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     Vasco Rossi - Io non so più cosa fare

Martin Luther King Jr.

"Guerra e Pace"

 

Quello che in questa pagine vi proponiamo è una raccolta di frammenti di discorsi che trovate anche in forma integrale sempre all'interno di questa sezione dedicata a Martin Luther King Jr.  Lo scopo è quello di riunire in un solo contesto tutti gli spunti relativi al tema "Guerra e Pace". Buona lettura a tutti.

 

"Autobiografia di uno sviluppo religioso."

Sono nato in una situazione familiare molto congeniale. I miei genitori hanno sempre vissuto insieme intimamente, e posso a stento ricordare le occasioni in cui abbiano discusso animatamente (mio padre non sembra la persona che voglia discutere) o che abbiano litigato. La comunità in cui sono nato era abbastanza ordinaria in termini di stato sociale. Nessuno aveva ottenuto grandi ricchezze. Il crimine era al minimo, e la maggior parte dei nostri vicini era profondamente religiosa. Ci si può chiedere a questo punto, perché riporto certi fattori come su menzionati nel parlare dello sviluppo religioso? La risposta a questa domanda risiede nel fatto che i fattori menzionati erano molto significativi nel determinare le mie inclinazioni religiose. È facile per me pensare ad un Dio di amore perché sono cresciuto in una famiglia dove l’amore era centrale e dove erano presenti relazioni amichevoli. È facile per me pensare all’universo come a qualcosa di basilarmente amichevole, a causa della mia notevole eredità e delle circostanze ambientali. È facile per me pendere più verso l’ottimismo che il pessimismo circa la natura umana, per via delle mie esperienze giovanili.



 

"Pellegrinaggio alla Nonviolenza."

Prima di leggere Gandhi, avevo concluso che l’etica di Gesù si trovasse effettivamente solo nelle relazioni tra gli individui. La filosofia del “volgi l’altra guancia”  e del “ama i tuoi nemici” erano validi, credevo, solo quando gli individui fossero in conflitto con altri individui, quando gruppi razziali e nazioni erano in conflitto, e sembrava necessario un approccio più realistico. Ma dopo aver letto Gandhi ho visto quanto fosse del tutto sbagliato. Gandhi è stata la prima persona nella storia a sollevare l’amore etico di Gesù da semplice interazione tra individui ad una potente ed effettiva forza sociale su larga scala. L’amore per Gandhi era un potente strumento per la trasformazione sociale e collettiva. È stato in questa enfatizzazione gandhiana dell’amore e della nonviolenza che ho scoperto il metodo della riforma sociale che ho sempre ricercato. Non voglio dare l’impressione che la nonviolenza tutto ad un tratto produca miracoli. Quando in non privilegiati chiedono libertà, i privilegiati reagiscono all’inizio con amarezza e resistenza. Anche quando le rivendicazioni sono fatte in termini nonviolenti, la reazione iniziale è la stessa. Così l’approccio nonviolento non cambia immediatamente i cuori dell’oppressore. Prima cambia qualcosa nei cuori e nelle anime di coloro che si sono impegnati (nella lotta n.d.t.). Dà loro nuovo auto-rispetto, infonde  forza e coraggio che non sapevano di avere. Finalmente tocca gli oppositori e così suscita nelle loro coscienze il fatto che la riconciliazione debba diventare una realtà. E ho visto più e più volte la necessità della nonviolenza nelle relazioni internazionali. Da studente ero convinto del potere della nonviolenza nei conflitti di gruppo all’interno delle nazioni, non ero ancora convinto della sua efficacia tra nazioni. Sentivo che mentre la guerra non poteva mai essere un bene assoluto e positivo, poteva servire come fatto negativo nel senso di prevenire la diffusione e la crescita delle forze del male. La guerra, credo, orribile come è, potrebbe essere preferibile all’arrendersi ad un sistema totalitarista. Ma sono giunto sempre più alla conclusione che il potenziale distruttivo delle moderne armi da guerra precluda la possibilità di guerre pur rimanendo sempre un fatto negativo. Se assumiamo che il genere umano ha il diritto di sopravvivere allora dobbiamo trovare un’alternativa alla guerra ed alla distruzione. Il giorno in cui gli Sputnik si addentreranno oltre nello spazio ed i missili balistici guidati taglieranno le autostrade della morte attraverso la stratosfera, nessuno potrà vincere una guerra. La scelta oggi non si pone più tra violenza e nonviolenza. Consiste nello scegliere tra nonviolenza e nonesistenza. Non sono un pacifista indottrinato. Ho provato ad abbracciare un pacifismo realistico. Per di più vedo che la posizione dei pacifisti non è scevra da peccato ma è da considerare come il male minore tra le circostanze. Quindi non rivendico di essere libero dal dilemma morale vissuto dai nonpacifisti cristiani. Ma sono convinto che la chiesa non possa rimanere in silenzio mentre il genere umano si trova di fronte allo scenario di essere spinto nell’abisso dell’olocausto nucleare. Se la chiesa è fedele alla sua missione deve chiedere la fine della corsa alle armi.

