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     Notre Dame de Paris - La cavalcatura

Il grande confronto tra Giorgio La Pira e Luigi Sturzo degli anni ’50:
una lezione per i nostri tempi
 

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Il confronto tra solidaristi e difensori dell’economia di mercato affonda le radici nella storia più autentica del movimento cattolico italiano. La diversa concezione dello stato e del ruolo che esso ricopre nella realtà economica, anche e soprattutto in rapporto alla libertà ed alla giustizia, costituisce il centro del confronto tra queste due posizioni ideali.

Nel recente comunicato stampa del MEIC in ricordo di Giorgio La Pira (riportato sul sito web del movimento) si è giustamente esaltata la figura e l’opera del “sindaco di Firenze” e si è voluto ridimensionare il senso di un confronto che pure lo ha visto su posizioni diverse rispetto a figure storiche del liberalismo italiano, quali Einaudi, e figure storiche del movimento cattolico, quali don Luigi Sturzo. Ritengo invece che sia opera di corretta ed utile operazione storica riportare alla luce alcuni aspetti di questo confronto ed offrirli ad una analisi culturale che non può sfuggire ad un movimento come il MEIC.

A questo proposito mi pare opportuno ripercorrere in maniera sintetica le cronache del grande confronto giornalistico che si sviluppò negli anni ’50 tra La Pira e Sturzo.

         All’origine del confronto tra La Pira e don Sturzo è la civile polemica insorta tra Giorgio La Pira e Angelo Costa, all’epoca Presidente della Confindustria.

Nell’aprile del 1954, dopo i licenziamenti dalla Manetti-Roberts, La Pira fa presente a Costa in maniera un po’ ironica: “Libera concorrenza, iniziativa privata; legge della domanda e dell’offerta e così via:  in uno Stato, come il nostro, nel quale la quasi totalità del sistema finanziario è statale ed in cui tre/quarti circa del sistema produttivo sono, direttamente o indirettamente statali ! ”

Costa replica prontamente: “Lei ritiene di poter portare benessere alle masse per certe vie; noi riteniamo che le vie da Lei tracciate porterebbero alla miseria……Lei parla di economia “moderna” basata su un’economia di Stato: crede Lei che , dopo che lo Stato avesse tolto all’individuo la libertà economica (per esempio la libertà di impresa), l’uomo potrebbe continuare a godere delle altre libertà -quali la libertà di religione, la libertà di educare i propri figli- e che non si arriverebbe inevitabilmente alla religione di Stato, all’educazione di Stato?”

 

In risposta a questa polemica, il 13 maggio 1954 in un articolo comparso sul Giornale d’Italia e dal titolo “Statalista, La Pira?”  don Luigi Sturzo scriveva:

“La sicura affermazione di La Pira che il mondo civile vada verso la soppressione di ogni libertà economica, per affidare tutto allo Stato, deriva da una non esatta valutazione delle fasi monetarie, finanziarie ed economiche del dopo guerra sia in America che in Europa. (……). E di fronte all’affermazione che lo stato moderno deve assorbire in sè tutto, mi pare di sentire l’eco del motto mussoliniano <Tutto per lo stato, nulla sopra, fuori e contro lo Stato >. Questo io chiamo statalismo, e contro questo dogma voglio levare alta la mia voce, perché sono convinto che in questo fatto si annidi l’errore di fare dello stato l’idolo, Moloch o Leviathan che sia. Fissiamo comunque bene alcune idee: La Pira -da buon cristiano-  non vuole altro Dio fuori del vero Dio. Per La Pira, come per me, lo stato è un mezzo, non il fine; egli è lo statalista della povera gente ed è convinto che lo stato, tenendo in mano l’economia, possa assicurare a ciascun cittadino il minimo vitale. Ma non riesco a comprendere quei cattolici che per una socialità antieconomica trasformano il giusto e limitato intervento dello stato in vero e proprio statalismo non solo economico ma anche politico”.

