Home Page Pagina precedente Mappa del SitoSite MapPagina degli Sponsor - Sponsor's PageQuestionario - Questionnaire Libri elettronici - e-bookUn aiuto per voi

     Vasco Rossi - Canzone

Ernesto Teodoro Moneta

Discorso tenuto al ricevimento del Premio Nobel (*)

Beautiful mind - Mostra di Firenze - sezione nobel per la pace agli italiani

25 Agosto 1909



PACE E LEGGE NELLA TRADIZIONE ITALIANA


Quando nel pomeriggio del 10 dicembre 1907 ho ricevuto la lieta notizia, pubblicata immediatamente dai giornali, che mi avevate conferito il Premio Nobel per la Pace, la soddisfazione di tutti gli italiani si è riflessa in molti segni di affetto e stima. Li ho ricevuti dalla gente di ogni ambito sociale, ed in particolare da Sua Maestà Re Vittorio Emanuele (1), che, nel suo telegramma, si congratulava con me per questa onorificenza, riaffermando “il suo ardente desiderio che la grande causa della pace trionfi”. Per tutti gli onori che ho ricevuto e per tutte le acclamazioni che un uomo possa augurarsi, mi avete messo in debito verso di voi, infatti, gli anni di vita che ancora mi restano, sono troppo pochi per dimostravi, per la rinnovata attività nel mio lavoro di propaganda, la mia imperitura gratitudine.

La vostra scelta è stata la più grande gentilezza verso i miei connazionali venuti da un paese che abbiamo amato per tanto tempo per la sua devozione alla verità ed alla bellezza, per le sue istituzioni civiche, per i suoi poeti e drammaturghi, come Ibsen e Bjorson (2) che sono tra i più ammirati e più diffusi in Italia. Furono loro che focalizzarono l’attenzione del mondo sull’ammirabile modo di vivere, così pieno di vigore e sincerità, del vostro meraviglioso paese. Furono loro che hanno rievocato di nuovo i vostri coraggiosi antenati, i Wikinghi, che con le loro piccole imbarcazioni ed indomabile coraggio furono viaggiatori e guerrieri veramente degni di essere immortalati in leggende; conquistatori, non mercenari, essi stupirono il mondo con l’audacia della loro lotta dimostrata in giorni in cui la guerra era onorabile.
Senza adulazione ma con profonda convinzione, dico chiaramente ciò che il mondo pensa di voi e del vostro paese (specialmente quello che gli abitanti del mio paese pensano, ed è ben risaputo che gli stranieri, nel giudicare gli affari degli altri, sono spesso così imparziali e veritieri quanto la posterità) - Dico a voi, in tutta sincerità, che la vostra vita civile oggi è degna di ammirazione nel nostro tempo come lo era quello degli indomabili Vikinghi nei giorni di guerra e di conquista con le armi.
Questo perché, nel mettersi in pari nella lotta quotidiana, la vostra nazione guarda in faccia ogni cambiamento della realtà con chiarezza rigettando in accordo le vecchie pratiche. Non si tiene stretta a costumi che non hanno ragione di essere oltre; si aggiorna costantemente a nuovi bisogni e necessità. Questo perché il vostro paese è oggi all’avanguardia del movimento della pace nel mondo. Il vostro Storting è stato il primo parlamento a sostenere ufficialmente l’idea del negoziato universale, a stanziare fondi per l’Interparliamentary Union e per il Bureau di Berna (3), e, già dal 1890, a incoraggiare il Re nel sostenere negoziati tra la Norvegia e le altre piccole nazioni. Inoltre, il ricordo della recente conquista della vostra indipendenza, per cui vi siete così a lungo impegnati ad uscire dalle più gravi difficoltà, è ancora fresco in tutte le nostre menti (4). La vostra indipendenza, perseguita com’è stata senza violenza e spargimento di sangue, e un esempio vivente di buon senso e saggezza, prudenza e grande tenacia, e che porta credito esterno sia a voi che l’ottenete, sia a coloro che non ve lo rifiutano.
Il pacifismo – come lo abbiamo sempre sostenuto, e come voi lo state praticando – non cerca di cancellare i paesi tirandoli nel crogiolo del cosmopolitismo, ma organizzandoli, se non sono già in questa condizione, secondo i dettati della giustizia.
In varietate unitas! Più ogni nazione contribuisce alla comunità mondiale con la ricchezza delle sue attitudini, le sue razze e le sue tradizioni, più grande sarà lo sviluppo futuro e la speranza per il genere umano.
Ed ora permettetemi di dire qualche parola in rispettoso tributo della memoria di Alfred Nobel il cui ultimo atto è responsabile della mia presenza qui con voi. Sebbene Alfred Nobel fosse svedese, volle che la scelta e l’assegnazione del Premio per la Pace fosse nelle mani del Parlamento Norvegese, che, come ho già detto, è stato il primo parlamento a sostenere la negoziazione internazionale.

Il servizio reso alla nostra causa da Nobel è stato immenso; è stato un uomo di scienza, un uomo del mondo industriale, sempre alla ricerca di obiettivi concreti, che ha respinto i vecchi schemi secondo cui la pace è una inottenibile utopia, capace solo di sedurre le menti e le anime di idealisti sentimentali.
L’inizio del Premio Nobel per la Pace pone una fine immediata al farsi beffe da parte di scettici e pseudo-intellettuali; e quindi le nostre fila si sono rinforzate con nuovi venuti da ogni ambito: politici, industriali, commercianti, banchieri – tutti finora lontani, e che oggi simpatizzano la nostra causa.
Le più gravi difficoltà che la nostra società ha dovuto affrontare (5), comunque, avvennero agli inizi della sua esistenza quando i nostri membri, che l’avevano fondata per combattere un militante nazionalismo che politici imperialisti vollero incoraggiare in Italia, furono denunciati dai nostri avversari come dei “senza Stato”.
Questa accusa era totalmente inconsistente. Prima che ci fossimo votati a sostenere la Pace, i miei amici ed io abbiamo prima preso parte alle battaglie per l’indipendenza d’Italia, e difendendo la pace e la fratellanza tra la gente stavamo interpretando fedelmente i grandi uomini che avevano progettato e istigato la nostra rivoluzione. Come loro, proclamammo che il nostro primo obbligo doveva essere la liberazione del nostro paese, credendo con Immanuel Kant (6) che per affrettare il grande e benefico avvento dell’unità del genere umano, fosse essenziale prima ripristinare le frontiere naturali delle nazioni.
 