 

"L’organizzazione sociale della nonviolenza"

É un assioma della vita sociale che le frustrazioni portino a due tipi di reazione. Una è lo sviluppo di una sana organizzazione sociale per resistere con misure ferme ed effettive alle forze che impediscono il progresso. L’altra è una direttrice confusa e motivata dall’odio che reagisce violentemente per vendicare sofferenze ingiuste. Gli attuali richiami alla violenza hanno le loro radici in quest’ultima tendenza. Su questo si deve chiarire che ci sono tre differenti viste sulla violenza. La prima è un approccio di pura nonviolenza, che non attrae immediatamente e facilmente grandi masse, ma richiede straordinaria disciplina e coraggio. La seconda è l’esercizio della violenza per auto-difesa, che tutte le società, dalla più primitiva alla più civilizzata ed acculturata, accettano come morale e legale. Il principio dell’auto-difesa, pur implicando armi e spargimento di sangue, non è mai stato condannato, neanche da Gandhi, che lo sancì per coloro che non padroneggiavano la pura nonviolenza. La terza è l’uso della violenza, come strumento di vantaggio e di organizzazione dello stato di guerra, in modo deliberato e consapevole. Vi sono incalcolabili pericoli in questo approccio. Il pericolo più grande è che fallisca nell’attrarre i Negri verso una lotta realmente di massa. Ci sono valide alternative alla violenza. Nella storia del movimento per l’emancipazione razziale, sono state sviluppate molte forme creative: il boicottaggio di massa, sit-in di protesta e di lotta, rifiuto di pagare cauzioni per arresti ingiusti, marce di massa, manifestazioni di massa, pellegrinaggi di preghiera, ecc. C’è più forza nelle marce di masse socialmente organizzate di quanta ce ne sia nelle armi impugnate da pochi uomini disperati. I nostri nemici preferirebbero discutere con un piccolo gruppo armato piuttosto che con una enorme, disarmata ma risoluta massa di persone. Comunque, è necessario che il metodo dell’azione di massa sia continuativo e inarrendevole. Tutta la storia insegna che come un oceano turbolento porta grandi onde ad infrangersi sullo scoglio, allo stesso modo un determinato movimento di persone, che chiede incessantemente  i suoi diritti, disintegra sempre il vecchio ordine. Le nostre potenti armi sono la voce, i piedi ed i corpi di gente dedicata e unita che va senza remore verso un giusto obiettivo. Le più grandi tirannie dei segregazionisti del Sud sono state attenuate e vanificate da questa forma di lotta. Sarebbe tragico se la disdegnassimo perché significherebbe che abbiamo fallito nel percepirne il suo potere e la sua forza dinamica. Sono riluttante ad proporre una difesa personale contro le accuse secondo cui sono inconsistente nella mia lotta contro la guerra ed ho le ginocchia troppo deboli nel protestare contro la guerra nucleare. Solo per rinfrescare semplicemente la memoria, affermo che ripetutamente, in discorsi pubblici e nei miei scritti, ho dichiarato inequivocabilmente la mia repulsione per questo che è il più colossale di tutti i mali ed ho condannato ogni guerrafondaio a prescindere dalla sua importanza e nazionalità.



 

"Discorso all’accettazione del Premio Nobel per la Pace."

Accetto questo premio oggi con una sostenuta fede nell’America e un’audace fede nel futuro dell’umanità. Rifiuto di accettare la vista secondo cui il genere umano sia così tragicamente al limite di una notte buia di razzismo e di guerra che non al giorno brillante di pace e fratellanza e che mai potranno diventare una realtà. Rifiuto di accettare la cinica nozione per cui nazione dopo nazione debbano essere trascinate nella spirale dell’annientamento nucleare.

Credo che in realtà una disarmata verità ed un incondizionato amore avranno la parola finale. Anche se per il momento, sono sconfitti temporaneamente.

 

Pubblico

È più forte di un male trionfante.

 

Ho l’audacia di credere che ovunque la gente possa avere tre pasti al giorno per i loro corpi, educazione e cultura per le loro menti e dignità, uguaglianza e libertà per i loro spiriti. Credo che gli egocentrici dovranno abbassarsi.

 

Pubblico

Uomini orientati agli altri possono costruire.

 

Penso ancora che un giorno il genere umano si inginocchierà davanti agli altari di Dio e sarà coronato trionfante sulla guerra e sullo spargimento di sangue e una nonviolenta redentivi buona volontà proclamerà il governo della terra. Ed il leone e la pecora giaceranno insieme, ed ogni uomo siederà sotto la sua vite e nessuno avrà paura.

 

Pubblico

Credo fermamente che vi giungeremo.



 

"Dalla conferenza al Premio Nobel per la Pace"