 

Il 20 maggio 1954 La Pira rispondeva a don Sturzo:

“Rev. Don Sturzo,

bisognerebbe che lei facesse l’esperienza -ma quella vera- che tocca fare al sindaco di una città di 400.000 abitanti, avente la seguente cartella clinica: 10.000 disoccupati, una grande azienda da quattro mesi crollata (Richard-Ginori) con 950 licenziamenti, altre aziende con licenziamenti in atto (Manetti-Roberts) o con tentazioni di licenziamento, ben 2000 sfratti (sfratti autentici, sa!), 17.000 libretti di povertà con un totale di 37.000 persone assistite dal Comune.

Scusi: davanti a questi “feriti, buttati a terra dai ladroni” -come dice la parabola lucana del Samaritano- cosa dovrebbe fare il sindaco, cioè il capo ed in un certo modo il padre ed il responsabile della comune famiglia cittadina? Può lavarsi le mani, dicendo a tutti “scusate, non posso interessarmi a voi perché non sono uno statalista ma un interclassista”? Può “passare oltre” come il fariseo o lo scriba della parabola. La parabola del samaritano -sola norma umana- dice altro.

Venga, venga; faccia Lei il sindaco, ma sul serio: vedrà come le cose assumeranno nel suo spirito cristiano un rilievo forse impreveduto: diverranno aspetti dolorosi di ingiustizia; diverranno energico appello ad intervenire”.

 

Il 21 maggio don Sturzo replicava a La Pira:

“Non nego l’interessamento per i disoccupati, gli operai, i contadini, gli artigiani, i piccoli ceti rurali e cittadini. E neppure la controversia tra me e La Pira verte sull’intervento dello Stato. Non nego, infatti, un misurato intervento nelle varie branche dell’attività privata, specialmente a scopo integrativo e dove l’iniziativa privata non possa da sé corrispondere adeguatamente alle esigenze pubbliche.

Io contesto a La Pira la sua concezione dello stato moderno: affermare che “l’economia moderna è essenzialmente di intervento statale” (La Pira) toglie allo stato moderno la caratteristica di stato di diritto e lo definisce stato totalitario. L’economia di stato se fosse perseguita sulla base di quell’essenzialmente ci porterebbe a perdere la struttura di stato di diritto ed infine le stesse libertà politiche e civili, che diverrebbero solo libertà formali ed esteriori. Già siamo per la strada con i monopoli di stato e la partitocrazia connessa all’interventismo statale.

La mia difesa della libera iniziativa è basata sulla convinzione scientifica che l’economia di stato non è solo anti-economica, ma comprime la libertà e per giunta risulta meno utile, e più dannosa, al benessere sociale autentico”.

 

Perché non dobbiamo dimenticare La Pira e perché non dobbiamo dimenticare Sturzo.

 

A conclusione di queste brevi cronache, ritengo che da questo alto e nobile confronto tra La Pira e Sturzo possiamo tutti imparare: con La Pira (e…con Dossetti) a non dimenticare mai chi sta peggio di noi, chi ha bisogno urgente di aiuto e, quindi,  a trovare le misure idonee e solidali alla crescita ed al progresso sociale; con Sturzo (e ..con altre figure del pensiero liberale cattolico italiano, a cominciare da Rosmini) a non dimenticare mai che lo statalismo non si identifica con la solidarietà e che esso equivale, piuttosto, alla dissipazione delle risorse, all’annullamento delle libertà politiche e civili, alla progressiva distruzione della libertà di creatività e responsabilità delle singole persone, all’impossibilità di essere solidali, alla cancellazione della libertà di educare i propri figli.

Nel ringraziare per l’ospitalità concessa, credo -con queste parole- di aver fatto cosa utile per un libero dibattito nel MEIC su temi di così stringente attualità e, pur riconoscendo la mia “incompetenza scientifica” (in quanto medico), invito ad un approfondimento doveroso e ricco di stimoli culturali.

 

Prof. GianFranco Tonnarini

Facoltà di Medicina

Università La Sapienza di Roma

 

Presidente del gruppo MEIC-UNIROMA

Diocesi di Roma

 

 

 

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