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Profeti per il terzo millennio 

Foto di gruppo

Andò tra i popoli a predicare il verbo della pace

Giorgio La Pira, il sindaco santo

Di un uomo politico e di un cristiano che amò la vita contemplativa e anche l’impegno civile, prediligendo i poveri.

 

di Piero Lazzarin

 

Uno dei più odiosi conflitti dello scorso secolo, quello del Vietnam, avrebbe potuto finire una decina d’anni prima se i signori della guerra dell’epoca, non avessero duramente osteggiato un progetto di pace messo a punto ad Hanoi, nel 1965, dal leader vietnamita Ho Chi-Minh e dal sindaco di Firenze, Giorgio La Pira. Ci saremmo risparmiati dieci anni di stragi e atrocità. Questo raccontano i biografi del sindaco di Firenze, del quale, si ricordano i cent’anni dalla nascita.

Personaggio controverso, fuori dagli schemi, La Pira fu, per gli estimatori, un uomo onesto, limpido, un politico al servizio degli altri, dei poveri innanzitutto, e dalle grandi visioni: un profeta della pace, del dialogo e del rispetto tra i popoli e tra le religioni. Per altri fu un utopista pasticcione che mescolava pericolosamente politica e fede, e videro nella sua aspirazione alla fratellanza, tutta cristiana, un cedimento a ideologie estranee alla fede. In realtà La Pira, cattolico intransigente, seppe coniugare la tolleranza con il rigore delle dottrina cristiana e della fede che egli visse con intensità e integrità.

L’incontro di Hanoi fu solo una pietruzza del mosaico di pace iniziato nel 1952, quando organizzò a Firenze il Primo Convegno internazionale per la pace e la civiltà cristiana. Si era nel pieno della guerra fredda. Che voleva dire: mondo occidentale e blocco comunista divisi dalla cortina di ferro, e pronto ognuno, in caso di aggressione, a sfoderare le armi, atomiche purtroppo, stivate in gran numero negli arsenali. In quel clima di sospetti e diffidenza, La Pira invitava esponenti politici di tutti i Paesi a guardarsi in faccia, a dialogare, a porre le basi per un vivere pacifico.

Convinto che le «città» sono le «unità viventi in cui si concentrano i valori essenziali della storia passata e futura», i «libri vivi della storia e della civiltà umana, destinati alla formazione spirituale e civile delle generazioni future», nel 1955, radunava i sindaci delle capitali di mezzo mondo, a Palazzo Vecchio, per stringere un patto d’amicizia tra loro. Legami che, poi, Firenze approfondì, gemellandosi con Filadelfia, Kiev, Kyoto, Fez e Reims. Tutti fili di una rete di rapporti che egli andava tessendo con cristiano ottimismo per affrettare il compiersi del tempo in cui – come aveva vaticinato il profeta Isaia – i popoli «muteranno le loro spade in zappe e le loro lance in falci… e non praticheranno più la guerra» perché tutti cammineranno «nella luce del Signore».

 

Siciliano, figlio di povera gente

La Pira, siciliano di Pozzallo, in provincia di Ragusa, proveniva da una famiglia povera e fu solo con grandi sacrifici che riuscì a diplomarsi in ragioneria e, poi, a laurearsi in Giurisprudenza. Emigrò a Firenze, dove divenne docente di Diritto romano. La sua intensa attività di studioso, di diritto e della dottrina sociale della Chiesa, lo portò ad entrare in contatto con l’Università Cattolica di Milano e a stringere amicizia con padre Gemelli e con Giuseppe Lazzati. Molto attivo nelle file dell’Azione Cattolica giovanile, collaborò con diverse riviste cattoliche. Alla vigilia della Seconda Guerra mondiale, nel 1939, fondò una rivista, Principi, in cui sosteneva che «tutti i valori creati, compresi quelli sociali, hanno per l’uomo funzione di mezzo, costituiscono quella scala di valori che egli deve normalmente percorrere per giungere al suo ultimo fine; sono l’itinerario al termine e al di là del quale c’è il riposo e la perfezione: Dio raggiunto e posseduto per sempre». I valori della persona prima di qualsiasi altra cosa: stato, razza, ideologia, partito… Idee non proprio gradite al regime fascista che vietò la rivista.

Pochi anni dopo, nel 1943, La Pira si rifaceva vivo con un foglio clandestino: San Marco. La polizia segreta si mise sulle sue tracce ma egli riuscì a fuggire a Roma. Liberata Firenze, tornò ad insegnare all’Università. Nel 1946 fu eletto all’Assemblea Costituente. L’anno successivo, con Dossetti, Fanfani e Lazzati fondava Cronache sociali: una rivista che dava corpo, dal punto di vista cattolico, alle richieste di rinnovamento democratico in Italia.

