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Oltre il Vietnam                                       
 

     Pink Floyd - Dark side of the moon: Breathe

(Abbiate pazienza ... arriva puntuale!!)

 Discorso pronunciato per il clero ed i laici circa il Vietnam nella chiesa di Riverside a New York City.

4 aprile 1967 New York City

 

Chiesa di Riverside N.Y.C.

Signor Presidente, signore e signori, non ho bisogno di pause per dire quanto sia felice di essere qui stasera e quanto sia felice di vedere le vostre espressioni interessate (nel senso di preoccupate) circa gli argomenti che saranno discussi stasera in un così largo consesso. Voglio anche dire che considero un grande onore condividere questo programma con i Dr. Bennett, Dr. Commager e Rabbi Heschel alcuni dei distinti leader e personalità della nostra nazione. E naturalmente è sempre buona cosa tornare nella chiesa di Riverside. Negli ultimi otto anni ho avuto il privilegio di pregare qui almeno ogni anno ed è sempre un’esperienza ricca e soddisfacente venire qui in questa chiesa e a questo grande pulpito. Stasera sono venuto in questa casa di culto meravigliosa perché la mia coscienza non mi lascia altra scelta. Sono con voi in questo incontro perché sono profondamente in accordo con gli obiettivi e le attività dell’organizzazione che ci ha portati a stare insieme. Clero e Laici discutono sul Vietnam.

Chiesa di Riverside N.Y.C.

Le recenti istruzioni del vostro comitato esecutivo sono i sentimenti del mio stesso cuore e mi trovo in pieno accordo quando leggo le sue linee di opportunità: “Un momento viene quando il silenzio è tradimento”. Quel momento è venuto per noi in relazione al Vietnam. La verità di queste parole è al di là del dubbio, ma la missione a cui ci chiamano è più difficile. Anche quando pressati dalle domande della verità interiore, gli uomini non assumono facilmente il compito di opporsi alle politiche dei loro governi, specialmente in tempo di guerra. Ne tantomeno lo spirito umano si muove senza difficoltà contro tutta l’apatia del pensiero conformista all’interno del proprio petto e del mondo circostante.  Ed ancora, quando il problema da trattare rende tanto perplessi come spesso accade nel caso di questo terribile conflitto, siamo sempre sull’orlo di essere ipnotizzati dall’incertezza. Ma noi dobbiamo andare oltre. Alcuni di noi che hanno già cominciato a rompere il silenzio della notte, hanno trovato che chiamare  a parlare sia una vocazione all’agonia, ma noi dobbiamo parlare. Noi dobbiamo parlare con tutta l’umiltà propria del limite della nostra visione, ma dobbiamo parlare. E dobbiamo provare diletto benché questa sia la prima volta nella storia della nostra nazione che un numero significativo dei suoi capi religiosi ha scelto di andare oltre il profetizzare del comodo patriottismo e fino alle alte terre di un fermo dissenso basato sui mandati della coscienza e la lettura della storia. Forse un nuovo spirito è splendente tra noi. Se si, tracciamo il suo movimento e preghiamo che il nostro stesso animo (essere interiore) possa essere sensibile alla sua guida. Per noi che abbiamo profondamente bisogno di una nuova via oltre l’oscurità che sembra così impenetrabile intorno a noi.

 

Dopo gli ultimi due anni, così come ho deciso di rompere il tradimento del mio silenzio e di parlare dal mio cuore in fiamme, allo stesso modo ho chiamato per una dipartita radicale dalla distruzione del Vietnam, molte persone che mi hanno chiesto del paradiso a cui porta il mio sentiero. Al centro delle loro preoccupazioni questa domanda è stata grandemente e fortemente minacciosa: “Perché parli di guerra Dr. King? Perché ti unisci alle voci del dissenso?” “Pace e diritti civili non si integrano” dicono loro. “Stai danneggiando la causa del tuo popolo?”  loro chiedono. E quando li ascolto penso che spesso capisco la sorgente delle loro preoccupazioni, sono piuttosto rattristato perchè quelle domande vogliono dire che non conoscono me, il mio impegno o la mia vocazione. Infatti le loro domande rivelano che essi non conoscono il mondo in cui vivono.

Alla luce di alcune tragiche incomprensioni li ritengo segnali importanti per provare ad affermare chiaramente e spero brevemente, perché io credo che la strada che porta dalla Chiesa Battista di Dexter Avenue – la chiesa sita in Montgomery – Alabama dove ho cominciato il mio pasturato – conduce chiaramente a stasera a questo santuario. Sono venuto su questo palco stasera per un’appassionata preghiera alla mia adorata nazione. Questo discorso non è indirizzato ad Hanoi o al Fronte Nazionale di Liberazione. Non è indirizzato alla Cina o alla Russia. Né è un tentativo di trascurare l’ambiguità della situazione complessivae il bisogno di una soluzione collettiva alla tragedia del Vietnam. Ne costituisce il tentativo di fare paragoni di virtuosismi fra il Nord Vietnam ed il Fronte Nazionale di Liberazione ne di trascurare le regole (ed i ruoli n.d.r) che devono seguire per una soluzione positiva del problema. Mentre entrambi possono avere giustificabili motivi per nutrire sospetti nella buona fede degli Stati Uniti, la vita e la storia danno eloquente testimonianza al fatto che i conflitti non sono mai risolti senza un fiducioso dare e avere da entrambe le parti. Stasera, comunque, mi auguro di non parlare ad Hanoi o al Fronte Nazionale di Liberazione  ma piuttosto ai miei connazionali americani.