Sono attento al fatto che la violenza porti spesso a risultati momentanei. Le nazioni hanno frequentemente guadagnato la loro indipendenza con battaglie. Ma a dispetto di vittorie temporanee, la violenza non ha mai portato ad una pace duratura. Non risolve i problemi sociali ma semplicemente ne crea di nuovi e più complicati. La violenza è impraticabile in quanto una spirale discendente termina nella distruzione di tutto. È immorale perché cerca di umiliare l’oppositore piuttosto che guadagnare la sua comprensione. Cerca di annichilire piuttosto che convertire. Distrugge le comunità e rende la fratellanza impossibile. La violenza finisce col disfare se stessa. Crea amarezza nei sopravvissuti e brutalità nei distruttori. La nonviolenza è un’arma potente e giusta. Fu usata in modo magnifico da Mohandas K. Gandhi per sfidare il potere dell’impero  britannico e liberare il suo popolo dalla dominazione politica e dallo sfruttamento economico inflittogli per secoli. Egli lottò solo con l’arma della Verità, la forza dell’anima. Nei dieci anni trascorsi, uomini e donne coraggiosi e disarmati degli Stati Uniti hanno dato una testimonianza viva  del potere morale e dell’efficacia della nonviolenza. A migliaia, implacabili ragazzi, neri e bianchi, hanno temporaneamente lasciato le torri d’avorio dell’apprendimento per prendere d’assalto le barricate del pregiudizio. Un giorno tutta l’America sarà orgogliosa dei loro successi. Sono ancora convinto che la nonviolenza sia praticamente il modo più sano e moralmente ineccepibile per essere alle prese con l’annoso problema della giustizia razziale.

Un secondo male che piaga il mondo moderno è quello della povertà. Più dei due terzi della popolazione mondiale va a letto affamata la sera. Sono denutriti, abitano casupole e sono mal vestiti. Così è ovvio che se l’uomo deve recuperare il suo ritardo spirituale e morale, deve attraversare del tutto il ponte sul golfo sociale ed economico tra gli averi e i non averi del mondo. La povertà è uno dei problemi più urgenti sull’agenda della vita moderna. Non c’è niente di nuovo sulla povertà. Quello che è nuovo, comunque, è che abbiamo le risorse per sbarazzarcene. Così come la nonviolenza ha messo in evidenza l’odiosità della ingiustizia razziale, allo stesso modo l’infezione e la peccaminosità della povertà devono essere evidenziate e guarite, non solo nei suoi sintomi ma anche nelle sue cause basilari. Le nazioni ricche devono usare le loro vaste ricchezze per sviluppare i sottosviluppati, scolarizzare gli analfabeti, e dar da mangiare a chi non ne ha. Alla fine una grande nazione è tale se è caritatevole; nessun individuo o nazione può essere grande se non si preoccupa per almeno uno di questi problemi. In ultima analisi, il ricco non deve ignorare il povero, perché entrambi, ricco e povero, sono legati insieme dallo stesso destino – perché la vita è interrelata e tutti gli uomini sono interdipendenti. L’agonia del povero sminuisce il ricco, e la salvezza del povero fa più grande il ricco.

Un terzo grande male che si confronta col nostro mondo è quello della guerra. Eventi recenti ci hanno vividamente ricordato che le nazioni non stanno riducendo, ma piuttosto aumentando i loro arsenali di armi di distruzione di massa. La proliferazione delle armi nucleari  non è stata fermata. Il fatto che per la maggior parte del tempo, il genere umano allontani dalla mente la guerra nucleare, è perché è troppo dolorosa e quindi inaccettabile, ma questo non altera il rischio che possa accadere. Così l’inclinazione degli uomini ad intraprendere una guerra è ancora un fatto, ma la saggezza che nasce dall’esperienza dovrebbe dirci che la guerra è obsoleta. Nessuna nazione può dichiarare vittoria in guerra. Una guerra così detta limitata lascerà poco più di una disastrosa eredità di sofferenze umane, confusione e disillusione politica. Una guerra mondiale, Dio la impedisca, lascerebbe solo cenere calda come muta testimone della razza umana la cui follia avrà portato alla morte finale. E così, se l’uomo moderno continuerà senza esitare a flirtare con la guerra, trasformerà il suo habitat terreno in un inferno che nemmeno la mente di Date riuscirebbe ad immaginare.

Quindi mi avventuro a consigliare, a voi tutti e a tutti coloro che ascoltano e che possono eventualmente leggere queste parole, che la strategia e la filosofia della nonviolenza diventino immediatamente oggetto di studio e di seri esperimenti in ogni campo dei conflitti umani, senza escludere le relazioni tra le nazioni. Dopo tutto è la nazione che ha prodotto le armi che minacciano la sopravvivenza del genere umano e che possono condurre al genocidio ed al suicidio. E’ un imperativo ed è urgente porre fine alla guerra e alla violenza tra le nazioni così come lo è per l’ingiustizia razziale. Non è sufficiente dire che non dobbiamo fare la guerra. È necessario amare la pace e sacrificarsi per essa. Dobbiamo concentrarci non semplicemente sul negativo allontanamento della guerra, ma sulla positiva affermazione della pace. In breve, dobbiamo trasformare la gara delle armi in una gara per la pace. Alcuni anni fa, uno scrittore morì e fra le sue carte fu trovata una lista di suggerimenti per storie future, di cui il più importante, era sottolineato ed era questo: Una grande famiglia separata eredita una casa in cui devono vivere insieme. Questo è un grande, nuovo problema del genere umano. Noi dobbiamo abitare una grande casa, un grande mondo-casa in cui dobbiamo vivere insieme, uomini neri e bianchi, dell’est e dell’ovest, gentili e giudei, cattolici e protestanti, mussulmani e indù. Una famiglia eccessivamente separata in idee, cultura e interessi, i quali, poiché non possono fare a meno l’uno dell’altro, devono imparare qualcosa in questo grande mondo-casa: vivere con tutti gli altri. E questa è la nostra grande sfida. Questo significa che sempre di più la nostra lealtà deve diventare ecumenica piuttosto che sezionale. Ora dobbiamo dare una preponderante lealtà al genere umano nel suo insieme per conservare il meglio delle nostre singole società. Questo chiama ad una associazione mondiale che innalzi le preoccupazioni di vicinanza oltre la propria tribù, razza e classe e che la nazione sia realmente una chiamata per un abbraccio a tutti, un incondizionato amore per tutti gli uomini. Non sto parlando di una risposta sentimentale e debole che è poco più di una emozione insignificante. Sto parlando di quella forza che tutte le grandi religioni  hanno visto come un supremo, unificante principio di vita.