Svezia - Cerimonia di conferimento del Premio Nobel

La nostra rivoluzione non si è manifestata in una improvvisa sollevazione di popolo intollerante al regime tirannico, fu il risultato di un lungo periodo di evoluzione intellettuale e morale, condotto da uomini di grande talento e di rare qualità spirituali, poeti e filosofi, veri educatori della gente. Parlando di libertà e patriottismo, tutti loro pensarono che la libertà poteva essere acquisita con la morte, ma conservata solo dall’aderenza ai principi di giustizia con azioni di virtù civili.
Ero giovane quando, nel marzo 18948, Milano ed altre città della Lombardia si sollevarono in rivolta contro il rifiuto del governo al potere di una sua offerta di “pace e fraternità” come contropartita per la rappresentanza nazionale della Lombardia e di Venezia. Mentre risuonava l’allarme, noi sollevammo barricate, combattemmo, mescolavamo lacrime di gioia con gli spari ed il frantumarsi di tegole e mattoni tirati giù dalle finestre. Se questa magnifica ed epica battaglia, che è passata alla storia con il nome di “Cinque Giornate” (7), dimostrò il coraggio della nostra gente di fronte al pericolo, dimostrò anche la loro generosità di fronte alla vittoria, che fu priva di rivalsa anche contro i più noti agenti di polizia. Combatterono eroicamente ma senza odio per i poveri soldati stranieri che erano obbligati a combattere per disciplina a dispetto di loro stessi. Per i nostri combattenti fu praticamente un motivo quanto meno di celebrazione, prendendo il nemico di sorpresa, furono in grado di catturarli senza spargimento di sangue. I nemici prigionieri e feriti furono tutti trattati bene.
Un giorno quando mio padre e I miei fratelli erano assenti, guardai, dalla finestra della mia casa, tre soldati austriaci cadere fra una grandinata di proiettili. Apparentemente morti, furono portati via in una piazza vicina. Li rividi di nuovo due ore più tardi: uno di loro era ancora moribondo. Questo spettacolo gelò il sangue nelle mie vene e fui preda di una grande compassione. In quei tre soldati non vedevo più nemici ma uomini come me stesso, e col rimorso tanto intensamente penetrante come se li avessi uccisi io con le mie stesse mani, pensai alle loro famiglie che in quello stesso momento, stavano forse preparandosi per il loro ritorno.
In quell’istante ho sentito tutta la crudeltà e l’inumanità della guerra che mette le genti una contro l’altra a mutuo detrimento, genti che dovrebbero avere ogni interesse a comprendere ed essere amiche con ogni altra. Dovevo provare questo sentimento ogni volta che guardavo ai morti ed ai feriti di tutte le guerre per la nostra indipendenza a cui avevo preso parte.
Non ero il solo a pensare e sentire in quel modo. Il giorno seguente la vittoria popolare, il governo pubblicò dopo l’insurrezione promossa, un manifesto alle genti di tutta Europa, in cui diceva (8):
“Non è molto distante il giorno in cui tutte le nazioni dimenticheranno i vecchi rancori e si riuniranno sotto la bandiera della fratellanza internazionale, mettendo fine a tutti i conflitti e abbracciando la pace e l’amicizia, rafforzati da legami commerciali e industriali. Noi guardiamo a quel giorno. Italiani! Liberi e indipendenti sigilleremo la pace della fratellanza con le nostre stesse mani, non ultime con le nazioni che oggi costituiscono l’Impero Austriaco se solo essi lo vorranno”.
Noi possiamo per lo più identificare queste promesse solenni come eredità, o meglio ancora, come sviluppo di un modo civile di pensare che, si manifesti di volta in volta nella vita degli Italiani dal suo inizio, e consideri la legge e la giustizia alla base di una vera armonia sociale e di tutte le relazioni umane.
La stessa idea giocò una parte principale nei riti comuni degli Etruschi, Volsci, Sabini e Latini quando i magistrati rappresentarono quarantasette città riunite insieme al tempio di Giove sul Monte Albano (9). Questi primi popoli italici formarono una confederazione il cui solo scopo era di presentare un fronte unito contro l’aggressione dei loro vicini e contro la richiesta di municipalità collettive, ma mai per promuovere l’aggressione di loro stessi.
Il concetto che fiorì durante i più gloriosi periodi della repubblica di Roma apparve nelle Dodici Tavole della Legge (10) come una delle prime, sebbene ancora imperfetta, affermazioni dei diritti dell’uomo, ispirati alla lotta tra patrizi e plebei. I plebei erano desiderosi di guadagnare uguali diritti come i patrizi, e i patrizi erano ansiosi di non permettere che il governo della Repubblica scivolasse dalle loro mani poiché non potevano prevedere le prime vittorie del grande destino di Roma.
Quello fu un conflitto che raramente degenerava in una guerra civile. Fu istituito un tribunale, il diritto di appellarsi al popolo, e la sistemazione di magistrati che abusavano del loro potere. Ci fu un conflitto dominato da un sentire patriottico così intenso che eccitò coloro che erano coinvolti nella fantastica impresa di eroismo e sacrificio che il mondo poteva uguagliare ma mai sorpassare.

Busto di Costantino - Musei Capitolini

Governata com’era da un senato spesso impaziente di estendere l’influenza sulla città, Roma divenne presto un conquistatore attivo. Essa, comunque, avrebbe dato credito al “jus fetialium” (11) (n.d.t. - diritto feziale o feciale … Il feriale era ciascuno dei venti membri di un collegio sacerdotale comune ai Sabini e ai Latini. Presso i Romani, dove sarebbe stato istituito secondo la tradizione da Anco Marzio o Tullo Ostilio, tale collegio era depositario degli atti di culto per le solennità e formalità necessarie a stipulare un trattato o per dichiarare guerra in piena conformità al diritto. Secondo vari autori, i feziali sarebbero stati i custodi di un antichissimo diritto internazionale, ius fetiale appunto, vigente presso alcune città-Stato e popoli italici.) che si originò tra i primi popoli italici, in modo particolare tra Etruschi e Sabini, e che Cicerone definì “sanctissimum jus”.
Questa legge fu un vero jus gentium (12) per quei giorni, un’affermazione importante della supremazia della giustizia, dell’equità e della pace. Sebbene trattasse principalmente la forma legale e le cerimonie, non di meno segnò un grande progresso, rimuovendo dal dominio dell’arbitrario le procedure legali che costituivano gran parte delle leggi. Con funzioni di guardiani di questa legge fu costituito un collegio di sacerdoti responsabili della dichiarazione di guerre, della stipula di alleanze, di accusa di coloro che violavano la legge del popolo, di garanzia della pace assicurando il rispetto dei trattati. Quando Roma divenne onnipotente dopo le Guerre Puniche (13), non si considerò più il “Collegium Fetialium” per la sua approvazione, questa istituzione fu ritenuta superflua e antiquata.
Ma sebbene la sola forza delle armi aprì la strada a un impero mondiale, sebbene l’impresa dei consoli romani e del Senato non furono senza incidenti di crudeltà verso città come Numantia, che oppose una eroica resistenza (14), la prima e vigorosa protesta venne proprio dalla stessa gente romana.
Le storie dell’antica Roma, come quella di Livia (15) e Dionisio di Elicarnasso (16), sono piene di esempi di proteste popolari e di episodi riguardanti il modo in cui la gente comune di Roma resistette ai modi di intendere la guerra e le politiche di conquista del Senato; Furono infatti i poeti latini e i filosofi che chiamarono la guerra “horrida bella” o “bella matribus detestata” (17).

Sebbene Roma sia riuscita a dominare il mondo con una serie di guerre spesso ingiuste, non ha mai perso le sue virtù civiche ed assimilative, che le hanno permesso di conservare la sua posizione e di essere al servizio dell’umanità. Dietro le legioni arrivavano i commercianti ed i coltivatori che, come diffusione di conquista (n.d.t. ovvero quale assimilazione nell’impero dei territori conquistati), impiantavano gli standard civici, il nome, la lingua e le istituzioni del paese di origine nei nuovi territori. Mentre assimilava caratteristiche e abitudini dei popoli conquistati, Roma trasmetteva loro alcune delle proprie, fondendo così tutte le genti, le terre e le culture in un'entità omogenea e, per concludere, come suo regalo supremo, assegnava la cittadinanza romana in primo luogo alle genti italiane e poi a tutte le nazioni all'interno dell'impero romano.
Ciò spiega la rapidità con cui le province conquistate sono state assorbite e romanizzate e come Roma imperiale con una manciata di legioni teneva sotto controllo le immense popolazioni del suo enorme impero. E se è giustificabile che le successive aspirazioni di certi re guerrieri di conquistare il mondo sono state attribuite allo splendore delle conquiste romane, dovrebbe anche essere ricordato che quando la Repubblica ebbe il suo declino ed ebbe inizio l'Impero, fu Roma a dare al mondo la dottrina dei diritti dell'uomo e delle nazioni.
Un sostenitore di questa dottrina fu il filosofo ed insegnante Cicerone che, anche prima di Alberico Gentili e Grozio (18) gettò i primi semi del diritto internazionale. Cicerone fu contro tutte le guerre a meno che non fossero assolutamente indispensabili.
“Le controversie„, disse “possono essere superate in due modi: con la ragione o con la forza; il primo appartiene all'uomo, l'altro alle bestie; si dovrebbe impiegare la forza soltanto quando la ragione si dimostra impossibile.” (19) Egli possedeva una larghezza di vedute molto più ampia di Aristotele, che giustificava la schiavitù e credeva che durasse fino al giorno del giudizio. “Sotto il mantello degli schiavi„, diceva Cicerone “respira un uomo che non è come una cosa, ma una persona che offre i suoi servizi e che ha diritto ad un trattamento decente e ad uno stipendio giusto.„ Desiderava che tutta la gente fosse uguale agli occhi della giustizia: “La legge vera è a ragione coerente con la natura; impone gli obblighi e proibisce la frode; non può essere differente ad Atene quello che è a Roma.” (20)
Anche se nell’ambito dell'etica Cicerone era molto in avanti rispetto al suo tempo, non fu l’unico a proporre tali idee. Il poeta epicureo Lucrezio, in una sua opera sul mondo romano (21), ha contrassegnato il contrasto della sua disputa interna e gli orrori delle sue guerre con la tranquillità placida del saggio che, dall’alto dell’austero tempio della conoscenza, contempla i conflitti insensati degli uomini. E quando Augusto portò questi conflitti all’estremo, ci furono una miriade di grandi pensatori quali Virgilio, Orazio, Plinio, Seneca e tutti gli stoici, che celebrarono la pace (22).