Forse una più tragica ricognizione della realtà prende posto quando mi diventa chiaro che la guerra viene allontanata più che la devastazione delle speranze dei propri poveri. Furono inviati i loro figli, i loro fratelli ed i loro mariti  a combattere e morire in proporzione di gran lunga maggiore rispetto al resto della popolazione. Abbiamo preso i nostri ragazzi neri che sono stati azzoppati dalla nostra società ed inviati a ottomila miglia lontani per garantire la libertà del sudest asiatico e che loro non hanno trovato nel sudovest della Georgia e nell’est di Harem. Cosi noi abbiamo ripetutamente subito, con crudele ironia, l’affronto di vedere sugli schermi TV ragazzi Negri e bianchi che uccidono e muoiono insieme per una nazione che non è stata in grado di farli sedere insieme nelle stesse scuole. Così li vediamo insieme in una brutale solidarietà nell’incendiare le case di un povero villaggio ma noi realizziamo che essi vorrebbero veramente vivere nello stesso quartiere di Chicago. Non posso stare zitto di fronte a questa crudele manipolazione della povera gente. La mia terza ragione spinge ad un sempre più profondo livello di consapevolezza, diventa troppo grande per la mia esperienza nei ghetti del Nord oltre gli ultimi tre anni, specialmente le ultime tre estati. Così come sono andato in mezzo ai disperati, i reietti ed i ragazzi affamati, gli ho detto che quei cocktails di Molotov e i fucili non risolveranno i loro problemi.

Ho provato ad offrire loro la mia più profonda compassione e comunque conservavo la mia convinzione per cui i cambiamenti sociali diventano più significativi attraverso le azioni non violente. Ma loro chiedono e giustamente: “Cosa pensi circa il Vietnam?”. Essi chiedevano se la nostra stessa nazione non stava usando dosi massicce per risolvere i suoi problemi, per portare i cambiamenti attesi. Le loro domande colgono il problema e ho saputo che non potrei mai alzare di nuovo la mia voce contro la violenza dell’oppresso nei ghetti senza aver parlato prima chiaramente al più grande fornitore di violenza oggi nel mondo: il mio stesso governo. Per l’amore di quei ragazzi, per l’amore di questo governo, per l’amore di centinaia di migliaia tremanti sotto la nostra violenza, non posso stare zitto. Per quelli che fanno la domanda: “Non sei un leader dei diritti civili?” e questo vuol dire escludermi dal movimento per la pace, ho questa ulteriore risposta. Nel 1957 quando un gruppo di noi fondò la Southern Christian Leadership Conference scegliemmo come nostro motto:”Per salvare l’anima dell’America.” Eravamo convinti di poter non porre limiti alla nostra visione di certi diritti per il popolo dei Neri ma invece di affermare la convinzione che l’America non sarebbe mai libera o salva da se stessa finché i discendenti dei suoi schiavi fossero liberi completamente dalle catene che ancora portavano. In qualche modo eravamo d’accordo con Langston Hughes, che nero bard di Harem, ha scritto di recente:

O, si, lo dico chiaramente,

America non fu mai America per me,

e ancora faccio questo giuramento

America sarà!

Ora dovrebbe essere palesemente chiaro che nessuno che ha qualche preoccupazione per l’integrità e la vita dell’America, oggi può ignorare la guerra attuale. Se l’anima dell’America diventa completamente avvelenata il responso dell’autopsia sarà “Vietnam”. Può mai essere così a lungo salva di quanto distrugge le più profonde speranze degli uomini di tutto il mondo. Così quelli di noi che sono ancora determinati su “l’America sarà” sono portati via dal sentiero della protesta e del dissenso lavorando per il progresso della nostra terra.  Così se il peso di certi impegni per la vita ed il benessere dell’America non fossero già stati sufficienti, un altro fardello di responsabilità mi fu addossato nel 1954. E non posso dimenticare che il Premio Nobel per la Pace fu anche un incarico, un incarico a lavorare più duro di quanto avessi già fatto prima per la fratellanza dei uomini. Questa è una chiamata che mi prende oltre la fedeltà nazionale. Ma anche se non era presente dovrei ancora vivere col significato del mio impegno come ministro di Gesù Cristo. A me la relazione di questo ministero con la costruzione della pace è così ovvia che qualche volta mi meravigliano coloro che mi chiedono come mai sono contro la guerra. Potrebbe essere che costoro non sappiano che la Buona Novella fosse significativa per tutti gli uomini per comunisti e capitalisti, per i loro bambini e per i nostri, per neri e bianchi, per rivoluzionari e conservatori? Hanno costoro dimenticato che il mio ministero è di obbedienza a uno che ha amato i suoi nemici così tanto che è morto per loro? Cosa quindi posso dire ai Vietcong o a Castro o a Mao quale fedele ministro di costui (Cristo!)? Posso minacciarli di morte o dividere con loro la mia vita?

