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     PFM - La guerra di Piero

Don Primo Mazzolari

Il Pensiero

 

Quello che qui vi proponiamo è una raccolta di espressioni del pensiero di Don Primo raccolte qui e la per il web.

Tratto da wikipedia

Dagli inizi degli anni cinquanta don Primo sviluppa un pensiero sociale vicino alle classi deboli («nessuno è fuori della carità») e alle tematiche pacifiste che attireranno le critiche e le sanzioni delle autorità ecclesiastiche fino a portarlo all'isolamento nella sua parrocchia di Bozzolo.

Se l'istituzione lo reprimeva con durezza, non per questo il messaggio di Mazzolari si spense ed ebbe anzi una notevole influenza, anche se per vie più sotterranee. Veniva regolarmente invitato da Ernesto Balducci agli incontri annuali dei preti scrittori. Gli echi della riflessione di Mazzolari sull'obiezione di coscienza si ritroveranno così nel mondo fiorentino di Ernesto Balducci, sino ai livelli politici di Giorgio La Pira e di Nicola Pistelli, e fino al punto più noto della "germinazione fiorentina", rappresentato nel 1965 dal don Lorenzo Milani di L'obbedienza non è più una virtù. Anche don Milani aveva collaborato con Mazzolari scrivendo articoli per Adesso. 

Con la pubblicazione anonima di Tu non uccidere, nel 1955, Mazzolari attaccava a fondo la dottrina della guerra giusta e l'ideologia della vittoria, il tutto in nome di un'opzione preferenziale per la nonviolenza, da sostenere con un forte «movimento di resistenza cristiana contro la guerra» e per la giustizia, vista come l'altra faccia della pace. Al fondo c'era la nuova consapevolezza del significato dirompente della bomba atomica, che aveva cambiato il campo razionale entro il quale il realismo aveva potuto muoversi per giustificare l'extrema ratio della guerra. 

È solo verso la fine degli anni cinquanta, negli ultimi mesi di vita, che don Primo Mazzolari cominciò a ricevere le prime attestazioni di stima da parte delle alte gerarchie. Nel novembre del 1957 l’arcivescovo di Milano Montini (futuro Papa Paolo VI) lo chiama a predicare presso la propria diocesi, nel febbraio del 1959 Papa Giovanni XXIII lo riceve in udienza privata l’accoglienza che egli ebbe dal Pontefice, come disse al ritorno a Bozzolo ad amici e parenti, lo ripagava di ogni amarezza sofferta.

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tratto da http://www.giovaniemissione.it

…Alcune altre frasi significative …

"Questi giovani, i vostri figlioli, che sanno ancora così poco della vita, non sanno che cosa vuol dire disperazione. Voi invece l'avete conosciuta lassù e l'avete ritrovata, molti, adesso. La disperazione non è il buttarsi nel fiume, l'appendersi a un albero, bruciarsi le cervella. Sono atti insani, gli episodi patologici e non mai abbastanza deprecati della disperazione.La disperazione è prima di tutto nel nostro sapere il perché della propria vita, specialmente quando la vita è sacrificio.Disperazione è tirarsi il collo e non riuscire a portare a casa quanto basta per sfamare i propri figlioli; disperazione è aver voglia di lavorare e non trovarne; disperazione è l'aver messo assieme, frusto a frusto, un campo, una casa, e vederseli portar via senza averla mangiata fuori; disperazione è il non poter quasi credere a un domani: al lavoro come sorgente di benessere, all'onestà come il più bel titolo di nobiltà per l'uomo."  

Cattolico non vuol dire che uno rinunci a pensare con la propria testa là dove l’uso della testa è un dovere dell’uomo, rispettato e consigliato dalla religione […]. Chi ha paura che la religione possa essere minacciata dal disaccordo dei credenti negli affari temporali, deve avere della Fede e della Chiesa un’idea ben meschina".

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Tratto da http://www.inmovimento.it

Primato della Parola di Dio

Primato della Parola di Dio: Essa contiene sempre quel germe intatto di novità che può far saltare tutte le postazioni di comodo e tutte le giustizie farisaiche dello statu quo
Teologia della Croce: “Cosa vuol dire credere nel bene? Vuol dire che domani mattina tornerà la luce e tornerà il sole. Non sono i tiranni che fanno la storia, non sono le dittature che fanno la storia […] Sono gli offerti, sono questo calvario che non ha nome: Cristo che si offre. E c’è un solo simbolo: la croce. Anche quando non si sa neanche cosa vuol dire la croce, perché tutti coloro che offrono la propria vita non sono, o miei cari fratelli, che delle immagini viventi del Cristo, l’Agnello”.
Ecclesiologia ecumenica: “La fede non è un approdo, ma un sicuro orientamento di grazia verso l’approdo. La traversata continua e faticosamente. Chi non ha la grazia di credere è tentato dall’incertezza e dal timore del niente. Chi ha la grazia di credere è travagliato dalla luce stessa che gli fu comunicata”.

