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Ernesto Teodoro Moneta - ARTICOLI

Da giovane - a cavallo

Ha anticipato, con la sua opera pacifista, la Carta delle Nazioni Unite: è giusta la guerra combattuta dai popoli oppressi o dalle Nazioni occupate dall’esercito di un altro Stato.

di Fabrizio de Marinis

Giornalisti in punta di penna e di sciabola che fondarono l’Italia moderna. A loro la Patria deve tutto. Ne furono protagonisti e animatori e per quegli ideali risorgimentali spesero gran parte della loro vita. Le loro polemiche erano guerresche, i loro dispacci dai diversi fronti delle guerre d’indipendenza puntuali resoconti della morte di un Secolo. E quando non bastava la penna, come per Felice Cavallotti, c’era la spada da brandire alla prima occasione. E’ stato così per Ernesto Teodoro Moneta, garibaldino arruolato nei Cacciatori delle Alpi, esperto militare, ufficiale di Stato Maggiore del generale Giuseppe Sirtori, al cui fianco seguì tutte le guerre d’indipendenza, dal 1848 al 1866, direttore del più prestigioso giornale italiano dell’Ottocento e dei primi del Novecento, il milanese Il Secolo dell’editore Edoardo Sonzogno, punto di riferimento di tutto quel vasto movimento di pensiero democratico e socialista fortemente coinvolto nei processi unitari e le grandi riforme sociali, che diresse per trent’anni dal 1867 al 1896. Liberale, massone, amico di Garibaldi, dei grandi socialisti italiani come Filippo Turati e Anna Kuliscioff, di Tolstoj, Vilfredo Pareto, De Marchi, De Amicis, Scipione Borghese, con i qual intratteneva intese corrispondenze, fondò il quotidiano italiano moderno, schierandosi fermamente contro ogni guerra e trasformandosi in un profeta di pace nel mondo tanto da meritare nel 1907, il Premio Nobel per la Pace. Ha anticipato, con la sua opera pacifista, la Carta delle Nazioni Unite: è giusta la guerra combattuta dai popoli oppressi o dalle Nazioni occupate dall’esercito di un altro Stato.


Ernesto Teodoro Moneta è una figura di portata internazionale, caustico e feroce difensore delle grandi libertà di pensiero, combattente oltre ogni misura, un Montanelli all’ennesima potenza dalla personalità complessa e composta che dalle colonne del suo battagliero giornale condusse la sua sempre più convinta battaglia pacifista, impegnandosi per il prevalere della ragione sulla violenza, per la composizione pacifica delle vertenze internazionali, per la causa dell’arbitrato e schierandosi fermamente contro ogni avventura bellica di aggressione, come la campagna coloniale in Eritrea, culminata con la tragedia di Adua nel 1886. Fu insomma tra i fondatori dei principi che generarono la Società delle Nazioni e la dichiarazione internazionale dei diritti dell’Uomo e il prestigioso premio che ricevette insieme al francese Renault ne fu il riconoscimento. Una somma cospicua per quel tempo, 96 mila lire, equivalenti a circa mezzo milione di euro di oggi che egli destinò interamente all’Unione Lombarda per la pace e l’arbitrato, poi trasformatasi in Società per la pace, rappresentanza in Italia della Società internazionale per la pace, da lui fondata nel 1887, insieme con Francesco Viganò, un mazziniano di antica data che aveva preso parte nel 1833 alla spedizione di Savoia, e di Angelo Mazzoleni, un altro garibaldino che aveva combattuto con lui a Milazzo, San Fermo ed al Volturno. L’Unione Lombarda, nella quale Teodoro Moneta aveva fatto confluire anche la gratificazione che Edoardo Sonzogno gli aveva assegnata, al compiersi del ventennio di direzione del Secolo, promosse anche il primo Congresso italiano per la Pace di fondazione del movimento che ricevette il battesimo nella sede dell’Associazione della Stampa di Roma sotto la presidenza di Ruggero Bonghi e con la presenza anche di un rappresentante del Governo, l’allora ministro Seismit-Doda, acceso liberale-repubblicano. Vi parteciparono oltre novanta delegazioni e ventuno comitati e società per la pace e altrettanti comitati operai.

Uomo complesso, riconosciuto universalmente un intellettuale dello spessore di Dumas padre, Moneta aveva una sua visione della vita, del giornalismo e della guerra e non mancò di grandi contraddizioni, come quella che lo vide interventista, tra dolorose e feroci polemiche con gli ambienti pacifisti anche internazionali, nel grande conflitto del 1914 dove sostenne la necessità dell’ingresso in guerra dell’Italia, fedele alla sua rigorosa coerenza patriottica e nella convinzione che esso avrebbe contribuito ad un nuovo ordine in Europa. Ma il direttore del Secolo fu singolare anche nelle risposte da dare a chi lo insultava pubblicamente. Nel corso della sua battaglia in favore della pace e del rispetto della vita umana, si schierò a favore dell’abolizione del duello e per tale motivo fu accusato di pusillanimità da Cleto Arrighi, pseudonimo dello scrittore Carlo Righetti. La sua replica non si fece attendere: mandò i padrini a chi lo aveva offeso, si battè a duello, risolvendo il tutto, da garibaldino combattente, con un fendente di sciabola al primo sangue.

