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     Vasco Rossi - Ogni volta

Martin Luther King Jr.

"Rimanere svegli durante una grande rivoluzione"

Discorso tenuto alla National Cathedral di Washington D.C. il 31 marzo 1968

 

Non ho bisogno di soffermarmi molto a dire quanto sia felice di essere qui questa mattina, e per avere l’opportunità di stare in questo grande e importante pulpito. E voglio esprimere il mio profondo apprezzamento per Dean Sayre e per tutto il clero della cattedrale per aver esteso l’invito.

È sempre un’esperienza ricca e ricercata avere una breve pausa dalle fatiche quotidiane e dalla battaglia per la libertà e la dignità umana e dalla discussione dei problemi  indotti da questa battaglia che coinvolge amici di buona volontà di tutta la nazione. E certamente è sempre una profonda e significativa esperienza essere a servizio del culto. E così, per molte ragioni, sono felice di essere qui oggi.

Mi piacerebbe usare come soggetto da cui pregare questa mattina: “Rimanere svegli durante una grande rivoluzione.” Il testo di riferimento si trova nel libro della Rivelazione. Ci sono due passaggi che mi piacerebbe citare dal sedicesimo capitolo di quel libro: “Vedete faccio nuove tutte le cose; le vecchie sono tutte passate via.”

Sono sicuro che la maggior parte di voi abbia letto questa piccola affascinate storia scaturita dalla penna di Irving Washington dal titolo “Rip Van Winkle.” La sola cosa che solitamente ricordiamo della storia e che Rip Van Winkle dormì venti anni. Ma c’è un altro punto in quella piccola storia che è per lo più completamente trascurata. Era la firma alla fine; dopo, Rip andò sulla montagna per il suo lungo sonno. (n.d.t. "Rip Van Winkle" è il racconto più celebre di Irving Washington. Rip è un americano di origine olandese, noto per la sua pigrizia e la sua giovialità. Vive in compagnia dei figli e di una moglie bisbetica, in un villaggio sul fiume Hudson nel periodo pre-rivoluzionario. Un giorno, mentre è a caccia sui pendii delle montagne Catskills, incontra un minuscolo straniero vestito di un antico costume olandese. Rip si unisce a lui e ad altri gnomi in una partita a birilli. Dopo aver bevuto un misterioso liquore, cade in un magico sonno che dura venti anni. Si risveglia a rivoluzione americana avvenuta. Scopertosi vecchio, ritorna al suo villaggio accolto dalla figlia, madre di una famiglia numerosa. Libero ormai dalla tirannia della moglie, morta da tempo, ma anche privo dei vecchi amici, Rip si ricostruisce un nuovo mondo, simboleggiando così in pieno l'uomo nordamericano.)

Quando Rip Van Winkle salì sulla montagna, la firma aveva un’effige di Re Giorgio Terzo d’Inghilterra. Quando tornò venti anni più tardi la firma aveva un’effige di George  Washington, il primo presidente degli Stati Uniti. Quando Rip Van Winkle vide l’effige di Gorge Washington – e guardando l’effige ne rimase affascinato – fu completamente perso. Non sapeva più chi fosse.

E questo ci rivela che la cosa più impressionante della storia di Rip Van Winkle non è semplicemente che Rip dormì per vent’anni, ma che dormì durante una rivoluzione. Mentre russava pacificamente sulla montagna aveva luogo una rivoluzione che avrebbe cambiato il corso della storia – e Rip non ne sapeva nulla. Lui dormiva. Si, lui dormì durante una rivoluzione. E uno dei grandi problemi della vita è che molte persone si trovano a vivere nel mezzo di un grande periodo di cambiamento sociale, e che sbagliano a sviluppare nuove capacità, nuove risposte mentali, che la nuova situazione richiede. Essi finiscono col dormire durante una rivoluzione.

Non può esserci contraddizione nel fatto che una grande rivoluzione possa avvenire nel mondo d’oggi. In un certo senso è una tripla rivoluzione: cioè, una rivoluzione tecnologica, con impatti di automazione e cibernetica; c’è una rivoluzione nelle armi, con l’emergere delle armi atomiche e nucleari nei conflitti; poi c’è la rivoluzione dei diritti umani con l’esplosione della libertà che si realizza per tutto il mondo. Si, noi viviamo in un periodo in cui hanno luogo cambiamenti. E c’è ancora una voce che urla lungo tutta la prospettiva del tempo dicendo: “Vedete, faccio nuove tutte le cose; le vecchie sono passate via.”

