustie materiali e intime, accompagnate però dalla scoperta di una città unica che La Pira ama subito profondamente e nel cui vivo tessuto cristiano cerca ben presto di inserirsi.

La figura-chiave di questo periodo, per lui come per centinaia di altri giovani fiorentini, è certamente quella di Don Raffale Bensi, intorno al quale gravita una cerchia vasta e vivace di fede pensata e operosa di carità, in cui il giovane La Pira non tarda ad inserirsi diventandone sempre più l’animatore e  suscitatore di iniziative e di opere: dalla fondazione di numerose Conferenze della San Vincenzo (2), alla Messa di San Procolo, un’idea nata giusto da una conversazione con Don Bensi:

Giorgio La Pira mi fu presentato nel 1926 da alcuni amici di cui non ricordo neppure il nome. Era appena arrivato a Firenze.

All’Università, non esisteva una cattedra di Istituzioni di diritto romano che fu creata apposta per lui. La Pira veniva qui a casa mia con altri ragazzi dell’Azione Cattolica e della San Vincenzo de’Paoli.

L’idea della Messa del povero l’ho suggerita io, ma dovevo aver letto qualcosa su un giornale di Milano.

Con Facibeni ci si vedeva spesso. Vedevo spesso anche il Card. Dalla Costa: per un certo periodo ogni giorno per ché ero impiegato in curia. Mi occupavo degli studenti e a quei tempi non c’erano molti preti che facessero questo. (3)

Insieme a Don Bensi, uno dei termini fondamentali dell’inserimento di  La Pira nella Firenze cattolica del tempo, è sicuramente Don Giulio Facibeni la cui conoscenza risale certo ai primi anni Trenta. (4)

Ma quando è possibile collocare con stretta approssimazione la conoscenza di La Pira con la famiglia Mazzei e dunque con Fioretta?

Lei stessa ne parla nel suo volume: “Fu verso la fine della guerra che mi svegliai e, appunto, presi l’iniziativa di andare a cercarlo perché, in tanto sfacelo, dicevano che c’erano tre santi a Firenze: Don Facibeni, il Cardinale e lui. Andai alla Messa di Badia, gremita di gente. A quei tempi la povera gente era tanta e di tante categorie; c’erano anche ebrei fra quelli, e ricercati politici. Ero con delle mie compagne di liceo. Lo raggiunsi dopo averlo ascoltato parlare.

“ Ci viene a spiegare qualcosa a noi giovani?” gli chiesi. Rise e disse: “ Venite qui!” Era, credo, nell’inverno del ’42. Venne anche a cena in casa nostra una di quelle sere e me lo ricordo nello studio di mio padre.” (5)

Il racconto appare confermato anche da una nota di quel diario personale che Fioretta Mazzei cominciò a scrivere dal 25 settembre del 1940, alla vigilia del suo diciassettesimo compleanno.

Due anni dopo, in una nota del 7 giugno 1942, Fioretta segnala la presenza del Professore a casa propria intento a conversare col padre, Jacopo. La Pira parlava dei poveri che frequentavano la Messa di San Procolo, delle loro urgenti necessità. Fioretta, giovanissima, reduce da un pomeriggio divertente  trascorso con gli amici altolocati della sua prima giovinezza, resta colpita dalle parole dell’ospite, che annota e commenta sul diario. Ma la presenza di La Pira in casa Mazzei, dai termini con cui Fioretta riferisce la circostanza, appare consueta e può con certezza esser fatta risalire almeno alla metà degli anni Trenta. A chi e a quali circostanze legarla allora?

Occorre focalizzare, a questo proposito, la figura di Jacopo Mazzei, il padre di Fioretta, uomo di profonda fede, uno degli interlocutori privilegiati nella vita della figlia, grande amico di Don Giulio Facibeni dai tempi della giovinezza, quando il futuro fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa seguiva un nutrito gruppo di studenti cattolici raccolti nel circolo Italia Nova. (6)  L’amicizia di Jacopo col Padre era proseguita col tempo e non era certo una rarità che Don Giulio frequentasse casa Mazzei e mettesse Jacopo a parte delle sue confidenze e delle difficoltà di ogni genere che lo assillavano nello sviluppo della sua Opera.