Nessuno ha dipinto un più accurato quadro della depredazione militare di Virgilio. Sebbene fosse ispirato dallo spirito latino e dal suo orgoglio per Roma, tuttavia glorificò la vera missione di Roma in quanto dispensatrice nel mondo di regole di pace e giustizia.
Queste idee di pace e giustizia erano un preludio alla cristianità che, mentre predicava la fratellanza fra tutti gli uomini, stabilì il suo centro principale a Roma. Quando l'Impero cadde sotto la spada dei barbari, l’ideale dell’umanitarismo e della pace sopravvisse in Italia trovando rifugio e supporto nella chiesa romana. La chiesa si propose di educare persino i barbari; si oppose alla crudeltà dei tempi con la legge cristiana dell’amore; ed ha usato quasi sempre la sua autorità morale, intensificata per l’eccessiva violenza e l’anarchia sfrenata dell’epoca, per promuovere l'associazione libera e civile delle genti. Questo arbitrato internazionale, che, per volere di qualche legge comune, ancora oggi consideriamo la migliore protezione per la pace, fu praticato dai migliori e più grandi pontefici del primo Medio Evo che censurarono l’ingiustizia e la corruzione dell’aristocrazia e difesero la libertà dell'uomo comune.
Le Tregue di Dio che in certi momenti dell'anno punteggiavano tutte le continue guerre fra i paesi limitrofi, o fra le comunità, o persino fra le fazioni all'interno della stessa comunità, erano anche un'ispirazione benefica della chiesa romana. Divennero una realtà e si moltiplicarono in una società feudale la cui il aristocrazia, al di là dei confini delle nostre montagne, si glorificò nella celebrazione di ogni evento, gioioso o triste, con battaglie e massacri.

La vita internazionale - quindicinale fondato da Moneta nel 1898 - Organo ufficiale de Unione Lombarda per la Pace


Quando, comunque, seguendo l’Editto di Costantino (23), i papi divennero sovrani temporali e cominciarono a preoccuparsi più dei loro interessi materiali che degli interessi morali della gente, persero gradatamente l’autorità che, a beneficio della maggioranza della società, avevano precedentemente esercitato in questioni civili.
Gli ultimi giorni dell’Impero videro la crescita di Quattro città libere, composte per la maggior parte di un elemento romano (che non fu mai soppresso), di un elemento cristiano, e di un nuovo elemento germanico.
Durante il Medio Evo sono state queste città libere ad aver tenuto accesa la torcia della libertà in Italia. Hanno destato e sostenuto nei loro cittadini il sentimento della dignità umana ed hanno assicurato la protezione delle loro case forzando la nobiltà ad abbandonare i loro castelli per vivere fra. i cittadini liberi delle città e dei villaggi. Furono loro che, anche prima della nascita della lega di Hanseatic, formarono la lega dei Lombardi per difendere i loro diritti contro l’Impero (24). E furono loro che, dopo la sconfitta dell'esercito del Barbarossa a Legnano, per amore della pace e dell’adesione alle consuetudini, riconobbero l'autorità imperiale del Barbarossa in tutto “tranne„, dissero in presenza del papa Alessandro III, “per quello che riguarda l’onore dell'Italia” (25). “Inoltre„, aggiunsero, “noi non permetteremo mai che qualcuno ci privi della nostra libertà. Questo è quanto abbiamo ereditato dai nostri padri e dai nostri antenati e questo lo perderemo soltanto con vita stessa; moriremmo piuttosto che vivere in schiavitù.„
Questa devozione alle città libere, rinforzata da una sensibilità religiosa che ha spinto ogni città a cercare per se un santo patrono, ho prodotto in Italia una galassia di repubbliche, interamente fiorenti nel commercio, nell'industria e nelle arti, in un momento in cui il resto d’Europa era ancora nella stretta del feudalesimo. Tuttavia, la formazione di un forte ed unificato stato italiano era impossibile, dato che nessun principe italiano avrebbe potuto ottenere il minimo sostegno dalla gente, che si preoccupava più della libertà e della sovranità della propria città piuttosto che della nozione di grandezza nazionale.
Dante vide il pericolo e la commiserazione di questa divisione nelle città stato gelose ed antagoniste. Nel suo poema, attaccando le varie parti, disse in una rima immortale che l’Italia “non andava oltre la padronanza delle province” in quanto schiava di crudeli e spietate sette (26).
Questo capolavoro, in cui Dante dispone i fondamenti della sua dottrina, può essere citato, se si tralascia la parte ora obsoleta adattata alla sua epoca ed alla metafisica di Aristotele, per presentare le regole di governo e della vita umanitaria secondo una legge; a tal fine, volle che l'impero fosse trasferito a Roma, in quanto percepì nei Romani quelle qualità più adatte a governare il mondo.
Lo scopo della civilizzazione, disse, è di rendere pratiche le potenzialità intellettuali dell’uomo, in breve, a sviluppare le sue facoltà fino al limite massimo. Allo stesso modo, costruire la pace universale, il libero esercizio delle organizzazioni pubbliche ed il coordinamento delle nazioni puntando al massimo istituto di una società universale.
Traducendo queste alte parole filosofiche in un linguaggio comune potete vedere sottolineato il modo di raggiungere la pace universale e, allo stesso tempo, di raggiungere la più grande e possibile perfezione universale.

L'amico della pace - Almanacco illustrato pubblicato da Moneta dal 1890

Non parlerò ora di Pietro Belli (27) ne di Alberico Gentili che, nell’imporre limitazioni e applicando regole alla guerra, furono i predecessori di H. Grotius e che, nel considerare la pace come l’ultimo obiettivo desiderato da tutte le civiltà, andarono ben oltre lo stesso Grotius.
Per concludere questa già considerevole digressione, lasciatemi ripetere le parole di uno dei nostri attuali eminenti storici e pubblicisti: “È sempre stata preoccupazione di tutti i grandi leader politici italiani pregare: pace, amore, unità e concordia.”
Con il declino della libertà e della sovranità delle città stato ci fu un risvegliato interesse per la letteratura greca e romana e per mezzo di loro il Rinascimento, che disprezzava la politica e disdegnava le glorie militari, prese il sopravvento nelle menti e nel culto delle verità e della bellezza per costituire la vita ideale. Aprì la via all’associazione delle nazioni creando una simpatia tra studenti e uomini di scienza.
Ma questa esistenza puramente pacifica ed intellettuale, associata al disuso delle armi, fu fatale per l’Italia.
Mentre nei territori vicini le grandi monarchie, col possesso di nuovi eserciti permanenti, si consolidavano, il pacifismo prematuro del nostro paese lo rese più aperto alle invasioni; come risultato, le più ricche e più belle parti della nostra penisola caddero sotto la dominazione ora dell’Austria, ora della Spagna.