Ora, ogni volta che una cosa diventa nuova nella storia porta con se nuovi cambiamenti e nuove opportunità. E mi piacerebbe trattare dei cambiamenti che abbiamo di fronte oggi come risultato di questa tripla rivoluzione che ha luogo nel mondo odierno.

Primo, abbiamo trascurato di sviluppare un mondo in prospettiva. Nessun individuo può vivere da solo, nessuna nazione può vivere da sola, e tutti coloro che credono di poter vivere da soli stanno dormendo durante una rivoluzione. Il mondo in cui viviamo è geograficamente uno. La sfida che abbiamo di fronte oggi è di renderlo unico in termini di fratellanza.

Ora è vero che l’univocità geografica di questa era è divenuta una grande estensione per l’ingenuità scientifica dell’uomo. L’uomo moderno, attraverso il suo genio scientifico, è stato in grado di far sembrare piccole le distanze e di mettere il tempo in catene. Ed i nostri aerei a reazione hanno compresso in minuti distanze che una volta richiedevano settimane e spesso mesi. Tutto questo ci dice che il nostro mondo è un vicinato.

Attraverso il nostro genio scientifico e tecnologico, abbiamo fatto di questo mondo un vicinato e non abbiamo ancora assunto l’impegno etico a fare di esso una fratellanza. Ma in qualche modo, ed in qualche maniera, abbiamo cominciato a farlo. Noi tutti dobbiamo imparare a vivere insieme come fratelli  o periremo tutti insieme come folli. Siamo legati insieme dallo stesso destino, impigliati in una inestricabile rete di mutualità. E ogni cosa che tocca qualcuno direttamente tocca tutti indirettamente. Per qualche strana ragione non posso mai essere quello che dovrei essere finchè anche voi non siete quello che dovreste essere. Questo è il modo in cui è fatto l’universo di Dio; questo il modo in cui è strutturato.

John Donne lo comprese anni fa e lo pose in termini grafici: “nessun uomo è interamente un’isola  di se stesso. Ogni uomo è un pezzo di continente, una parte dell’intero.” Ed egli continua ed alla fine dice: “La morte di ogni uomo mi sminuisce perché faccio parte del genere umano; quindi mai andare a sapere per chi suona la campana; suona per te.” Noi dobbiamo vederlo questo, credere questo, e vivere per esso se dobbiamo rimanere svegli durante una grande rivoluzione.

Secondo, siamo sfidati a sradicare le ultime vestigia dell’ingiustizia razziale dalla nostra nazione. Devo dire questa mattina che l’ingiustizia razziale è ancora un fardello per l’uomo nero ed una vergogna per l’uomo bianco.

È un’infelice verità che il razzismo è un modo di vivere per gran parte degli americani bianchi, ne parlano e non ne parlano, lo riconoscono e lo negano, delicatamente e qualche volta non tanto delicatamente – la malattia del razzismo permea e avvelena l’intero corpo politico. E non vedo nulla di più urgente per l’America se non impegnarsi appassionatamente e accanitamente – nello sbarazzarsi della malattia del razzismo.

Qualcosa di positivo deve essere fatto. Ognuno deve condividere la colpa sia come individui che come istituzioni. Il governo deve certamente condividere la colpa; gli individui devono condividere la colpa; anche la chiesa deve condividere la colpa.

Dobbiamo affrontare il triste fatto che alle undici precise di domenica mattina in piedi cantiamo: “In Cristo non c’è ne Oriente ne Occidente,” siamo nell’ora più segregata dell’America.

L’ora è venuta per ognuno, per tutte le istituzioni del settore pubblico e privato per lavorare a sbarazzarsi del razzismo. Ed ora se dobbiamo farlo, dobbiamo onestamente ammettere certe cose e sbarazzarci di certi miti che sono stati costantemente disseminati per tutta la nostra nazione.

Uno è il mito del tempo. È la nozione secondo cui solo il tempo può risolvere il problema dell’ingiustizia razziale. E ci sono quelli che spesso dicono sinceramente al Negro e ai suoi alleati della comunità dei bianchi: “Perché non andate piano? Smettete di spingere le cose così in fretta. Solo il tempo può risolvere il problema. E se sarete ancora buoni, pazienti e continuerete a pregare, in cento o duecento anni il problema si risolverà da solo.