“ I rapporti del Padre con La Pira iniziarono fin dai primi anni del suo arrivo a Firenze: la presenza del Professore all’Opera, le sue lunghe soste in preghiera nella cappellina dell’orfanotrofio davanti al Santissimo, sono ricordate fin dal 1931-32.” (7)  

E’ più che probabile che Jacopo abbia avvicinato La Pira attraverso la comune amicizia con Don Facibeni, come è altrettanto facile attribuire la reciproca conoscenza ad altri due comuni ambienti: quello universitario fiorentino e, prima ancora, quello milanese dell’Università cattolica. E’ ancora Fioretta Mazzei a guidarci su questa pista

La Pira aveva conosciuto Amintore Fanfani a Milano, alla Cattolica, che quest’ultimo frequentava come studente e dove si laureò nel 1930. Libero docente dal ’32, Fanfani ebbe cattedra dal 1936. Fioretta conosceva gli esordi di Fanfani che aveva preparato la sua tesi col prof. Jacopo Mazzei, (8) il quale alla metà degli anni Trenta sarà fra i fondatori della facoltà di Economia di Firenze in cui insegnerà Economia politica, dopo aver lasciato la docenza alla Cattolica.

Copertina - Le città sono vive

“Negli anni giovanili – di La Pira- furono certamente importanti gli incontri con i Paolini..e più con Padre Gemelli. Quando Padre Gemelli nel 1928, dette vita al nuovo istituto intitolato alla Regalità di Cristo, La Pira fece parte del primo gruppo.” (9)

In ogni caso possiamo collocare intorno alla metà degli anni Trenta la conoscenza fra La Pira e il Mazzei, che nel volgere di poco tempo si rinsalda tanto che “ ogni settimana La Pira era a cena a casa nostra, fin da quando era un giovane e sconosciuto professorino.” (10)

Ma è all’estate del 1943 che, per esplicita indicazione di Fioretta (11) confermata nei diari di lei e dall’abbondantissima corrispondenza che lui le indirizza, possiamo far risalire con certezza il sorgere e cementarsi di un sodalizio amicale e spirituale prima, poi anche civile e politico, che non si sarebbe mai interrotto.

Ricercato dalla polizia fascista nel convento di San Marco, dopo una visita fuggevole per l’Assunta, La Pira tornò a Fonterutoli l’8 settembre mantenendo la promessa fatta all’amico Jacopo, e vi rimase fino all’8 dicembre quando, non più sicuro di passare inosservato, fu portato a Roma.

Su quei giorni Fioretta Mazzei ha scritto pagine efficacissime, ricche d’affetto e, in fondo, di nostalgia. Già, perché Fonterutoli, -minuscolo borgo chiantigiano, a due passi da Castellina, dove i Mazzei hanno la loro residenza di campagna-  rappresentava per lei il luogo della pace, della contemplazione, del rapporto tutto interiore col Signore, colto nella bellezza manifesta dei paesaggi come, e più, nel silenzio profondo e intenso della preghiera alimentata dalla Comunione quotidiana.

“ La vita in campagna era calma, molto raccolta. Si pregava, si stava a lavorare la mattina ognuno per conto suo, ci si ritrovava a mezzogiorno per l’Angelus dalla nonna; il pomeriggio si faceva una passeggiata..A La Pira piaceva star lì. La mattina, dopo la Messa, andava dal priore per studiare in una stanzina stretta che dava sull’orto. Leggeva San Tommaso, che del resto conosceva già bene, e poi ce lo spiegava. Mi ricordo ancora certe spiegazioni: De simplicitate Dei: Dio è semplice, la massima perfezione è l’assoluta unità e quindi l’assoluta semplicità; l’essere più ricco e più completo è anche il più semplice, come la luce bianca assomma tutti i colori.

Non dicono queste cose tanto anche di lui, orientato sempre a guardare Dio?” (12)

Le conversazioni si allargano alla visione personalista e comunitaria dell’uomo, della società e della civiltà che di lì a poco troverà un’eco significativa negli articoli della Costituzione italiana, di cui La Pira fu uno dei più eminenti estensori.