Utopia della pace: Un cristiano deve fare la pace anche quando venissero meno “le ragioni di pace”. Al pari della fede, della speranza e della carità, la pace è vera beatitudine quando non c’è tornaconto né convenienza né interesse di pace, vale a dire quando incomincia a parere una follia davanti al buon senso della gente “ragionevole”.
Corresponsabilità dei cristiani laici: queste idee anticipano l’ecclesiologia del CV II dove la chiesa è definita come popolo di Dio più larga della chiesa istituzionale, una chiesa dove ciascuno ha la sua parte di responsabilità. In una lettera don Primo ebbe a scrivere [ndr]: “in questo tempo senza uomini anche la più piccola responsabilità da paura e ci si scarica su Roma”.
Recupero dei valori evangelici per i preti e per le suore: vivere l’onere di questa vocazione piuttosto che l’onore!
Rinnovamento dell’individuo per il rinnovamento della società, nella libertà, nella giustizia e nella solidarietà.

(fonte: Giovani e Missione)

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Tratto integralmente da www.ildialogo.org

Giustizia e libertà nel pensiero di don Primo Mazzolari

 

di Giulia Vaggi

 

Oggi si parla spesso del valore della pace nel pensiero di don Mazzolari, come è giusto, tuttavia si parla meno del rapporto tra la pace, la giustizia e la libertà che per lui costituiscono un intreccio indissolubile, fondato e alimentato dalla fede. Non esiste pace là dove non si vive e non si opera nel rispetto della giustizia e della libertà, a cominciare dall’ esperienza individuale nel concreto della realtà.

Don Primo, infatti, aveva una profonda sensibilità per il divenire della storia, una grande attenzione alle dinamiche culturali, politiche, economiche, belliche e sociali, e allo stesso variare del linguaggio. Per comprendere i fatti della storia ed evitare giudizi ingiusti, occorre approfondire il loro contesto.

La storia, diceva don Primo, è sempre nuova, l’adesso sempre aperto al futuro, così come è sempre nuova la “parola che non passa”, che nella sua universalità è fonte perenne di giudizio e orientamento dell’agire umano.

Per comprendere l’intensità e la passione dello scritto “Tu non uccidere” del 1952, che penetra oggi nella coscienza del lettore come un precetto assoluto, occorre ricordare che questo testo costituisce l’acme di un processo complesso e sofferto di pensiero e di azione.

Nel 1915 don Primo è interventista e scriveva al fratello Peppino che era al fronte : “Saprai dai giornali che la nostra guerra va bene, che il Signore è con noi, che combattiamo per la giustizia.” Alle sue parole corrispondono i fatti.

Nel 1915 don Primo era a Genova come soldato semplice in sanità; nel 1918 viene nominato tenente cappellano ed inviato con le truppe in Francia; nel 1920, come tenente cappellano è destinato nell’Alta Slesia.

L’appello a praticare la giustizia e la libertà è costante nel suo apostolato di parroco, nei suoi scritti, nella formazione dei laici, nella solidarietà con gli ultimi, nell’interesse per i lontani e soprattutto per il rinnovamento della chiesa che prelude alle dichiarazioni del Vaticano II.

La pace è un bene fragile da custodire e da difendere, sempre esposta alla violenza dei potenti.

Nel 1941 riceve una lettera da un giovane aviatore che gli scrive: “Perché la Chiesa incoraggia i suoi figli a fare il loro dovere e quindi a battersi gli uni contro gli altri? Si può immaginare Cristo buon pastore che da un lato si addolora e dall’altro incoraggia le sue pecorelle ad azzuffarsi?”.

La risposta di don Primo è complessa, articolata ed attuale, da calare nella storia: “La Chiesa non ha potuto impedire la guerra. L’eccessiva esaltazione dell’autorità inclina a trovare giusta una guerra per la sola ragione che viene dichiarata dall’autorità legittima, ma si confonde la legittimità con la moralità. Se si vuole raggiungere una convivenza internazionale meno turbata e di continuo minacciata dai più forti, bisognerà pure che un giorno i popoli si accordino e diano vita ad un potere sovra statale che abbia, fra i molti altri compiti, quello di impedire il sorgere delle guerre, di giudicarle e di efficacemente contenerle”.

Purtroppo è una metà ancora lontana, che richiede maturità e senso di responsabilità, ma la speranza, se è cristiana, non può arrendersi neppure nei periodi più oscuri come il nostro.

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...Noi ci Impegnamo...

 

Noi ci impegnamo…
Ci impegnamo noi, e non gli altri;
unicamente noi, e non gli altri;
né chi sta in alto, né chi sta in basso;
né chi crede, né chi non crede.
Ci impegnamo,
senza pretendere che gli altri si impegnino,
con noi o per conto loro,
con noi o in altro modo.
Ci impegnamo
senza giudicare chi non s’impegna,
senza accusare chi non s’impegna,
senza condannare chi non s’impegna,
senza cercare perché non s’impegna.

Il mondo si muove se noi ci muoviamo,
si muta se noi mutiamo,
si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura.
La primavera incomincia con il primo fiore,
la notte con la prima stella,
il fiume con la prima goccia d’acqua
l’amore col primo pegno.
Ci impegnamo
perché noi crediamo nell’amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta
a impegnarci perpetuamente.

 don Primo Mazzolari

 

tratto da http://www.giovaniemissione.it

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