C’è una risposta a questo mito. Ed è che il tempo è neutrale. Può essere usato sia in modo costruttivo che distruttivo. E mi dispiace dire questa mattina che sono assolutamente convinto che le forze di cattiva volontà della nostra nazione, gli estremisti reazionari della nostra nazione – la gente che sta dalla parte sbagliata – ha usato il tempo molto più efficacemente delle forze di buona volontà. E può ben essere che dobbiamo pentircene in questa generazione. Non semplicemente per le parole al vetriolo e le azioni violente delle cattive persone, ma per lo spaventoso silenzio e l’indifferenza delle buone persone che ci siedono intorno e dicono: “Aspetta un momento.”

Da qualche parte dobbiamo cominciare a vedere che il progresso umano non rotola mai sulle ruote dell’inevitabilità. Esso viene dagli sforzi sfinenti e dal costante lavoro di individui dedicati che hanno la volontà di essere cooperatori di Dio. E senza questo duro lavoro, il tempo in se diviene alleato delle forze primitive della stagnazione sociale. Così noi dobbiamo aiutare il tempo e capire che il tempo è spesso maturo per fare il giusto.

Ora c’è un altro mito che ancora gira intorno: è un genere di eccessiva dipendenza dalla filosofia dei “propri mezzi” (n.d.t. si è tradotto il termine inglese bootstrap con “propri mezzi”; il termine, infatti, esprime la capacità di qualcuno a fare qualcosa senza l’aiuto di altri che in italiano trova corrispondenti modi di dire tipo “camminare con le proprie gambe”, “chi fa da se fa per tre” e così via. Ho scelto la formula “propri mezzi” perché in qualche modo richiama anche il concetto americano dell’uomo che si afferma autonomamente: “the self made man”). Ci sono quelli che ancora sentono che se il Negro deve sollevarsi dalla povertà, se il Negro deve sollevarsi dalle squallide condizioni, se deve sollevarsi dalla discriminazione e dalla segregazione, deve farlo da se. E così dicono che il Negro deve sollevare se stesso con i “propri mezzi”.

Non si fermano mai a realizzare che nessun altro gruppo etnico è stato schiavo sul suolo d’America. La gente che dice questo non si è mai fermata a realizzare che la nazione ha reso gli uomini di colore nero una stigma. Ma al di là di questo non si fermano mai a realizzare il debito che devono a un popolo che è stato tenuto in schiavitù per 244 anni.

Nel 1863 al Negro fu detto che era libero in seguito alla Proclamazione dell’Emancipazione che era stata firmata da Abraham Lincoln. Ma non gli fu data alcuna terra su cui rendere quella libertà piena di significato. Fu qualcosa come tenere una persona in prigione per tanti anni e scoprire improvvisamente che quella persona non era colpevole del crimine per cui era stato incarcerato. E sono andati da lui e gli hanno detto: “Ora sei libero” ma non gli hanno dato alcun biglietto dell’autobus per far ritorno in città. Non gli sono stati dati dei soldi per comprare dei vestiti da mettere addosso o per andare di nuovo con i propri piedi nella vita.

Ogni corte giudiziaria dovrebbe insorgere contro questo, e questo ancora è stato quello che la nostra nazione ha fatto all’uomo nero. Disse semplicemente: “Sei libero” e lo lasciò senza un soldo, analfabeta, senza sapere cosa fare. E l’ironia di questo è che allo stesso tempo la nazione sbagliò nel fare qualcosa per l’uomo nero, sebbene un atto del Congresso stava dando via milioni di acri di terreno dell’Ovest e del Midwest (n.d.t. una regione degli Stati Uniti compresa ad ovest dalle Rocky Mountains, a sud dall’Ohio River e le estremità sud di Missouri e Kansas; ad est dalle Allegheny Mountains, Ohio, e Illinois.). Questo voleva dire che era sua volontà favorire e supportare i contadini bianchi (che venivano) dall’Europa con un economia agricola.

Ma non solo diede la terra, costruì università agrarie per insegnare loro a coltivare. Non solo questo, fornì agenti di contea per favorire la loro capacità di coltivazione; non solo questo, come hanno rivelato gli anni, fornì mutui con bassi interessi in modo che potessero meccanizzare le loro fattorie. E ancora oggi migliaia di queste persone stanno ricevendo ogni anno milioni di dollari in sussidi federali ma non per le fattorie. E questi sono spesso coloro che dicono ai Negri che devono alzarsi da soli con il loro “propri mezzi”. Va bene dire a un uomo che deve sollevarsi da solo con i “propri mezzi”, ma è un gesto crudele dire ad un uomo senza mezzi che deve sollevarsi da solo con i “propri mezzi”.