Le circa quattrocento lettere di Giorgio La Pira a Fioretta Mazzei iniziano l’8 dicembre del 1943: non appena arrivato a Roma, dunque, e nascosto in case amichevoli, La Pira sente l’urgenza di aprire il cuore alla sua giovane interlocutrice. Fioretta all’epoca ha 20 anni tondi, La Pira 39. Lui ha già maturato da lungo tempo le scelte fondamentali della sua vita di cristiano: essere un libero apostolo laico del Cristo, come aveva scritto in una celebre lettera indirizzata alle monache del Carmelo; fare di ogni professione una cattedra di apostolato cristiano, come avrebbe titolato un noto discorso di anni a venire; contemplata aliis tradere secondo il motto domenicano: La Pira ha già, per così dire, saltato il fosso. La sua figura è già in qualche modo una leggenda, e non solo a Firenze.  

Ma Fioretta?

Copertina - Giorgio La Pira

Fioretta ha già un amore, il suo, che emerge potente dalle pagine dei diari fino all’ultima nota manoscritta con grafia incerta  nel giugno del 1998 e, a tratti, resa illeggibile dal tremito che la malattia imponeva alle sue mani: quell’amore unico è Gesù.

E ancora non sa, non ha deciso i modi e i tempi con cui seguire quel  Cristo con cui trascorre nella preghiera lunghe e solitarie mattine a Fonterutoli; che già dodicenne, nella grande cucina di campagna, si è in qualche modo manifestato alla sua mente e al suo cuore. Anzi, non vuol scegliere, aspetta che le circostanze, in cui si manifesta il volere di Dio, le suggeriscano la via.

La Pira le scrive anche più volte al giorno, spesso al ritorno dalla Messa, manifestando di voler condividere con lei il suo ringraziamento eucaristico. Con ogni evidenza, a Fonterutoli si è instaurata una comunione di anime importante per entrambi. Lui vive in clandestinità, ma il periodo romano è fecondo, ricco di incontri politici, discussioni, sollecitazioni culturali e spirituali: stagione importantissima in cui si cementano amicizie decisive per il futuro, suo e dell’Italia: Fanfani, Dossetti, Lazzati, lo stesso De Gasperi; ma anche mons. Montini, allora Sostituto della Segreteria di stato, antico amico degli anni Trenta, traduttore clandestino di Maritain, che lo ospita anche a casa propria.

Subito dopo la guerra, al tempo della Costituente, impegni sempre più importanti e gravosi. E’ tra i fondatori della Democrazia Cristiana; nella 1° sottocommissione redige alcuni degli articoli decisivi della nostra carta costituzionale; è uno degli oratori di punta agli incontri del rinato e riorganizzato associazionismo cattolico; incontra don Luigi Moresco che gli comunica la sua passione operosa per le profezie di Fatima che spingeranno il giovane prete fino al colloquio con Pio XII per chiedergli la consacrazione alla Madonna della Russia. Quelle profezie che saranno parte centrale nella sua futura riflessione ed azione di politico.  E poi, ancora nell’immediato dopoguerra, i contatti, di cui poco sappiamo, ma che certo ci furono con Jacques Maritain, il grande filosofo del personalismo, della nuova cristianità,  che De Gaulle aveva ostinatamente voluto a Roma come ambasciatore francese presso la Santa Sede e la cui opera La Pira conosceva dagli anni Trenta e condivideva, come provano quelle lezioni tenute agli universitari romani nel 1945 e poi confluite nel volume Premesse della politica.

Ebbene, di tutta questa frenetica attività La Pira racconta gli echi e, talvolta, episodi circostanziati a questa giovanissima amica che le circostanze e la salute cagionevole tengono relegata in un delizioso quanto distante minuscolo borgo del Chianti.

E’ a lei unicamente, per sua stessa ammissione, che il brillante giurista cattolico svela il fondo della sua anima, a questa paritaria interlocutrice che, nelle risposte, ha il suo consueto piglio allegro e profondamente sereno; che, nei diari, si dice assolutamente convinta che il buon Dio le riserverà un futuro di contemplazione solitaria e d’amore fraterno ai più piccoli e ai più poveri.