Finalmente, come provo a spiegare per voi e per me stesso la strada che guida da Montgomery a questo posto, vorrei aver offerto tutto ciò che c’è di più valido se semplicemente dicessi che devo essere coerente con le mia convinzione secondo cui devo dividere con tutti gli uomini il sentirmi  essere un figlio del Dio Vivente. Questa vocazione di figliolanza e fraternità va oltre l’apparteneza di razza, nazione o credo. Perché io credo che il Padre sia profondamente preoccupato, specialmente per i Suoi figli sofferenti, esuli e privi di aiuto, e stasera vengo a parlare per loro. Questo credo essere il privilegio ed il fardello di tutti noi che riteniamo noi stessi limitati dalla fedeltà e dalla lealtà che sono più larghi e profondi del nazionalismo e vanno oltre le posizioni e gli obiettivi che la nostra nazione si è autodefiniti. Noi siamo chiamati a parlare per i deboli, per chi non ha voce, per le vittime della nostra nazione, per quelli che lei chiama “nemici”, per quel documento di mano umana che possa rendere questi umani meno nostri fratelli.

E come rifletto sulla pazzia del Vietnam e ricerco dentro di me i modi compassionevoli di capire e rispondere, la mia mente va costantemente alla gente di quella penisola. Mi riferisco non ai soldati di entrambe le parti, non delle ideologie del Fronte di Liberazione, non della giunta di Saigon, ma semplicemente della gente che è stata lasciata sotto il corso della guerra per ormai circa trent’anni. Io penso a loro, anche, perché mi è chiaro che li non ci sarà alcuna significativa soluzione finchè non saranno condotti per conoscerli ed ascoltare le loro urla rotte. Essi devono vedere gli Americani come liberatori stranieri. Il popolo vietnamita proclamo la sua indipendenza nel 1954 – piuttosto che nel 1945 – dopo una occupazione combinata tra Giapponesi e Francesi  e prima della rivoluzione comunista in Cina. Furono guidati da Ho Chi Minh. Anche se citarono la Dichiarazione di Indipendenza Americana nel loro documento di indipendenza rifiutammo di riconoscerli. Invece decidemmo di sostenere la Francia nella riconquista della sua colonia. Il nostro governo senti che i vietnamiti non erano pronti per l’indipendenza e noi di nuovo abbattemmo vittime alla micidiale arroganza dell’Occidente che ha avvelenato l’atmosfera internazionale tanto a lungo. Con quella tragica decisione noi rigettammo un governo rivoluzionario in cerca dell’autodeterminazione e un governo non stabilito dalla Cina – per cui i vietnamiti non nutrono simpatie – ma da forze chiaramente locali che includono qualche comunista. Per i contadini questo nuovo governo significava una reale riforma agraria, una delle più importanti fonti di sostentamento. Per nove anni dopo il 1945 negammo al Vietnam il diritto all’indipendenza. Per nove anni abbiamo vigorosamente sostenuto la Francia nel suo sforzo esecrabile di ricolonizzazione del Vietnam. Prima della fine della guerra avevamo sostenuto l’ottanta percento dei costi di guerra francesi. Sebbene la Francia, prima della sconfitta di Dien Bien Phu, cominciarono a disperare della loro azione incosciente, noi  non facemmo altrettanto. Noi li incoraggiammo con enormi forniture militari e finanziarie fino a quando non la hanno persa. Presto pagheremo il costo pieno di questo tragico tentativo di riconolizzazione. Dopo che la Francia fu sconfitta sembrò come se l’indipendenza e la riforma agraria sarebbero venuti di nuovo dall’accordo di Ginevra. Ma invece vennero gli Stati Uniti, determinarono che Ho non avrebbe unificato il paese temporaneamente diviso, ed i contadini videro di nuovo come noi sostenevamo uno dei più moderni e violenti dittatori, la persona da noi scelta, il premier Diem. I contadini videro e si mostrarono dimessi di fronte alla violenza con cui Diem estirpò tutta l’opposizione, sostenne i loro padroni esosi e rifiutò sempre di discutere l’unificazione con il nord. I contadini videro che fu fatto presidente con l’influenza degli Stati Uniti e poi che fu incrementato il numero di truppe U.S.A. per aiutare a contenere l’insurrezione causata dai metodi di Diem. Quando Diem fu rovesciato potevano essere felici ma la lunga linea di dittatori militari sembro non offrire alcun cambiamento reale specialmente in termini di bisogno di terra e di pace.

Il solo cambiamento venuto dall’America fu l’incremento del nostro supporto militare che erano singolarmente corrotti, inetti e senza il supporto popolare. Nel frattempo la gente leggeva i nostri volantini e ricevette regolare promessa di pace, di democrazia e di riforma agraria. Ora languono sotto le nostre bombe e ci considerano non dei fedeli ai vietnamiti ma nemici reali. Si muovono tristemente e apaticamente e noi li ammassiamo sulla terra dei loro padri in campi di concentramento in cui sono negati i minimi bisogni sociali. Sanno che devono muoversi (di continuo, frettolosamente) per non essere distrutti dalle nostre bombe. Così essi vanno, essenzialmente donne, bambini e anziani.