Dobbiamo riuscire a vedere che le radici del razzismo sono molto profonde nel nostro paese, e ci deve essere qualcosa di positivo e di massa per sbarazzarsi di tutti gli effetti del razzismo e di tutte le tragedie dell’ingiustizia razziale.

C’è un’altra cosa strettamente correlata al razzismo che mi piacerebbe menzionare come un’altra sfida. Siamo chiamati a liberare la nostra nazione ed il mondo dalla povertà. Come una mostruosa piovra, la povertà diffonde il suo brontolio, i tentacoli prensili nei paesini e nei villaggi di tutto il mondo. Due terzi della popolazione mondiale la sera va a letto affamata. Vivono in catapecchie; sono mal nutriti, sono vestiti squallidamente. L’ho visto in America Latina; l’ho visto in Africa; ho visto questa povertà in Asia.

Ricordo qualche anno fa in cui la sig.ra King ed io soggiornammo in quel grande paese conosciuto come l’India. E non ho mai dimenticato quell’esperienza. Fu un’esperienza meravigliosa incontrare e parlare con i grandi leader dell’India, incontrare e parlare con e a migliaia e migliaia di persone per tutto quel vasto paese. Questa esperienza rimarrà  a lungo indelebile nella mia memoria.

Ma vi dico questa mattina, amici miei, che c’erano dei momenti di depressione. Come può uno evitare di essere depresso quando vede con i suoi propri occhi l’evidenza di milioni di persone andare a letto affamati? Come può uno evitare di essere depresso quando vede con i suoi propri occhi i bambini di Dio dormire sui marciapiedi di notte? A Bombay più di un milione di persone dorme sui marciapiedi ogni notte. A Calcutta più di seicentomila dormono sui marciapiedi ogni notte. Non hanno letti per dormire; non hanno case per viverci. Come può uno evitare di essere depresso quando scopre che oltre alla popolazione dell’India di più di cinquecento milioni di persone, altre quattrocentottanta milioni vivono con un reddito annuo di meno di novanta dollari. E la maggior parte di loro non ha mai visto ne un dottore ne un dentista.

Come notai queste cose, qualcosa dentro di me mi fece urlare: “Possiamo noi in America rimanere inerti e non essere preoccupati?” E venne fuori una risposta: “Oh, no!” Perché il destino degli Stati Uniti è legato al destino dell’India e di ogni altra nazione. E cominciai a pensare al fatto che in America spendiamo milioni di dollari al giorno per conservare cibo in eccesso, e dissi a me stesso: “So dove potremmo conservare quel cibo gratuitamente – negli stomaci raggrinziti di milioni di figli di Dio di tutto il mondo che la sera vanno a letto affamati.” E può essere che spendiamo così gran parte del nostro budget nazionale per stabilire basi militari per il mondo piuttosto che basi di autentica preoccupazione e comprensione.

Non solo vediamo la povertà all’estero, vorrei ricordarvi che nella nostra propria nazione ci sono circa quaranta milioni di persone che sono sulla soglia della povertà. Li ho visti qui e là. Li ho visti nei ghetti del nord; li ho visti nelle campagne del sud; li ho visti in Appalachia. Ho viaggiato per molte aree del nostro paese e devo confessare che in qualche situazione mi sono ritrovato a piangere.

Ero a Marks, nel Mississippi, l’altro giorno, che è nella contea di Whitman, la contea più povera degli Stati Uniti. Vi dico che ho visto centinaia di bambini e bambine neri che andavano per le strade senza scarpe. Ho visto le loro madri ed i loro padri provare a tirare avanti con il sussidio dell’Head Start., ma non avevano soldi. Il governo federale non aveva dato loro dei fondi ma essi provavano a tirare avanti. Tiravano su un po di soldi qui e là; provavano a prendere un po di cibo per dar da mangiare ai bambini; provavano ad insegnare loro qualcosina.

