|
|
25 Agosto 1909
|
La vostra scelta è stata la più grande
gentilezza verso i miei connazionali venuti da un paese che abbiamo amato per
tanto tempo per la sua devozione alla verità ed alla bellezza, per le sue
istituzioni civiche, per i suoi poeti e drammaturghi, come Ibsen e Bjorson
(2) che sono tra i più ammirati e più diffusi
in Italia. Furono loro che focalizzarono l’attenzione del mondo sull’ammirabile
modo di vivere, così pieno di vigore e sincerità, del vostro meraviglioso paese.
Furono loro che hanno rievocato di nuovo i vostri coraggiosi antenati, i
Wikinghi, che con le loro piccole imbarcazioni ed indomabile coraggio furono
viaggiatori e guerrieri veramente degni di essere immortalati in leggende;
conquistatori, non mercenari, essi stupirono il mondo con l’audacia della loro
lotta dimostrata in giorni in cui la guerra era onorabile.
Senza adulazione ma con profonda convinzione, dico chiaramente ciò che il mondo
pensa di voi e del vostro paese (specialmente quello che gli abitanti del mio
paese pensano, ed è ben risaputo che gli stranieri, nel giudicare gli affari
degli altri, sono spesso così imparziali e veritieri quanto la posterità) - Dico
a voi, in tutta sincerità, che la vostra vita civile oggi è degna di ammirazione
nel nostro tempo come lo era quello degli indomabili Vikinghi nei giorni di
guerra e di conquista con le armi.
Questo perché, nel mettersi in pari nella lotta quotidiana, la vostra nazione
guarda in faccia ogni cambiamento della realtà con chiarezza rigettando in
accordo le vecchie pratiche. Non si tiene stretta a costumi che non hanno
ragione di essere oltre; si aggiorna costantemente a nuovi bisogni e necessità.
Questo perché il vostro paese è oggi all’avanguardia del movimento della pace
nel mondo. Il vostro Storting è stato il primo parlamento a sostenere
ufficialmente l’idea del negoziato universale, a stanziare fondi per l’Interparliamentary
Union e per il Bureau di Berna (3), e, già dal
1890, a incoraggiare il Re nel sostenere negoziati tra la Norvegia e le altre
piccole nazioni. Inoltre, il ricordo della recente conquista della vostra
indipendenza, per cui vi siete così a lungo impegnati ad uscire dalle più gravi
difficoltà, è ancora fresco in tutte le nostre menti
(4). La vostra indipendenza, perseguita com’è
stata senza violenza e spargimento di sangue, e un esempio vivente di buon senso
e saggezza, prudenza e grande tenacia, e che porta credito esterno sia a voi che
l’ottenete, sia a coloro che non ve lo rifiutano.
Il pacifismo – come lo abbiamo sempre sostenuto, e come voi lo state praticando
– non cerca di cancellare i paesi tirandoli nel crogiolo del cosmopolitismo, ma
organizzandoli, se non sono già in questa condizione, secondo i dettati della
giustizia.
In varietate unitas! Più ogni nazione contribuisce alla comunità mondiale con la
ricchezza delle sue attitudini, le sue razze e le sue tradizioni, più grande
sarà lo sviluppo futuro e la speranza per il genere umano.
Ed ora permettetemi di dire qualche parola in rispettoso tributo della memoria
di Alfred Nobel il cui ultimo atto è responsabile della mia presenza qui con
voi. Sebbene Alfred Nobel fosse svedese, volle che la scelta e l’assegnazione
del Premio per la Pace fosse nelle mani del Parlamento Norvegese, che, come ho
già detto, è stato il primo parlamento a sostenere la negoziazione
internazionale.
Il servizio reso alla nostra causa da Nobel è stato immenso; è stato un uomo di
scienza, un uomo del mondo industriale, sempre alla ricerca di obiettivi
concreti, che ha respinto i vecchi schemi secondo cui la pace è una inottenibile
utopia, capace solo di sedurre le menti e le anime di idealisti sentimentali. |
|
La nostra rivoluzione non si è manifestata in una improvvisa sollevazione di
popolo intollerante al regime tirannico, fu il risultato di un lungo periodo di
evoluzione intellettuale e morale, condotto da uomini di grande talento e di
rare qualità spirituali, poeti e filosofi, veri educatori della gente. Parlando
di libertà e patriottismo, tutti loro pensarono che la libertà poteva essere
acquisita con la morte, ma conservata solo dall’aderenza ai principi di
giustizia con azioni di virtù civili.
Ero giovane quando, nel marzo 18948, Milano ed altre città della Lombardia si
sollevarono in rivolta contro il rifiuto del governo al potere di una sua
offerta di “pace e fraternità” come contropartita per la rappresentanza
nazionale della Lombardia e di Venezia. Mentre risuonava l’allarme, noi
sollevammo barricate, combattemmo, mescolavamo lacrime di gioia con gli spari ed
il frantumarsi di tegole e mattoni tirati giù dalle finestre. Se questa
magnifica ed epica battaglia, che è passata alla storia con il nome di “Cinque
Giornate” (7), dimostrò il coraggio della
nostra gente di fronte al pericolo, dimostrò anche la loro generosità di fronte
alla vittoria, che fu priva di rivalsa anche contro i più noti agenti di
polizia. Combatterono eroicamente ma senza odio per i poveri soldati stranieri
che erano obbligati a combattere per disciplina a dispetto di loro stessi. Per i
nostri combattenti fu praticamente un motivo quanto meno di celebrazione,
prendendo il nemico di sorpresa, furono in grado di catturarli senza spargimento
di sangue. I nemici prigionieri e feriti furono tutti trattati bene.
Un giorno quando mio padre e I miei fratelli erano assenti, guardai, dalla
finestra della mia casa, tre soldati austriaci cadere fra una grandinata di
proiettili. Apparentemente morti, furono portati via in una piazza vicina. Li
rividi di nuovo due ore più tardi: uno di loro era ancora moribondo. Questo
spettacolo gelò il sangue nelle mie vene e fui preda di una grande compassione.
In quei tre soldati non vedevo più nemici ma uomini come me stesso, e col
rimorso tanto intensamente penetrante come se li avessi uccisi io con le mie
stesse mani, pensai alle loro famiglie che in quello stesso momento, stavano
forse preparandosi per il loro ritorno.
In quell’istante ho sentito tutta la crudeltà e l’inumanità della guerra che
mette le genti una contro l’altra a mutuo detrimento, genti che dovrebbero avere
ogni interesse a comprendere ed essere amiche con ogni altra. Dovevo provare
questo sentimento ogni volta che guardavo ai morti ed ai feriti di tutte le
guerre per la nostra indipendenza a cui avevo preso parte.