Vedono come avveleniamo la loro acqua, come noi distruggiamo milioni di acri di raccolto, devono piangere al ruggito dei buldozer sui loro campi che preparano la distruzione di piante preziose. Vagano per gli ospedali con almeno venti vittime del fuoco americano a fronte di un solo ferito provocato dai Vietcong. Alla lunga potremmo aver ucciso un milione di loro ed in maggioranza bambini. Essi vagano per le città e vedono migliaia dei loro bambini senza casa, senza vestiti che si muovono per le strade in branco come animali. Essi vedono i bambini degradati dai nostri soldati e che chiedono del cibo in elemosina. Vedono i loro ragazzi vendere le sorelle ai nostri soldati sollecitate dalle loro mamme. Cosa pensano i contadini della nostra alleanza con i proprietari terrieri e del nostro rifiuto di mettere in atto azioni o spendere parole a sostegno della riforma agraria? Cosa pensano circa i nostri test di missili su di loro alla stessa stregua di come i tedeschi provavano medicine e nuove torture nei campi di concentramento d’Europa? Dove sono le radici del Vietnam indipendente  che noi chiediamo di costruire?  E’ fra costoro senza voce?  

Abbiamo distrutto le loro due più importanti istituzioni: la famiglia ed il villaggio. Abbiamo distrutto la loro terra ed il loro raccolto. Abbiamo cooperato a schiacciare la nazione solo con forze politiche rivoluzionarie non comuniste, la Chiesa Buddista unificata. Abbiamo corrotto le loro donne ed i loro bambini, ucciso i loro uomini. Ora è rimasto poco da tirar su salvo l’amarezza. Presto le sole fondazioni solide rimanenti saranno presenti nelle nostre basi militari e nei campi di concentramento che noi chiamiamo “villaggi fortificati”. I contadini potrebbero ben chiedersi se noi stiamo pianificando un nuovo Vietnam  su basi come queste. Possiamo fargli una colpa per questi pensieri? Noi dobbiamo parlare per loro  e sollevare le questioni che loro non possono sollevare. Questi sono anche nostri fratelli. Forse un compito più difficile ma non meno necessario è parlare per coloro che sono stati designati come nostri nemici. Quelli del Fronte di Liberazione Nazionale, quel gruppo anonimo straniero, che noi chiamiamo “VC” o “comunisti”? Cosa devono pensare degli Stati Uniti d’America quando realizzano che consentiamo la repressione e la crudeltà di Diem che è aiutato a tenerli nella loro condizione come gruppo di ribelli del Sud? Cosa pensano del nostro legittimare (usato al posto di condonare n.d.r.) la violenza che li costringe ad alzare le armi? Come possono credere alla nostra integrità quando ora noi parliamo di “aggressione dal Nord” come se non ci fosse niente di più essenziale della guerra? Come possono aver fiducia in noi quando ora li accusiamo di violenza dopo il micidiale regno di Dien e li accusiamo di violenza dopo avergli versato nuovi missili mortali sulla loro terra? Sicuramente noi dobbiamo capire il loro stato d’animo anche se non giustifichiamo le loro azioni. Sicuramente dobbiamo vedere gli uomini che sosteniamo che li spingono alla violenza. Sicuramente dobbiamo vedere che i nostri stessi progetti di distruzione computerizzati fanno apparire più piccole le loro azioni.

Come ci giudicano quando i nostri ufficiali sanno che i loro affiliati sono comunisti per meno del venticinque percento ed ancora insistono nel farne un unico fascio? Cosa penseranno che noi sappiano che controllano la maggior parte del territorio vietnamita e ancora che sembriamo pronti a consentire elezioni nazionali in cui questo loro governo politico parallelo altamente organizzato non dovrà prendere parte? Loro chiedono come noi possiamo parlare di libere elezioni quando i giornali di Saigon sono censurati e controllati dalla giunta militare. E sono sicuramente in diritto di meravigliarsi circa il tipo di nuovo governo che noi pianifichiamo per sostenerne la formazione senza di loro, la sola parte realmente in contatto con i contadini. Essi chiedono dei nostri obiettivo politici e rifiutano in effetti un accordo di pace da cui saranno esclusi. Le loro domande sono spaventosamente rilevanti. La nostra nazione sta di nuovo pianificando di costruire su un mito politico e quindi di puntellarlo con la forza di nuova violenza? Qui c’è il vero significato della compassione e della non violenza quando ci aiuta a vedere dal punto di vista del nemico, ad ascoltare i suoi quesiti a conoscere il suo giudizio di noi stessi. Per mezzo della sua vista noi possiamo infatti vedere il punto debole di base della nostra condizione e se siamo maturi, possiamo imparare e crescere e profittare della saggezza dei fratelli che sono chiamati l’opposizione.