Poiché siamo profondamente preoccupati del presente, con tutti i suoi pericoli e contraddizioni, potete considerare strano che vi abbia parlato della vecchia Italia e dell’Italia del Medio Evo piuttosto che della posizione e degli obiettivi dell’Italia di oggi all’interno del quadro di una Europa moderna.
Non ritengo che uno sguardo al passato sia inutile, tuttavia, era dal passato che provenivano i precursori ed i primi apostoli della nostra rivoluzione progettata con la loro ispirazione. L'idea di un sistema legislativo per il mondo intero, perseguito in Europa ed in America attraverso i pacifisti durante sia il secolo scorso che questo, deve essere cercato indietro nella storia di Roma e nelle menti dei nostri pensatori più grandi.
Sia la Roma pagana che quella cristiana hanno considerato la legge nazionale come il fondamento e la chiave di volta della legge delle nazioni. Ecco perché il nazionalismo, nel cui nome l’Italia si sollevò in ribellione, non è geloso, ne chiuso su se stesso ne avido di acquisizione dei territori stranieri. È, al contrario, simpatico verso tutte le nazioni che vivono e fioriscono nella libertà, o che aspirano ad essa.
Dopo che Giuseppe Mazzini (28) ebbe fondato la “Giovine Italia”, il cui obiettivo era l’unificazione e la liberazione dell’Italia, nel 1834, a Berna, fondò la “Giovine Europa” in collaborazione con gli esiliati polacchi e tedeschi. D’accordo con le sue istruzioni ai suoi seguaci, questo gruppo provò “a organizzare la società umana in qualche modo per metterla in grado, attraverso il progresso continuo e nel più breve tempo possibile, di scoprire e applicare la legge di Dio da cui sarebbe stata governata” (29)
Più tardi Mazzini fondò altri comitati con Ledru-Rollin ed altri esiliati francesi, tedeschi ed ungheresi (30).
Forse ora sareste interessati a sentire che Pasquale Stanislao Mancini (31), capo della scuola giuridica italiana moderna, insegnava rispettando la nuova legge delle nazioni fin da 1852 anno in cui ha ottenuto il professorato all'università di Torino. “L'umanità è la nostra preoccupazione„ ha detto, “ed è essenziale che l'umanità raggiunga un'organizzazione unica di sufficiente versatilità per permetterle di compiere il suo destino sulla terra. Ma nel mondo umano un elemento di diversità esiste: le nazioni in cui i diversi talenti ed abilità sono istruiti si trasformano in nazioni sviluppate, la civilizzazione è superiore e le norme di legge si trasformano in realtà.„
Dopo la rinascita e la ricostituzione dell'Italia, Mancini, con altri giuristi quali Corsi, Buzzati e Pasquale Fiore (32), non fu mai stanco di sostenere la riforma e la codifica della legge delle nazioni, o, in una parola, nell'istituzione di una giustizia internazionale negli interessi della pace e nel progresso della civiltà.
Finora, questa richiesta dai nostri giuristi e dagli avvocati non ha ricevuto risposta; così una giustizia internazionale è ancora l'alto obiettivo dei nostri congressi del mondo e della nostra propaganda.
Il grande accreditamento per lo sviluppo dello studio del diritto internazionale, in quasi ogni paese civilizzato, appartiene alla scuola italiana; da questo studio è nato l'Istituto di Diritto Internazionale a cui avete assegnato così giustamente il premio Nobel in uno dei suoi primi anni di vita (33).

Ma l’Italia ha fatto più di questo.

Prevedendo l'inizio di una codifica del diritto internazionale - ed effettivamente persino ora abbiamo a l'Aia un tribunale per la sua applicazione (34) - l'Italia, dalla sua unificazione, ha introdotto positivamente nella sua legislazione quasi tutti i principi inerenti il diritto privato internazionale definiti dalla sua scuola giuridica. La legislazione ha stabilito non solo che “uno straniero può godere degli stessi diritti civili di quelli dei cittadini italiani„ (l'articolo III del Codice Civile italiano), ma anche che in materia civile, mentre risiede nel nostro paese, questi possa anche seguire le leggi della sua nazione. A questo importante riguardo abbiamo preceduto altre nazioni nello sradicamento delle differenze, per quanto concerne la legge civile fra italiani e stranieri e, quindi, abbiamo fondato i principi della nostra dottrina, riguardo ai diritti della persona umana, nelle disposizioni di giurisprudenza. Così la teoria è messa in pratica, come è ulteriormente dimostrato dal fatto che l'Italia è la prima e finora l’unica, fra le nazioni più grandi, ad aver abolito la pena di morte dal proprio codice penale.
È quindi evidente che l’Italia offre le migliori condizioni per un continuo sviluppo e perfezionamento del diritto privato internazionale, che fornisce la strada più sicura al diritto pubblico.

Non è la vanità patriottica che mi ha spinto a parlare di questi fatti. È perché il giorno in cui un Parlamento Internazionale afferma l'unità giuridica delle nazioni, seguita dal relativo disarmo, giorno atteso da tutti i pacifisti, credo che tutte le nazioni, la Norvegia e non di meno che la Russia, l’Inghilterra così come la Francia, possano dimostrare che hanno contribuito in un modo o nell'altro a questo grande evento.
Ma devo anche portare fatti per dimostrare che i nostri primi educatori non ci hanno insegnano invano che l’Italia dovrebbe subire una rinascita non solo per godere dei suoi diritti, ma anche per adempiere ai suoi obblighi verso le altre nazioni.
Purtroppo, come tutte le altre nazioni, l'Italia ha dovuto cedere alla dura necessità di armamenti che di tanto in tanto devono essere incrementati in quanto considerati essenziali per la conservazione della pace nel presente stato di agitazione del mondo.
La situazione è così stranamente anomala che vediamo persino gli alleati fortificarsi ed armarsi uno contro l'altro; non possiamo, tuttavia, incolpare l'Italia per questo.
Potrei citare molti esempi per dimostrare quanto strenuamente l’anima italiana si sia opposta all’idea della guerra, mi limiterò a darvi due degli esempi più eloquenti.
Come capo del governo nel 1865, il generale La Marmora (35), che era un vero prodotto del vecchio militarismo piemontese, iniziò le trattative risevate con la corte di Vienna nello sforzo di ottenere la resa di Venezia in cambio di una somma in milioni da stabilire; che questi colloqui non sono mai andati oltre la fase preliminare non fu uno sbaglio del La Marmora.

Busto

Il secondo esempio è anche più emblematico.

Garibaldi, che è stato la più sublime personificazione del genio latino e del valore militare dei nostri giorni, ha vinto la battaglia del Volturno alla fine di settembre del 1860 (36) ed il giorno successivo, nella sua facoltà di dittatore dell'Italia del sud, trasmise un messaggio alle potenze d’Europa, esortandole a mettere fine alle guerre e agli armamenti unendosi in una confederazione europea.
Con la stessa mano che aveva poco prima maneggiato la spada della liberazione, ha scritto: “Nell'intraprendere la guerra, differiamo di poco dagli uomini primitivi che uccidevano un altro per strappare loro la preda. Spendiamo le nostre vite (oggi come allora) per minacciare continuamente l’altro mentre in Europa la grande maggioranza, non solo delle grandi menti ma di tutti gli uomini ragionevoli, capisce perfettamente che potremmo facilmente vivere senza questa minaccia perpetua e reciproca ostilità e senza la necessità che sembra sia fatalmente imposta alle nazioni da un certo segreto e invisibile nemico dell'umanità che induce al macello reciproco con una tale scienza e raffinatezza.„
Concluse esprimendo la speranza che Francia e Inghilterra mettessero da parte le vecchie rivalità e unendosi insieme, avrebbero formato il nucleo della confederazione europea a cui tutte le altre nazioni europee avrebbero presto aderito.
Le speranze di Garibaldi per una Francia ed un’Inghilterra unite quale nucleo di una confederazione europea sono state realizzate. Il futuro dirà se o no le altre nazioni si riuniranno gradualmente intorno ad esse.
Incarnando i più alti ideali che ha sempre messo in atto, combattendo in cento battaglie per la libertà di tutta la gente, Garibaldi nel 1870, nello stesso spirito e malgrado la sua afflizione per la cessione della sua città natale Nizza alla Francia, si affrettò con i suoi compagni a correre in aiuto della Francia abbandonata da tutta l'Europa - e questo solo pochi anni dopo che aveva partecipato al primo congresso per pace e la libertà di Ginevra (37), che aveva aperto con queste parole: “Tutte le nazioni sono sorelle e la guerra fra loro è quindi inconcepibile. Gli italiani come cittadini di altri paesi, uomini di altri paesi come cittadini dell'Italia questo è l'obiettivo che noi dovremmo raggiungere…„
Questi sentimenti sono gli stessi espressi dalla gente italiana nei momenti culminanti della rivoluzione, ma sarei disonesto se dichiarassi che sono quelli della maggioranza dei miei connazionali in tempi normali. Se non fosse stato il caso, la nostra propaganda pacifista non sarebbe mai stata necessaria e non è al momento necessaria
Al contrario, perché Garibaldi, essendo diventato conosciuto e ammirato universalmente, dicesse egli stesso nelle diverse occasioni in cui aveva derivando sempre l'ispirazione “dalle grandi qualità e dagli atti magnanimi dei Romani”, si è dovuta creare in Italia una generazione di patrioti che sognando di un ritorno impossibile dello splendore romano, avrebbe voluto fare di una moderna Italia una potenza militare di prim’ordine piuttosto che una nazione eccezionale per la sua grande libertà e per la sua emancipazione.
Per cominciare avrebbero voluto annettere il Canton Ticino (38), quindi avrebbero preso di mira l’Impero Etiope il cui sistema monetario avevano già preso al momento della sua prima emissione (39).
Irritati a vedere la Francia entrare in Tunisia nonostante le ultime assicurazioni del governo francese al nostro governo che ciò non sarebbe accaduto (40), questi patrioti hanno creduto che con l'aiuto della Germania avrebbero potuto fare la guerra contro la Francia e strapparle Nizza e la Corsica.
Era in questa fase che, gli ex seguaci di Garibaldi insieme ai patrioti di altri partiti, tutti amici della Francia, hanno formato l'Unione Lombarda per la Pace per neutralizzare questa pazza gallofobia.