Non ero il solo a pensare e sentire in quel modo. Il giorno seguente la vittoria
popolare, il governo pubblicò dopo l’insurrezione promossa, un manifesto alle
genti di tutta Europa, in cui diceva (8):
“Non è molto distante il giorno in cui tutte le nazioni dimenticheranno i vecchi
rancori e si riuniranno sotto la bandiera della fratellanza internazionale,
mettendo fine a tutti i conflitti e abbracciando la pace e l’amicizia,
rafforzati da legami commerciali e industriali. Noi guardiamo a quel giorno.
Italiani! Liberi e indipendenti sigilleremo la pace della fratellanza con le
nostre stesse mani, non ultime con le nazioni che oggi costituiscono l’Impero
Austriaco se solo essi lo vorranno”.
Noi possiamo per lo più identificare queste promesse solenni come eredità, o
meglio ancora, come sviluppo di un modo civile di pensare che, si manifesti di
volta in volta nella vita degli Italiani dal suo inizio, e consideri la legge e
la giustizia alla base di una vera armonia sociale e di tutte le relazioni
umane.
La stessa idea giocò una parte principale nei riti comuni degli Etruschi, Volsci,
Sabini e Latini quando i magistrati rappresentarono quarantasette città riunite
insieme al tempio di Giove sul Monte Albano (9).
Questi primi popoli italici formarono una confederazione il cui solo scopo era
di presentare un fronte unito contro l’aggressione dei loro vicini e contro la
richiesta di municipalità collettive, ma mai per promuovere l’aggressione di
loro stessi.
Il concetto che fiorì durante i più gloriosi periodi della repubblica di Roma
apparve nelle Dodici Tavole della Legge (10)
come una delle prime, sebbene ancora imperfetta, affermazioni dei diritti
dell’uomo, ispirati alla lotta tra patrizi e plebei. I plebei erano desiderosi
di guadagnare uguali diritti come i patrizi, e i patrizi erano ansiosi di non
permettere che il governo della Repubblica scivolasse dalle loro mani poiché non
potevano prevedere le prime vittorie del grande destino di Roma.
Quello fu un conflitto che raramente degenerava in una guerra civile. Fu
istituito un tribunale, il diritto di appellarsi al popolo, e la sistemazione di
magistrati che abusavano del loro potere. Ci fu un conflitto dominato da un
sentire patriottico così intenso che eccitò coloro che erano coinvolti nella
fantastica impresa di eroismo e sacrificio che il mondo poteva uguagliare ma mai
sorpassare.
|
Governata com’era da un senato spesso impaziente di estendere l’influenza sulla
città, Roma divenne presto un conquistatore attivo. Essa, comunque, avrebbe dato
credito al “jus fetialium” (11) (n.d.t. -
diritto feziale o feciale … Il feriale era ciascuno dei venti membri di un
collegio sacerdotale comune ai Sabini e ai Latini. Presso i Romani, dove sarebbe
stato istituito secondo la tradizione da Anco Marzio o Tullo Ostilio, tale
collegio era depositario degli atti di culto per le solennità e formalità
necessarie a stipulare un trattato o per dichiarare guerra in piena conformità
al diritto. Secondo vari autori, i feziali sarebbero stati i custodi di un
antichissimo diritto internazionale, ius fetiale appunto, vigente presso alcune
città-Stato e popoli italici.) che si originò tra i primi popoli italici, in
modo particolare tra Etruschi e Sabini, e che Cicerone definì “sanctissimum jus”. |
Sebbene Roma sia riuscita a dominare il mondo con una serie di guerre spesso
ingiuste, non ha mai perso le sue virtù civiche ed assimilative, che le hanno
permesso di conservare la sua posizione e di essere al servizio dell’umanità.
Dietro le legioni arrivavano i commercianti ed i coltivatori che, come
diffusione di conquista (n.d.t. ovvero quale assimilazione nell’impero dei
territori conquistati), impiantavano gli standard civici, il nome, la lingua e
le istituzioni del paese di origine nei nuovi territori. Mentre assimilava
caratteristiche e abitudini dei popoli conquistati, Roma trasmetteva loro alcune
delle proprie, fondendo così tutte le genti, le terre e le culture in un'entità
omogenea e, per concludere, come suo regalo supremo, assegnava la cittadinanza
romana in primo luogo alle genti italiane e poi a tutte le nazioni all'interno
dell'impero romano.
Ciò spiega la rapidità con cui le province conquistate sono state assorbite e
romanizzate e come Roma imperiale con una manciata di legioni teneva sotto
controllo le immense popolazioni del suo enorme impero. E se è giustificabile
che le successive aspirazioni di certi re guerrieri di conquistare il mondo sono
state attribuite allo splendore delle conquiste romane, dovrebbe anche essere
ricordato che quando la Repubblica ebbe il suo declino ed ebbe inizio l'Impero,
fu Roma a dare al mondo la dottrina dei diritti dell'uomo e delle nazioni.
Un sostenitore di questa dottrina fu il filosofo ed insegnante Cicerone che,
anche prima di Alberico Gentili e Grozio (18)
gettò i primi semi del diritto internazionale. Cicerone fu contro tutte le
guerre a meno che non fossero assolutamente indispensabili.
“Le controversie„, disse “possono essere superate in due modi: con la ragione o
con la forza; il primo appartiene all'uomo, l'altro alle bestie; si dovrebbe
impiegare la forza soltanto quando la ragione si dimostra impossibile.”
(19) Egli possedeva una larghezza di vedute
molto più ampia di Aristotele, che giustificava la schiavitù e credeva che
durasse fino al giorno del giudizio. “Sotto il mantello degli schiavi„, diceva
Cicerone “respira un uomo che non è come una cosa, ma una persona che offre i
suoi servizi e che ha diritto ad un trattamento decente e ad uno stipendio
giusto.„ Desiderava che tutta la gente fosse uguale agli occhi della giustizia:
“La legge vera è a ragione coerente con la natura; impone gli obblighi e
proibisce la frode; non può essere differente ad Atene quello che è a Roma.”
(20)
Anche se nell’ambito dell'etica Cicerone era molto in avanti rispetto al suo
tempo, non fu l’unico a proporre tali idee. Il poeta epicureo Lucrezio, in una
sua opera sul mondo romano (21), ha
contrassegnato il contrasto della sua disputa interna e gli orrori delle sue
guerre con la tranquillità placida del saggio che, dall’alto dell’austero tempio
della conoscenza, contempla i conflitti insensati degli uomini. E quando Augusto
portò questi conflitti all’estremo, ci furono una miriade di grandi pensatori
quali Virgilio, Orazio, Plinio, Seneca e tutti gli stoici, che celebrarono la
pace (22).