Così, anche, con Hanoi. Nel Nord, dove le nostre bombe violentano (letteralmente “prendono a pugni” n.d.r.) la terra e le nostre mine mettono in pericolo i corsi d’acqua navigabili, dobbiamo affrontare una profonda ma incomprensibile diffidenza. Parlare per loro è spiegare questa mancanza di confidenza in parole occidentali e specialmente la loro sfiducia ora nelle intenzioni dell’America. Ad Hanoi ci sono le persone che guidano la nazione l’indipendenza contro i Giapponesi e i Francesi, gli uomini che cercarono alleanza nel mercato comune francese e furono traditi dalla debolezza di Parigi e dall’ostinazione degli eserciti coloniali. Furono loro che guidarono una seconda battaglia contro la dominazione francese a costi tremendi e quindi persuasi a concedere i territori che controllavano tra il tredicesimo ed il diciassettesimo parallelo come misura temporanea a Ginevra.  Dopo il 1954 ci videro cospirare con Dien per prevenire elezioni che avrebbero sicuramente portato Ho Chi Minh al potere di un Vietnam unito e realizzarono di essere stati traditi di nuovo. Quando ci chiediamo perché non approfittano di un negoziato queste cose devono essere ricordate. Inoltre, deve essere chiaro, che i leader di Hanoi considerarono la presenza delle truppe americane a sostegno del regime di Dien per essere stati la prima breccia militare dell’Accordo di Ginevra sulle truppe straniere. Ci ricordano che non cominciarono a mandare truppe in grande numero e che entrarono nel Sud solo dopo che le forze americane si contavano a decine di migliaia. Hanoi ricorda come i nostri leader rifiutarono di dirci la verità circa la prima apertura verso la pace del Vietnam del Nord, come il presidente sostenne che non ve ne erano quando essi ne avevano fatte chiaramente. Ho Chi Minh ha visto come l’America ha parlato di pace e costruito le sue forze ed ora egi ha sicuramente sentito il crescente rumore internazionale dei piani americani per un’invasione del Nord. Egli sa che i bombardamenti, le granate e le mine che noi adoperiamo sono parte di una strategia di pre-invasione . Forse solo il suo senso di umorismo o di ironia può salvarlo quando sente le più potenti nazioni del mondo parlare di aggressione quando lasciano cadere migliaia di bombe su una povera e fragile nazione lontana più di ottocento, anzi meglio, ottomila miglia lontana dalle loro coste.

A questo punto dovrei chiarire che mentre ho provato in questi pochi ultimi minuti a dare una voce ai senza voce del Vietnam e a comprendere le argomentazioni di coloro che sono chiamati “nemici”, sono profondamente preoccupato, per le nostre stesse truppe che sono la, come nessun altra cosa. Mi viene in mente che quello a cui noi li sottomettiamo in Vietnam non è semplicemente un processo di brutalizzazione che accade in ogni guerra dove gli eserciti si fronteggiano e cercano di distruggersi. Stiamo sommando cinismo al processo di morte, essi devono sapere dopo un breve periodo (trascorso) lì che nessuna delle cose per cui noi chiediamo di combattere sono veramente coinvolte. Innanzi tutto devono sapere che il loro governo li ha mandati a combattere in mezzo ai vietnamiti e che la più sofisticata certezza realizza che siamo dalla parte del ricco, e del sicuro, mentre creiamo un inferno per il povero. In qualche modo questa pazzia deve cessare. Dobbiamo fermarla ora. Parlo come un figlio di Dio e come un fratello del povero del Vietnam. Io parlo per coloro costretti ad abbandonare la loro terra, le cui case sono state distrutte e la cui cultura è stata sovvertita. Io parlo per i poveri d’America che stanno pagando il doppio prezzo delle speranze distrutte a casa, e di trattamento di morte e corruzione in Vietnam. Parlo come cittadino del mondo, per il mondo che è sbigottito per il sentiero che abbiamo preso. Io parlo come uno che ama l’America, ai leader della nostra stessa nazione: la grande iniziativa in questa guerra è nostra; l’iniziativa di fermarla deve essere nostra. Questo è il messaggio dei grandi capi buddisti del Vietnam. Recentemente uno di essi scrisse queste parole che riporto testualmente:

“Ogni giorno che la guerra continua l’odio cresce nei cuori dei vietnamiti e nei cuori di coloro che hanno l’istinto dell’umanitarismo. Gli americani sono forzati a considerare i loro amici come nemici. È curioso che gli americani, che calcolano così accuratamente la possibilità di una vittoria militare, non realizzino che in questo processo stanno incorrendo in un profondo errore politico e psicologico. L’immagine dell’America non sarà mai di nuovo l’immagine di rivoluzione, libertà e democrazia ma l’immagine di violenza e militarismo.”

Se continuiamo, non ci saranno dubbi nella mia mente e nelle menti del mondo noi non abbiamo intenzioni onorabili per il Vietnam.  Se non fermiamo la nostra guerra contro il popolo del Vietnam immediatamente, il mondo sarà lasciato senza altre alternative che di vedere questo come un orribile, goffo, mortale gioco che abbiamo deciso di giocare. Il mondo ora chiede maturità all’America che noi possiamo non essere in grado di raggiungere. Esso chiede che ammettiamo di aver sbagliato dall’inizio della nostra avventura in Vietnam, dovremmo prendere l’iniziativa di porre un freno a questa tragica guerra. Mi piacerebbe suggerire cinque cose concrete che il nostro governo dovrebbe fare immediatamente per cominciare il lungo e difficile processo per districarci da questo conflitto da incubo.

Numero uno: Terminare tutti i bombardamenti nel Nord e nel Sud del Vietnam.

Numero due: Dichiarare unilateralmente la cessazione del fuoco nella speranza che qualche azione possa creare un’atmosfera per la negoziazione.

Tre: fare gli immediati passi necessari per prevenire altri focolai di violenza nel sudest asiatico decurtando il nostro potenziale bellico in Tailandia e la nostra interferenza nel Laos.