Ed ho visto madri e padri che mi dicevano non solo che erano disoccupati, ma che non avevano alcun tipo di reddito – nessuna pensione, nessun assegno sociale, niente di niente. Io dissi: “Come vivete?” E loro mi dicevano: “Bene, andiamo in giro, andiamo in giro dai vicini e chiediamo loro di darci qualcosa. Quando c’è la stagione delle bacche raccogliamo bacche. Quando viene la stagione dei conigli, cacciamo e catturiamo qualche coniglio. E questo è tutto.”

Ed ero a Newark e Harlem questa settimana. E sono entrato nelle case delle madri assistite. Le ho viste in condizioni – no, non con tappeti di moquette, ma con moquette di ratti e scarafaggi. Ero in un appartamento e questa madre assistita mi disse: “il padrone di casa non vuol riparare questo posto. Sono qui da due anni e non ha fatto una sola riparazione.” Fece notare i muri con tutti i soffitti che cedevano. Mi mostrò i buchi attraverso cui entravano i topi. Disse che notte dopo notte dovevano stare svegli per tenere i ratti e gli scarafaggi lontani dai bambini. Io chiesi: “Quanto pagate per questo appartamento?” Lei rispose: “125 dollari.” La povera gente era forzata a pagare di più per meno. Vivendo in condizioni precarie dove l’intera area è costantemente  salassata senza essere riempita. Diviene una sorta di colonia nazionale. E la tragedia è che così spesso questi quaranta milioni di persone sono invisibili perché l’America è una società del benessere tanto ricca. Poiché la nostra autostrada che attraversa la città ci porta fuori dal ghetto, non vediamo la povertà. (n.d.t. qui si allude al fatto che certe aree contribuivano al sistema economico americano solo dando valore e senza che da esso ricevesse alcun reddito stabile e dignitoso. A questo problema il movimento presieduto da M.L.K. – il Southern Christian Leadership Conference – aveva già dato una risposta efficace organizzando la lotta dei Negri su base economica. In merito si veda il discorso “Dove andiamo da qui?” tenuto il 16 agosto 1967 ad Atlanta, in occasione del resoconto annuale per il 10° Incontro della Southern Christian Leadership Conference).

Gesù disse una parabola un giorno, e ci ricordò che un uomo andò all’inferno perché non vedeva il povero. Era il ricco epulone. Era un uomo ricco. E c’era un uomo di nome Lazzaro che era un pover uomo, ma non era solo povero, era malato. Le piaghe ricoprivano tutto il suo corpo, ed era così debole che riusciva a mala pena a muoversi. E poteva raggiungere ogni giorno i cancelli del ricco epulone, aspettando di ricevere le briciole che cadevano dalla sua tavola. E il ricco epulone non faceva nulla per lui. E la parabola finisce dicendo: “Il ricco epulone andò all’inferno, e c’era un baratro tra lui e Lazzaro.”

Non c’è nulla in quella parabola che dice che il ricco epulone andò all’inferno perché era ricco. Gesù non ha mai fatto un’accusa contro tutte le ricchezze. È vero che un giorno un ricco e giovane sovrano andò da lui, ed egli lo ravvisò di vendere tutto, ma in quel caso Gesù prescriveva un intervento individuale e non avanzava una diagnosi universale. E se vedete a quella parabola con tutti i suoi simbolismi, ricorderete che vi fu una conversazione tra il paradiso e l’inferno, e dall’altra parte di quella conversazione a lunga distanza tra il paradiso e l’inferno c’era Abramo in paradiso che parlava col ricco epulone che era all’inferno.

Ora Abramo era un uomo molto ricco. Se tornate all’Antico Testamento, vedete che era l’uomo più ricco dei suoi giorni, quindi non è un uomo ricco all’inferno che parla con un uomo povero in paradiso; era un piccolo milionario all’inferno che parlava con un multimilionario in paradiso. Il ricco epulone non andò all’inferno perché era ricco; il ricco epulone non capì che quella sua ricchezza era la sua opportunità. Era la sua opportunità di passare il baratro che separava lui da suo fratello Lazzaro. Il ricco epulone andò all’inferno perché permise a suo fratello di diventare invisibile. Il ricco epulone andò all’inferno perché massimizzò il minimo e minimizzò il massimo. Infatti, il ricco epulone andò all’inferno perché era un obiettore di coscienza nella guerra contro la povertà.

E questo può succedere all’America, la più ricca nazione al mondo – e non c’è niente di sbagliato in questo – questa è un’opportunità per l’America di aiutare a colmare il baratro tra chi ha e chi non ha. Il problema è se l’America lo farà. Non c’è nulla di nuovo sulla povertà. Quello che c’è di nuovo e che noi ora abbiamo le tecniche e le risorse per sbarazzarci della povertà. La questione reale è se ne abbiamo la volontà.