Nessuno ha dipinto un più accurato quadro della depredazione militare di
Virgilio. Sebbene fosse ispirato dallo spirito latino e dal suo orgoglio per
Roma, tuttavia glorificò la vera missione di Roma in quanto dispensatrice nel
mondo di regole di pace e giustizia. |
|
Quando, comunque, seguendo l’Editto di Costantino
(23), i papi divennero sovrani temporali e cominciarono a preoccuparsi più
dei loro interessi materiali che degli interessi morali della gente, persero
gradatamente l’autorità che, a beneficio della maggioranza della società,
avevano precedentemente esercitato in questioni civili.
Gli ultimi giorni dell’Impero videro la crescita di Quattro città libere,
composte per la maggior parte di un elemento romano (che non fu mai soppresso),
di un elemento cristiano, e di un nuovo elemento germanico.
Durante il Medio Evo sono state queste città libere ad aver tenuto accesa la
torcia della libertà in Italia. Hanno destato e sostenuto nei loro cittadini il
sentimento della dignità umana ed hanno assicurato la protezione delle loro case
forzando la nobiltà ad abbandonare i loro castelli per vivere fra. i cittadini
liberi delle città e dei villaggi. Furono loro che, anche prima della nascita
della lega di Hanseatic, formarono la lega dei Lombardi per difendere i loro
diritti contro l’Impero (24). E furono loro
che, dopo la sconfitta dell'esercito del Barbarossa a Legnano, per amore della
pace e dell’adesione alle consuetudini, riconobbero l'autorità imperiale del
Barbarossa in tutto “tranne„, dissero in presenza del papa Alessandro III, “per
quello che riguarda l’onore dell'Italia” (25).
“Inoltre„, aggiunsero, “noi non permetteremo mai che qualcuno ci privi della
nostra libertà. Questo è quanto abbiamo ereditato dai nostri padri e dai nostri
antenati e questo lo perderemo soltanto con vita stessa; moriremmo piuttosto che
vivere in schiavitù.„
Questa devozione alle città libere, rinforzata da una sensibilità religiosa che
ha spinto ogni città a cercare per se un santo patrono, ho prodotto in Italia
una galassia di repubbliche, interamente fiorenti nel commercio, nell'industria
e nelle arti, in un momento in cui il resto d’Europa era ancora nella stretta
del feudalesimo. Tuttavia, la formazione di un forte ed unificato stato italiano
era impossibile, dato che nessun principe italiano avrebbe potuto ottenere il
minimo sostegno dalla gente, che si preoccupava più della libertà e della
sovranità della propria città piuttosto che della nozione di grandezza
nazionale.
Dante vide il pericolo e la commiserazione di questa divisione nelle città stato
gelose ed antagoniste. Nel suo poema, attaccando le varie parti, disse in una
rima immortale che l’Italia “non andava oltre la padronanza delle province” in
quanto schiava di crudeli e spietate sette (26).
Questo capolavoro, in cui Dante dispone i fondamenti della sua dottrina, può
essere citato, se si tralascia la parte ora obsoleta adattata alla sua epoca ed
alla metafisica di Aristotele, per presentare le regole di governo e della vita
umanitaria secondo una legge; a tal fine, volle che l'impero fosse trasferito a
Roma, in quanto percepì nei Romani quelle qualità più adatte a governare il
mondo.
Lo scopo della civilizzazione, disse, è di rendere pratiche le potenzialità
intellettuali dell’uomo, in breve, a sviluppare le sue facoltà fino al limite
massimo. Allo stesso modo, costruire la pace universale, il libero esercizio
delle organizzazioni pubbliche ed il coordinamento delle nazioni puntando al
massimo istituto di una società universale.
Traducendo queste alte parole filosofiche in un linguaggio comune potete vedere
sottolineato il modo di raggiungere la pace universale e, allo stesso tempo, di
raggiungere la più grande e possibile perfezione universale.
|
Non parlerò ora di Pietro Belli (27) ne di
Alberico Gentili che, nell’imporre limitazioni e applicando regole alla guerra,
furono i predecessori di H. Grotius e che, nel considerare la pace come l’ultimo
obiettivo desiderato da tutte le civiltà, andarono ben oltre lo stesso Grotius. |
Poiché siamo profondamente preoccupati del presente, con tutti i suoi pericoli e
contraddizioni, potete considerare strano che vi abbia parlato della vecchia
Italia e dell’Italia del Medio Evo piuttosto che della posizione e degli
obiettivi dell’Italia di oggi all’interno del quadro di una Europa moderna.
Non ritengo che uno sguardo al passato sia inutile, tuttavia, era dal passato
che provenivano i precursori ed i primi apostoli della nostra rivoluzione
progettata con la loro ispirazione. L'idea di un sistema legislativo per il
mondo intero, perseguito in Europa ed in America attraverso i pacifisti durante
sia il secolo scorso che questo, deve essere cercato indietro nella storia di
Roma e nelle menti dei nostri pensatori più grandi.
Sia la Roma pagana che quella cristiana hanno considerato la legge nazionale
come il fondamento e la chiave di volta della legge delle nazioni. Ecco perché
il nazionalismo, nel cui nome l’Italia si sollevò in ribellione, non è geloso,
ne chiuso su se stesso ne avido di acquisizione dei territori stranieri. È, al
contrario, simpatico verso tutte le nazioni che vivono e fioriscono nella
libertà, o che aspirano ad essa.
Dopo che Giuseppe Mazzini (28) ebbe fondato la
“Giovine Italia”, il cui obiettivo era l’unificazione e la liberazione
dell’Italia, nel 1834, a Berna, fondò la “Giovine Europa” in collaborazione con
gli esiliati polacchi e tedeschi. D’accordo con le sue istruzioni ai suoi
seguaci, questo gruppo provò “a organizzare la società umana in qualche modo per
metterla in grado, attraverso il progresso continuo e nel più breve tempo
possibile, di scoprire e applicare la legge di Dio da cui sarebbe stata
governata” (29)
Più tardi Mazzini fondò altri comitati con Ledru-Rollin ed altri esiliati
francesi, tedeschi ed ungheresi (30).
Forse ora sareste interessati a sentire che Pasquale Stanislao Mancini
(31), capo della scuola giuridica italiana
moderna, insegnava rispettando la nuova legge delle nazioni fin da 1852 anno in
cui ha ottenuto il professorato all'università di Torino. “L'umanità è la nostra
preoccupazione„ ha detto, “ed è essenziale che l'umanità raggiunga
un'organizzazione unica di sufficiente versatilità per permetterle di compiere
il suo destino sulla terra. Ma nel mondo umano un elemento di diversità esiste:
le nazioni in cui i diversi talenti ed abilità sono istruiti si trasformano in
nazioni sviluppate, la civilizzazione è superiore e le norme di legge si
trasformano in realtà.„
Dopo la rinascita e la ricostituzione dell'Italia, Mancini, con altri giuristi
quali Corsi, Buzzati e Pasquale Fiore (32),
non fu mai stanco di sostenere la riforma e la codifica della legge delle
nazioni, o, in una parola, nell'istituzione di una giustizia internazionale
negli interessi della pace e nel progresso della civiltà.