 

 

"Il viaggio della coscienza"

Per tutta la mia vita da adulto ho deplorato l’uso della violenza e della guerra come strumenti per ottenere soluzioni ai problemi del genere umano. Sono fermamente convinto del potere creativo della nonviolenza in quanto capace di ottenere in modo durevole e significativo la fratellanza e la pace. A dispetto di questo – giusto o sbagliato – nell’estate e nell’autunno del 1965, ho creduto che per tutti gli americani fosse essenziale evitare pubblicamente il loro dibattito perché stavamo facendo la guerra nelle lontane terre del Vietnam.

Accettando questa premessa, i miei impegni pubblici, mentre condannavano tutti i militarismi, erano diretti principalmente ai meccanismi per il raggiungimento di un’immediata cessazione delle ostilità. Non ho marciato, non ho dimostrato, non ho partecipato o promosso riunioni. Comunque, sapendo che mia moglie condivideva la mia passione per la pace, decisi di lasciarla partecipare e promuovere incontri sul problema della pace, concentrandomi sui diritti civili. Ma quando i giorni della speranza divennero mesi di disappunto, trovammo degli inconvenienti nella ricerca della pace e facilitazioni nella ricerca di vantaggi militari.

Vidi un ordinato accumulo di male, un insieme di inumanità, ognuna delle quali, da sola, era sufficiente a farmi nascondere per la vergogna. Ciò che era doloroso, ma vero, era che il mio paese parlava solo di pace ma era loscamente incline alla vittoria militare. Dentro il guanto della pace c’era il pugno stretto della guerra. Ora sono nudo, con vergogna e colpa, proprio come ogni tedesco doveva essere quando il suo governo usava il suo potere militare per schiacciare altre nazioni. Giusto o sbagliato, mi sono permesso a lungo  di essere un silenzioso osservatore. Al più, sono stato un forte oratore ed un tranquillo attore mentre veniva eseguita una sciarada. Spesso ho criticato duramente coloro che per silenzio o inclinazione  condonavano e quindi cooperavano con i mali dell’ingiustizia razziale. Non ho detto, di nuovo e di nuovo, che lo spettatore silenzioso deve portare la responsabilità delle brutalità commesse da Bull Connors, o delle morti dei bambini innocenti della chiesa di Birmingham? Non mi sono impegnato sul principio secondo cui guardare il male a distanza, in effetti, è condonarlo? Chi è per il linciaggio tiri il grilletto, punti a colpire il bestiame, o apra il lanciafiamme in nome del silenzio. Ne ho parlato, quindi, solo per cancellare il mio nome dalle bombe che sono cadute sul Vietnam del Nord o del Sud, dal contenitore del napalm. Il tempo è venuto – infatti è appena passato -  quando mi sono staccato e dissociato da coloro che, in nome della pace, incendiano, mutilano e uccidono. Come mi sono mosso per rompere il tradimento del mio stesso silenzio e parlare dal mio cuore in fiamme – quando ho parlato di un radicale allontanamento dalla distruzione del Vietnam – molte persone hanno obiettato circa la saggezza del mio percorso: “Perché parli della guerra, Dr, King? Perché ti unisci alle voci del dissenso?” “La pace e i diritti civili non si mischiano” hanno detto. E quando li ascolto, sebbene capisca il motivo della loro preoccupazione, ciononostante sono molto rattristato da tali domande perché significa che tali interlocutori non conoscono me, il mio impegno o la mia vocazione. Sembra che dimentichino che sono prima di tutto un leader dei diritti civili, rispondo ad una chiamata e quando Dio parla, cosa si  può se non profetizzare. Ho risposto ad una chiamata che lascia lo Spirito del Signore su di me e mi spinge a pregare il Vangelo. E durante i primi giorni del mio ministero, ho letto l’apostolo Paolo che diceva: “Non essere conforme a questo mondo, ma sii trasformato dal rinnovamento delle menti.” Ho deciso quindi di dire la verità così come Dio l’aveva rivelata a me. Non importava che molta gente non fosse d’accordo con me, avevo deciso che dovevo dire la verità.

Ancora di più, dovevo andare sui pulpiti e sui palchi. Dovevo ritornare nelle strade per mobilitare gli uomini ad unirsi e chiedere, nello spirito della nostra stessa storia rivoluzionaria, l’immediata fine di questo sanguinario, immorale, osceno massacro per una causa che piange per una soluzione prima che il genere umano vada in rovina. Non potrei fare di meno per la salvezza della mia anima.