Fra poche settimane alcuni di noi andranno a Washington per vedere se la volontà è ancora viva o se è viva in questa nazione. Andremo a Washington per una lotta per la Gente Povera. Si andremo a portare lo stanco, il povero, le masse annichilite. Andremo a portare quelli che hanno conosciuto anni di ingiurie e trascuratezze. Andremo a portare coloro che hanno sentito che la vita è un lungo e desolato corridoio senza alcun segno dell’uscita. Andremo a portare bambini, adulti e vecchi, gente che non ha mai visto un dottore o un dentista in vita sua.

 

Non andremo per impegnarci in un qualche gesto istrionico. Non andremo per piangere su Washington. Andremo per chiedere che il governo si indirizzi sul problema della povertà. Un giorno abbiamo letto: “Abbiamo queste verità di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di certi Diritti inalienabili, che fra questi c’è la Vita, la Libertà ed il perseguimento della Felicità.” Ma se un uomo non ha un lavoro o un reddito, non ha ne vita, ne libertà ne la possibilità di perseguire la felicità. Questi semplicemente esiste.

Andremo a chiedere all’America di essere solvente circa l’immensa cambiale che ha sottoscritto anni fa. E andremo per intraprendere una drammatica azione nonviolenta per richiamare l’attenzione sul baratro tra la promessa ed il suo mantenimento; per rendere visibile l’invisibile.

Perché faremo in questo modo? Faremo in questo modo perché è nostra esperienza che la nazione non si muove sui problemi della vera uguaglianza dei poveri e della gente nera, finché non deve confrontarsi con le masse, drammaticamente in termini di azione diretta.

Grandi documenti sono qui a dirci che qualcosa dovrebbe essere fatto. Qualche anno fa qui alla Casa Bianca, partecipammo ad una conferenza sui diritti civili e ne uscimmo con le stesse raccomandazioni che avevamo chiesto qui nella nostra lotta; ma niente è stato fatto. Il presidente della commissione su tecnologia, automazione e progresso economico raccomandò queste cose qualche tempo fa. Niente è stato fatto. Anche la coalizione dei sindaci delle maggiori città del nostro paese e dei principali uomini d’affari hanno detto che queste cose dovrebbero essere fatte. Niente è stato fatto. La Commissione Kerner è uscita con la sua relazione solo pochi giorni fa ed ha fatto specifiche raccomandazioni. Niente è stato fatto.

E scommetto che niente sarà fatto finché la gente di buona volontà non metterà in moto i loro corpi e le loro anime. E sarà la bontà di questa forza d’animo, come risultato del confronto, che io credo farà la differenza.

Si, sarà una lotta per la Gente Povera. Questa è la questione di fronte all’America. Alla fine una grande nazione è una nazione compassionevole. L’America non ha soddisfatto i suoi obblighi e le sue responsabilità verso il povero.

Un giorno avremo di fronte il Dio della storia e parleremo in termini di cose che abbiamo fatto. Si, saremo in grado di dire che abbiamo costruito giganteschi ponti per attraversare i mari, che abbiamo costruito giganteschi edifici per baciare i cieli. Si, abbiamo fatto i nostri sottomarini per penetrare le profondità degli oceani. Avremo realizzato molte altre cose col nostro potere scientifico e tecnologico.

Sembra che possa ascoltare il Dio della storia che dice: “Non è sufficiente! Ero affamato e non mi avete saziato. Ero nudo e non mi avete vestito. Ero privo di una casa decente in cui vivere e non mi avete dato un alloggio. Di conseguenza non potete entrare nel regno della grandezza. Se lo fate all’ultimo di questi, fratelli miei, lo fate a me.” Questo è il problema di fronte all’America oggi.

Voglio dirvi di un’altra sfida che abbiamo di fronte e che è semplicemente la ricerca di un’alternativa alla guerra ed allo spargimento di sangue. Tutti coloro che sentono, e sono ancora molti a sentirlo,  che la guerra può risolvere i problemi sociali di fronte al genere umano sta dormendo durante la grande rivoluzione. Il presidente Kennedy in una occasione disse: “Il genere umano deve porre fine alla guerra o la guerra metterà fine al genere umano.” Il mondo deve ascoltare questo. Prego Dio che l’America ascolti questo prima che sia troppo tardi perché, oggi, stiamo combattendo una guerra.