Finora, questa richiesta dai nostri giuristi e dagli avvocati non ha ricevuto
risposta; così una giustizia internazionale è ancora l'alto obiettivo dei nostri
congressi del mondo e della nostra propaganda.
Il grande accreditamento per lo sviluppo dello studio del diritto
internazionale, in quasi ogni paese civilizzato, appartiene alla scuola
italiana; da questo studio è nato l'Istituto di Diritto Internazionale a cui
avete assegnato così giustamente il premio Nobel in uno dei suoi primi anni di
vita (33).
Ma l’Italia ha fatto più di questo.
Prevedendo l'inizio di una codifica del diritto internazionale - ed
effettivamente persino ora abbiamo a l'Aia un tribunale per la sua applicazione
(34) - l'Italia, dalla sua unificazione, ha introdotto positivamente nella sua
legislazione quasi tutti i principi inerenti il diritto privato internazionale
definiti dalla sua scuola giuridica. La legislazione ha stabilito non solo che
“uno straniero può godere degli stessi diritti civili di quelli dei cittadini
italiani„ (l'articolo III del Codice Civile italiano), ma anche che in materia
civile, mentre risiede nel nostro paese, questi possa anche seguire le leggi
della sua nazione. A questo importante riguardo abbiamo preceduto altre nazioni
nello sradicamento delle differenze, per quanto concerne la legge civile fra
italiani e stranieri e, quindi, abbiamo fondato i principi della nostra
dottrina, riguardo ai diritti della persona umana, nelle disposizioni di
giurisprudenza. Così la teoria è messa in pratica, come è ulteriormente
dimostrato dal fatto che l'Italia è la prima e finora l’unica, fra le nazioni
più grandi, ad aver abolito la pena di morte dal proprio codice penale.
È quindi evidente che l’Italia offre le migliori condizioni per un continuo
sviluppo e perfezionamento del diritto privato internazionale, che fornisce la
strada più sicura al diritto pubblico.
Non è la vanità patriottica che mi ha spinto a parlare di questi fatti. È perché
il giorno in cui un Parlamento Internazionale afferma l'unità giuridica delle
nazioni, seguita dal relativo disarmo, giorno atteso da tutti i pacifisti, credo
che tutte le nazioni, la Norvegia e non di meno che la Russia, l’Inghilterra
così come la Francia, possano dimostrare che hanno contribuito in un modo o
nell'altro a questo grande evento. |
|
Il secondo esempio è anche più emblematico.
Garibaldi, che è stato la più sublime personificazione del genio latino e del
valore militare dei nostri giorni, ha vinto la battaglia del Volturno alla fine
di settembre del 1860 (36) ed il giorno successivo, nella sua facoltà di
dittatore dell'Italia del sud, trasmise un messaggio alle potenze d’Europa,
esortandole a mettere fine alle guerre e agli armamenti unendosi in una
confederazione europea.
Con la stessa mano che aveva poco prima maneggiato la spada della liberazione,
ha scritto: “Nell'intraprendere la guerra, differiamo di poco dagli uomini
primitivi che uccidevano un altro per strappare loro la preda. Spendiamo le
nostre vite (oggi come allora) per minacciare continuamente l’altro mentre in
Europa la grande maggioranza, non solo delle grandi menti ma di tutti gli uomini
ragionevoli, capisce perfettamente che potremmo facilmente vivere senza questa
minaccia perpetua e reciproca ostilità e senza la necessità che sembra sia
fatalmente imposta alle nazioni da un certo segreto e invisibile nemico
dell'umanità che induce al macello reciproco con una tale scienza e
raffinatezza.„
Concluse esprimendo la speranza che Francia e Inghilterra mettessero da parte le
vecchie rivalità e unendosi insieme, avrebbero formato il nucleo della
confederazione europea a cui tutte le altre nazioni europee avrebbero presto
aderito.
Le speranze di Garibaldi per una Francia ed un’Inghilterra unite quale nucleo di
una confederazione europea sono state realizzate. Il futuro dirà se o no le
altre nazioni si riuniranno gradualmente intorno ad esse.
Incarnando i più alti ideali che ha sempre messo in atto, combattendo in cento
battaglie per la libertà di tutta la gente, Garibaldi nel 1870, nello stesso
spirito e malgrado la sua afflizione per la cessione della sua città natale
Nizza alla Francia, si affrettò con i suoi compagni a correre in aiuto della
Francia abbandonata da tutta l'Europa - e questo solo pochi anni dopo che aveva
partecipato al primo congresso per pace e la libertà di Ginevra
(37), che aveva
aperto con queste parole: “Tutte le nazioni sono sorelle e la guerra fra loro è
quindi inconcepibile. Gli italiani come cittadini di altri paesi, uomini di
altri paesi come cittadini dell'Italia questo è l'obiettivo che noi dovremmo
raggiungere…„
Questi sentimenti sono gli stessi espressi dalla gente italiana nei momenti
culminanti della rivoluzione, ma sarei disonesto se dichiarassi che sono quelli
della maggioranza dei miei connazionali in tempi normali. Se non fosse stato il
caso, la nostra propaganda pacifista non sarebbe mai stata necessaria e non è al
momento necessaria
Al contrario, perché Garibaldi, essendo diventato conosciuto e ammirato
universalmente, dicesse egli stesso nelle diverse occasioni in cui aveva
derivando sempre l'ispirazione “dalle grandi qualità e dagli atti magnanimi dei
Romani”, si è dovuta creare in Italia una generazione di patrioti che sognando
di un ritorno impossibile dello splendore romano, avrebbe voluto fare di una
moderna Italia una potenza militare di prim’ordine piuttosto che una nazione
eccezionale per la sua grande libertà e per la sua emancipazione.
Per cominciare avrebbero voluto annettere il Canton Ticino
(38), quindi
avrebbero preso di mira l’Impero Etiope il cui sistema monetario avevano già
preso al momento della sua prima emissione (39).
Irritati a vedere la Francia entrare in Tunisia nonostante le ultime
assicurazioni del governo francese al nostro governo che ciò non sarebbe
accaduto (40), questi patrioti hanno creduto che con l'aiuto della Germania
avrebbero potuto fare la guerra contro la Francia e strapparle Nizza e la
Corsica.
Era in questa fase che, gli ex seguaci di Garibaldi insieme ai patrioti di altri
partiti, tutti amici della Francia, hanno formato l'Unione Lombarda per la Pace
per neutralizzare questa pazza gallofobia.