“Ernesto Teodoro Moneta considerò la sua professione di giornalista e di scrittore ed il suo compito di pacifista - spiega Morris Lorenzo Ghezzi, docente di Sociologia del Diritto all’Università Statale di Milano, presidente del centro di ricerca Cirm e per molti anni vicepresidente della Fondazione Moneta – una missione di educazione morale e sociale e per le generazioni del suo tempo, egli fu veramente un educatore, condannando apertamente il malcostume e le storture della società, incoraggiando il bene, l’onestà, lo spirito di solidarietà, esaltando le affermazioni dello spirito e dell’ingegno. Fu un apostolo dell’universalismo e umanesimo liberomuratorio che gettò le fondamenta della modernità e che come nella Rivoluzione francese e in quella americana anche in Italia diresse le fila delle guerre e dei movimenti che portarono all’Unità d’Italia ed alla nascita della democrazia nel nostro paese. Moneta fu una figura di grandissimo rilievo mondiale, purtroppo quasi censurata nella memoria del nostro paese, e un convintissimo assertore dei principi della Massoneria Universale alla quale si rifacevano anche Garibaldi e Cavour, che gettò le basi per una nuova visione del diritto internazionale autonomo dalle nazioni. Appartenne a quella composita schiera di intellettuali che con la penna e la sciabola fondarono l’Italia moderna, democratica, socialista, attraverso una rivoluzione compiuta che fu l’Unità del paese. Una figura dalla religiosità laica e teosofica vincente, che da guerriero si convertì ai principi kantiani sulla pace universale e ne divenne un apostolo fino al Premio Nobel”.

Moneta, protagonista con il padre anche delle Cinque Giornate a Milano, chiuse a tretatrè anni la sua carriera militare al seguito di Garibaldi e di Giuseppe Sirtori, dopo aver combattuto tutte le guerre d’indipendenza. Esperienze, queste, che lo segnarono profondamente nell’animo portandolo per sempre a schierarsi contro la barbarie bellica verso la quale rivolgeva fermamente le sue polemiche. In un articolo apparso su Vita Internazionale del 20 giugno 1904, da lui fondato dopo aver lasciato la direzione del Secolo ed essersi dedicato alla causa pacifista egli spiega le motivazioni delle sue posizioni contro l’irredentismo: “ Poiché tra gli irredentisti – scriveva - vi sono quelli che la guerra videro e combatterono valorosamente quando l’Italia politica non esisteva e bisognava crearla, non ricordano più lo spettacolo orribile di un campo di battaglia, i petti squarciati, i crani aperti, le membra rotte, i contorcimenti, gli spasimi, i gemiti, le lunghe strazianti agonie dei feriti? Quelle vite spezzate anzi tempo, quei gemiti e quegli strazii significavano per ogni soldato rimasto illeso, la protesta del diritto di ogni uomo alla vita contro la inumanità della guerra”

E ancora, quando era ancora direttore del Secolo: “ La guerra non risolve quasi mai interamente i problemi per i quali viene intrapresa e ne suscita altri che fomentano nuove contese. Non ci sono problemi, che non si possano risolvere per via di accordi regolati e garantiti da leggi e da istituzioni internazionali. Si deve tutti lavorare allo scopo di bandire per sempre la guerra dal mondo civile e stabilire, quale principio riconosciuto da tutte le Nazioni, che le controversie ed i conflitti debbono essere sempre risolti con forme giuridiche”.

Stemma di famiglia

Nel giornalismo Ernesto Teodoro Moneta fu combattivo come lo era stato al fianco di Garibaldi e gettò le basi del quotidiano moderno italiano innovando tecniche e modi di scrittura. “Il Secolo esce il mattino del 5 maggio – scrive Paolo Murialdi nel suo libro Storia del Giornalismo italiano – Costa 5 centesimi a Milano e ha quattro pagine suddivise in cinque colonne. Graficamente non si discosta dagli altri quotidiani. Nella presentazione promette ai lettori di essere più ricco e più tempestivo degli altri nell’informazione: “de mezzi che saranno in poter nostro nessuno, a qualunque costo, sarà omesso perché la nuova pubblicazione misuri l’altezza del momento, combini con lo spirito del pubblico e valga a tenerlo al corrente degli avvenimenti che sono per svolgersi tra così grande aspettazione”. Gli “avvenimenti che sono per svolgersi” è uno solo, ma grosso. E’ la Terza guerra d’indipendenza, verso il quale, il quotidiano di Sonzogno esprime un caloroso incitamento, col pensiero rivolto a Venezia, “ la poveretta che ha tanto aspettato e tanto patito”. Il Secolo segue gli avvenimenti della guerra con una cura e una precisione maggiori di quella usata dagli altri quotidiani nei quali sovente i resoconti sono raffazzonati con dispacci d’agenzia e notizie riprese da altri giornali”.

