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     Notre Dame de Paris - Le porte di Parigi

LA PIRA: SI’…MA
 

Giorgio La Pira

Da “LA NAZIONE”

Firenze, 24 Dicembre 2004

Inserto speciale:

“Giorgio La Pira 1904-2004. L’utopia è diventata realtà”

Lelio Lagorio, “Il suo successore a Palazzo Vecchio. L’equilibrismo delle alleanze con lo ‘spettro’ dei comunisti”

 

La vicenda umana di Giorgio La Pira come Sindaco di Firenze è una di quelle vicende per le quali gli estimatori laici non possono fare altro che dire: “Sì…ma”. La Pira è stato un sindaco realizzatore: sì…ma. Ha lasciato un segno nella storia di Firenze: sì…ma.

     Sulla sua azione a Palazzo Vecchio sbagliano i denigratori. Le loro filastrocche su La Pira come uomo fra le nuvole non sono veritiere. La Pira è stato anche un sindaco realizzatore, ma bisogna fare una considerazione sullo stato della società e dell’economia di Firenze durante il suo primato e bisogna separare due epoche della sua presenza in Comune: gli anni Cinquanta e i successivi. Sullo stato della città va detto che il lapirismo si è affermato in una stagione di grande slancio economico, il più forte di tutto il secolo, un boom che trasformò radicalmente uomini e cose, ma il Comune non seppe profittarne. Probabilmente le grandi potenzialità di quel tempo sfuggivano alla percezione di un leader che si sentiva intimamente legato ad una concezione pauperistica della società. E’ accaduto così che alcune riforme strutturali di cui Firenze aveva bisogno come  garanzia del suo sviluppo futuro e che con le risorse allora disponibili si potevano progettare non arrivarono mai all’ordine del giorno della città.

     Nel primo periodo tuttavia, durante il quale La Pira guidò una giunta democratica di centro (la DC, primo partito della città, era alleata ai socialdemocratici, ai repubblicani e ai liberali) il consuntivo delle cose fatte fu buono. Per lo più si tende a ricordare gli eventi della presenza di Firenze in campo internazionale, ma è giusto attribuire anche altri meriti al Comune: dalla lotta contro lo smantellamento delle grandi fabbriche (ultimi colpi di coda di una Firenze paleo-industriale che si stava trasformando in una comunità di servizi) al piano per gli alloggi della povera gente (ultimo retaggio di una arretratezza che stava scomparendo). La Pira era favorito da tre circostanze. Disponeva di una larga maggioranza in consiglio comunale, di una forte coesione in giunta, della  autorità personale di molti assessori che erano già “qualcuno” nella vita civile fiorentina. C’erano luminari della  scienza, prìncipi delle professioni, intellettuali già inseriti nel pantheon della cultura nazionale. Alla giunta La Pira giovava anche la concreta opposizione delle sinistre (comunisti e socialisti) e della destra (MSI). Il puntiglio degli avversari sulle grandi come sulle piccole cose si rivelò uno sprone per La Pira e i suoi valenti alleati.

     Il secondo periodo lapiriano, quello dei primi anni Sessanta, fu meno fortunato. La coalizione di centro venne sostituita da una maggioranza di centro-sinistra. La DC aveva cambiato spalla al suo fucile, aveva lasciato cadere ogni intesa coi liberali (il PRI non era più rappresentato in Comune) e aveva scelto come nuovi partners i socialisti che, abbandonata l’opposizione, sognavano una alleanza paritaria con la DC alla testa di Firenze.

     La navigazione della nuova giunta non fu pacifica. Al disagio della DC, titubante di fronte alle novità del centro-sinistra e con crescenti riserve interne nei confronti del primato lapiriano, si aggiunse l’insofferenza dei socialdemocratici spalleggiati dall’influentissimo quotidiano “La Nazione”.  Anche i socialisti non erano teneri. Avevano portato in giunta una pattuglia di intellettuali con la convinzione che grazie alla loro preparazione e alla loro cultura laico-giacobina avrebbero resistito al sole abbagliante del sindaco. Ma gli assessori socialisti si erano intesi alla perfezione con La Pira e non davano ascolto alle direttive di maggior cautela che provenivano dai dirigenti del partito. Il PSI pertanto si discostò gradualmente dal sindaco. Del resto, proprio in quel tempo, il PSI marciava verso la unificazione delle forze socialiste dovunque fossero. Obiettivo: alternativa alla DC senza supporto dei  comunisti. Questo disegno era l’esatto opposto delle idee di La Pira che credeva nella egemonia dei cattolici aiutati da bravi satelliti e quindi l’antagonismo fra il PSI e il sindaco era nelle cose. Fu così che la giunta si mosse a fatica e in meno di due anni entrò in crisi. La Pira aveva ancora tenuta alta la bandiera della presenza internazionale di Firenze (era, fra l’altro, la stagione tellurica del Vietnam) ma, quanto a realizzazioni pratiche, si era visto solamente il piano regolatore generale. Era una grande cosa, ma non piaceva a tutti, nemmeno in giunta.

     Fra il 1961 e il 1963 si consumò così il destino del sindaco La Pira. Nelle elezioni del 1964 a La Pira venne a mancare il sostegno del carismatico cardinale Elia Dalla Costa e fra i pezzi grossi nazionali della DC gli rimase vicino il solo Amintore Fanfani. Il sindaco fu fra i primi ad avvertire che il suo tempo si stava esaurendo. Ebbe polemiche roventi  con la dirigenza democristiana fiorentina e preparò  con le sue stesse mani la propria sostituzione.

     Casus belli divennero i comunisti. Nelle alte sfere romane si temeva che La Pira potesse rivolgersi ai comunisti per proseguire il cammino di sindaco. Lo lasciavano supporre certi cenacoli impazienti della sinistra cattolica che l’intesa coi comunisti predicavano ormai a viso aperto. La Pira per la verità non era su questa linea e dai comunisti infatti  - che lo sapevano - non ebbe mai né voti né benevolenza. Da La Pira tuttavia i circoli romani pretesero una pubblica dichiarazione di ostilità verso il PCI. Il sindaco si mise a ridere e, scossa la polvere dai calzari , se ne andò.

     Pochi mesi dopo, i comunisti si dichiararono pronti a dare un voto positivo alla giunta comunale e i lapiriani, indignati che quell’evento potesse avvenire quando ormai era sopravvenuto un sindaco socialista, rovesciarono il tavolo e aprirono le porte di Palazzo Vecchio a un commissario del governo.

     Con luci ed ombre, senza essere quel domineddio di cui  parlano alcuni suoi lodatori, La Pira resta un campione importante della storia di Firenze. Una personalità affascinate che ha conquistato anima e immaginazione dei fiorentini.

                                                              LELIO LAGORIO

 

Il testo dello scritto prosegue e si conclude con le righe seguenti (non pubblicate)

       Su come si può fare il sindaco in una città illustre ha lasciato il suo segno. Difatti, più di un sindaco venuto dopo di lui ha cercato di mettersi  sul suo sentiero. Ma, si sa, quando mutano le condizioni e i protagonisti, un dramma se si ripete può somigliare a una farsa. La Pira non era e non è replicabile. La città gli renda onore come merita.

 

 

 

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