Ritratto da giovane

Esponendo gli schemi nefandi dei seminatori di discordia, facendo rivivere le memorie del debito di gratitudine italiana alla Francia, tenendo congressi e formando i comitati di propaganda pacifista nelle città in cui erano più necessari, siamo riusciti a obbligare il governo di quel tempo a modificare la sua politica e a far tacere quei giornali che sembravano inclini a creare un solco di odio fra l'Italia e la Francia.
Conoscete il risultato del nostro lavoro. Per parecchi anni non c’è stata traccia di gallofobia in Italia; e una calda amicizia col nostro vicino occidentale ha preso il suo posto. Abbiamo avuto una prova chiara di questo l’ultimo giugno, nel quinto anniversario della liberazione di Milano e della Lombardia. Le vie, le piazze ed i teatri si sono riempiti di folle vibranti delle memorie degli eventi politici e delle azioni di coraggio che avevano liberato il nostro paese. Le dimostrazioni più calde e più unanimi erano quelle che salutavano la Francia ed il suo esercito – diversi di quei rappresentanti francesi erano fra noi - per l’aiuto generoso prestatoci durante quella campagna memorabile nel 1859, aiuto che ha avuto una così grande parte nell'assicurare la nostra emancipazione. Chiaramente, gente che, dopo mezzo secolo di eventi straordinari ed occasionalmente sfavorevoli, può conservare intatto il suo apprezzamento profondo per i benefici che ha ricevuto da un'altra nazione, non può essere ne gente maleducata ne incurante degli obblighi che li legano alla società di altre nazioni.

Anche se oggi questa società di altre nazioni non ha un’esistenza politica reale, ne ha una virtuale. Noi italiani siamo stati molto informati di questo quando, impressionati dal terribile disastro che ha sepolto Messina, Reggio e molti villaggi in Calabria e in Sicilia (41), siamo stati consolati ricevendo prove commoventi di affetto e aiuto immediato da ogni parte del mondo.
Tale è la voce dell'anima umana universale di cui, in tempo di grande calamità, ignora le barriere artificiali generate dalla ragion di stato e testimonia la qualità e la nobiltà della natura umana.
E durante la celebrazione del nostro giubileo nazionale non dimenticammo la grande dimostrazione di compassione e attiva simpatia venuta al nostro paese dalla vostra magnanima Norvegia, come pure da tutte le altre nazioni civilizzate.
Lo stesso oratore “del Mille„, il poeta Abba (42), in presenza del re a Roma, ha commemorato quel grande evento esprimendo il pensiero che era allora, ed è ancora, il più elevato nelle menti sia della gente che del governo; lui ha concluso il suo discorso dicendo che l'Italia si era sollevata ancora per compiere quella missione di pace di cui la storia e la sua posizione in Europa l’avevano investita. Ora è risaputo, persino fuori dall’Italia, che non c’è più nel nostro paese alcun partito che spinga per la guerra. Nondimeno, non ci mancano, specialmente fra i militari, quelli che, comunque non espressamente si augurino la guerra, non gli dispiace che venga la guerra; sperano che gli allori della vittoria, negati all’Italia ai tempi delle sue guerre d’indipendenza, che sono state combattute da bande di italiani [piuttosto che da un esercito italiano organizzato], potrebbero ora coronare l'Italia come nazione. Questa idea, tenuta da un piccolo numero di nostri connazionali, è stata rifiutata da tutti quelli di noi che hanno qualche sensibilità umana ed è contraddetta dalla storia di quasi tutte le nazioni moderne che sono riusciti a diventare grandi, prosperose e rispettate malgrado il fatto che le sue cronache militari registrino un più grande numero di sconfitte che di vittorie.
Quando, dalla virtù della propria gente e dal valore dei suoi uomini che combattono, una nazione riesce in pochi anni a liberarsi di tutti i governi che l’hanno asservita e divisa ed a compiere una rinascita che per altre nazioni sarebbe durata un secolo; quando, sin dalla insurrezione greca contro la dominazione (43) turca, non vi è stata una singola guerra di indipendenza nazionale in Europa o in America in cui gli italiani non hanno indicato la loro fratellanza combattendo dal lato della libertà; quando il coraggio dei nostri soldati era sempre notevole anche nelle battaglie che abbiamo perso, come i prussiani a Jena (44) ed i francesi nella guerra [Franco-Prussiana] del 1870-1871, per la mancanza di organizzazione e degli sbagli del comandante-in-capo; quando tutte queste cose sono vere, allora nuove guerre non sono necessarie per dimostrare al mondo che se la nostra indipendenza ed il nostro onore nazionale sono di nuovo messi in pericolo, la nostra gente ed il nostro esercito sapranno fare il loro dovere fino all’amara fine. Tuttavia, non c’è gloria che l'Italia o qualunque altra nazione debba cercare oggi nella guerra.
È triste pensare che la pace ora prevalsa in Europa, per molti anni possa essere mantenuta solo al prezzo del continuo aumento degli armamenti il cui enorme peso economico impedisce lo sviluppo completo e libero delle stesse nazioni; è triste pensare che questa pace esista soltanto a condizione che questioni molto serie siano ignorate - una situazione che, dopo alcune proteste inutili, permette l'abuso della forza che non ci sarebbe se la legge fosse rispettata.
Nessun uomo di (buon) senso e sentimento può sbagliare nel vedere i gravi pericoli di questa situazione e rabbrividire al pensiero della terribile conflagrazione a cui potrebbe condurre se ritardassimo molto più a lungo l'individuazione del rimedio

È necessario urgentemente che alcuni raggi di verità e amore cadano sui tre o quattro uomini che sono oggi gli arbitri della pace e della guerra, di modo che una pace ricca di giustizia ed un benessere per Europa possano sostituire l’attuale tregua armata.
Da quando Muraviev, il cancelliere dell'impero russo, che agisce per conto dell’ingegnosamente ispirato Zar Nicola, ha indirizzato la sua famosa circolare alle potenze invitandole ad un congresso mirato al disarmo ed alla pace (45), abbiamo creduto che il grande giorno dell’affermazione della pace universale fosse a portata di mano.
Il frequente scambio di visite negli ultimi anni fra i sovrani d'Inghilterra, Germania, Russia ed il presidente della Repubblica Francese, la spesso tentata conciliazione fra la Francia e la Germania, le dimostrazioni di amicizia hanno fatto sia l’Inghilterra che la Germania per dissipare le nubi di sospetto e di inimicizia che i non sani pregiudizi hanno alzato di tanto in tanto fra i due - tutto questo ha indicato le buone intenzioni dei capi di stato come pure della gente e hanno incoraggiato a continuare a sperare. Ma quasi immediatamente la scura, fiera e provocatrice arroganza del nazionalismo ha rialzato la sua brutta testa e la terra che credevamo di aver guadagnato nel senso di una pace generale sembra persa di nuovo.