Tuttavia, sul finire della guerra, nel 1947 Fioretta ha ormai una visione già chiara di sé e della sua scelta di vita: si consacra a Dio restando nel mondo per portare il mondo a Dio. E certo, in questa decisione, accanto ad altri fattori più contingenti, ha pesato il suo lungo confrontarsi con La Pira, ma anche con Don Bensi, suo confessore e confidente fino all’ultimo; e con Don Facibeni al quale ripetutamente si rivolgeva.  Con lui dunque, ma anche con altre compagne d’avventura cristiana, condivise una consacrazione laicale che abbisogna in modo vitale di essere connessa e nutrita dalla linfa dello Spirito: “ I laici cristiani sono rimasti nel mondo per costruire il mondo, piccolo gregge affidati dalla preghiera di Gesù al Padre: sono nel mondo, ma non del mondo. Chicchi di sale sparsi, hanno bisogno di aver bevuto alle sorgenti della vita, di aver in mente il monastero come modello di vita comunitario riuscito e come luogo dell’anima; nello stesso tempo attingono anche essi a una ricchezza nel polveroso loro muoversi, nel faticoso loro mettere pietra su pietra al monastero del mondo, Costruiscono a Dio anch’essi” (13)

Non posso ripercorrere una per una tutte le affollate tappe dell’esperienza spirituale, civile e politica dei due, altrimenti non basterebbe un intero volume.

Ma questa insistenza sugli inizi del loro sodalizio è fondamentale per comprendere a quali profondità attingesse il loro rapporto e quanto salda e quasi connaturata l’intesa sulle cose, sul da farsi.

Quando alle elezioni amministrative del 1951 La Pira accetta di candidarsi a sindaco di Firenze, cedendo alle insistenze reiterate e autorevoli del Cardinal Dalla Costa e di Don Facibeni che, secondo la testimonianza di don Carlo Zaccaro, lo incalza raggiungendolo alla Messa domenicale della Badia, chiede anche a Fioretta di entrare nella lista D.C. e di condividere quindi il suo impegno politico per la città.

Da questo momento la collaborazione fra i due diventa ancora più stretta anche se, per ora, Fioretta percepisce l’impegno politico quasi come un’aggiunta momentanea alle sue decisioni esistenziali.

Infatti, il suo impegno preponderante è rivolto alle ragazze e ai ragazzi di San Frediano, spesso trascurati o in situazione di povertà. Oltre alla ricerca di un lavoro, all’istruzione religiosa, per loro, le cui famiglie non possono certo permettersi le vacanze, Fioretta apre l’esperienza delle vacanze montane. Prima a Montefarneta, presso Bibbiena, nell’estate del ’45, grazie alla disponibilità della famiglia di Corso Guicciardini; poi, negli anni successivi, a Serravalle, Lecceto di Siena, Cascina vecchia, finché, nel 1951, con l’aiuto di La Pira sindaco, ottiene dal Corpo Forestale dello Stato una casa in montagna, Metato, vicino a Vallombrosa, che costituirà, fino ad oggi, un luogo di incontro fraterno, di riposo dello spirito, una scuola di vita.

Eletta consigliere comunale, Fioretta si vedrà consecutivamente confermata fino al 1995: un fatto più unico che raro nella storia delle nostre istituzioni comunali, segno di fiducia incondizionata da parte della sua gente. Dagli anni Cinquanta insegna nelle scuole superiori Francese e poi Religione, instaurando con le ragazze che incontra uno straordinario magistero di cultura e di vita. Uno stile accogliente, aperto, paziente connota la sua casa di via de’ Serragli, destinata a diventare un riferimento sicuro, approdo di pace e di amicizia per chiunque la incontri e in cui, spesso e regolarmente, approda anche il Professore: stabilmente ogni domenica sera e spesso il mercoledì, secondo la testimonianza di Fioretta. (14)

La Pira e Fioretta, pur nella sintonia di un comune impegno per la Chiesa e la città, vivono due esistenze profondamente libere ed autonome l’una dall’altro.