Quattro:  Accettare realisticamente il fatto che il Fronte di Liberazione Nazionale ha sostanziale adesione nel Sud Vietnam e deve quindi giocare un ruolo in ogni negoziato importante ed in ogni futuro governo del Vietnam.

Cinque: Fissare una data entro cui rimuoveremo tutte le truppe straniere dal Vietnam in ottemperanza all’accordo di Ginevra del 1954 (applauso sostenuto).

Parte del nostro in attuazione (ancora applausi) … , parte del nostro impegno in attuazione potrebbe esprimersi bene in una offerta atta a garantire asilo ad ogni vietnamita che tema per la sua vita sotto un altro regime che includa il Fronte di Liberazione. Quindi dobbiamo porre ogni rimedio che possiamo per riparare ai danni che abbiamo fatto. Dobbiamo provvedere agli aiuti medicali di cui hanno gran bisogno, rendendoli disponibili in questo paese se è necessario. Nel frattempo (applauso) …, nel frattempo noi, nelle chiese e nelle sinagoghe, abbiamo un compito continuo mentre spingiamo il nostro governo a disimpegnarsi da un impegno scandaloso. Dobbiamo continuare ad alzare le nostre voci e le nostre vite se la nostra nazione persiste nella sua politica (modo n.d.r.) perversa in Vietnam. Dobbiamo essere pronti a contrastare azioni con parole ricercando tutti i metodi creativi di protesta possibili. Così come consigliamo i nostri ragazzi relativamente al servizio militare, dobbiamo essere chiari per loro sul ruolo della nostra nazione in Vietnam e sfidarla con l’alternativa di una obiezione coscienziosa. (applauso sostenuto) Sono felice di dire che questo ora è la strada scelta da più di settanta studenti della mia stesa alma mater, il Morehose College, e lo raccomando a tutti coloro che ritengono disonorevole e ingiusto il corso americano in Vietnam. (applauso) Inoltre, vorrei incoraggiare tutti i ministri in età di leva a dare il loro esempio di ministri e dichiarandosi obiettori di coscienza. (applauso) Questi sono i tempi delle scelte vere e non delle false. Siamo al momento in cui le nostre vite devono essere messe in gioco se la nostra nazione deve sopravvivere alla sua stessa follia. Ogni uomo di umana convinzione deve decidere se protestare le migliori cause delle sue convinzioni. Ma dobbiamo tutti protestare.

Ora c’è qualcosa di seducente che tenta di piantarla lì e spedire tutti noi su quello che in qualche circolo è diventata una crociata popolare contro la guerra in Vietnam. Dico che dobbiamo prendere parte a quella lotta anche se mi auguro di cominciare a dirvi perfino qualcosa di più sconvolgente. La guerra in Vietnam è soltanto un sintomo di una lontana e profonda malattia dello spirito dell’America, e se noi ignoriamo questa seria realtà (applauso), e se noi ignoriamo questa seria realtà, ci troveremo ad organizzare il comitato per “l’impegno del clero e dei laici” della prossima generazione. Dovranno preoccuparsi del Guatemala e del Perù. Dovranno preoccuparsi della Tailandia e della Cambogia. Dovranno preoccuparsi del Mozambico e del Sud Africa. Marceremo per questi ed altre dozzine di nomi e organizzare riunioni senza fine a meno che ci sia un significativo e profondo cambiamento nella vita e nella politica americana. (applauso sostenuto). Così molti pensieri ci tengono al di là del Vietnam ma non al di là della nostra chiamata come figli del Dio vivente. Nel 1957 un sensibile ufficiale americano in servizio oltremare disse che gli sembrava che la nostra nazione fosse dalla parte sbagliata della rivoluzione del mondo. Durante gli ultimi dieci anni abbiamo visto emergere un modello di repressione che ha ora giustificato la presenza dei revisori militari statunitensi in Venezzuela. Questo vuol dire che bisogna mantenere stabilità sociale per i nostri investimenti nelle azioni controrivoluzionarie delle forze americane in Guatemala. Questo spiega perché gli elicotteri americani sono stati usati contro la guerriglia in Cambogia e perché il napalm americano ed i Berretti Verdi sono già stati attivi contro i ribelli del Perù.

È con qualche attività in mente che le parole dell’ultimo J. F. Kennedy tornano a pervaderci. Cinque anni fa ha detto: “Coloro i quali rendo impossibile la rivoluzione pacifica, renderanno la rivoluzione violenta inevitabile.” (Applauso) Sempre più, per scelta o per incidente, questo è il ruolo che la nostra nazione ha tenuto, il ruolo di quelli che hanno reso la rivoluzione pacifica impossibile rifiutando di rinunciare ai privilegi ed ai piaceri che vengono dagli immensi profitti degli investimenti oltremare. Sono convinto che se fossimo dalla parte giusta della rivoluzione mondiale, noi come nazione, dobbiamo sottometterci ad una radicale revisione di valori. Noi dobbiamo rapidamente cominciare (Applauso) … Noi dobbiamo rapidamente cominciare a passare da una società orientata alle cose (di consumo), ad una società orientata alle persone. Quando macchine e computer, motivi di profitto e diritti di proprietà, sono considerati più importanti della gente, l’enorme trigemino di razzismo, materialismo estremo e militarismo sono impossibili da conquistare.