Sono convinto che sia una delle guerre più ingiuste che sia mai stata combattuta nella storia del mondo. Il nostro coinvolgimento nella guerra del Vietnam è contrario agli accordi di Ginevra. È sostenuta da tutta l’industria bellica ed è sostenuta dalle forze reazionarie della nostra nazione. Ci pone contro l’auto-determinazione della maggioranza del popolo vietnamita, e ci mette nella posizione di proteggere un regime corrotto che è contro il povero.

Ha generato confusione con i nostri destini nazionali. Oggi spendiamo cinquecentomila dollari per uccidere ogni soldato Vietcong. Ogni volta che ne uccidiamo uno spendiamo cinquecentomila dollari mentre ne impieghiamo solo cinquantatre all’anno per ogni persona definita colpita dalla povertà, nel cosiddetto programma per la povertà che non è neanche una buona scaramuccia contro la povertà. 

E non solo quello, ci ha messo nella condizione di sembrare al mondo come una nazione arrogante. E qui siamo a diecimila miglia lontani da casa a combattere per la così detta libertà del popolo Vietnamita quando non abbiamo messo in ordine neanche la nostra casa. E costringiamo ragazzi bianchi e neri a combattere e uccidere in una solidarietà brutale. E ancora, quando essi tornano a casa, non riescono a vivere veramente nello stesso isolato insieme.

Il giudizio di Dio oggi è su di noi. E potremmo andare giù dritti per vedere che qualcosa va fatto – e qualcosa deve essere fatto velocemente. Ci siamo allontanati dalle altre nazioni sì da finire moralmente e politicamente isolati nel mondo.  Non c’è un singolo maggior alleato degli Stati Uniti d’America che osi inviare truppe in Vietnam e così gli unici amici che abbiamo ora, sono poche nazioni satellitari come Taiwan, Tailandia, Corea del Sud e poche altre.

È  qui che siamo. “Il genere umano deve porre fine alla guerra o la guerra metterà fine al genere umano,” e il miglior modo di cominciare è porre fine alla guerra del Vietnam, perché se continua, arriveremo inevitabilmente al punto di doverci confrontare con la Cina e questo potrebbe condurre l’intero mondo all’annientamento nucleare.

Non è più una scelta, amici miei, tra violenza e nonviolenza. È invece tra nonviolenza e non-esistenza. E l’alternativa al disarmo, l’alternativa alla completa sospensione dei test nucleari, l’alternativa al rafforzamento delle Nazioni Unite e quindi al disarmo del mondo intero, può essere solo una civiltà spinta nell’abisso dell’annientamento ed il nostro habitat terreno trasformato in un inferno che neanche la mente di Dante potrebbe immaginare.

Questo è il motivo per cui sento il bisogno di sollevare la mia voce contro la guerra e impegnarmi in ogni occasione per svegliare la coscienza della nostra nazione sul problema. Ricordo bene quando per la prima volta mi opposi alla guerra del Vietnam. Mi criticarono nel modo più negativo e a volte nel modo più violento.

Un giorno un giornalista venne e mi disse: “Dr. King, non pensa di dover  smettere, ora, di opporsi alla guerra e di muoversi più in linea con la politica dell’amministrazione? Da quanto posso capire, danneggia il budget della sua organizzazione, e la gente che una volta la rispettava ha perso il rispetto per lei. Non pensa di dover veramente cambiare la sua posizione?” Lo guardai e gli dissi: “ Signore, mi spiace che lei non mi conosca. Non sono un leader di consenso. Non determino ciò che sia giusto o sbagliato guardando il budget del Southern Christian Leadership Conference. Non mi sono basato su una sorta di indagine di mercato dell’opinione maggioritaria.” Alla fine un vero leader non è un ricercatore del consenso, ma un forgiatore del consenso.

Per certi versi la vigliaccheria pone una domanda: è un espediente? E poi la convenienza arriva e pone una domanda: è politica? La vanità chiede: è popolare? Ma la coscienza pone il problema: è giusto?

Arriva allora il momento in cui uno deve assumere una posizione che non è ne sicura ne politica ne popolare, ma deve farlo perché la coscienza gli dice che è giusto. Credo che oggi ci sia per tutti gli uomini di buona volontà la necessità di giungere ad un’azione di massa delle coscienze e di dire con le parole di un vecchio spiritual Negro: “Non ci prepareremo più alla guerra, mai più.” Questa è la sfida di fronte all’uomo moderno.