 

 

"Al di là del Vietnam – Discorso alla chiesa di Riverside"

Sono venuto in questo magnifico edificio di culto stasera perchè la mia coscienza non mi lascia altra scelta. Sono qui con voi in questo incontro in quanto profondamente d’accordo con gli obiettivi ed il lavoro dell’organizzazione che ci ha portati insieme, clero e laici, ad occuparci del Vietnam. Le recenti prese di posizione del vostro comitato esecutivo sono i sentimenti del mio cuore, e mi trovo pienamente d’accordo quando leggo le sue righe d’apertura: “Viene il momento in cui il silenzio è tradimento.” Quel momento è venuto per noi in relazione al Vietnam. All’inizio c’è una connessione ovvia e piuttosto facile fra la guerra del Vietnam e la lotta che io ed altri abbiamo intrapreso in America. Pochi anni fa ci fu un momento splendente in questa lotta. Sembrò come se ci fosse una speranza reale per i poveri, sia bianchi che neri, attraverso il programma per la povertà. C’erano esperimenti, speranze e nuovi principi. Poi venne in auge il Vietnam, e vidi questo programma spezzato ed sviscerato come se fosse un pigro giocattolo politico di una società impazzita per la guerra.

Mi divenne chiaro che la guerra era fatta al più per devastare le speranze dei poveri a casa. Furono mandati i loro figli, i loro fratelli ed i loro mariti per combattere e morire in una proporzione straordinariamente grande in relazione al resto della popolazione.  Abbiamo preso i ragazzi neri che erano stati azzoppati dalla nostra società e li abbiamo mandati a ottomila miglia lontani per garantire  le libertà nel Sudest Asiatico, libertà che non avevano trovato nel sudovest della Georgia e nell’est di Harlem. Mentre camminavo tra i ragazzi disperati, reietti ed affamati, ho detto loro che le bottiglie Molotov ed i fucili non avrebbero risolto i loro problemi. Ho provato ad offrire loro la mia più profonda compassione mentre mantenevo la mia convinzione per cui i cambiamenti sociali sarebbero stati ottenuti con mezzi non violenti. Ma essi mi chiesero a ragione: “Cos’è il Vietnam?” Mi chiesero se la nostra nazione stesse usando dosi massicce di violenza per risolvere i suoi problemi, voluti per ottenere quei cambiamenti. Le loro domande vertevano sugli affetti familiari e sapevo che non avrei potuto alzare la voce di nuovo contro le violenze degli oppressi dei ghetti senza aver prima parlato chiaramente al più grande fornitore di violenza al mondo d’oggi: il mio stesso governo.

La guerra in Vietnam è un sintomo di una malattia più profonda nello spirito dell’America, e se ignoriamo questa seria realtà, ci troveremo ad assistere a riunioni senza fine a meno che non ci sia un profondo cambiamento nella vita e nella politica americana. Alcuni pensieri ci  fanno andare al di là del Vietnam ma non al di là della nostra chiamata come figli del Dio vivente.

Nel 1957 un sensibile funzionario americano all’estero disse che gli sembrava che la nostra nazione fosse dalla parte sbagliata della rivoluzione del mondo. Durante gli ultimi dieci anni abbiamo visto emergere un modello di repressione che ora giustifica la presenza di consulenti militari in Venezuela. Questo è necessario per mantenere la stabilità sociale per i nostri investimenti e contenere l’azione rivoluzionaria contro le forze americane nel Guatemala. Esso (il modello di repressione n.d.t.) ci dice perché gli elicotteri americani sono stati usati contro la guerriglia in Cambogia ed il perché del napalm americano e dei Berretti Verdi che sono già stati attivati contro i ribelli del Perù.

Ci ritornano in mente alcune parole del defunto John F. Kennedy. Disse: “Coloro che rendono impossibile la rivoluzione pacifica renderanno inevitabile una rivoluzione violenta.” Inoltre, per scelta o per caso, questo è il ruolo che la nostra nazione ha tenuto, il ruolo di quelli che rendono impossibile la rivoluzione pacifica rifiutando di rinunciare ai privilegi ed agli agi che vengono dagli immensi profitti degli investimenti esteri. Sono convinto che se fossimo dalla parte giusta della rivoluzione del mondo, come nazione dovremmo  subire una radicale rivoluzione dei valori.  Noi dobbiamo rapidamente cominciare a spostarci da una società orientata alle cose ad una società orientata alle persone. Quando macchine e computer, motivi di profitto e diritti di proprietà, sono considerati più importanti  della gente,  la gigantesca trigamia del razzismo, l’estremo materialismo e militarismo sono incapaci di essere dei conquistatori.

Una vera rivoluzione di valori ci obbligherà presto a porre la questione dell’equità e della giustizia delle nostre polizie del passato e del presente. Per un verso siamo chiamati a giocare il ruolo di buoni samaritani nella vita ai margini della strada, ma questo sarà solo l’atto iniziale. La vera compassione è più di gettare una moneta al mendicante. Non è a casaccio e superficiale. Si vede che un edificio che produce mendicanti ha bisogno di essere ristrutturato.