Da giovane soldato

Sarà sempre così? Il giorno previsto dal profeta non verrà mai, quel giorno in cui nessuna nazione riprenderà mai le armi contro un altra ed in cui le lance e le spade saranno ribattute in vomeri? Era inutile che Gesù di Nazareth venisse in questo mondo per annunziare la pace e la benevolenza fra gli uomini e sia morto sulla croce in modo che un giorno tutti gli uomini si riconoscessero come fratelli?
Si consideri la rivoluzione francese che avrebbe introdotto gli ideali di pace, uguaglianza e fraternità nei rapporti internazionali ed invece, due anni dopo la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, si è lasciata andare ad una tempestuosa guerra quale il mondo non vedeva da Attila (46). Si consideri il fatto che due anni dopo la fondazione della Società degli Amici della Pace in Francia (47), che fu salutata calorosamente da uomini di lettere, da statisti e dalle associazioni operaie per tutta la Francia e la Germania, avvenne lo scoppio della guerra franco-tedesca, disastrosa non solo per la Francia, ma anche per la causa della pace di tutta l’Europa. E poi ricordate che il nostro distinto maestro Frederic Passy non è stato restituito all'ufficio dai suoi elettori (48), forse a causa del suo doloroso peccato nel trasformarsi nel più fervente apostolo della pace internazionale. Notate anche che non uno dei nostri pacifisti più eminenti è stato mai chiamato a condurre un governo o a dirigere la politica estera. Si noti che il papa, il vicario di Cristo sulla terra come è denominato, si ritira nel Vaticano come un prigioniero volontario per protesta contro la perdita del potere temporale (49); proprio quando la sua voce dovrebbe sovrastare ogni altra nel vero amore cristiano e angosciarsi nello sforzo di evitare la guerra dal suo inizio, non si è mai alzata per niente, oppure troppo in ritardo, o troppo debole, proprio come erano le voci dei suoi più recenti predecessori. Considerate il modo con cui i poeti, con poche eccezioni, acquistano a corte la fama e la popolarità cantando gli elogi della guerra e del massacro. Considerate ancora come la maggior parte delle sublimi virtù siano sempre associate alla bandiera nazionale mentre la crudeltà sia attribuita al solo nemico - questo per sostenere la sfiducia, l'odio l’inimicizia fra le nazioni. Ricordando e ponderando tutto questo, oh, vi confesso che ho anche avuto momenti di scoraggiamento, chiedendomi se l'idea a cui sono devoto e a cui per anni ho dedicato tutto il mio tempo e la mia energia potrebbe essere nient'altro che un'illusione della mia povera mente, un sogno come l’Utopia di Thomas More o come la nostra stessa Città del Sole di Campanella (50).
Ma questi erano momenti fugaci! E mi dicevo subito che se il lavoro per un futuro di pace e giustizia, un futuro di continuo progresso e lavoro fruttuoso ed utile per tutti gli uomini e tutte le nazioni, fosse stata effettivamente un'illusione sarebbe stata ancora un'illusione, tanto divina da rendere la vita degna di essere vissuta e (capace) di ispirare qualcuno a morire per essa.

Ritratto

Ma non è un'illusione. Ho sentito questo profondamente in me, e la storia dello sviluppo umano come esperienza giornaliera me l'ha confermato. Le idee ragionevoli che trovano la loro sanzione nella coscienza del giusto non muoiono; sono conseguentemente realtà e forze attive, ma sono così soltanto fino al punto in cui coloro che le professano sanno tenerle in conto. Dipende da noi, quindi, dal nostro giudizio e dalla nostra fermezza se o oppure no, l'idea della pace attecchisca sempre più saldamente nella consapevolezza dell’opinione pubblica fino a che non crescerà nella coscienza vivente ed attiva di tutta la gente.
Oggi, purtroppo, quello che cosa molti fatti indicano troppo bene è che la pace universale, come la immaginiamo, si trova ancora lontano nel futuro remoto ed in considerazione della voglia crescente per le terre di altri, i paesi più deboli non possono più fidarsi di quei più forti.
“Mantenete le vostre polveri asciutte e siate sempre pronti a difendervi„; questo vale per l'Italia così come per altri, una dura necessità attuale.
Non credo che ci sia al momento un singolo governo in Europa che stia veramente progettando una guerra, ma il momento potrebbe venire quando coloro che vi stanno pensando potrebbero almeno trovarsi coinvolti in una guerra per forza delle circostanze. Abbiamo avuto un esempio classico di questo in Francia nel 1870 in cui, un mese prima della guerra, nessuno si sognava o poteva immaginare una tal cosa; ma una volta che è cominciata nessuno ha saputo come arrestarla.
Nel frattempo, una cosa sembra certa: le alleanze oggi sono fatte non per la guerra, ma per la pace. Vediamo la prova di questo nel fatto che una nazione che appartiene ad un dato gruppo di alleati può stabilire e mantenere rapporti amichevoli con le nazioni che compongono un altro gruppo, senza proteste o reclami dagli alleati.

C’è ancora naturalmente molta gente dominata dai vecchi pregiudizi che cela sotto la maschera dell'uomo civilizzato, la barbarie che vede tutti gli stranieri come nemici e la guerra come una buona speculazione. Spetta a noi pacifisti ribaltare questa mentalità informando la gente di quello che la guerra significhi realmente - quante lacrime, quanto sangue e quante torture le sfortunate popolazioni devono pagare come prezzo della vittoria.
Nel frattempo, la situazione in Europa è ancora così complessa, la vecchia amarezza fra certe nazioni ancora così viva, che nessuno può garantire il futuro.
È molto strano, tuttavia, che mentre gli scienziati progressisti siano riusciti a superare la resistenza dei venti e ad aprire una strada attraverso l'aria con ali artificiali, non si sia creata una loro controparte fra gli statisti progressisti - eppure ci sono ancora molti nei vari paesi, che finora hanno scoperto come superare la resistenza delle passioni maligne e degli interessi antisociali che ostruiscono insieme l'avanzamento inevitabile delle nazioni verso l'obiettivo comune di pace, di giustizia e di benessere.
Non so cosa i governi delle principali potenze faranno oggi, domani o dopo per trovare una via d’uscita da una situazione in cui essi stessi riconoscono debolezza, instabilità e pericoli.
Né sono più in grado di predire quale governo e quale politica potrebbero determinare una forma differente di azione parlamentare nel nostro paese. Posso assicurarvi di una cosa, tuttavia, che conosco lo spirito della nostra gente. Quello per cui l'Italia non prenderà mai le armi o influenzerà perché la cosa risalti al servizio di cause condannate dalla coscienza degli uomini liberi che invece hanno una sensibilità per la giustizia e per le condizioni di progresso universale.
Un evento recente è un buon presagio per il futuro: quando nel 1870 un re molto popolare, Vittorio Emmanuele II, al di là del senso di cavalleria volle inviare 100.000 uomini per rinforzare l'esercito di Napoleone – quindi intraprendendo una guerra con la Prussia nello sforzo di prevenire l’unificazione della Germania - la nostra gente si è opposta all'unanimità ed i 100.000 soldati sono rimasti in Italia.
Successivamente, quando il governo di Crispi sembrò propendere per la guerra contro la Repubblica Francese, Cavallotti (51) parlò chiaro in nome della democrazia italiana e di tutti gli amici della pace, dicendo che i soldati italiani avrebbero dovuto marciare sopra i nostri cadaveri prima che avessero potuto attraversare la frontiera francese. Di conseguenza, Crispi fu indotto a cambiare la sua politica in modo che una tal guerra fosse resa impossibile.
Di nuovo, alcuni anni più tardi, lo stesso ministro progettò di inviare un intero esercito in Africa per riguadagnare il prestigio che, secondo i militaristi, era stato perso dalle nostre forze nella battaglia sfavorevole di Adua. Ma minacciato di rivoluzione dalla gente qualora questa guerra senza senso ed ingiusta fosse continuata, fu costretto a consegnare il potere.
Tuttavia, non vi nascondo il fatto che, anche se la nostra gente abbia molte buone qualità, sono anche impressionabili ed impulsivi, e poiché alcuni dei loro agitatori sono uguali, è accaduto occasionalmente che alcuni di loro, specialmente gli studenti, si sono lasciati andare a dimostrazioni violente in grado di compromettere i buoni rapporti dell'Italia con gli stati vicini. Ma questi erano disordini con cui la maggior parte della gente non ha mai avuto a che fare. Non furono provocati da pensieri di vendetta ne risposero a provocazioni da scherni; quasi senza eccezione erano il risultato di insulti e lesioni che hanno sofferto da italiani fuori dalle frontiere del nostro regno: “Il sangue è più denso dell'acqua.„
Signori, sono sicuro che sapete come sto andando a concludere il mio discorso. L'Italia, la più giovane e la più piccola fra le grandi potenze, ha contribuito alla vita internazionale con la sua parte equa di idee politiche, di concetti giuridici e di ideali morali che sono stati sia solidi che produttivi e che sono serviti come sua bussola nei giorni scuri e tempestosi; saranno la sua resistenza, la sua gloria ed il suo spirito guida nei tempi a venire.
La rivoluzione italiana è stata combattuta prima di tutto per ottenere la libertà e l'unità della nazione e quindi, una volta raggiunta, per unire le nazioni più libere e più avanzate nell'inaugurare una nuova era di pace, di giustizia e di cooperazione unitaria nel lavoro di civilizzazione.
Finora, soltanto il primo obiettivo è stato raggiunto; Vittorio Emmanuele II, che era il re del piccolo Piemonte, ha dato il suo contributo assumendo la corona d’Italia a Roma.