Entrambi muovono da una convinzione comune:  che la storia umana è storia sacra, dal momento che Dio stesso si è impelagato in essa assumendola completamente anche in se stesso con l’Incarnazione.

Copertina

Questa è la motivazione sacra che spinge La Pira ad un impegno che comprende anche le realtà temporali, perché la logica dell’Incarnazione e l’evento della Resurrezione hanno cambiato il destino dell’umanità, mutandone le prospettive ed aprendolo alla speranza che non delude perché ancorata in Dio, la salvezza temporale ed eterna: come in cielo, così in terra.

Così si esprimeva La Pira, colto nel suo vivo conversare con Fioretta, nell’accogliente buen retiro di via de’Serragli.

“ Tanto, non c’è niente da fare. Sono stato creato per questo. Volevo diventare professore, ma non per fare il professore, ma perché come professore potessi portare la parola di Cristo. E così deputato: per portare là la parola di Dio e ora al Cremino, nel cuore del comunismo e dell’ateismo. Solo per questo, per annunciare Gesù e la  sua Chiesa. E non c’è niente da fare, ci andrò perché sono stato creato per questo.

Dopo avergli scritto, ho sognato il Papa ( Pio XII ) che mi ha detto: “Ora parli lei.”

Fioretta, evidentemente colpita,  annota alla lettera le frasi di una conversazione confidenziale fra loro. L’episodio – finora inedito- è trascritto con la data del 21 ottobre 1955, cioè poco più di due settimane dopo quell’eccezionale Convegno dei sindaci delle città capitali, aperto dal sindaco di Firenze il 4 ottobre precedente - non a caso per la festa liturgica di S.Francesco – in cui tutti i convenuti firmarono una solenne dichiarazione d’impegno per la pace, stilata in latino e greco da Dino Pieraccioni.

 Durante il convegno, che aveva riunito in un sol colpo, i sindaci di tutte le maggiori capitali del mondo, al di qua e al di là della cortina di ferro (Mosca e Pechino incluse), La Pira aveva ricevuto dal suo collega moscovita Jasnov, l’invito a visitare, primo uomo politico occidentale, l’Unione Sovietica. (15)

Di questo parla con Fioretta ed inquadra quel viaggio che compirà solo nel ’59, quando la situazione personale e politica lo consentirà,come una nuova tappa di quella prospettiva sacra che entrambi condividono. Di quel mandato ad gentes che Gesù risorto affida ai suoi nel trionfo pasquale. Mandato universale esteso ai discepoli di ogni luogo e di ogni tempo.

In questa luce, Fioretta Mazzei non appare più la giovane e fedele discepola, ma come uno dei pochissimi interlocutori che abbiano davvero compreso e condiviso i moventi di natura squisitamente teologale che lo muovevano.

Creature bagnate dalla Grazia, entrambi, su piani e momenti talvolta coincidenti, talaltra diversificati, sono consapevoli di aver ricevuto un compito da realizzare in un dato tempo e in un dato spazio della storia. Sono consapevoli di agire per scrivere un nuovo capitolo  di quella storia sacra che finirà solo col ritorno glorioso di Cristo.

In una nota di diario del 3 agosto 1956, dopo elezioni che avevano premiato personalmente il sindaco ma reso difficilissima la formazione di una nuova amministrazione per l’indisponibilità dei Liberali ad appoggiare ancora La Pira e le incertezze dei socialdemocratici, si erano avute sedute concitate del consiglio comunale, da cui era risultato eletto alla carica di sindaco Piero  Calamandrei, giurista prestigioso e uomo della resistenza, amico personale di La Pira. Poche settimane dopo l’elezione, Calamandrei si dimise per ragioni di salute. Da nuove votazioni uscirono due nomi appaiati: quelli di La Pira e Ramat. Ma il primo riuscì eletto per anzianità.

Giorgio La Pira

Annota Fioretta nel suo diario:  “Il Signore si è mosso… Questa pagina di storia testimonia di Te,  puntualizza le nostre responsabilità e il nostro compito e la nostra posizione interiore: fare tutto quel che possiamo, ma poi, in realtà sei Te e Te solo, o Signore! Vieni in mezzo a noi e comanda, e stai. Che di qui (da Firenze) ti vedano le genti!” Citazione più esplicita non potrebbe darsi.