Esponendo gli schemi nefandi dei seminatori di discordia, facendo rivivere le
memorie del debito di gratitudine italiana alla Francia, tenendo congressi e
formando i comitati di propaganda pacifista nelle città in cui erano più
necessari, siamo riusciti a obbligare il governo di quel tempo a modificare la
sua politica e a far tacere quei giornali che sembravano inclini a creare un
solco di odio fra l'Italia e la Francia. |
Anche se oggi questa società di altre nazioni non ha un’esistenza politica
reale, ne ha una virtuale. Noi italiani siamo stati molto informati di questo
quando, impressionati dal terribile disastro che ha sepolto Messina, Reggio e
molti villaggi in Calabria e in Sicilia (41), siamo stati consolati ricevendo
prove commoventi di affetto e aiuto immediato da ogni parte del mondo.
Tale è la voce dell'anima umana universale di cui, in tempo di grande calamità,
ignora le barriere artificiali generate dalla ragion di stato e testimonia la
qualità e la nobiltà della natura umana.
E durante la celebrazione del nostro giubileo nazionale non dimenticammo la
grande dimostrazione di compassione e attiva simpatia venuta al nostro paese
dalla vostra magnanima Norvegia, come pure da tutte le altre nazioni
civilizzate.
Lo stesso oratore “del Mille„, il poeta Abba (42), in presenza del re a Roma, ha
commemorato quel grande evento esprimendo il pensiero che era allora, ed è
ancora, il più elevato nelle menti sia della gente che del governo; lui ha
concluso il suo discorso dicendo che l'Italia si era sollevata ancora per
compiere quella missione di pace di cui la storia e la sua posizione in Europa
l’avevano investita. Ora è risaputo, persino fuori dall’Italia, che non c’è più
nel nostro paese alcun partito che spinga per la guerra. Nondimeno, non ci
mancano, specialmente fra i militari, quelli che, comunque non espressamente si
augurino la guerra, non gli dispiace che venga la guerra; sperano che gli allori
della vittoria, negati all’Italia ai tempi delle sue guerre d’indipendenza, che
sono state combattute da bande di italiani [piuttosto che da un esercito
italiano organizzato], potrebbero ora coronare l'Italia come nazione. Questa
idea, tenuta da un piccolo numero di nostri connazionali, è stata rifiutata da
tutti quelli di noi che hanno qualche sensibilità umana ed è contraddetta dalla
storia di quasi tutte le nazioni moderne che sono riusciti a diventare grandi,
prosperose e rispettate malgrado il fatto che le sue cronache militari
registrino un più grande numero di sconfitte che di vittorie.
Quando, dalla virtù della propria gente e dal valore dei suoi uomini che
combattono, una nazione riesce in pochi anni a liberarsi di tutti i governi che
l’hanno asservita e divisa ed a compiere una rinascita che per altre nazioni
sarebbe durata un secolo; quando, sin dalla insurrezione greca contro la
dominazione (43) turca, non vi è stata una singola guerra di indipendenza
nazionale in Europa o in America in cui gli italiani non hanno indicato la loro
fratellanza combattendo dal lato della libertà; quando il coraggio dei nostri
soldati era sempre notevole anche nelle battaglie che abbiamo perso, come i
prussiani a Jena (44) ed i francesi nella guerra [Franco-Prussiana] del
1870-1871, per la mancanza di organizzazione e degli sbagli del comandante-in-capo; quando tutte queste cose sono vere, allora nuove guerre non
sono necessarie per dimostrare al mondo che se la nostra indipendenza ed il
nostro onore nazionale sono di nuovo messi in pericolo, la nostra gente ed il
nostro esercito sapranno fare il loro dovere fino all’amara fine. Tuttavia, non
c’è gloria che l'Italia o qualunque altra nazione debba cercare oggi nella
guerra.
È triste pensare che la pace ora prevalsa in Europa, per molti anni possa essere
mantenuta solo al prezzo del continuo aumento degli armamenti il cui enorme peso
economico impedisce lo sviluppo completo e libero delle stesse nazioni; è triste
pensare che questa pace esista soltanto a condizione che questioni molto serie
siano ignorate - una situazione che, dopo alcune proteste inutili, permette
l'abuso della forza che non ci sarebbe se la legge fosse rispettata.
Nessun uomo di (buon) senso e sentimento può sbagliare nel vedere i gravi
pericoli di questa situazione e rabbrividire al pensiero della terribile
conflagrazione a cui potrebbe condurre se ritardassimo molto più a lungo
l'individuazione del rimedio
È necessario urgentemente che alcuni raggi di verità e amore cadano sui tre o
quattro uomini che sono oggi gli arbitri della pace e della guerra, di modo che
una pace ricca di giustizia ed un benessere per Europa possano sostituire
l’attuale tregua armata. |
|
Sarà sempre così? Il giorno previsto dal profeta non verrà mai, quel giorno in
cui nessuna nazione riprenderà mai le armi contro un altra ed in cui le lance e
le spade saranno ribattute in vomeri? Era inutile che Gesù di Nazareth venisse
in questo mondo per annunziare la pace e la benevolenza fra gli uomini e sia
morto sulla croce in modo che un giorno tutti gli uomini si riconoscessero come
fratelli?
Si consideri la rivoluzione francese che avrebbe introdotto gli ideali di pace,
uguaglianza e fraternità nei rapporti internazionali ed invece, due anni dopo la
Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, si è lasciata andare ad una tempestuosa
guerra quale il mondo non vedeva da Attila (46). Si consideri il fatto che due
anni dopo la fondazione della Società degli Amici della Pace in Francia
(47),
che fu salutata calorosamente da uomini di lettere, da statisti e dalle
associazioni operaie per tutta la Francia e la Germania, avvenne lo scoppio
della guerra franco-tedesca, disastrosa non solo per la Francia, ma anche per la
causa della pace di tutta l’Europa. E poi ricordate che il nostro distinto
maestro Frederic Passy non è stato restituito all'ufficio dai suoi elettori
(48), forse a causa del suo doloroso peccato nel trasformarsi nel più fervente
apostolo della pace internazionale. Notate anche che non uno dei nostri
pacifisti più eminenti è stato mai chiamato a condurre un governo o a dirigere
la politica estera. Si noti che il papa, il vicario di Cristo sulla terra come è
denominato, si ritira nel Vaticano come un prigioniero volontario per protesta
contro la perdita del potere temporale (49); proprio quando la sua voce dovrebbe
sovrastare ogni altra nel vero amore cristiano e angosciarsi nello sforzo di
evitare la guerra dal suo inizio, non si è mai alzata per niente, oppure troppo
in ritardo, o troppo debole, proprio come erano le voci dei suoi più recenti
predecessori. Considerate il modo con cui i poeti, con poche eccezioni,
acquistano a corte la fama e la popolarità cantando gli elogi della guerra e del
massacro. Considerate ancora come la maggior parte delle sublimi virtù siano
sempre associate alla bandiera nazionale mentre la crudeltà sia attribuita al
solo nemico - questo per sostenere la sfiducia, l'odio l’inimicizia fra le
nazioni. Ricordando e ponderando tutto questo, oh, vi confesso che ho anche
avuto momenti di scoraggiamento, chiedendomi se l'idea a cui sono devoto e a cui
per anni ho dedicato tutto il mio tempo e la mia energia potrebbe essere
nient'altro che un'illusione della mia povera mente, un sogno come l’Utopia di Thomas More o come la nostra stessa Città del Sole di Campanella
(50).