Una vera rivoluzione dei valori sembrerà presto difficile per via del madornale contrasto tra povertà e ricchezza. Con giusta indignazione, si vedrà tra i mari e si vedrà singoli capitalisti dell’Ovest investire enormi somme di denaro in Asia, Africa, Sud America, solo per ottenere profitti senza preoccuparsi dei problemi sociali dei paesi, e diranno: “Questo non è giusto”. Si vedrà nelle nostre alleanze con i proprietari terrieri dell’America Latina e diranno: “Questo non è giusto”. L’arroganza Occidentale di credere di dover insegnare ogni cosa agli altri e di non aver nulla da imparare da loro non è giusta.

Una vera rivoluzione dei valori metterà le mani sull’ordine del mondo e dirà della guerra: “Questo modo di porre delle differenze non è giusto”. Questo affare di bruciare esseri umani col napalm, di riempire le nostre case di orfani e vedove, di iniettare droghe velenose di odio nelle vene della gente normale, di mandare gli uomini di casa  verso bui e sanguinosi campi di battaglia rendendoli fisicamente handicappati e psicologicamente impazziti, non può essere conciliato con la saggezza, la giustizia e l’amore. Una nazione che per anni e anni continua a spendere più soldi per la difesa militare che non per programmi di progresso sociale sta seguendo l’approccio della morte spirituale.

L’America, la più ricca e potente nazione del mondo, può ben guidare in questa rivoluzione di valori. Non c’è nulla eccetto una tragica morte che possa impedirci di riordinare le nostre priorità, si che l’obiettivo della pace preceda l’obiettivo della guerra.

Ci sono momenti rivoluzionari. Per tutto il globo gli uomini si stanno sollevando contro vecchi sistemi di sfruttamento ed oppressione e, fuori dall’utero di un fragile mondo, nuovi sistemi di uguaglianza e giustizia saranno partoriti. Le genti senza abiti e senza scarpe  si stanno sollevando come non mai prima. Noi, nell’Ovest, dobbiamo sostenere queste rivoluzioni.

È una fatto triste che a causa di una comoda, compiacente e morbosa paura del comunismo e della nostra scarsa propensione a rimediare all’ingiustizia, le nazioni occidentali, che iniziarono con tanto spirito rivoluzionario a costruire il mondo moderno, ora diventino l’arco della restaurazione. 



 

"Discorso tenuto al Programma di addestramento dei leader religiosi del SCLC (Southern Christian Leadership Conference)."

Ho letto  “Il Capitale” e il “Manifesto Comunista” e molti movimenti rivoluzionari del mondo sono divenuti in essere come risultato di quello che Marx ha detto. La grande tragedia è che la cristianità ha sbagliato nel non vedere che essa aveva un carattere rivoluzionario. Non dovete studiare Karl Marx per imparare ad essere dei rivoluzionari. Non mi sono ispirato a Karl Marx, l’ho imparato da un uomo che si chiamava Gesù, un santo galileano che disse che era unto per guarire gli afflitti. Era unto per occuparsi dei problemi dei poveri. Ed è lì che ci siamo ispirati. Abbiamo il potere di cambiare l’America e di dare un nuovo tipo di vitalità alla religione di Gesù Cristo. E possiamo occuparci di quei ragazzi e ragazze che hanno perso la fede nella chiesa nel vedere che Gesù era proprio un uomo serio perché si preoccupava dei loro problemi. Il più grande rivoluzionario della storia che si sia mai conosciuto.

[Pausa] Quando toccai per la prima volta la mia posizione contro la guerra del Vietnam, la maggior parte di tutti i quotidiani del paese mi criticarono. Fu un brutto periodo della mia vita. Non riuscivo ad aprire un giornale. E non erano solo dei bianchi.

Ricordo di un giornalista che un giorno venne e mi disse: “Dr. King, non pensa di dover cambiare la sua posizione ora che molti la criticano? E la gente che prima le portava rispetto adesso lo sta perdendo. E so che state superando il budget del Southern Christian Leadership Conference; La gente ha tolto il suo supporto. E non pensa che ora deve muoversi più in linea con la politica dell’amministrazione?” Era una buona domanda perché mi chiedeva se io pensavo a quello che mi stava accadendo o a quello che stava accadendo alla verità ed alla giustizia in quella situazione.

Su certe posizioni la codardia fa la domanda: “E’ sicuro?” la convenienza chiede: “E’ politico?” e la vanità arriva a dire: “E’ popolare?” ma la coscienza fa la domanda: “E’ giusto?” E viene il momento in cui uno deve tenere una posizione che è ne sicura, ne politica, ne popolare ma lo deve fare perché la coscienza gli dice che è giusto.

 

"Definire la nostra rota per il futuro."

La misura ultima di un uomo non è dove sta nei momenti di convenienza, ma dove sta nei momenti di sfida, nei momenti di grandi crisi e controversie. E qui dove io ho deciso di far risiedere il mio destino oggi. Ci possono essere altri che vogliono seguire un’altra strada, ma quando prendo su la croce riconosco il suo significato. Non è qualcosa su cui si mettono semplicemente le mani. Non è qualcosa che si indossa. La croce è qualcosa che si porta e su cui alla fine si muore. La croce può significare la morte della tua popolarità. Può significare la morte del tuo ponte verso la Casa Bianca. Può significare la morte di una fondazione benefica. Può decurtare un po il tuo budget, ma prendi su la tua croce e semplicemente falla tua. E questa è la strada che ho deciso di percorrere.



 

"Sermone alla Chiesa Battista di  Ebenezer ad Atlanta."