 

Sindaco di Firenze

Nel 1951 fu eletto sindaco di Firenze: lo sarà, salvo una breve interruzione, fino al 1965. Come primo cittadino promosse la ricostruzione della città duramente colpita dai bombardamenti: vennero ricostruiti, tra l’altro, i ponti Alle Grazie, Vespucci e Trinità. Fu edificato il nuovo Teatro Comunale. Sorse il muovo quartiere dell’isolotto, e si progettò quello di Sorgane. Fu realizzata la Centrale, e nelle periferie sorsero case popolari e scuole.

Ma fu soprattutto la crisi delle officine Pignone (e poi della Galileo, della Richard-Ginori e delle fonderie delle Cure), a coinvolgerlo politicamente e umanamente. I proprietari della Pignone volevano chiudere mettendo sulla strada circa 3 mila operai. Il sindaco, schieratosi con i lavoratori, mobilitò mezzo mondo per impedire la chiusura delle officine. Scomodò perfino Enrico Mattei, presidente dell’Eni, che gli mandò a dire che lui si occupava di petrolio e non di metalmeccanica. Ma La Pira lo «assediò» fino a strappargli l’impegno ad occuparsi anche dello stabilimento fiorentino, e la Pignone fu salvata.

L'esempio di Giorgio La Pira - Copertina

Tuttavia, proprio per quel suo schierarsi a fianco degli operai, fu bollato come «comunista bianco», e «comunista di sagrestia». Lo stesso don Sturzo, fondatore della Democrazia Cristiana, lo rimbrottò scrivendogli che «i cattolici devono essere interclassisti e non statalisti, considerando lo Stato come unica fonte del diritto, se non si vuol finire in una sorta di “marxismo spurio”». La Pira gli rispose presentandogli la cartella clinica della città: 10 mila disoccupati, 3 mila sfrattati, 17 mila libretti di povertà. «Davanti a tutti questi feriti buttati a terra dai ladroni, come la parabola del Samaritano – scriveva – cosa deve fare il sindaco? Può lavarsi le mani dicendo a tutti: scusate, non posso interessarmi a voi perché non sono statalista ma interclassista?».

 

Parlò di Dio al Soviet Supremo

Il suo impegno per la pace e per il dialogo tra i popoli e tra le religioni, lo pose in prima fila, attivo, ogni volta che un conflitto minacciava di esplodere o, essendo in atto, non trovavano una soluzione. Negli anni della guerra d’Algeria fece incontrare, a Firenze, personalità francesi vicine al presidente De Gaulle e rappresentanti del Fronte di liberazione algerino. Fece di tutto per scongiurare la guerra dei sei giorni, e riavvicinare Il Cairo e Tel Aviv. Nel 1958 organizzava a Firenze i Colloqui Mediterranei, per promuovere la cooperazione tra i Paesi che si affacciano sul questo mare. Esigenza anche oggi sentita e che lo scorso novembre a Napoli ha dato vita al Parlamento del Mediterraneo.

Nel 1959, ufficialmente invitato dall’ambasciatore Bogolomov, andò a Mosca a parlare al Soviet Supremo. S’era svolto da poco il XX Congresso del Partito Comunista Sovietico nel quale Nikita Krusciov aveva denunciato i crimini di Stalin. Agli arcigni membri del Soviet Supremo, La Pira parlò di Dio e auspicò la libertà di religione. «Come avete rimosso dal Museo del Cremlino il cadavere di Stalin – disse – così dovete liberarvi dall’ateismo. È un’ideologia che appartiene al passato ed è ormai irrimediabilmente superata».

Dal 1966 lasciò gradualmente l’attività pubblica, pur mantenendo contatti internazionali come presidente della Federazione mondiale delle città unite. L’anno seguente intrecciò colloqui con Nasser in Egitto e con Abba Eban in Israele, per collaborare alla pace tra due popoli figli di Abramo.

Coltivò sino alla fine il sogno della fratellanza della pace. Per questo scrisse a capi di Stato, a personalità di ogni continente, a monasteri di clausura; tenne discorsi, incontri: applaudito e seguito dai giovani che avvertivano la grande forza della sua fede, e la purezza dei suoi ideali; deriso dai benpensanti.

Uomo di cristallina fede e di profonda adesione al messaggio evangelico, vissuto nell’impegno politico e nella solidarietà con i poveri, credette fino in fondo alla visione del profeta Isaia di un modo pacificato senza guerre e senza odi.

Gli ultimi anni del sindaco santo furono resi difficili da una grave malattia e da un penoso isolamento. Il 5 novembre 1977 in un «sabato senza vespri», come aveva desiderato, concluse la sua vita terrena. Ai suoi funerali, c’erano gli operai della Pignone a portarlo a spalla, in lacrime. Il cardinale Benelli, allora arcivescovo di Firenze, nel corso dell’omelia funebre disse: «Nulla può essere capito di Giorgio La Pira se non è collocato sul piano della fede. Tutto, al contrario, diventa chiaro se si pone in un’ottica soprannaturale». E Paolo VI nel telegramma inviato scrisse: «Con cuore commosso ricordiamo la coerente testimonianza cristiana, il sincero anelito ed il contributo alla pace e alla concordia tra gli uomini».

 

 

 

 

 

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