Una vera rivoluzione dei valori ci indurrà presto a chiederci circa l’equità e la giustezza di alcune nostre politiche passate e recenti. Da un lato siamo chiamati a sostenere il ruolo del Buon Samaritano che vive ai margini della strada ma quello sarà solo l’atto iniziale. Un giorno dobbiamo venire a vedere che tutta la strada di Gerico deve essere trasformata in modo che gli uomini e le donne non siano costantemente colpiti e derubati come loro accade tutti i giorni della vita in autostrada. La vera compassione è più che lanciare una moneta ad un mendicante. E si vedrà che un edificio che produce mendicanti ha bisogno di essere ristrutturato. (Applauso)  Una vera rivoluzione di valori metterà presto a disagio nel madornale contrasto tra la povertà e la ricchezza. Con la giusta indignazione guarderà dall’altra parte dei mari e vedrà singoli capitalisti dell’Ovest investire immense risorse in Asia, Africa e Sud America, solo per ottenere profitti, senza impegnarsi nel maltrattamento sociale dei paesi, e dire, “Questo non è giusto”. L’arroganza dell’Ovest che sente di dover insegnare ogni cosa agli altri e di non aver nulla da imparare da loro non è giusta. Una vera rivoluzione di valori stenderà la mano sull’ordine mondiale e dirà della guerra:”Questo modo di stabilire le differenze non è giusto”. Questa economia di infiammare gli esseri umani col napalm, di riempire le case della nostra nazione con orfani e vedove, di iniettare droghe velenose nelle vene della gente normalmente umana, di rimandare gli uomini a casa dai campi di battaglia bui ed insanguinati fisicamente handicappati e psicologicamente impazziti, non possono essere riconciliati con la saggezza, la giustizia e l’amore. Una nazione che continua, anno dopo anno, a spendere più soldi nella difesa militare piuttosto che nell’avanzamento sociale sta approcciando la morte spirituale. (Applauso sostenuto). America, la nazione più ricca e potente del mondo, puoi ben guidare sulla strada di questa rivoluzione di valori. Non c’è niente eccetto una tragica morte che possa impedirci di ridefinire le  priorità in modo che il perseguimento della pace possa avere la precedenza sul perseguimento della guerra. Non c’è nulla che ci tenga a rimodellare un recalcitrante status quo di mani livide finchè non lo abbiamo foggiato in una fratellanza.

Questo tipo di rivoluzione positiva di valori  èla nostra miglior difesa contro il comunismo. (Applauso) La guerra non è la risposta. Il Comunismo non sarà mai debellato dall’uso delle bombe atomiche o dei missili nucleari. Non accomuniamoci a coloro che chiamano alla guerra e, attraverso le loro passioni insane, stimolano gli Stati Uniti a ritirare la sua partecipazione dalle Nazioni Unite. Questi sono giorni che domandano prudente saggezza e calma ragionevolezza. Non dobbiamo impegnarci in un negativo anticomunismo ma piuttosto in una positiva fiducia nella democrazia, (Applauso) realizzando che la nostra più grande difesa contro il comunismo è l’intraprendere un’azione offensiva per conto della giustizia. Dobbiamo cercare con azioni positive di rimuovere quelle condizioni povertà, insicurezza ed ingiustizia che sono il terreno fertile entro cui il seme del comunismo cresce e si sviluppa. Questi sono tempi rivoluzionari. Tutti gli uomini della terra sono in rivolta contro i vecchi sistemi di sfruttamento ed oppressione e al di là delle ferite di un fragile mondo, nuovi sistemi di giustizie ed uguaglianza sono nati. Gli uomini nudi e scalzi della terra si stanno sollevando mai come prima. La gente seduta nell’oscurità ha visto una grande luce. Noi, nell’Ovest, dobbiamo sostenere queste rivoluzioni.

È un fatto triste, benché di conforto, di compiacenza, di un morboso timore del comunismo, e la nostra propensione ad adattarci all’ingiustizia, le nazioni dell’Ovest che iniziarono con così tanto spirito rivoluzionario del mondo moderno ora diventano l’arco dell’antirivoluzionarismo. Questo ha indotto molti a credere che solo il marxismo ha uno spirito rivoluzionario. Quindi il comunismo è una punizione al nostro fallimento nel rendere la democrazia reale e portata a termine dalle rivoluzioni che abbiamo intrapreso. La nostra sola speranza oggi risiede nella nostra capacità di ricatturare lo spirito rivoluzionario e calarsi qualche volta in un mondo ostile dichiarando la nostra eterna ostilità alla povertà, al razzismo ed al militarismo. Con questo strenuo impegno sfideremo decisamente lo status quo e le maggiori ingiustizie e con questo accelereremo il giorno in cui “Ogni valle sarà sollevata ed ogni montagna e collina abbassate (tutti in coro Si); il curvo(disonesto)  reso dritto (onesto) e il ruvido (oscuro, approssimativo) liscio (chiaro, preciso). Una genuina rivoluzione di valori significa in ultima analisi che le nostre lealtà devono diventare ecumenici piuttosto che divise in sezioni. Ogni nazione deve sviluppare una preponderante ed intatta lealtà al genere umano al fine di preservarne i migliori nelle loro singole società. Questo chiama ad una congregazione di tutto il mondo che solleva il buon vicino dal preoccuparsi oltre di una singola razza, classe e nazione ed è in realtà una chiamata per un abbracciarci tutti ed amare incondizionatamente tutto il genere umano.