Se non avete mai trovato qualcosa di così prezioso da morire per essa, allora non siete in grado di vivere. Potete avere trentotto anni, guarda caso come me, e un giorno qualche grande principio, qualche grande opportunità vi sia di fronte e vi chiami a fronteggiare qualche grande problema, qualche grande causa. E voi rifiutate di farlo perché volete vivere più a lungo. Avete paura di perdere il lavoro, o avete paura di essere criticati o di perdere la vostra popolarità, o avete paura che qualcuno vi pugnali o vi spari o che bombardi la vostra casa. Così rifiutate di farvi fronte. Bene, potete continuare e vivere fino a novant’anni ma siete già morti a trentotto come se ne aveste novanta. E la cessazione del respiro nella vostra vita  è solo il ritardato annuncio dell’anticipata morte dello spirito. Voi morite quando rifiutate di lottare per il diritto.

RISPOSTA DEL PUBBLICO

Si muore quando si rifiuta di lottare per la verità

KING

Voi morite quando rifiutate di lottare per la giustizia. Non pensate di vivere solo per voi stessi. Andate in prigione se necessario.

RISPOSTA DEL PUBBLICO

Ma non si andrà da soli.

KING

Lottate

RISPOSTA DEL PUBBLICO

Per quello che è giusto.

KING

E il mondo può fraintendervi, e criticarvi. Ma non andate maid a soli, da qualche parte ho letto che con Dio si è la maggioranza.



 

"Sono stato in cima alla montagna."

Se fossi stato all’inizio del tempo, con la possibilità di avere un’ottica generale ed allargata di tutta la storia del genere umano sino ad ora, e l’Onnipotente mi avesse detto:”Martin Luter King, in quale periodo vorresti vivere?” Stranamente, tornerei dall’Onnipotente e direi: “Sarei felice se mi permettessi di vivere solo qualche anno nella seconda metà del ventesimo secolo.”

Ora questa è una strana richiesta da fare perché il mondo è tutto in disordine. La nazione è nel peccato, la difficoltà è nella terra, la confusione tutto attorno. Ma so, in qualche modo, che solo quando è abbastanza scuro si vedono le stelle. Ed io vedo Dio lavorare in questo periodo in modo che gli uomini, in qualche strano modo, rispondono. Qualcosa sta accadendo nel nostro mondo. Le masse si stanno sollevando. E ovunque siano oggi, a Johannesburg nel Sud Africa, o a Memphis nel Tennessee, il pianto è sempre lo stesso: “Vogliamo essere Liberi”.

E un’altra ragione per cui sono felice di vivere in questo periodo è che siamo stati portati al punto di avere a che fare con i problemi che gli uomini hanno sempre provato a trattare nella storia. La sopravvivenza chiede che abbiamo a che fare con loro. Gli uomini per anni hanno parlato di guerra e di pace. Ma ora non dovranno parlarne più a lungo. Non è più una scelta tra violenza e nonviolenza in questo mondo; è tra nonviolenza e nonesistenza. Questo è il punto in cui siamo oggi.

Ed anche nella rivoluzione dei diritti civili, se qualcosa non è fatto, e fatto in fretta, per portare la gente di colore del mondo fuori dai loro lunghi anni di povertà, dai loro lunghi anni di ferite e trascuratezza, l’intero mondo è in rovinato. Ora, sono proprio contento che Dio mi abbia permesso di vivere in questo periodo, per vedere quello che è rivelato. E sono contento che mi abbia permesso di essere a Memphis per dire che siamo determinati a essere uomini. Siamo determinati ad essere persone. Stiamo dicendo, stiamo dicendo che siamo figli di Dio. Siamo padroni nel nostro movimento non violento nel disarmare le forze di polizia, non sanno cosa fare. Li ho visti spesso. Ricordo a Birmingham, in Alabama, quando eravamo in quella grande lotta, giorno dopo giorno uscivamo dalla chiesa Battista della sedicesima strada e Bull Connor  diceva loro di mandare i cani in avanti, e questi arrivarono. Ma noi andammo di fronte ai cani cantando: “Non scappo non permetto a nessuno di prendermi in giro.” E Bull Condor la volta successiva disse: “Accendete i lancia fiamme”. Bull Condor non conosce la storia. Conosceva qualcosa di fisico che in qualche modo non correlava al trascendente che noi invece conoscevamo. E questo era il fatto: che c’era un certo tipo di fuoco che nessun’acqua avrebbe potuto spegnere. Alziamoci con grande prontezza stanotte. Stiamo in piedi con grande determinazione. E percorriamo questi potenti giorni, questi giorni di sfida, per rendere l’America quello che dovrebbe essere. Abbiamo l’opportunità di rendere l’America una nazione migliore. E voglio ringraziare Dio, una volta in più, che mi permette di essere qui con voi. Non so cosa accadrà ora, abbiamo d’avanti giorni difficili. Ma veramente ora non mi interessa, perché sono stato sulla cima della montagna. E non mi preoccupo. Come ognuno, vorrei vivere una lunga vita – la longevità ha il suo posto. Ma non sono preoccupato di questo ora. Voglio fare solo la volontà di Dio. Ed Egli mi ha permesso di salire sulla montagna. Ed ho visto oltre, ho visto la Terra Promessa. Non posso venire lì con voi. Ma voglio che sappiate stanotte, che noi, come popolo, avremo la Terra Promessa. E così sono felice stanotte; non c’è nulla che mi preoccupi; non ho paura di nessun uomo. I miei occhi hanno visto la gloria del Signore che viene.