Il direttore Moneta ha sui campi di battaglia molti suoi amici ed egli stesso ne è partecipe e riesce quindi ad ottenere informazioni di prima mano ed a coprire ogni azione con la massima accuratezza e profondità. Questo attira lettori. “Inventa” la cronaca cittadina fino ad allora quasi inesistente e l’affida ad un avvocato, Carlo Romussi (succederà nel 1896 a Moneta nella direzione del giornale), “il quale non solo corre dietro ai fatti e ai fatterelli – continua Murialdi - ma da anche voce ai protagonisti e alla povera gente. C’è poi il notevole spazio dato agli articoli e alle rubriche di varietà e al romanzo a puntate, due al giorno, copiando la ricetta che i più diffusi quotidiani parigini avevano dato durante il dominio di Napoleone III. L’invenzione della cronaca cittadina attive e concorrenziale funziona. Il metodo voluto da Moneta e adottato da Romussi e poi praticato più largamnte da Francesco Giarelli nel giornale di Felice Cavallotti La Ragione, è elementare. Andare tutti i giorni di persona, o mandare dei collaboratori-reporter, in municipio, negli uffici di polizia, in tribunale, all’ospedale; e frequentare con le orecchie aperte i teatri e altri luoghi pubblici”.

Contemporaneamente Moneta inventa il servizio telegrafico particolare (mentre Sonzogno crea la figura dell’amministratore in capo nella persona di Enrico Reggiani) sinonimo della tempestività del giornale su tutti i fronti, promuove rubriche come Echi del Mondo, Cronaca dalle città italiane, Agricoltura, Meteorologia, chiama a scrivere competenti, soprattutto agronomi, economisti e storici dei trasporti e dei porti per tenere il pubblico degli affari ben informato sui flussi di merci. Non manca la Nota satirica del giorno, mentre il combattivo direttore sprona i capi del governo, entra in furibonde polemiche e battaglie di principio in difesa dei grandi valori di libertà ed eguaglianza, potenzia le cronache internazionali con corrispondenti da tutte le capitali non solo europee. Le firme del giornale aumentano: Virginio Gauda scrive da Mosca, da Parigi Luigi Campolonghi e Enrica Grasso, seguono Raffaele Garinei tra i primi inviati, Eugenio Rignano, Aldo Sorani, Giuseppe Macaggi, Enrico Lelli, Adolfo Smita, Arnaldo Agnelli e come inviati di guerra dal fronte Rino Alessi ed Enrica Grasso. Per colpire i milanesi vengono messi in vetrina i primi telegrammi diretti al Secolo, con i dispacci di guerra e i servizi particolari dalle capitali europee, la formula di politica popolare, cronaca e verità messa a punto da Sonzogno e Moneta funziona, dalle 6.000 copie iniziali il Secolo raggiunge con una certa rapidità le 10.000 e poi sale costantemente. Nel 1876, quando se ne riparlerà perché in quell’anno nasce il Corriere della Sera, la tiratura del giornale di Moneta supera le 30.000 copie. Inizierà da allora una storica lotta tra le due testate che ai primi del Novecento arriveranno a tirare oltre centomila copie. Sarà solo nel 1904, però, che la storica contesa ha termine, quando il direttore del Corriere della Sera Albertini, dati alla mano, intimerà a Romussi, direttore del Secolo, di togliere dai manifesti e dalle locandine la dicitura “ il più diffuso quotidiano italiano”. Dopo un inseguimento durato quasi trent’anni, il sorpasso era avvenuto, il giornalismo italiano avrebbe avuto un nuovo capofila ancora oggi testimone epocale. Moneta morirà nel febbraio del 1918, garibaldino combattente figura tra l’Utopia di Tommaso Moro, o la Città del Sole del nostro Campanella. A lui la Patria deve molto ed è ignominioso che la sua memoria, le sue carte e la sua biblioteca vengano disperse, come denunciava tempo fa anche il Corriere della Sera e non abbiamo ancora un loro Pantheon.