Rimane ora da realizzare il secondo obiettivo.

Se Re Vittorio Emmanuele III (chi merita il riconoscimento della civiltà per aver fondato l'Istituto Internazionale dell’Agricoltura (52) che certamente renderà benefici utili a tutti nella futura economia mondiale) presterà il suo supporto alla realizzazione della Rivoluzione Italiana dando un posto all'Italia nel mondo, guadagnerà ulteriore rinomanza per se ed i suoi cittadini ed allo stesso tempo rinforzerà il legame di affetto fra se e la sua gente.
“Coraggio sempre alto e sempre per la libertà, la giustizia e la pace fra i popoli.„ Questo è il motto con cui sia la gente che i regnanti possono affrontare tutti gli ostacoli e sforzarsi di raggiungere i più alti obiettivi.
Parlo qui senza mandato, ma parlo come uomo che ha seguito molto attentamente (a volte come uno dei pochi partecipanti) ogni fase della rinascita politica del suo paese e che ha provato, nei momenti supremi della nostra epica nazionale, la commozione dell'anima italiana.
Signori, in questo momento più solenne della mia vita, d’avanti a voi cittadini e rappresentanti di questa illustre Norvegia il cui esempio ha insegnato a tutte le nazioni, grandi e piccole, su come realizzare senza violenza le vittorie civili più grandi - in considerazione degli ideali patriottici ed umanitari nel cui nome l'Italia è entrata nella sua terza esistenza e nella memoria della lunga lista degli eroi e dei martiri che sono morti sui campi di battaglia, nelle prigioni, o sul patibolo per quegli ideali - do l'assicurazione solenne, come sigillo al mio discorso, che l'Italia non verrà mai a mancare nell'impegno che ha già profuso: per essere, una volta libera in grado di controllare il proprio destino, un elemento di ordine e di progresso, di pacificazione e di civilizzazione in Europa. Sì, sono completamente convinto che non verrà a mancare mai, dato che si può dire dell'Italia quello che il vostro grande Ibsen ha detto del vostro paese:

Ritratto intero

Dopo un sonno pesante,
Si è svegliata rinnovata nella virtù, pronta per il comando,
ed ora è razza che ha volontà e fede,
la volontà e la fede nel progresso pacifico del genere umano (53).

 

 

Tradotto da: Nobel Lectures, Peace 1901-1925, Editor Frederick W. Haberman, Elsevier Publishing Company, Amsterdam, 1972

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE


* Anche se il premio fu assegnato nel 1907, lo studioso chiese, per ragioni di salute, di pronunciare il suo discorso successivamente, preferibilmente nell’estate del 1909 in cui avrebbe potuto anche assistere ad un congresso sulla pace a Stoccolma. Quindi ha tenuto questa conferenza il 25 agosto 1909, all'Istituto Norvegese per il Nobel introdotto ad un vasto pubblico dal sig. Lovland, presidente del Comitato Nobel. Questa traduzione è basata sul testo in francese (la lingua in cui si espresse il Sig. Moneta) pubblicato nel 1907 su Les Prix Nobel.

N.d.t. La nostra traduzione parte dal testo inglese (che come visto si rifà a quello francese) da noi reperito sul sito del Premio Nobel.

1. Vittorio Emmanuele III (1869-1947), Re d’Italia (1900-1946).

2. Henrik Ibsen (1828-1906), poeta e drammaturco norvegese - Bjørnstjerne Bjørnson (1832-1910), poeta norvegese, romanziere, drammaturgo, isignito del premio nobel in Letteratura nel 1903 e uno dei membri fondatori del Norwegian Nobel Committe.

3. L'Interparliamentary Union (1889) è stata organizzata nel 1888 con gli sforzi di Frédéric Passy (co-insignito nel 1901) e di William Randal Cremer (insignito nel 1903); composto di delegati di differenti parlamenti del mondo, originalmente il suo scopo primario era quello di pruomuovere la causa dell’arbitrato internazionale. Il Permanent International Peace Bureau cominciò in ritardo i suoi lavori nel 1891 a Berna come stanza di compensazione e centro d'informazione per le svariate organizzazioni e singoli individui che lavoravano per la pace e come braccio esecutivo per i congressi internazionali sulla pace.

4. Nel 1905 la Norvegia acquisì la completa indipendenza dalla Svezia; dal 1815 al 1905, il Re di Svezia fu il regnante della Norvegia anche se la Norvegia aveva la sua costituzione ed il suo parlamento.
5. Si veda la biografia, p. 139.

6. Immanuel Kant (1724-1804), filosofo tedesco.

7. Il governo austriaco del Lombardo-Veneto fu attaccato durante le “Cinque giornate di Milano” (dal 18 al 22 marzo 1848) quando i milanesi indussero alla ritirata le truppe austriache di occupazione.

8. Manifesto pubblicato dai rivoluzionari milanesi il 23 marzo 1848. La traduzione della citazione è stata presa da "The Peace Prize" di August Schou in Nobel: The Man and His Prizes, edito dalla Nobel Foundation (Amsterdam: Elsevier, 1962), p. 539.

9. Il monte Albano è il punto più alto dei Colli Albani che sono situati a poche miglia a sud-est di Roma.

10. Le Dodici Tavole (450 a.C.) comprendevano la prima stesura del diritto romano.

11. Lo Jus fetialium fu una diramazione del primo diritto romano relativo alle ambascerie, alle dichiarazioni di guerra e ai trattati di pace, fu amministrato da un collegio di fetali, un ordine di sacerdoti che ricoprivano i ruoli di ambasciatori.

12. Lo Jus gentium, nei primi usi romani, divenne quella parte del diritto delle nazioni, “che regolavano le transazioni tra le persone che risiedevano in paesi diversi e la confusione che intercorreva tra le nazioni indipendentemente dagli usi locali e dalle leggi municipali di particolari stati”. Palmer D. Edmunds, Law and Civilization (Washington, D.C., 1959), p. 152.

13. Le tre guerre puniche combattute tra Roma e Cartagine nel secondo e terzo secolo a.C. che culminò nella distruzione di Cartagine e nella dominazione del Mediterraneo da parte di Roma.

14. Un’antica città fortezza del nord della Spagna che resistette all’assedio per otto mesi e finalmente cadde sotto le armi romane nel 133 a.C.