Ma questi erano momenti fugaci! E mi dicevo subito che se il lavoro per un
futuro di pace e giustizia, un futuro di continuo progresso e lavoro fruttuoso
ed utile per tutti gli uomini e tutte le nazioni, fosse stata effettivamente
un'illusione sarebbe stata ancora un'illusione, tanto divina da rendere la vita
degna di essere vissuta e (capace) di ispirare qualcuno a morire per essa.
|
Ma non è un'illusione. Ho sentito questo profondamente in me, e la storia dello
sviluppo umano come esperienza giornaliera me l'ha confermato. Le idee
ragionevoli che trovano la loro sanzione nella coscienza del giusto non muoiono;
sono conseguentemente realtà e forze attive, ma sono così soltanto fino al punto
in cui coloro che le professano sanno tenerle in conto. Dipende da noi, quindi,
dal nostro giudizio e dalla nostra fermezza se o oppure no, l'idea della pace
attecchisca sempre più saldamente nella consapevolezza dell’opinione pubblica
fino a che non crescerà nella coscienza vivente ed attiva di tutta la gente. |
C’è ancora naturalmente molta gente dominata dai vecchi pregiudizi che cela
sotto la maschera dell'uomo civilizzato, la barbarie che vede tutti gli
stranieri come nemici e la guerra come una buona speculazione. Spetta a noi
pacifisti ribaltare questa mentalità informando la gente di quello che la guerra
significhi realmente - quante lacrime, quanto sangue e quante torture le
sfortunate popolazioni devono pagare come prezzo della vittoria.
Nel frattempo, la situazione in Europa è ancora così complessa, la vecchia
amarezza fra certe nazioni ancora così viva, che nessuno può garantire il
futuro.
È molto strano, tuttavia, che mentre gli scienziati progressisti siano riusciti
a superare la resistenza dei venti e ad aprire una strada attraverso l'aria con
ali artificiali, non si sia creata una loro controparte fra gli statisti
progressisti - eppure ci sono ancora molti nei vari paesi, che finora hanno
scoperto come superare la resistenza delle passioni maligne e degli interessi
antisociali che ostruiscono insieme l'avanzamento inevitabile delle nazioni
verso l'obiettivo comune di pace, di giustizia e di benessere.
Non so cosa i governi delle principali potenze faranno oggi, domani o dopo per
trovare una via d’uscita da una situazione in cui essi stessi riconoscono
debolezza, instabilità e pericoli.
Né sono più in grado di predire quale governo e quale politica potrebbero
determinare una forma differente di azione parlamentare nel nostro paese. Posso
assicurarvi di una cosa, tuttavia, che conosco lo spirito della nostra gente.
Quello per cui l'Italia non prenderà mai le armi o influenzerà perché la cosa
risalti al servizio di cause condannate dalla coscienza degli uomini liberi che
invece hanno una sensibilità per la giustizia e per le condizioni di progresso
universale.
Un evento recente è un buon presagio per il futuro: quando nel 1870 un re molto
popolare, Vittorio Emmanuele II, al di là del senso di cavalleria volle inviare
100.000 uomini per rinforzare l'esercito di Napoleone – quindi intraprendendo
una guerra con la Prussia nello sforzo di prevenire l’unificazione della
Germania - la nostra gente si è opposta all'unanimità ed i 100.000 soldati sono
rimasti in Italia.
Successivamente, quando il governo di Crispi sembrò propendere per la guerra
contro la Repubblica Francese, Cavallotti (51) parlò chiaro in nome della
democrazia italiana e di tutti gli amici della pace, dicendo che i soldati
italiani avrebbero dovuto marciare sopra i nostri cadaveri prima che avessero
potuto attraversare la frontiera francese. Di conseguenza, Crispi fu indotto a
cambiare la sua politica in modo che una tal guerra fosse resa impossibile.
Di nuovo, alcuni anni più tardi, lo stesso ministro progettò di inviare un
intero esercito in Africa per riguadagnare il prestigio che, secondo i
militaristi, era stato perso dalle nostre forze nella battaglia sfavorevole di
Adua. Ma minacciato di rivoluzione dalla gente qualora questa guerra senza senso
ed ingiusta fosse continuata, fu costretto a consegnare il potere.
Tuttavia, non vi nascondo il fatto che, anche se la nostra gente abbia molte
buone qualità, sono anche impressionabili ed impulsivi, e poiché alcuni dei loro
agitatori sono uguali, è accaduto occasionalmente che alcuni di loro,
specialmente gli studenti, si sono lasciati andare a dimostrazioni violente in
grado di compromettere i buoni rapporti dell'Italia con gli stati vicini. Ma
questi erano disordini con cui la maggior parte della gente non ha mai avuto a
che fare. Non furono provocati da pensieri di vendetta ne risposero a
provocazioni da scherni; quasi senza eccezione erano il risultato di insulti e
lesioni che hanno sofferto da italiani fuori dalle frontiere del nostro regno:
“Il sangue è più denso dell'acqua.„
Signori, sono sicuro che sapete come sto andando a concludere il mio discorso.
L'Italia, la più giovane e la più piccola fra le grandi potenze, ha contribuito
alla vita internazionale con la sua parte equa di idee politiche, di concetti
giuridici e di ideali morali che sono stati sia solidi che produttivi e che sono
serviti come sua bussola nei giorni scuri e tempestosi; saranno la sua
resistenza, la sua gloria ed il suo spirito guida nei tempi a venire.
La rivoluzione italiana è stata combattuta prima di tutto per ottenere la
libertà e l'unità della nazione e quindi, una volta raggiunta, per unire le
nazioni più libere e più avanzate nell'inaugurare una nuova era di pace, di
giustizia e di cooperazione unitaria nel lavoro di civilizzazione.
Finora, soltanto il primo obiettivo è stato raggiunto; Vittorio Emmanuele II,
che era il re del piccolo Piemonte, ha dato il suo contributo assumendo la
corona d’Italia a Roma.