Fioretta Mazzei ascoltò, condivise e concorse a realizzare un disegno politico al quale Giorgio La Pira aveva conferito tratti di straordinario carisma e senso storico. Ma quella prospettiva aveva trovato in lei consenso e convinzione perché radicata in una storia, quella biblica di Dio creatore e salvatore, cui si era già arresa e consegnata.

Entrambi, in tempi diversi,  avevano maturato la salda convinzione di una chiamata a lavorare nella vigna del Signore e concorrere alla maturazione delle esigenze del suo Regno anche nella storia terrena.

Chiamata universale rivolta a ciascuno e al credente in particolare.

La loro vicinanza, la comprensione profonda che li univa sono distintamente leggibili nel volume “cose viste e ascoltate” che Fioretta dedicò a La Pira l’anno successivo alla sua morte. Lì, a saperci leggere bene, si trova anche l’implicita – e non so quanto involontaria – autobiografia di lei ma, soprattutto, la documentatissima, minuziosa anamnesi di un rapporto privilegiato che da Dio discende per soccorrere e sostenere un popolo in un tempo preciso.

Un intuito convergente che tante volte anch’io ho toccato con mano, lavorando con lei dopo la morte del Professore, e che aveva fatto di Fioretta la collaboratrice e continuatrice non solo effettiva, ma efficace, di quell’opera di pace che è sostanza stessa del Vangelo (basterebbe pensare anche solo al gemellaggio tra Firenze e Nazareth, così ricco di potenzialità politiche ed economiche, oltreché religiose, ancora inesplorate).

Ad avvicinarli erano in realtà, altrettanti aspetti delle molteplici forme che assume l’instinctus Spiritus Sancti.

A queste, e soltanto a queste profondità di comunione trinitaria e di unione eucaristica è possibile comprendere anche l’intera parabola  storico-politica di Giorgio La Pira e la bellezza, la forza e la sapienza di una donna che scelse un modus vivendi assolutamente originale, molto spesso unica, solitaria donna in ambienti quasi esclusivamente maschili. Come maschili, va sottolineato, furono alcuni dei suoi più importanti riferimenti affettivi, spirituali e intellettuali di tutta la vita: il padre Jacopo, cui fu sempre legata da un affetto di predilezione reciproca, di stima indiscutibile per le qualità intellettuali e morali di lui e per il suo spessore culturale; Don Bensi, che per Fioretta Mazzei fece una delle eccezioni della sua vita di sacerdote, accettando di confessare una donna. E proprio lui Fioretta aveva scelto come il consigliere, il sostegno della sua vita interiore, il grande confidente: “ Ora sono proprio sola!” mormorò all’indomani della sua morte, mentre lacrime silenziose, rarissime in lei, le rigavano il volto.

Quello stesso Don Bensi al quale continuamente si rivolgeva anche La Pira, cercandone la benedizione specie nei momenti più bui, più solitari, più abbandonati.

Entrambi hanno scommesso sull’amicizia di Dio con l’uomo e su ciò che ne deriva come postulato: l’amore al prossimo, che sul piano politico significa giustizia, uguaglianza, lavoro, libertà e pace.

Risaputo, si dirà. Già, ma quanto costa e quanto pesa lavorare per questo? Quante fatiche, ostacoli, sofferenze, nemici, abbandoni, solitudine costa?

Giorgio La Pira e Fioretta Mazzei erano consapevoli, di più, avevano scelto di muoversi nel gran mare delle vicende del secolo da cristiani imbarcati sulla gran nave della Chiesa: “Chicchi di sale sparsi” , scriveva lei. Sapevano di lavorare sulle frontiere della Chiesa, dove si è più esposti e si prende di più in faccia il vento contrario, per concorrere a realizzare il disegno di Dio sul nostro tempo.

Quella ostinata e coraggiosa rivendicazione della “tessera del Battesimo” da parte di La Pira, non aveva sapore integralistico; era, semmai, rivendicazione di libertà.