15. Tito Livio (59 a.C. – A.D. 17) storico romano la cui opera fu la sua Storia di Roma.

16. Dionisio di Alicarnass (1° sec. a.C.), storico e retorico Greco, tra I cui lavori il più importante è Antichità di Roma”.

17. Letteralmente “Guerra orribile”, “Guerra detestata dalle madri”.

18. Marco Tullio Cicero (106 a.C. – 43 a.C.) oratore e statista romano. Alberico Gentili (1550 – 1608) giurista italiano il cui libro “De juri belli” aprì la strada al lavoro di Hugo Grotius (Hugo de Groot 1583 – 1645), statista e giurista tedesco che scrisse “De jure belli ac pacis” (1625), il primo testo di diritto internazionale.

19. De officiis i.11.

20. De republica iii.33.

21. Tito Lucrezio Caro (99 a.C.- 55 a.C.), poeta didattico romano il cui De rerum natura, qui menzionata, presenta in versi la filosofia Epicurea.

22. Augusto (63 a.C.- d.C.14), primo imperatore romano. Virgilio (70 a.C.-19 a.C.), poeta romano. Orazio (65 a.C. - 8 a.C.), poeta lirico latino. Probabilmente Plinio il Vecchio (d.C. 23-79) erudito romano. Seneca (c. 3 a.C.- 65 d.C.), filosofo, statista, drammaturgo.
 

23. Una concessione presunta di un’estesa autorità temporale fatta al papa Silvestro I ed ai suoi successori dall'imperatore romano Costantino I (274 - 337), che fu usata successivamente come base per le più grandi rivendicazioni papali. Accertata la sua autenticità durante il Medio Evo, fu messa in discussione durante il Rinascimento e dal 1800 fu comunemente considerata un falso.

24. La lega di Hanseatic, organizzata nel quattordicesimo secolo e dissolta nel diciassettesimo, era una confederazione allargata delle città tedesche in una lega mercantile formata per proteggersi contro i pirati e la concorrenza straniera. La lega dei Lombardi riunì le città rivali della Lombardia nel 1167 per sfidare l'estensione dell’autorità imperiale di Federico I; dopo i successi iniziali, la lega fu sconfitta nel 1237 da Federico II.

25. Federico I o Federico Barbarossa (1123 - 1190), re tedesco e imperatore del Sacro Romano Impero (1152-1190), fu sconfitto nel 1176 a Legnano, una cittadina lombarda vicino Milano. Alessandro III (c.a. 1100 -1181), papa (1159-1181), appoggiò la Lega Lombarda.

26. Dante Alighieri (1265-1321). Il poeta probabilmente si riferisce ai versi del Canto VI del Purgatorio. Come tradotto da Thomas Okey, P. 225, nella traduzione di Carlyle-Wicksteed della Divina Commedia di Dante Alighieri (New York: Modern Library, 1932), questi versi colti: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!„

27. Pietro Belli (1502-1575), giurista italiano, avvocato di diritto internazionale a Carlo V e altri legislatori; scrisse il De re militari et bello tractatus (1563).

28. Giuseppe Mazzini (1805-1872), patriota italiano e rivoluzionario.

29. Dal Principio 3 del Patto della Giovane Europa. Si veda E.E.Y. Hales, Mazzini and the Secret Societies (London, 1956), pp. 136-140.

30. Nel 1850 a Londra Mazzini con Alexandre Ledru-Rollin un giurista e politico francese, Arnold Ruge uno scrittore politico tedesco e Albert Darasz riformista politico polacco, fondarono il Comitato Centrale Democratico Europeo.

31. Pasquale Stanislao Mancini (1817-1888), giurista e statista italiano, professore di diritto internazionale a Torino (1849.); ministro di giustizia (1876-1878) and ministro degli esteri (1881-1885).

32. Diciannovesimo secolo eruditi italiani di diritto internazionale.

33. Fondato nel 1873 da un gruppo di giuristi internazionali, l’Istituto fu insignito del premio nel 1904.

34. Il tribunale dell’Aia è stato costituito come corte di arbitrato dal Congresso di Pace dell’Aia nel 1899.

35. Alfonso Ferrero, Marchese di La Marmora (1804-1878), generale italiano e uomo di stato; primo ministro (1864-1866).

36. Giuseppe Garibaldi (1807-1882), soldato italiano e patriota, eroe del diciannovesimo secolo del movimento per l’unità politica d’Italia; il suo esercito di 1,000 volontari selezionati, conosciuto come i "Mille", sconfissero i napoletani nella battaglia del Volturno il 1-2 Ottobre 1860 (data usata solitamente per convenzione).

37. Il congresso che fondò La Ligue internationale de la paix et de la liberté fu convocato su iniziativa di Charles Lemonnier nel Settembre del 1867.

38. Un cantone di lingua italiana annesso alla Svizzera nel sedicesimo secolo.

39. A seguito degli sforzi bellici italiani del 1880 e del 1890 per stabilire un protettorato sull’Etiopia si arrivò alla sconfitta italiana di Adua ed al trattato di Addis Abeba (1896) che riconobbe l’indipendenza etiope.

40. Il Trattato di Bardo (1881), stabilì un protettorato francese su Tunisi, iniziando un lungo periodo di tensione tra Francia e Italia con relazioni che divennero particolarmente tese alla fine del 1880.

41. Il terremoto del 28 decembre 1908.

42. Giuseppe Cesare Abba (1838-1910), poeta italiano, uno dei "Mille" di Garibaldi.

43. Dal 1821 al 1827.

44.L’esercito prussiano fu sconfitto a Jena da Napoleone nel 1806.

45. Il Decreto dello Zar, datato 12 agosto 1898 (nuova versione il 24 agosto), è stato passato dal ministro russo degli affari esteri, il conte Muraviev, a tutti i rappresentanti diplomatici stranieri accreditati alla corte di San Pietroburgo; la circolare russa di aggiornamento del 30 dicembre 1898 (nuova versione dell'11 gennaio 1899), provocò la convocazione del primo congresso sulla pace all'Aia nel 1899.

46. La rivoluzione francese, che cominciò nel 1789 e la relativa dichiarazione dei diritti dell'uomo, che è stata adottata come componente della costituzione francese del 1791. Furono seguite dalle Guerre Rivoluzionarie Ffrancesi e a loro volta dalle guerre Napoleoniche. Attila (406 - 453), capo degli Unni, devastò gran parte dell’Europa centrale (451-452).

47. Société française des amis de la paix (più tardi conosciuta come Socitété française pour l'arbitrage entre nations) fu fondata da Frédéric Passy nel 1867 con il nome di La Ligue internationale et permanente de la paix.

48. Frédéric Passy (1822-1912), co-destinatario del Premio Nobel per la Pace del 1901, fu eletto deputato francese nel 1881 e di nuovo nel 1885 ma fu sconfitto nel 1889.

49. Dopo che le truppe francesi lasciarono Roma nel 1870 per combattere nella Guerra franco-prussiana, la città fu annessa all’Italia, strappata dallo Stato Pontificio, il Papa rifiutò di accettare i termini offerti dal governo si ritirò nel Vaticano dove lui e i suoi successori rimasero “prigionieri” volontari fino al 1929.

50. Sir Thomas More (1478-1535), autore britannico e statista, pubblicò Utopia nel 1516. Tommaso Campanella (1568-1639) pubblicò Civitas solis [Città del sole] nel 1623.

51. Felice Carlo Emmanuele Cavallotti (1842-1898), scrittore italiano e politico, oppositore di Crispi (Primo ministro 1887-1891; 1893-1896).

52. Ispirato da un'idea sostenuta da David Lubin, un agricoltore americano, Vittorio Emmanuele III convocò il congresso internazionale del 1905 a Roma che avviò l'Istituto, la cui apertura avvenne parecchi anni dopo.

53. Questi versi parafrasano l’ultima parte del poema di Ibsen "Ved tusendårs-festen".
 

 

 Visitate la nostra pagina dedicata ai Premi Nobel. Biografia


 

   

 

Per ulteriori informazioni inviate una mail a:

 

 

For additional information please email us at:

[ Home ] [ Up-Su ] [ Mappa del Sito ] [ Site Map ] [ Sponsors ] [ Two minutes ] [ Libri Elettronici ] [ Aiuto! ]