Rimane ora da realizzare il secondo obiettivo.
Se Re Vittorio Emmanuele III (chi merita il riconoscimento della civiltà per
aver fondato l'Istituto Internazionale dell’Agricoltura
(52) che certamente
renderà benefici utili a tutti nella futura economia mondiale) presterà il suo
supporto alla realizzazione della Rivoluzione Italiana dando un posto all'Italia
nel mondo, guadagnerà ulteriore rinomanza per se ed i suoi cittadini ed allo
stesso tempo rinforzerà il legame di affetto fra se e la sua gente. |
Dopo un sonno pesante,
Si è svegliata rinnovata nella virtù, pronta per il comando,
ed ora è razza che ha volontà e fede,
la volontà e la fede nel progresso pacifico del genere umano
(53).
Tradotto da: Nobel Lectures, Peace 1901-1925, Editor Frederick W. Haberman, Elsevier Publishing Company, Amsterdam, 1972
NOTE
* Anche se il premio fu assegnato nel 1907, lo studioso chiese, per ragioni di
salute, di pronunciare il suo discorso successivamente, preferibilmente
nell’estate del 1909 in cui avrebbe potuto anche assistere ad un congresso sulla
pace a Stoccolma. Quindi ha tenuto questa conferenza il 25 agosto 1909,
all'Istituto Norvegese per il Nobel introdotto ad un vasto pubblico dal sig.
Lovland, presidente del Comitato Nobel. Questa traduzione è basata sul testo in
francese (la lingua in cui si espresse il Sig. Moneta) pubblicato nel 1907 su
Les Prix Nobel.
N.d.t. La nostra traduzione parte dal testo inglese (che come visto si rifà a
quello francese) da noi reperito sul sito del Premio Nobel.
1. Vittorio Emmanuele III (1869-1947), Re d’Italia (1900-1946).
2. Henrik Ibsen (1828-1906), poeta e drammaturco norvegese -
Bjørnstjerne Bjørnson (1832-1910), poeta norvegese, romanziere, drammaturgo,
isignito del premio nobel in Letteratura nel 1903 e uno dei membri fondatori del
Norwegian Nobel Committe.
3. L'Interparliamentary Union (1889) è stata organizzata nel
1888 con gli sforzi di Frédéric Passy (co-insignito nel 1901) e di William
Randal Cremer (insignito nel 1903); composto di delegati di differenti
parlamenti del mondo, originalmente il suo scopo primario era quello di
pruomuovere la causa dell’arbitrato internazionale. Il Permanent International
Peace Bureau cominciò in ritardo i suoi lavori nel 1891 a Berna come stanza di
compensazione e centro d'informazione per le svariate organizzazioni e singoli
individui che lavoravano per la pace e come braccio esecutivo per i congressi
internazionali sulla pace.
4. Nel 1905 la Norvegia acquisì la completa indipendenza dalla
Svezia; dal 1815 al 1905, il Re di Svezia fu il regnante della Norvegia anche se
la Norvegia aveva la sua costituzione ed il suo parlamento.
5. Si veda la biografia, p. 139.
6. Immanuel Kant (1724-1804), filosofo tedesco.
7. Il governo austriaco del Lombardo-Veneto fu attaccato durante
le “Cinque giornate di Milano” (dal 18 al 22 marzo 1848) quando i milanesi
indussero alla ritirata le truppe austriache di occupazione.
8. Manifesto pubblicato dai rivoluzionari milanesi il 23 marzo
1848. La traduzione della citazione è stata presa da "The Peace Prize" di August
Schou in Nobel: The Man and His Prizes, edito dalla Nobel Foundation (Amsterdam:
Elsevier, 1962), p. 539.
9. Il monte Albano è il punto più alto dei Colli Albani che sono
situati a poche miglia a sud-est di Roma.
10. Le Dodici Tavole (450 a.C.) comprendevano la prima stesura
del diritto romano.
11. Lo Jus fetialium fu una diramazione del primo diritto
romano relativo alle ambascerie, alle dichiarazioni di guerra e ai trattati di
pace, fu amministrato da un collegio di fetali, un ordine di sacerdoti che
ricoprivano i ruoli di ambasciatori.
12. Lo Jus gentium, nei primi usi romani, divenne quella parte
del diritto delle nazioni, “che regolavano le transazioni tra le persone che
risiedevano in paesi diversi e la confusione che intercorreva tra le nazioni
indipendentemente dagli usi locali e dalle leggi municipali di particolari
stati”. Palmer D. Edmunds, Law and Civilization (Washington, D.C., 1959), p.
152.
13. Le tre guerre puniche combattute tra Roma e Cartagine nel
secondo e terzo secolo a.C. che culminò nella distruzione di Cartagine e nella
dominazione del Mediterraneo da parte di Roma.
14. Un’antica città fortezza del nord della Spagna che
resistette all’assedio per otto mesi e finalmente cadde sotto le armi romane nel
133 a.C.
15. Tito Livio (59 a.C. – A.D. 17) storico romano la cui opera
fu la sua Storia di Roma.
16. Dionisio di Alicarnass (1° sec. a.C.), storico e retorico
Greco, tra I cui lavori il più importante è Antichità di Roma”.
17. Letteralmente “Guerra orribile”, “Guerra detestata dalle
madri”.
18. Marco Tullio Cicero (106 a.C. – 43 a.C.) oratore e statista
romano. Alberico Gentili (1550 – 1608) giurista italiano il cui libro “De juri
belli” aprì la strada al lavoro di Hugo Grotius (Hugo de Groot 1583 – 1645),
statista e giurista tedesco che scrisse “De jure belli ac pacis” (1625), il
primo testo di diritto internazionale.
19. De officiis i.11.
20. De republica iii.33.
21. Tito Lucrezio Caro (99 a.C.- 55 a.C.), poeta didattico
romano il cui De rerum natura, qui menzionata, presenta in versi la filosofia
Epicurea.
22. Augusto (63 a.C.- d.C.14), primo imperatore romano.
Virgilio (70 a.C.-19 a.C.), poeta romano. Orazio (65 a.C. - 8 a.C.), poeta
lirico latino. Probabilmente Plinio il Vecchio (d.C. 23-79) erudito romano.
Seneca (c. 3 a.C.- 65 d.C.), filosofo, statista, drammaturgo.
23. Una concessione
presunta di un’estesa autorità temporale fatta al papa Silvestro I ed ai suoi
successori dall'imperatore romano Costantino I (274 - 337), che fu usata
successivamente come base per le più grandi rivendicazioni papali. Accertata la
sua autenticità durante il Medio Evo, fu messa in discussione durante il
Rinascimento e dal 1800 fu comunemente considerata un falso.