 

"L’istinto del Tamburo Maggiore"


Mi auguro che ognuno, ora e poi, pensi realisticamente a quel giorno quando saremo vittime di quello che è il comune denominatore finale della vita – quel qualcosa che chiamiamo morte. Ci pensiamo tutti. E ogni momento penso alla mia morte, e penso al mio funerale. E non vi penso in senso morboso. In ogni istante chiedo a me stesso “Cos’è che vorrei fosse detto?” Mi piacerebbe che qualcuno quel giorno dicesse, che Martin Luther King Jr., ha provato a dare la sua vita per servire gli altri. Mi piacerebbe che qualcuno quel giorno dicesse, che Martin Luther King Jr., ha provato ad amare qualcuno.
Voglio che voi quel giorno diciate,


RISPOSTA DEL PUBBLICO
Che ho provato ad essere giusto sulla questione della guerra.
 

KING
Voglio che quel giorno siate in grado di dire,
 

RISPOSTA DEL PUBBLICO
Che ho provato a dare da mangiare agli affamati.
 

KING
E voglio che quel giorno siate in grado di dire,
 

RISPOSTA DEL PUBBLICO
Che ho provato, nella mia vita, a vestire gli ignudi.
 

KING
Voglio che diciate quel giorno,
 

RISPOSTA DEL PUBBLICO
Che ho provato, nella mia vita, a visitare i carcerati.
 

KING
Voglio che diciate quel giorno,
 

RISPOSTA DEL PUBBLICO
Che ho provato ad amare e a servire l’umanità.
 

KING
Si, se volete dire che ero un tamburo maggiore, dite che ero un tamburo maggiore per la giustizia,
 

RISPOSTA DEL PUBBLICO
Dite che ero un tamburo maggiore per la pace.
 

KING
Ero un tamburo maggiore per la rettitudine. E tutte le altre cose superficiali non mi preoccuperanno. Non voglio avere dei soldi da lasciare in eredità. Non voglio avere cose belle e costose da lasciare in eredità.
 

RISPOSTA DEL PUBBLICO
Ma voglio lasciare in eredità una vita d’impegno.
Canzoni amiche … Joan Baez
Benedizioni … del Rev. Jonathan Staples della Jerusalem Baptist Church
 

 

Bibliografia per la raccolta  “Guerra e Pace” di M. L. King:


"An Autobiography of Religious Development," 1950, in Clayborne Carson, Ralph E. Luker, Penny A. Russell, eds., The Papers of Martin Luther King, Jr., Volume I: Called To Serve, January 1929 - June 1951 (Berkeley: University of California Press, 1992.

"Pilgrimage to Nonviolence," Christian Century, April 13, 1960, in Clayborne Carson, Tenisha Armstrong, Susan Carson, Adrienne Clay, and Kerry Taylor, eds., The Papers of Martin Luther King, Jr., Volume V: Threshold of a New Decade, January 1959 - December 1960 (Berkeley: University of California Press, forthcoming).

"The Social Organization of Nonviolence," Liberation (October 1959) in Papers of Martin Luther King, Jr., Volume IV.

"Acceptance Address for the Nobel Peace Prize," December 10, 1964, in Clayborne Carson and Kris Shepard, A Call to Conscience: The Landmark Speeches of Dr. Martin Luther King, Jr. (New York: Warner Books, 2001), pp. 105-109.

Nobel Peace Prize Lecture, December 11, 1964, King Papers collection at King Library and Archive, Martin Luther King, Jr., Center, Atlanta.

"Journey of Conscience," unpublished handwritten preliminary draft of "Beyond Vietnam" speech, in Clayborne Carson, ed., The Autobiography of Martin Luther King, Jr. (New York: Warner Books, 1998), pp. 333-336.

"Beyond Vietnam," address at Riverside Church, New York, April 4, 1967, in Carson and Shepard, eds., A Call to Conscience, pp. 139-164.

"To Chart Our Course for the Future," Address at SCLC Ministers Leadership Training Program, Miami, February 23, 1968, recording in King Library and Archive, King Center, Atlanta, in Carson, ed., The Autobiography of Martin Luther King, Jr., p. 351, 342, 343.

"To Charter Our Course for the Future," Address to SCLC staff, Frogmore, South Carolina, May 22, 1967, in Carson, ed., The Autobiography of Martin Luther King, Jr., p. 342-343.

Sermon at Ebenezer Baptist Church, Atlanta, November 5, 1967, in Carson, ed., Autobiography of Martin Luther King, Jr., p. 344.

"I've Been to the Mountaintop," address at Bishop Charles J. Mason Temple, Memphis, April 3, 1968, in Carson and Shepard, eds, A Call to Conscience, pp. 207-223.

"The Drum Major Instinct," sermon at Ebenezer Baptist Church, Atlanta, February 4, 1968, in Carson and Peter Holloran, A Knock at Midnight: Inspiration from the Great Sermons of Revered Martin Luther King, Jr. (New York: Warner Books, 1998), pp. 169-186.

 

   

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