Quella libertà cristiana che, nella fedeltà alla Verità, smaschera i condizionamenti, le sudditanze mondane; conserva lo sguardo limpido, alieno dagli allettamenti dell’ambizione o, peggio ancora,  dell’interesse personale.

Smaschera le mode culturali, talvolta nutrite di narcisismo e di vanagloria, che tante “vittime” hanno mietuto anche fra laici e chierici del post-Concilio.

Giorgio La Pira pagò a carissimo prezzo la fedeltà alle sue convinzioni filosofiche e politiche, alla Chiesa, a quel Vescovo che, dal suo arrivo a Firenze, non sempre l’aveva capito, talvolta ostacolato, contribuito, sia pure indirettamente, alla sua caduta politica.

Quando il vento neomodernista agitò anche la Chiesa fiorentina e nel 1968 si produsse il famoso caso dell’Isolotto, con grande sofferenza e conoscendo tutti gli attori della vicenda da entrambe le parti, l’uomo che più di ogni altro nel Novecento ha fatto grande Firenze, imponendola di nuovo – e in positivo – all’attenzione internazionale, non esitò: “Ubi Episcopus, ibi Ecclesia.”, disse.

Fu abbandonato.

Quegli anni, quei momenti di umiliazione, di solitudine da ogni parte furono raccontati, e soprattutto condivisi, da pochi, certamente da Fioretta Mazzei: “Se sapesse com’è terribile vedere la gente che cambia marciapiede per non salutarti!”

Credo che la storia di La Pira dal 1965, “ l’anno nero” secondo la definizione di Fioretta, alla sua morte, non sia stata ancora esaurientemente esplorata, per diversi motivi che qui sarebbe troppo lungo esporre. Mi riprometto di farlo nel prossimo futuro.

Con Paolo VI

Tuttavia non si può tacere l’abbandono dei chierici à la page che lo considerarono attardato alla cultura anni Trenta e superato dal nuovo mito dell’uomo planetario. Superato, perché da uomo di genio qual era e da cristiano vero, senza altri aggettivi, come il Maritain del Paysan de la Garonne, aveva percepito la sostanziale inconsistenza e l’effimera valenza delle mode religiose post-conciliari, con l’ossessiva insistenza sull’aggiornamento e l’adeguamento della fede alle categorie epistemologiche contingenti.

 

 

 

 

 

Note

(1) F. MAZZEI, La Pira, cose viste e ascoltate, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1980, p.16 (ritorno)

(2) Cfr. La Pira, il suo tempo, i suoi amici, Catalogo della Mostra, a cura di Fioretta Mazzei e Giovanna Carocci, Fondazione Giorgio La Pira, Firenze, Polistampa, 1997, pp.10-11  (ritorno)

(3) Ibidem  (ritorno)

(4) S.NISTRI, Vita di Don Giulio Facibeni, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1979, p.420 (nota) e 279  (ritorno)

(5) La Pira, cose viste e ascoltate, cit., p.55  (ritorno)

(6) Vita di Don Giulio Facibeni, cit., pp.83-86  (ritorno)

(7) Ivi, p.420  (ritorno)

(8) G. CAROCCI, La Pira e Fanfani: un progetto politico per l’Italia e il mondo, in “ Il Focolare”, anno LX, n.2, febbraio 2000, pp.8-9  (ritorno)

(9) La Pira, Cose viste e ascoltate, cit., p.23  (ritorno)

(10) Testimonianza di Lapo Mazzei all’autrice.  (ritorno)

(11) La Pira, cose viste e ascoltate, cit., pp.54-59  (ritorno)

(12) Ivi, p.56  (ritorno)

(13) F. MAZZEI, Il Regno della libertà, quaderno a cura dell’Ass.Int. Fioretta Mazzei, 2001, p.16  (ritorno)

(14) La Pira, cose viste e ascoltate, cit., p.10  (ritorno)

(15) L’invito sarà reiterato ufficialmente l’anno successivo dall’ambasciatore sovietico in Italia  (ritorno)

 

 

 

 

 

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