Questa incomprensione, questo concetto male interpretato, così facilmente dimesso dai seguaci di Nietzsche nel mondo come una forza debole e codarda, è ora diventata una necessità assoluta per la sopravvivenza dell’uomo. Quando parlo di amore non alludo ad una risposta debole o sentimentale. Non sto parlando di quella forza che è appena carica di emozione. Sto parlando di quella forza che tutte le più grandi religioni hanno visto come il supremo, unificante principio di vita. Amore è in qualche modo è la chiave che apre la porta che conduce al massimo della realtà. Questo credo comune, Indù-Muslim-Ebraico-Cristiano-Buddista,  circa la suprema realtà è bel riassunta nella prima epistola di S. Giovanni “Lasciateci amarne un altro, per amore è Dio. E che ogni amato è figlio di Dio e conosciuto da Dio. E quell’amato ha conosciuto Dio per Dio è amore … se noi amiamo qualcun altro Dio dimora in noi ed il suo amore è perfettamente in noi.” Speriamo che questo spirito diventi l’ordine del giorno.

Non possiamo ancora permetterci di adorare il dio dell’odio o inchinarci all’altare della rappresaglia. La storia è ingombrata delle macerie di nazioni ed individui che inseguono questa auto sconfitta e questo sentiero di odio. Come disse Arold Toynbee:”L’amore è la forza suprema che costruisce per una scelta di vita e di salvezza contro una scelta di morte e del maligno. Quindi la prima speranza nel nostro inventario deve essere una speranza per cui l’amore deve avere l’ultima parola”. Siamo ora di fronte ad un fatto, amici miei, che domani è oggi. Siamo confrontati con la fiera urgenza dell’oggi. In questa rivelazione di vita e di storia  c’è qualche cosa come fosse troppo tardi. Il posticipare è ancora il ladro del tempo. La vita spesso ci lascia scoperti, nudi e abbattuti per una opportunità persa. La marea negli affari degli uomini non rimane ad allagare ma defluisce. Possiamo piangere disperatamente per il tempo di pausa al suo passaggio ma il tempo è irremovibile ad ogni preghiera e fugge via. Oltre la lisca scolorita ed i residui confusi di numerose civilizzazioni sono scritte le parole patetiche “Troppo tardi”. C’è un libro invisibile della vita che annota fedelmente la nostra vigilanza o la nostra negligenza. Omar Kayyam ha giusto detto:”Il dito che si muove scrive e avendo scritto va oltre”. Noi abbiamo ancora una scelta oggi: coesistenza non violenta o annichilimento violento comune. Dobbiamo muoverci dalla passata indecisione all’azione. Dobbiamo trovare nuovi modi per parlare di pace in Vietnam e di giustizia dappertutto nel mondo in evoluzione, un mondo che confina con le nostre porte. Se non facciamo azioni, saremo sicuramente trascinati giù per i lunghi, oscuri e vergognosi corridoi del tempo riservati a coloro che possiedono la potenza senza la compassione, senza moralità e fortemente miopi.

 Ora cominciamo. Dedichiamoci nuovamente alla lunga e amara, ma bella, lotta per un nuovo mondo. Questa è la chiamata per i figli di Dio ed i nostri fratelli aspettano impazienti per un nostro responso. Diremo che le stranezze sono troppo grandi? Diremo loro che la battaglia è troppo dura? Il nostro messaggio sarà che le forze della vita americana sono di ostacolo al loro divenire appieno di uomini e che inviamo il nostro più profondo rincrescimento? O ci sarà un altro messaggio di voglia, di speranza, di solidarietà con i loro intensi desideri di sostegno alla loro causa a qualsiasi costo? La scelta è nostra, e sebbene preferiremmo altrimenti, dobbiamo scegliere in questo momento cruciale per la storia dell’umanità. Come ha affermato quel nobile di ieri di James Russell Lowell:

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Una volta ad ogni uomo e ad ogni nazione viene il momento di decidere,

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Nel conflitto tra verità e menzogna, nel tenere per il bene o per il male;

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Qualche grande causa, il nuovo Messia di Dio offre a ognuno un fiore o la rovina,

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E la scelta va sempre per due volte: quella oscura e quella chiara.

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Sebbene la causa del male prosperi, tuttavia la verità da sola è forte

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Sebbene le sue parti sono l’impalcatura e sul trono è inadatta

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Ancora quell’impalcatura barcolla sul futuro, e dietro il debole sconosciuto

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Sta Dio nell’ombra che tiene d’occhio se stesso.

 E solo se faremo la scelta giusta, saremo in grado di trasformare questa elegia cosmica pendente in un creativo salmo di pace. Solo se faremo la scelta giusta saremo in grado di trasformare il risuonare discordante del nostro mondo in una meravigliosa sinfonia di fratellanza. Ma solo se faremo la giusta scelta, saremo in grado di accelerare quel giorno, in cui tutta l’America e tutto il mondo, quando la giustizia rotolerà giù come l’acqua e la virtù come un fortissimo flusso. (Applauso sostenuto).

 

 

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