Permettetemi di chiudere dicendo che ci aspettano giorni duri nella battaglia per la giustizia e la pace, ma che non voglio arrendermi alla politica della disperazione. Voglio aver speranza mentre andiamo a Washington per questa lotta. Le carte sono tutte contro di noi. Questa volta ci confronteremo veramente con Golia. Dio ci garantisce che saremo come quel Davide di verità opposto al Golia dell’ingiustizia, il Golia della negligenza, il Golia del rifiuto di affrontare i problemi, e continueremo con la determinazione di fare dell’America la vera grande America che è chiamata ad essere.

Vi dico che il nostro obiettivo è la libertà e credo che andremo in quella direzione benché sia molto lontana, l’obiettivo dell’America è la libertà. Per quanto siamo stati ingiuriati e disprezzati come popolo, il nostro destino è legato al destino dell’America.

Prima che i Padri Pellegrini approdassero a Plymouth, noi eravamo qui. Prima che Jefferson riportasse nelle pagine della storia le maestose parole della Dichiarazione d’Indipendenza, noi eravamo qui. Prima  che fossero scritte le meravigliose parole di “Star Spangled Banner”, noi eravamo qui. (n.d.t. Si fa riferimento alle parole dell'inno, dedicato alla bandiera a stelle e strisce degli Stati Uniti che sono quelle del poema The Defence of Fort McHenry scritto nel 1814 da Francis Scott Key, un avvocato trentacinquenne e poeta dilettante. Venne adottato come inno nazionale dal Congresso degli Stati Uniti il 3 marzo 1931, anche se già da tempo ne era stato riconosciuto l'uso ufficiale da parte sia della Marina degli Stati Uniti (nel 1889) sia della Casa Bianca (1916).)

Per più di due secoli i nostri antenati hanno lavorato qui senza un salario. Resero il cotone un re, e costruirono le case dei loro padroni nel mezzo delle più umilianti ed oppressive condizioni. Ed ancora con vitalità senza fondo continuarono a crescere e a svilupparsi. Se le crudeltà indicibili della schiavitù non potessero fermarci, l’opposizione che ora abbiamo di fronte sicuramente fallirebbe.

Noi stiamo andando a conquistare la nostra libertà perché sia la sacra eredità della nostra nazione che l’eterna volontà di Dio onnipotente sono incarnate nelle nostre rivendicazioni  che riecheggiano. E così, per quanto buio sia, per quanto ci si possa sentire arrabbiati e per quanto le esplosioni siano violente, posso ancora cantare “Noi andremo oltre.”

Noi andremo oltre perché l’arco dell’universo morale è lungo ma curva verso la giustizia.

Noi andremo oltre perché Carlye è giusto – “Nessuno che giace può vivere per sempre.”

Noi andremo oltre perché William Cullen Bryant è giusto – “La verità caduta in terra si risolleverà di nuovo.”

Noi andremo oltre perché James Russell Lowell è giusto – come abbiamo cantato prima questa mattina:

La Verità per sempre sul patibolo,

L’ingiustizia sul trono,

Ancora il patibolo influenza il futuro.

E dietro il debole sconosciuto c’è Dio,

Nell’ombra che lo guarda tutto solo.

Con questa fede saremo capaci di tagliare dalle montagne della disperazione le pietre della speranza. Con questa fede saremo capaci di trasformare il suono stonato della nostra nazione in una meravigliosa sinfonia di fratellanza

Grazie Dio per Giovanni (l’evangelista n.d.t.), che secoli fa, su una solitaria, oscura isola chiamata Patmos, ebbe da Dio la visione di una nuova Gerusalemme derivata dal paradiso, e che ascoltò una voce che diceva: “Vedete, faccio nuove tutte le cose; le vecchie sono passate via.”

Dio garantisce che saremo partecipi di questa novità e di questo magnifico sviluppo se lo faremo, se cioè porteremo un nuovo giorno di giustizia, fratellanza e pace. E quel giorno le stelle del mattino canteranno insieme e i figli di Dio urleranno di gioia. Dio vi benedica.

 

Discorso tenuto alla National Cathedral di Washington D.C. il 31 marzo 1968. Registrazione Congressuale 9 Aprile 1968.

 

   

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