24. La lega di Hanseatic, organizzata nel quattordicesimo
secolo e dissolta nel diciassettesimo, era una confederazione allargata delle
città tedesche in una lega mercantile formata per proteggersi contro i pirati e
la concorrenza straniera. La lega dei Lombardi riunì le città rivali della
Lombardia nel 1167 per sfidare l'estensione dell’autorità imperiale di Federico
I; dopo i successi iniziali, la lega fu sconfitta nel 1237 da Federico II.
25. Federico I o Federico Barbarossa (1123 - 1190), re tedesco
e imperatore del Sacro Romano Impero (1152-1190), fu sconfitto nel 1176 a
Legnano, una cittadina lombarda vicino Milano. Alessandro III (c.a. 1100 -1181),
papa (1159-1181), appoggiò la Lega Lombarda.
26. Dante Alighieri (1265-1321). Il poeta probabilmente si
riferisce ai versi del Canto VI del Purgatorio. Come tradotto da Thomas Okey, P.
225, nella traduzione di Carlyle-Wicksteed della Divina Commedia di Dante
Alighieri (New York: Modern Library, 1932), questi versi colti: “Ahi serva
Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di
province, ma bordello!„
27. Pietro Belli (1502-1575), giurista italiano, avvocato di
diritto internazionale a Carlo V e altri legislatori; scrisse il De re militari
et bello tractatus (1563).
28. Giuseppe Mazzini (1805-1872), patriota italiano e
rivoluzionario.
29. Dal Principio 3 del Patto della Giovane Europa. Si veda
E.E.Y. Hales, Mazzini and the Secret Societies (London, 1956), pp. 136-140.
30. Nel 1850 a Londra Mazzini con Alexandre Ledru-Rollin un
giurista e politico francese, Arnold Ruge uno scrittore politico tedesco e
Albert Darasz riformista politico polacco, fondarono il Comitato Centrale
Democratico Europeo.
31. Pasquale Stanislao Mancini (1817-1888), giurista e statista
italiano, professore di diritto internazionale a Torino (1849.); ministro di
giustizia (1876-1878) and ministro degli esteri (1881-1885).
32. Diciannovesimo secolo eruditi italiani di diritto
internazionale.
33. Fondato nel 1873 da un gruppo di giuristi internazionali,
l’Istituto fu insignito del premio nel 1904.
34. Il tribunale dell’Aia è stato costituito come corte di
arbitrato dal Congresso di Pace dell’Aia nel 1899.
35. Alfonso Ferrero, Marchese di La Marmora (1804-1878),
generale italiano e uomo di stato; primo ministro (1864-1866).
36. Giuseppe Garibaldi (1807-1882), soldato italiano e
patriota, eroe del diciannovesimo secolo del movimento per l’unità politica
d’Italia; il suo esercito di 1,000 volontari selezionati, conosciuto come i
"Mille", sconfissero i napoletani nella battaglia del Volturno il 1-2 Ottobre
1860 (data usata solitamente per convenzione).
37. Il congresso che fondò La Ligue internationale de la paix
et de la liberté fu convocato su iniziativa di Charles Lemonnier nel Settembre
del 1867.
38. Un cantone di lingua italiana annesso alla Svizzera nel
sedicesimo secolo.
39. A seguito degli sforzi bellici italiani del 1880 e del 1890
per stabilire un protettorato sull’Etiopia si arrivò alla sconfitta italiana di
Adua ed al trattato di Addis Abeba (1896) che riconobbe l’indipendenza etiope.
40. Il Trattato di Bardo (1881), stabilì un protettorato
francese su Tunisi, iniziando un lungo periodo di tensione tra Francia e Italia
con relazioni che divennero particolarmente tese alla fine del 1880.
41. Il terremoto del 28 decembre 1908.
42. Giuseppe Cesare Abba (1838-1910), poeta italiano, uno dei
"Mille" di Garibaldi.
43. Dal 1821 al 1827.
44.L’esercito prussiano fu sconfitto a Jena da Napoleone nel
1806.
45. Il Decreto dello Zar, datato 12 agosto 1898 (nuova versione
il 24 agosto), è stato passato dal ministro russo degli affari esteri, il conte
Muraviev, a tutti i rappresentanti diplomatici stranieri accreditati alla corte
di San Pietroburgo; la circolare russa di aggiornamento del 30 dicembre 1898
(nuova versione dell'11 gennaio 1899), provocò la convocazione del primo
congresso sulla pace all'Aia nel 1899.
46. La rivoluzione francese, che cominciò nel 1789 e la
relativa dichiarazione dei diritti dell'uomo, che è stata adottata come
componente della costituzione francese del 1791. Furono seguite dalle Guerre
Rivoluzionarie Ffrancesi e a loro volta dalle guerre Napoleoniche. Attila (406 -
453), capo degli Unni, devastò gran parte dell’Europa centrale (451-452).
47. Société française des amis de la paix (più tardi conosciuta
come Socitété française pour l'arbitrage entre nations) fu fondata da Frédéric
Passy nel 1867 con il nome di La Ligue internationale et permanente de la paix.
48. Frédéric Passy (1822-1912), co-destinatario del Premio
Nobel per la Pace del 1901, fu eletto deputato francese nel 1881 e di nuovo nel
1885 ma fu sconfitto nel 1889.
49. Dopo che le truppe francesi lasciarono Roma nel 1870 per
combattere nella Guerra franco-prussiana, la città fu annessa all’Italia,
strappata dallo Stato Pontificio, il Papa rifiutò di accettare i termini offerti
dal governo si ritirò nel Vaticano dove lui e i suoi successori rimasero
“prigionieri” volontari fino al 1929.
50. Sir Thomas More (1478-1535), autore britannico e statista,
pubblicò Utopia nel 1516. Tommaso Campanella (1568-1639) pubblicò Civitas solis
[Città del sole] nel 1623.
51. Felice Carlo Emmanuele Cavallotti (1842-1898), scrittore
italiano e politico, oppositore di Crispi (Primo ministro 1887-1891; 1893-1896).
52. Ispirato da un'idea sostenuta da David Lubin, un
agricoltore americano, Vittorio Emmanuele III convocò il congresso
internazionale del 1905 a Roma che avviò l'Istituto, la cui apertura avvenne
parecchi anni dopo.
53. Questi versi parafrasano l’ultima parte del poema di Ibsen
"Ved tusendårs-festen".
Visitate la nostra pagina dedicata ai Premi Nobel.
Per ulteriori informazioni inviate una mail a: |
|
For additional information please email us at: |
[ Home ] [ Up-Su ] [ Mappa del Sito ] [ Site Map ] [ Sponsors ] [ Two minutes ] [ Libri Elettronici ] [ Aiuto! ]