 

Medaglia del Premio Nobel

Il mistero scandalo dell’archivio Moneta

Lettere di Turati, Mazzini, Cavallotti, Tolstoj e un dossier sulle Cinque Giornate. Le carte del Nobel sono in un caveau di una banca e in parte sono state vendute all’asta da Christie’s, recuperate in extremis dal Museo del Risorgimento di Milano. L’Associazione Società per la Pace, un tempo Fondazione Teodoro Moneta, ne cura ancora la memoria.

“Caro m’è il sonno e più l’esser di sasso finché lo scempio e la vergogna dura, non veder non sentir m’è gran ventura. Tu che passi di qui non mi destar de’ parla basso”. Avrebbe voluto questo epitaffio michelangiolesco sulla sua tomba il garibaldino Ernesto Teodoro Moneta, grande innovatore del giornalismo mondiale, non che premio Nobel per la Pace. E il motivo è nello scempio che è stato fatto del suo archivio e della sua memoria. Solo a ricordare la figura di questo grande italiano al quale la Patria deve molto, c’è un busto nascosto in un angolo dei Giardini Pubblici di Milano in Piazza Cavour, dove un piccolo Pantheon invaso dalle ortiche, ricorda altri letterati ed eroi garibaldini. Il busto fu posto lì nel 1924 da alcuni suoi amici e discepoli, poi rimosso dal Fascismo e lì ricomposto dopo la guerra.

“Moneta. Il Risorgimento sepolto in una soffitta” titolava tempo addietro il Corriere della Sera a firma di Elisabetta Rosaspina, quasi in onore del direttore de Il Secolo, suo antico concorrente, al quale nel 1904 soffiò lo scettro della moderna informazione italiana e il posto di primo giornale del Paese. Si denunciava così lo scandalo dell’archivio Moneta, finito tra polvere e nidi di piccioni in una soffitta di una villa di Missaglia in Brianza, nessuno sa perché. Una dettagliatissima cronaca delle Cinque Giornate di Milano, nonché una corrispondenza quasi del tutto inedita con Garibaldi, Mazzini, Felice Cavallotti, Filippo Turati, Vilfredo Pareto, Tolstoj, De Marchi, Lombroso, De Amicis, Scipione Borghese, il carteggio tra Nino Bixio e Garibaldi, la documentazione dettagliata sulla spedizione in Sicilia. Più vari articoli comparsi su La Vita Internazionale, la rivista fondata da Moneta dopo la direzione de Il Secolo, sulla quale scriveva anche Tolstoj. Il prezioso tesoro di carta fu salvato da un fotografo di Missaglia, Pietro Redaelli, da un professore di lettere del liceo Ballerini di Seregno, Domenico Flavio Ronzoni e dall’editore Bellavite sempre di Missaglia, che fondarono anche un’associazione amici di Moneta, oggi dissolta. Non senza polemiche l’archivio è finito in un caveau di una banca milanese, lì custodito dall’ultimo erede dell’eroe, Vittorio Moneta Caglio. Una parte cospicua di lettere, tra cui alcune di Tolstoj, non si sa come, era stata battuta in asta da Christie’s qualche anno fa, ed intervenne allora, il Comune di Milano, acquistando il tutto per il Museo del Risorgimento. “Attualmente la situazione è particolarmente ingarbugliata - spiega Roberto Guerri, direttore delle raccolte storiche del Comune di Milano e quindi anche direttore del Museo del Risorgimento - è un peccato che tutto questo materiale sulla storia del nostro paese non sia consultabile. In extremis siamo riusciti a salvare le lettere e i documenti in asta da Christie’s, che altrimenti sarebbero andate disperse. Abbiamo anche chiesto l’intervento della Soprintendenza dei Beni Archivistici della Lombardia, perché notifichi l’inalienabilità di un tale patrimonio agli eredi e alle parti in causa. E’ deplorevole che una tale mole documentale sulla storia d’Italia non si sa che fine faccia”.


Attualmente sono interessati all’Archivio Moneta la Provincia di Lecco, il Comune di Milano con il Museo del Risorgimento e la Regione Lombardia. “ Il busto di Moneta andrebbe messo di fronte a Palazzo Marino, è un Nobel per la Pace non dimentichiamolo - dice Walter Galbusera, segretario regionale della Uil Lombardia, attuale presidente dell’Associazione Società per la Pace, che ha raccolto l’archivio di ciò che resta dell’Unione Lombarda per la pace e l’arbitrato, poi trasformatasi in Società per la pace, rappresentanza in Italia della Società internazionale per la pace, fondata da Moneta nel 1887 – Custodiamo un’altra piccola parte di archivio che andrebbe ricongiunta a quanto è stato trovato a Missaglia, probabilmente nel Museo del Risorgimento. Noi da parte nostra abbiamo recentemente promosso un convegno internazionale con l’Università di Pavia sulla figura di Moneta, ma è increscioso quanto poco si faccia per un uomo di tale valore storico”. ( fdm).
 

 

Tratto da http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=522

 

   

 

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